“Siamo venuti qui per verificare le condizioni di chi sta a bordo. Li abbiamo incontrati e ci hanno mostrato le loro cicatrici, le torture subite”. Così Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra italiana, racconta l’esperienza a bordo della Sea Watch insieme a Stefania Prestigiacomo (FI) e Riccardo Magi (+Europa). “I loro occhi dicono tutto. Sono qui per chiedere che sia consentito a queste persone di sbarcare”.
Due bombe sono state fatte esplodere davanti ad una cattedrale nelle Filippine, sull’isola di Jolo, uccidendo almeno 20 persone e ferendone 81. L’attentato, avvenuto quando nella chiesa si stava svolgendo la messa domenicale, avviene a meno di una settimana dal referendum che ha sancito la creazione di una provincia autonoma a maggioranza musulmana nel sud. Le vittime sono 15 civili e 5 soldati mentre sono rimasti feriti 14 soldati, due poliziotti e 65 civili.
La prima bomba è scoppiata sulla porta della cattedrale di Jolo.
L’esplosione è stata seguita da un’altra all’esterno dell’edificio,
avvenuta quando già le forze governative stavano rispondendo
all’attacco. Tra le vittime ci sono sia civili che militari. Foto
diffuse sui social media mostrano i corpi delle vittime tra le macerie
in una strada affollata, fuori dalla cattedrale di Nostra signora del
Monte Carmelo, già bersaglio di bombe in passato. Truppe in assetto da
guerra hanno transennato la strada principale che porta alla chiesa,
mentre i feriti portavano i corpi delle vittime e i feriti all’ospedale.
I feriti più gravi sono stati trasportati in elicottero nella vicina
città di Zamboanga.
La questione del negazionismo dell’Olocausto ha assunto in questi anni un rilievo sempre più urgente, in Italia e in Europa. Nel documentario “A Latere” Matteo Manfredini affronta i meccanismi e le tecniche di questo grave fenomeno attraverso le testimonianze di chi ha vissuto l’Olocausto: Liliana Segre, sopravvissuta Auschwitz-Birkenau, senatrice a vita; Valentina Pisanty docente di semiotica Università di Bergamo; Claudio Vercelli storico, autore del volume “Il Negazionismo: storia di una menzogna”; Stefano Gatti, ricercatore Osservatorio Antisemitismo, CDEC. Con la speranza che la divulgazione aumenti la consapevolezza di tutti. Il video che vi farà capire quante sono le vittime dell’Olocausto
La musica osannata, la musica perseguitata. Due facce di una medaglia terribile, il nazismo e le sue follie.
Da una parte l’«amore» verso l’arte dei suoni – questa comunque usata a fini propagandistici – dall’altra, il disprezzo verso le produzioni considerate «degenerate» e verso i compositori ebrei, ma non solo. A Milano per il «Giorno della Memoria» LaVerdi con due concerti all’Auditorium di largo Mahler – stasera alle ore 20 e domenica alle 16 – propone questi «volti» contrapposti, l’amore e l’odio appunto, anche verso l’arte. I maestri e i pezzi usati dal regime e gli aneliti di libertà. Ecco dunque un programma con musiche di Wagner e Beethoven da una parte (rispettivamente l’Ouverture da «Tannhäuser» e «Concerto per piano e orchestra n.4 in Sol op.58»), e ancora dei perseguitati Eisler e Schuldoff («Niemandsland» e «Sinfonia n.2») dall’altra.
Ma partiamo dai personaggi venerati,
esaltati e glorificati a fini del condizionamento ideologico. In testa
il compositore di Lipsia, che in qualche modo, con alcune posizioni –
anche se la questione è ancora dibattuta – si prestò a certe
interpretazioni. Già, proprio così: in pubblico Wagner, molto amato da
Hitler, diede il suo appoggio a posizioni anti-ebraiche, tuttavia stando
alle ricostruzioni non voleva l’eliminazione degli ebrei o la
segregazione permanente e non aderiva in maniera completa al razzismo.
Il suo saggio Das Judentum in der Musik («Il giudaismo della musica»)
apparso sulla rivista Neue Zeitschrift für Musik nel 1850 comunque
rappresentò una base teorica da cui partire. Altra pagina, altra musica.
L’Ungheria fa da sponda alla linea politica del Viminale.
Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto in
un’intervista a La Stampa dichiara tutta la vicinanza del governo di
Budapest al ministro degli Interni italiano sancendo di fatto un asse
tra Roma e l’Ungheria. “Noi e Salvini siamo dei pionieri, entrambi
abbiamo dimostrato che l’immigrazione può essere fermata. Lui l’ha fatto
via mare in Mediterraneo, noi ungheresi via terra, lungo i Balcani”, ha
spiegato il titolare degli Esteri ungherese. L’intesa tra l’Italia e
l’Ungheria è soprattutto sulla gestione della crisi migratoria: “Le
nostre rappresentano più che altro posizioni condivise sul tema
dell’immigrazione che non saranno ’politically correct’, ma senza dubbio
pongono come priorità la questione della sicurezza dei cittadini dei
nostri Paesi e dell’Europa in generale”.
I l comandante di Sea Watch 3 rischia
l’arresto per favoreggiamento all’immigrazione clandestina e per aver
messo a rischio la vita di 47 immigrati.
Arriva, infatti, dalla Guardia costiera olandese, la conferma che nel momento in cui le condizioni meteo peggiorarono, fu lui stesso a decidere, in maniera del tutto illogica, di virare verso l’Italia, che si trovava a 100 miglia nautiche da quel punto, anziché andare verso le coste tunisine, distanti 74 miglia, come indicato proprio dagli olandesi.
Per ottenere il reddito di cittadinanza
non si dovrà lavorare in nero ma per continuare a riceverlo si può
tranquillamente rapinare.
Dalle ultime bozze circolate e in possesso ai parlamentari c’è perfino la carezza di cittadinanza per i ladri. Dopo avere esteso il beneficio a 241 mila famiglie straniere, dopo aver confermato che il sussidio verrà assegnato anche a rom e clochard, ecco il salto estremo. Per un governo dove una parte, la Lega, ha fatto della sicurezza la sua bandiera, ce n’è un’altra, il M5s, che non prevede restrizioni per borseggiatori e criminali fino al secondo grado di giudizio. Il salvacondotto è contenuto all’articolo 7 del provvedimento dove si specificano i casi in cui il reddito decade. Per aggirare le criticità della misura, il M5s ha previsto la reclusione per coloro che ottengono il beneficio con documenti falsi o di fronte l’omessa comunicazione di variazione del reddito. La punizione va «da due e sei anni». È quanto recitano i comma 1 e 2. Sono pene che il M5s si è inventato come deterrente.
Emergency fa 25 anni. Che cosa si regala? «Un ospedale in Uganda, disegnato gratis da Renzo Piano. Costruito con terra di scavo. Poi andremo a farne uno in Yemen».
Altro bel posto complicato… «Il peggio è la Somalia. Ci ho provato per dieci anni: con gli Shabaab non si parla. Idem in Cecenia, rien à faire. Tirano su il muro. A un certo punto, devi rassegnarti».
Ma come fa, Gino Strada, a entrare in questi posti? «Non
ho ricette. In Sudan, ci chiese d’intervenire il governo. In Iraq,
andammo alla ventura con tre macchine da Milano. Prima di partire si
parla con tutte le parti: guardate che non c’entriamo con la vostra
guerra… Mai avuto un morto, facendo le corna. Ma la gestione della
sicurezza dev’essere precisa».
Come fu la prima riunione, nel 1994? «A
casa mia a Milano, fino a ore tarde. Carlo Garbagnati, una ventina
d’amici, non tanti medici (erano scettici). E la mia adorata Teresa, che
sarebbe diventata insostituibile. Ci fu una cena al Tempio d’Oro, in
viale Monza. Raccogliemmo 12 milioni di lire, ma volevamo cominciare dal
genocidio in Ruanda e non bastavano. Ne servivano 250. Io dissi: beh,
ragazzi, firmiamo 10 milioni di cambiali a testa… Per fortuna venni
invitato da Costanzo e, puf, la tv è questa cosa qui: in un paio di
mesi, arrivarono 850 milioni. Gente che mi suonava al campanello di
casa, ricordo una busta con dentro duemila lire spillate».
L’economia
italiana sta rallentando? E quanto? La recessione ormai è
un’eventualità probabile dato che a frenare sono i mercati di sbocco
delle nostre esportazioni sulle quali si è fondata la miniripresa degli
anni scorsi. Anche il Fondo Monetario Internazionale, tramite il
suo direttore, Christine Lagarde e la nuova capo-economista, Gita
Gopinath (collega a Harvard di uno di noi), ha espresso preoccupazioni
sull’Italia, riportate con tono un po’ esagerato dai nostri media. Ciò
che meraviglia è il dibattito, se così si può chiamare, che ne è
seguito. In tanti — per esempio Matteo Salvini, che ha perso una buona
occasione per stare zitto — si sono scagliati contro il Fondo monetario.
Il Fmi è sicuramente un’istituzione imperfetta, che ha fatto molti
errori, recentemente in Grecia. Ma nonostante errori e ritardi è
riuscita ad attenuare gli effetti di varie crisi . Con le banche
centrali degli Stati Uniti, la Bce, la Banca d’Inghilterra e quella
giapponese (anch’esse imperfette, certo) ha fatto sì che la crisi
finanziaria del 2008 non si tramutasse in un altra grande depressione
stile 1929, quando la disoccupazione arrivò al 30 per cento, gli Stati
Uniti persero un terzo del loro Pil e l’Europa non fece un gran che
meglio. Quando la Banca d’Italia ha reso noto che il suo modello
prevedeva un rallentamento della nostra economia, la reazione, questa
volta dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, è stata quella di definire
l’istituto inaffidabile, addirittura accusandolo di complicità politica
con gli avversari del governo.
Governo diviso sul Venezuela. È in corso un confronto tra le due anime dell’esecutivo sulla linea da prendere sulla crisi del Paese sudamericano. Una spaccatura che si è già palesata al Senato e si è riproposta oggi in termini più evidenti nel momento in cui tutti i governi leader europei hanno preso posizione sulla crisi venezuelana.
Il premier Giuseppe Conte, d’accordo con il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, spinge perché l’Italia si aggreghi a Germania, Francia e Spagna nell’ultimatum a Maduro: o indice nuove elezioni entro 8 giorni o dovrà subire il riconoscimento dell’autoproclamato presidente Guaidò.
Ma il pressing di Conte non sfocia in una soluzione da lui auspicata e in serata è costretto a una presa di posizione che tiene insieme le due anime del governo. Dichiara testualmente: “L’Italia sta seguendo con costante attenzione la situazione in Venezuela. Auspichiamo la necessità di una riconciliazione nazionale e di un processo politico che si svolga in modo ordinato e che consenta al popolo venezuelano di arrivare quanto prima a esercitare libere scelte democratiche”. Ma allo stesso tempo si dice contrario “a interventi impositivi di altri Paesi”. Lo Stato sudamericano non sia terreno divisioni tra attori globali. L’Italia sta con il popolo venezuelano e auspica per esso migliori condizioni di vita politica, sociale ed economica”, sottolinea. Una posizione di mediazione.