Archive for Gennaio, 2022

Quirinale, Renzi: “Non si può mettere Mario Draghi in panchina”

venerdì, Gennaio 21st, 2022

Fabio Martini

Anche chi lo detesta, lo sa: nel “fare” Presidenti (Mattarella, Draghi, se stesso), Matteo Renzi finora ha avuto un certo “tocco” e per questo il suo allarme a 78 ore dalla prima votazione non va sottovalutato: «Attenzione. Se si porta Draghi come candidato allo scrutinio segreto, lo si elegge, anche perché esporlo a una bocciatura dell’Aula significherebbe perderlo sia per il Colle che per il governo. E l’Italia una cosa non se la può permettere: rimettere Mario Draghi in panchina»

Renzi, senza la sua azione, forse Mario Draghi sarebbe ancora un pensionato ma non pensa che con un eccesso di superficialità, anche sua, si rischia di perdere una risorsa potente per il Paese?

«Diciamo che, conoscendo Mario, sono sicuro che non avrebbe fatto il pensionato di lusso ma sarebbe probabilmente un top advisor per qualche istituto finanziario internazionale. Battute a parte, le rispondo che ha ragione. Noi possiamo schierare Draghi come centravanti a Palazzo Chigi o portiere al Quirinale, ma l’unica cosa sicura è che non possiamo perderlo».

Il “titolo” Draghi non ha mai rischiato di essere sospeso per eccesso di ribasso, ma fatica a salire…

«Non mi pare né in discesa, né in salita. Draghi è Draghi, punto. Metà degli italiani sogna di vederlo per sette anni al Colle. Metà degli italiani spera di non perderlo a Palazzo Chigi. La quasi totalità riconosce che la sua presenza in politica è un valore aggiunto per le istituzioni».

L’uscita da Palazzo Chigi sarà comunque una perdita…

«Lui ha chiarito di essere a disposizione per qualsiasi ruolo il Parlamento gli chieda di esercitare e quella sua frase sul “nonno a servizio delle istituzioni” è stata oggetto di polemiche ma è in realtà una generosa disponibilità».

E tuttavia dalle difficoltà denunciate anche da Conte emerge una dato molto serio: a voto segreto Draghi rischia di non essere eletto…

«La prego, non scherziamo. Se si porta Draghi come candidato, lo si elegge, anche perché una bocciatura significherebbe perderlo. Ma da settimane dico che Draghi per sette anni al Quirinale sta in piedi se c’è un’operazione politica di sostegno. Come del resto politica è stata l’operazione che ha mandato a casa Conte e Casalino e svoltare con l’esecutivo Draghi ».

Ci si continua a girare attorno: Draghi può andare al Quirinale soltanto se si chiude, e bene, sul governo. Si parla di Colao e Cartabia, ma i veri nomi sono coperti?

«Io non credo che ci siano solo quei due candidati, pur pensando tutto il bene possibile di Vittorio e di Marta, due ottime persone e due rilevanti personalità. Penso però che se c’è uno schema di gioco pronto per il dopo, allora l’operazione Draghi è fattibile. Nessuno accetta di perdere un premier così stimato senza avere certezze sul futuro»

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Il risiko del dopo Draghi

venerdì, Gennaio 21st, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Giuseppe, io sono una persona seria. Mi hanno offerto i voti di un pezzo di 5 stelle, ma io non tratto con chi ti vuole tradire». Per capire quanto si sia fatta complicata la trattativa per il Quirinale, sarebbe stato utile ascoltare la telefonata tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Due nemici, da quando cadde il governo in cui erano insieme. Due leader di partito costretti ora a tornare a parlarsi, e a fidarsi l’uno dell’altro.

È stato il segretario della Lega a riferire al presidente M5S quel che è successo a via della Scrofa, lunedì, quando nello studio di un commercialista romano ha incontrato Riccardo Fraccaro, che pure ha negato fino all’ultimo. L’ex ministro della Funzione pubblica nel Conte 1, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Conte 2 – raccontano due deputati leghisti – è andato dal leader del Carroccio a dire: «Avrai i voti di Parole Guerriere e Italia 2050, le correnti di Dalila Nesci e Carlo Sibilia, se proporrai il nome di Giulio Tremonti. In quel caso noi ci siamo e proveremo a trascinare gli altri. Punta su di noi».

Visto da Conte, è praticamente un colpo di Stato. È «gravissimo» – ha detto in cabina di regia con i fedelissimi – e ha annunciato che «ci saranno conseguenze. Anche perché Fraccaro è un probiviro, dovrebbe essere lui a sanzionare questo tipo di azioni, non certo a promuoverle».

La storia racconta la difficoltà del momento. I 5 stelle dicono ufficialmente, per giorni, che serve un altro nome, che Draghi non va bene. Conte offre a tutti quelli che incontra l’ex presidente del Consiglio di Stato, ora alla Consulta, Filippo Patroni Griffi; Andrea Riccardi della comunità di Sant’Egidio; l’ex ministra Paola Severino. Ma in serata, all’assemblea dei deputati, arrivano le prime aperture: con Stefano Buffagni che dice: «Ci sono alcuni nomi invotabili, ma dobbiamo avere anche l’onestà intellettuale di dire che non possiamo non considerare quello di Mario Draghi un profilo di altissimo livello».

E così, se lì bisognerà arrivare – al presidente del Consiglio che viene eletto presidente della Repubblica – servirà farlo preparati. C’è bisogno di un patto su un nuovo governo, «meno tecnico e più politico». E il premier dovrà essere una figura larga, istituzionale. In pole position, partono il ministro della Transizione digitale Vittorio Colao e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Il primo, garantirebbe una maggiore – necessaria – competenza sul piano economico. Sarà un anno durissimo per la messa a terra del Pnrr e per la revisione del patto di stabilità in Europa. C’è però un’altra possibilità: Marta Cartabia. Che attira ancora un po’ di ostilità da parte dei 5 stelle per lo scontro sulla riforma della giustizia, ma potrebbe comunque essere un buon nome di raccordo visto che, per molti di loro, l’incidente sulla prescrizione è superato. «E poi è donna», aggiunge chi lo propone. Come se fosse l’ideale, forse perché a Palazzo Chigi dovrebbe restare al massimo fino al 2023. Partono con meno chance, ma non si sa mai, sia Daniele Franco che Enrico Giovannini.

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Covid in Gran Bretagna, addio a mascherine, green pass e smart working: Johnson elimina le restrizioni

giovedì, Gennaio 20th, 2022

di Luigi Ippolito

Il governo britannico diventa il primo fra i grandi Paesi ad archiviare le misure d’emergenza anti Omicron. Non solo effetto del calo di contagi e ricoveri. Anche lo scandalo che ha investito il premier ha avuto un ruolo

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA — Liberi tutti: da giovedì prossimo in Gran Bretagna saranno — di nuovo — abolite praticamente tutte le restrizioni dovute al Covid. Come già l’estate scorsa, il governo di Boris Johnson ha deciso di essere il primo fra i grandi Paesi a mettersi alle spalle le misure d’emergenza dovute alla pandemia e in particolare all’arrivo della variante Omicron.

Nello specifico, è stata revocata con effetto immediato l’indicazione a lavorare da casa; e ugualmente da oggi nelle scuole non sarà più necessario indossare le mascherine. Dal 27 prossimo è abolito il green pass , che era stato introdotto solo a dicembre e unicamente per discoteche e grandi eventi; così come cade l’obbligo di indossare la mascherina dove era richiesto, ossia nei negozi e sui mezzi pubblici (il governo si limita a «suggerire» di portarla se ci si trova in luoghi chiusi e affollati). Prossimamente verranno riviste anche le ultime restrizioni per le case di riposo e l’obbligo di isolamento in caso di test positivo.

Tutte quelle misure erano state introdotte a dicembre di fronte al dilagare della contagiosissima variante Omicron. Nei mesi precedenti la Gran Bretagna era già rientrata praticamente nella normalità: tutte le restrizioni erano state abolite a luglio e dopo la pausa estiva la vita quotidiana era tornata a prima della pandemia, che a sua volta era quasi scomparsa dall’agenda dei media e dal discorso pubblico.

L’arrivo della nuova variante aveva però costretto il governo di Londra a una marcia indietro: ma da Downing Street fanno notare che si trattava di misure temporanee, imposte solo per guadagnare tempo e consentire di portare avanti una massiccia campagna di terze dosi. Ora questo obiettivo è stato raggiunto: oltre 36 milioni di persone hanno ricevuto il «booster», che equivale ai due terzi della popolazione sopra i dodici anni (qui i bambini non vengono immunizzati) e al 55 per cento dell’intera popolazione. La Gran Bretagna è così il Paese col più alto livello di immunità in Europa, il che si sta traducendo in un rapido calo dei contagi e dei ricoveri.

Il ministro della Sanità, Sajid Javid, ha rivendicato ieri la scelta di non procedere a nuovi lockdown, come invece nel resto d’Europa, di fonte a Omicron: occorreva considerare l’impatto sull’economia, sull’educazione e sulla salute mentale. «Questo è perché siamo il Paese più aperto d’Europa — ha detto Javid — e oggi abbiamo annunciato piani per andare ancora oltre». L’obiettivo è «convivere col Covid come si convive con l’influenza», anche se il ministro ha esortato la popolazione a continuare a essere prudente, perché la lotta al virus «è una maratona, non uno sprint».

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“Taglio del 3%”. Cosa può accadere alle pensioni

giovedì, Gennaio 20th, 2022

Alessandro Ferro

La riforma delle pensioni non si ferma e giungono nuove proposte in questo primo scorcio di 2022. A partire da una certa età (non ancora specificata), si potrebbe dare la possibilità di andare in pensione con un taglio del 3% dell’assegno sulla quota retributiva per ogni anno d’anticipo rispetto al raggiungimento dell’età di vecchiaia.

Come funziona la penalizzazione del 3%

L’idea è di Michele Reitano, membro della Commissione tecnica del Ministero del Lavoro che studia come separare l’assistenza dalla previdenza e cercando di tutelare anche le categorie di lavoratori più fragili. Come riporta IlSole24Ore, la proposta evidenzia “l’opportunità di sfruttare le potenzialità offerte dal passaggio verso lo schema di calcolo contributivo”. Per far così, si partirebbe da un’età minima non precisata e sfruttare l’uscita anticipata “subendo una riduzione della quota retributiva della pensione (ad esempio, intorno al 3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale) che compensi, in modo attuarialmente equo, il vantaggio della sua percezione per un numero maggiore di anni”. Una misura del genere, sottolinea Reitano, darebbe “un’opportunità in più a tutti i lavoratori” a prescindere dalla loro carriera pregressa e limitando i problemi per i conti pubblici nel lungo termine.

Come elaborato dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, Reitano afferma che “prendendo a riferimento unicamente le pensioni anticipate e di vecchiaia l’età di ritiro fra i dipendenti privati è attualmente pari a 64,1 e 63,2 anni, rispettivamente fra donne e uomini. Valori non dissimili (63,9 e 63,5 per donne e uomini) si osservano nel pubblico impiego, mentre l’età di pensionamento effettiva è lievemente più elevata (64,8 e 64,0) nelle gestioni autonome Inps”. La nuova formula comprende tutte le opzioni attualmente in vigore per andare in pensione (dall’Ape sociale a Quota 102), le quali fanno parte di “un insieme di misure eterogenee” che è “incapace di risolvere in modo permanente il problema di come offrire un’opzione di scelta a chi volesse ritirarsi prima di aver raggiunto i requisiti elevati (e crescenti nel tempo) stabiliti dalle riforme del 2009-2011, senza al contempo aggravare i conti pubblici”.

Quanto si perde con il contributivo

Come ci siamo occupati sul Giornale.it, non convince la riforma delle pensioni voluta dal premier Draghi concentrata sul metodo contributivo che porterebbe ad una perdita netta stimata fra il 20 ed il 35%. È per questo che i sindacati sono sul piede di guerra e intenzionati a far sentire la loro voce. “Vediamo se c’è davvero la volontà del governo di avviare un confronto e non solo un ascolto per superare le rigidità della legge Fornero”, è quanto ha dichiarato a Repubblica, il segretario confederale Cgil e responsabile previdenza, Roberto Ghiselli.

Cosa succede con Quota 102

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Una nemesi storica

giovedì, Gennaio 20th, 2022

Augusto Minzolini

Beppe Grillo vittima del grillismo. Viene quasi da ridere. Il fondatore e il suo braccio armato, cioè il comico e la Casaleggio Associati, sono incappati in una di quelle leggi indecifrabili, dai connotati misteriosi, inasprite dalla mente perversa di Alfonso Bonafede e compagni: il reato di traffico d’influenze. Siamo all’epilogo dell’apprendista stregone: Grillo che finisce nel mirino della magistratura, innescata dalla cultura giustizialista del suo Movimento. Oggi, giorno del 22esimo anniversario della morte di Bettino Craxi, che in vita fu uno dei bersagli preferiti del comico, si consuma una nemesi della Storia anche per la tesi accusatoria dell’inchiesta: il fondatore avrebbe favorito attraverso i suoi parlamentari gli interessi dell’armatore Vincenzo Onorato, suggerendo provvedimenti di legge ed emendamenti in cambio, secondo gli inquirenti, di un compenso. Di fatto uno dei meccanismi classici per cui la classe politica è stata messa alla sbarra nella Prima e nella Seconda Repubblica.

Roba da non credere. «L’Elevato» è stato inghiottito da quella palude che è al confine tra politica e società e che ha dato modo alla magistratura di aumentare la sua influenza. È la conferma che il tritacarne non finirà mai. Che una certa mentalità, che punta a «criminalizzare la politica» in tutte le sue forme, ormai è entrata nella cultura, o «subcultura», del Paese. Al punto che ne pagano il fio anche i «puri» di turno, quelli che hanno avuto la bella idea di creare un partito sul giustizialismo.

Questo magma culturale è il richiamo della foresta da trent’anni per certi mondi. Quelli che gioivano del linciaggio di Bettino Craxi e che ora, un po’ attempati, resuscitano l’anti-berlusconismo in tutte le sue forme, anche le peggiori, per bloccare la corsa del Cavaliere verso il Quirinale. Ma sono gli stessi che si sono scagliati contro Renzi o contro Salvini. Mondi che non hanno più seguito (le manifestazioni anacronistiche del Popolo Viola vanno deserte), ma che continuano ad avere peso nei media e, soprattutto, nel meccanismo mediatico-giudiziario che da decenni punta a condizionare il Paese.

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Lo tsunami delle bollette travolge le imprese: salasso da 80 miliardi di euro

giovedì, Gennaio 20th, 2022

PAOLO BARONI

Il caro energia sta mandando al tappeto molte imprese italiane grandi e piccole, senza distinzioni. Alcune costrette a fermare le produzioni, altre addirittura a rischio chiusura. Di fatto è la stessa ripresa dell’economia che viene messa a rischio visto l’impatto devastante del caro bollette: oltre 80 miliardi di euro in più a carico di famiglie e imprese, denuncia l’Alleanza delle cooperative. «Altro che bollette alle stelle, parliamo di un conto insostenibile». 

«La situazione è drammatica e richiede interventi urgenti e strutturali di politica industriale. Non è possibile rinviare le decisioni, serve un atto di coraggio per superare la logica degli interventi spot. Serve agire in fretta come hanno già fatto i governi di Francia e Germania» ha chiesto ieri Confindustria al tavolo convocato dal ministro dello Sviluppo Giorgetti. Tutto il comparto della manifattura, a partire dei settori più energivori, la meccanica, la siderurgia, la chimica, le industrie del vetro, del legno e del cemento, e quelle piastrelle e della carta, un totale di 140 mila imprese che vale il 10% del Pil, ieri ha di fatto chiesto al governo Draghi un nuovo «whatewer it takes», ovvero di fare tutto ciò che è necessario, costi quel che costi, per scongiurare il peggio.

Manifattura in ginocchio

Come hanno spiegato ieri il delegato di Confindustria per l’energia Aurelio Regina e il direttore generale Francesca Mariotti «l’impatto dei maggiori costi energetici a cui stiamo assistendo si sta abbattendo sulle imprese industriali in maniera fortissima». Si è infatti passati dagli 8 miliardi nel 2019 ad oltre 37 nel 2022 con un incremento complessivo del 368% nel 2021 e di oltre 5 volte sul 2020. E per questi settori, «che al momento stanno responsabilmente assorbendo tutti i costi, il caro-energia si traduce in una forte erosione dei margini operativi e potrebbe comportare decisioni di chiusura produttiva».

La crisi mette in ginocchio tanti grandi, ma le piccole imprese non soffrono di meno. Ieri praticamente tutte le associazioni di impresa, dal commercio all’artigianato, dall’agricoltura alle coop, hanno preso posizione chiedendo sostegni immediati e la convocazione di tavoli a palazzo Chigi.

Stangata su bar e ristoranti

Secondo Confcommercio, nonostante le misure di contenimento già adottate dal governo, il caro energia sta colpendo pesantemente le imprese del commercio, della ricettività e della ristorazione che nel 2022 dovranno sostenere un aumento della bolletta energetica che nel complesso tra gas ed elettricità passerà da 11,3 a 19,9 miliardi (+76%). A soffrire di più saranno 140 mila bar, che subiranno una stangata del 100%, i 200 mila ristoranti in attività (+73%) e gli alberghi (+61%). Mentre per l’autotrasporto si parla di 7 miliardi in più di spesa a causa del caro-gasolio. «Un conto salatissimo per 1 milione di imprese: le più colpite dalla pandemia e che ora rischiano in tantissime la chiusura anche a causa dei rincari energetici» rileva il presidente Carlo Sangalli.

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Mai un delfino per il Cav, l’uomo che punta al Quirinale: più re che kingmaker

giovedì, Gennaio 20th, 2022

Federico Geremicca

Kingmaker, significato: espressione che si applica ad una persona che abbia grande influenza in una successione (in origine monarchica), senza poter a sua volta essere un possibile candidato. Secondo lo Zanichelli: «Chi influenza l’attribuzione di incarichi di alta responsabilità». Partiamo da qui perché le parole hanno un loro, preciso significato: ed è certo possibile stiracchiarle, ma non proprio all’infinito.

C’è un uomo barricato da giorni nella sua elegante abitazione: lavora senza interruzioni. Ha la collaborazione di un telefonista d’eccezione, che compulsa agende e digita numeri. Stanno cercando voti che permettano all’uomo di scalare la presidenza della Repubblica: li cercano segretamente e facendo promesse non confessabili pubblicamente. Il telefonista è pessimista, l’uomo – invece – ci crede ancora. Del resto, ha un piano b: se il suo tentativo di scalata fallisse, potrebbe sempre provate a vestire i panni del king maker. Più prosaicamente: del salvatore della patria.

Non è una storiella qualunque, ma la foto (imbarazzante, speriamo) di uno dei passaggi chiave per la scelta del nuovo Capo dello Stato: stiamo tutti aspettando di sapere se Silvio Berlusconi sarà Presidente o se, una volta arresosi all’evidenza, deciderà di spacciarsi – più modestamente – per kingmaker. Molti scommettono sulla seconda ipotesi. Molti, soprattutto, la temono. Salvini e Meloni più di tutti: infatti, se l’ex Cavaliere provasse a trasformarsi da candidato in regista, chi indicherebbe come suo “sostituto” al Colle?

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Covid, quanto costa curare un No Vax

giovedì, Gennaio 20th, 2022

Alessandro Mondo

TORINO. Da tre anticorpi monoclonali a uno. L’impatto di Omicron è anche questo: la brusca riduzione dell’arsenale farmacologico disponibile per curare in fase precoce, ovvero nei primi giorni di insorgenza dei sintomi, i pazienti positivi più a rischio. Se poi il Sotrovimab, il solo monoclonale oggi veramente efficace contro la variante in questione, arriva con il contagocce, si comprendono le difficoltà in cui versano anche gli ospedali torinesi, dove monoclonali e antivirali vengono somministrati in base al profilo di rischio dei malati.

«Usiamo molte risorse per i non vaccinati, completamente esposti al virus – conferma il dottor Sergio Livigni, coordinatore area sanitaria ospedaliera del Dirmei e direttore del dipartimento Dea Asl Città di Torino -: monoclonali, antivirali, antinfiammatori. Va da sé che dobbiamo trattare tutti, senza eccezioni».

Già, ma quanto costa il ricovero in rianimazione di un non immunizzato? Circa 4 mila euro al giorno». Cifra variabile in base a una sommatoria di fattori: «Se si tratta di intubarlo, o di ricorrere alla Ecmo, la circolazione extracorporea, i costi lievitano in misura sensibile». E per i vaccinati? «Il decorso è più breve e benigno, rari i ricoveri in terapia intensiva». Dei 142 ricoverati nelle terapie intensive piemontesi oltre il 70%, dunque più di 100 – è senza vaccino. E dunque il loro costo si aggira intorno ai 450 mila euro al giorno.

Il ricorso agli antivirali

Un virus, due problemi, tra i molti: una variante ipercontagiosa e sfuggente, che mette alle corde gli attuali vaccini e svicola tra i farmaci; il rapporto dei ricoveri tra vaccinati e non vaccinati, fortemente sbilanciato sui secondi. Qualche numero, per rendere l’idea: dei 60 pazienti attualmente ricoverati all’Amedeo di Savoia, 40 non sono vaccinati; al Giovanni Bosco, altro grande ospedale di Torino, i non immunizzati cubano il 50% dei ricoveri nei reparti ordinari e l’80% in rianimazione.

Da qui i problemi, quotidiani, con cui si scontrano i medici. «Il Sotrovimab ha grossi limiti quantitativi – spiega il professor Giovanni Di Perri, primario malattie infettive all’Amedeo di Savoia -. In questi giorni dovrebbero arrivare 150 fiale». Per l’Amedeo? «Macché, per tutto il Piemonte. Finora ne avevamo ricevute 29, sempre a livello regionale, sono andate via con il pane». E gli altri monoclonali già disponibili? «Casirimuvab e Imdevimab si usano ancora ma proteggono prevalentemente contro la Delta e le varianti che l’hanno preceduta».

Come se ne esce? Ricorrendo agli antivirali, che alla pari dei monoclonali non hanno valore preventivo e vanno somministrati entro pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi in pazienti a rischio di evoluzione grave della malattia: il Remdesivir, efficace all’80% nell’evitare le ospedalizzazioni, cioè i ricoveri, mentre il Molnupiravir si ferma al 30-50%. «La prima indicazione è sempre il Sotrovimab, le seconda è il Remdesivir, per i profili a basso-medio rischio prescriviamo il Molnupiravir», precisa Di Perri. Va da sé che i non vaccinati rientrano nella casistica ad alto rischio. Dopodiché: «Noi dobbiamo curare tutti. Un altro conto è sensibilizzare sull’importanza di vaccinarsi». Al riguardo, i medici non hanno dubbi. «La vera discriminazione è legata alla riduzione delle prestazioni sanitarie, causa l’aumento dei ricoveri Covid, per i pazienti puliti, cioè No Covid – commenta Livigni -. È la cosa che mi irrita maggiormente, per questo sono favorevole all’obbligo vaccinale, senza distinzioni di età».

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Quirinale, trattative in stallo. Draghi non si ferma: le preoccupazioni per Covid e Pnrr

giovedì, Gennaio 20th, 2022

di Monica Guerzoni

Continuano i colloqui riservati del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi: Draghi è attento a quanto succede nei partiti in vista del voto per scegliere il presidente della Repubblica, perché se la maggioranza dovesse spaccarsi le ripercussioni per il governo sarebbero inevitabili

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Il caro energia, i ristori e il Dpcm con le deroghe al green pass per i negozi. Concentrato sui dossier di governo in vista del Consiglio dei ministri di oggi, Mario Draghi è anche molto attento a quanto succede nei partiti a quattro giorni dal primo voto per il Quirinale. Se la maggioranza dovesse spaccarsi, le ripercussioni sull’esecutivo sarebbero inevitabili e il presidente del Consiglio confida nel senso di responsabilità delle forze politiche e del Parlamento. La pandemia non è finita. E quando il virus allenterà la morsa, l’emergenza economica sarà solo all’inizio.

La prima preoccupazione condivisa con i ministri Franco, Giorgetti e Cingolani, saliti a palazzo Chigi per parlare di bollette e dintorni, è il destino del Pnrr, che Draghi ritiene «un obiettivo fondamentale». Nel 2022 devono arrivare due rate di fondi europei di circa venti miliardi ciascuna e il Paese non può permettersi di fallire il bersaglio, perché rischia di precipitare in una crisi che aprirebbe la strada alla speculazione finanziaria.

Se in questa fase così travagliata e incerta Draghi confida nel senso di responsabilità dei partiti è perché ritiene di non avere alcun margine di manovra. Fino a lunedì, quando a Montecitorio si terrà la prima votazione, ha imposto ai collaboratori «la consegna della riservatezza». Ma certo non si può pensare che, dietro formule come «bocche cucite a palazzo Chigi», Draghi sia davvero immobile e imperturbabile come una sfinge. Nelle stanze della presidenza del Consiglio c’è un livello riservato di colloqui e c’è un’attenzione crescente alle dichiarazioni dei leader, le cui scelte potrebbero terremotare il governo.

Il dilemma non è solo cosa farà Berlusconi e, di conseguenza, come si muoveranno Salvini e Meloni. La questione forse più delicata è se ci sia o no un «anatema» di Conte su Draghi. E quanto sia forte, nei gruppi del M5S, la suggestione di «congelare» il quadro attuale. È la soluzione più facile e il pressing su Mattarella resta forte da più parti, ma il capo dello Stato uscente resta convinto che il doppio mandato sia «un errore». I leader hanno ormai ben chiaro che potrebbero supplicarlo per un bis solo tutti insieme, come ultima scialuppa di salvataggio, se la nave Italia stesse per affondare.

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Scuola, nella primaria a casa un bimbo su dieci. Tamponi e quarantene, l’ipotesi di distinguere tra vaccinati e non

giovedì, Gennaio 20th, 2022

di Gianna Fregonara

Il monitoraggio del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: ho segnalato al ministro Speranza le richieste di semplificazione delle procedure per le qurantene». Il caso Lombardia

Che cosa fotografano i dati della prima settimana di scuola del 2022 sarà oggetto di discussione. Per la Cgil sono opachi, per il sindacato Gilda riduttivi del disagio, per i partiti della maggioranza sono invece confortanti. Di certo hanno lasciato di stucco molti genitori dei bambini più piccoli, che dall’autunno scorso sono alle prese con interruzioni della scuola e quarantene. E’ infatti nella fascia d’età delle scuole dell’infanzia e delle elementari che i dati che il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha illustrato ieri alla Camera, indicano una situazione meno allarmante che per gli studenti di medie e superiori.

Il caso Lombardia

Tra i più piccoli è in quarantena il 9 per cento, all’incirca un bambino su dieci. Si tratta comunque del doppio rispetto a dicembre, quando gli studenti a casa erano complessivamente il 4,5 per cento. Del resto i dati sulla diffusione del virus tra i più piccoli sono in crescita esponenziale e sono stati anche nelle vacanze di Natale. Sono esplosi in Lombardia dove, secondo l’ultimo report sulla diffusione del SARS-CoV-2 nelle scuole stilato dalla Direzione generale Welfare e trasmesso all’Ufficio scolastico e alle Ats, la scorsa settimana si sono impennate le curve relative alle fasce d’età 6-10 anni e 3-5 anni, con un incremento dei contagi del 37% e dell’80%. Al contrario dei dati relativi agli studenti della fascia 14-18 che hanno fatto registrare una diminuzione del 20 per cento rispetto alla settimana precedente.

Mancano metà delle scuole

Come si spiega che allora, in percentuale, tra i bambini sono meno quelli confinati in casa rispetto ai loro compagni più grandi di medie e superiori? Una causa di questa discrepanza potrebbe essere data dal fatto che il monitoraggio del ministero dell’Istruzione ha riguardato circa la metà dei bambini, solo quelli iscritti alle scuole dell’infanzia statali e non quelli delle scuole comunali o private, che sono oltre un terzo. Sono 691 mila coloro che sono stati inseriti nel report su oltre 1 milione e trecentomila iscritti totali. Dunque i 62.539 bambini in quarantena sono un numero largamente sottostimato.

I dati

Ma anche per quanto riguarda le elementari i dati forniti da Bianchi sono inaspettatamente positivi: il 10,9 per cento è a casa in Dad, poco più di uno su dieci, meno comunque che nelle scuole superiori. I numeri assoluti misurati dal ministero indicano che su 1.902.883 alunni 207.937 sono in Dad. Ma non è soltanto questione di numeri e di percentuali. Come ha ribadito lo stesso ministro, la questione che in questi giorni ha innervosito i presidi e risulta particolarmente pesante per i genitori riguarda le procedure per i tamponi, i controlli e le quarantene da gestire in casa. E’ difficile che le cose cambino molto, visto che i bambini della scuola dell’infanzia non sono vaccinati né portano le mascherine. «Ho segnalato al ministro Speranza la richiesta di semplificazione», ha spiegato Bianchi.

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