Archive for Gennaio, 2022

Berlusconi lancia la sfida del Colle

sabato, Gennaio 15th, 2022

ALESSANDRO DI MATTEO e FRANCESCO OLIVO

ROMA. Lo candidano ma vogliono vederci chiaro: «Dove sono questi voti?». È un clima sospeso quello che si respira nel centrodestra. La coalizione chiede formalmente a Silvio Berlusconi di candidarsi al Quirinale, ma basta ascoltare le parole dei leader e dirigenti del centrodestra per capire quanto nessuno si fidi ormai di nessuno. Il vertice dei leader a villa Grande si conclude con un comunicato congiunto in cui si chiede appunto al Cavaliere di «sciogliere la riserva». Ma i dubbi sulle reali possibilità del Cavaliere sono sempre più forti e un po’ tutti gli alleati vorrebbero evitare di arrivare alla quarta votazione per tirare le somme. Il timore è che il centrodestra perda la possibilità di decidere, per la prima volta, il presidente della Repubblica. Come dice uno dei leader della coalizione: «Il problema è che se ci facciamo menare per il naso fino alla quarta votazione poi non c’è un “piano B” del centrodestra, ma il piano A della sinistra…».

Il fatto è che la quarta votazione è quella sulla quale Berlusconi punta tutte le sue carte, almeno a sentire chi gli è vicino. Il leader di Fi sa bene quanto i suoi alleati credano poco alla sua elezione e ieri, raccontano, li ha sostanzialmente sfidati aprendo l’incontro: «Se mi sostenete prendo in considerazione la candidatura, sennò no…». E a Matteo Salvini e Giorgia Meloni che più volte in questi giorni hanno posto il tema dei numeri, il Cavaliere avrebbe detto: «Come posso andare avanti se ogni giorno sui giornali c’è scritto che “gli alleati mollano”! Così non attiriamo nessuno dei voti che ci servono, se non ci crediamo neanche noi».

Ma, appunto, il clima non era buono, come ammettono diverse fonti. Salvini a tavola cita i precedenti, da Scalfaro a Mattarella, per sottolineare quanto sia difficile la corsa. Meloni è preoccupata che la trattativa sul Quirinale si leghi anche ad una partita più complessiva su governo e legge elettorale proporzionale che finirebbe per disarticolare il centrodestra. Tanto che su questo c’è stata tensione con Luigi Brugnaro (Coraggio Italia) che non ha accettato di inserire un impegno per il maggioritario nella dichiarazione finale, costringendo gli altri a fare un secondo comunicato senza la sua firma. Sia Lega che Fi, poi, «hanno paura che Berlusconi all’ultimo momento si sfili e cerchi di fare lui il kingmaker», dice un esponente di Fi. Per questo nel comunicato finale si ribadisce intanto la volontà di mantenere «un percorso comune e coerente, che va dalla scelta del nuovo Capo dello Stato alle prossime elezioni politiche». Un coordinamento permanente che serve a monitorare gli eventuali nuovi acquisti.

Un attento osservatore, benché interessato, come Matteo Renzi, nota che «la candidatura del Cavaliere ha fatto un passo indietro», tanto da arrivare alla previsione che entro la prossima settimana «il centrodestra esprimerà un altro nome». In ogni caso, a Berlusconi gli alleati concedono un riconoscimento importante, offrendogli la candidatura per il Quirinale. Questo, dice uno dei principali esponenti di Fi «è un capolavoro di Berlusconi». Ma Salvini, Meloni e gli altri non si fidano dei numeri e pensano che le somme vadano tirate presto. Parlando a Isoradio Salvini ha chiarito: «Ovviamente nei prossimi giorni si vedrà se c’è o non c’è una maggioranza».

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I leader si parlano, ma non si fidano l’uno dell’altro. Il centrosinistra spera nel grande bluff

sabato, Gennaio 15th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Non si è mai vista una candidatura alla presidenza della Repubblica fatta prima di essere certi di avere i numeri», dice Giuseppe Conte con davanti il dispaccio di agenzia con la nota del centrodestra – unito – a sostegno di Silvio Berlusconi. Il presidente del Movimento 5 stelle non nasconde la meraviglia. «Ma non escludo che stiano giocando una partita tattica – spiega collegato con i suoi collaboratori – perché i numeri non ci sono e questo potrebbe essere solo il modo per poi rendere digeribile un altro nome di centrodestra». Pensano a Franco Frattini, appena diventato presidente del Consiglio di Stato, ex ministro degli Esteri di Berlusconi, ma autore della legge sul conflitto di interessi.

È il sospetto a muovere tutti gli attori in gioco. I leader si parlano, ma non si fidano l’uno dell’altro. I 5 stelle – ad esempio – temono che il segretario Pd, che ufficialmente cerca con loro altri nomi, stia in fondo lavorando per il presidente del Consiglio Mario Draghi. I dem hanno paura che il Movimento non sia in grado di tenere una posizione univoca, una volta decisa la strategia, balcanizzato com’è e diviso tra contiani e dimaiani. Quanto al segretario leghista, Letta e Conte ci parlano, ma nessuno dei due ha capito dove voglia davvero andare a parare.

Quel che è certo, rimarca il presidente M5S, «è che se vanno fino in fondo su Berlusconi, sia Salvini che Meloni si assumono una grandissima responsabilità davanti al Paese. Perché c’è il rischio di spaccarlo e di far precipitare tutto».

Al Nazareno sono altrettanto preoccupati, benché regni – di fondo – una sorta di incredulità. «Ho l’impressione che stiamo vedendo il teaser e che il film non sia ancora cominciato», dice Enrico Letta. Che darà la sua risposta ufficiale alla candidatura di Berlusconi stamattina alle 10 alla direzione Pd, allargata in questo caso ai gruppi parlamentari. Sarà in streaming per tutto il tempo, interventi successivi compresi. Una prova di trasparenza necessaria alla compattezza che dovrà seguire.

Confesserà la sua delusione, il segretario dem, perché la mossa del centrodestra «impedisce di fare un passo avanti su un nome condiviso». E quindi, per quanto si possa non crederci fino in fondo, ha l’effetto di fermare il gioco. Oltre che di compattare il campo avversario rendendo più difficili le operazioni tentate finora. Sarebbe insomma un’occasione di dialogo sprecata. Che prelude, comunque vada, a una prova di forza. Ben lontana dallo spirito di collaborazione repubblicano evocato nelle ultime ore.

La decisione di tutti è comunque quella di non rispondere alzando i toni: Pd e 5 stelle cercano di tenere i nervi saldi. Con i secondi attenti a far passare un messaggio, anche in chiave interna: come sta dicendo ovunque il responsabile economico Stefano Buffagni, Silvio Berlusconi che sale al Quirinale equivarrebbe a elezioni anticipate subito. In un battito di ciglia.

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E Gianni Letta va a Palazzo Chigi. L’ira del Cavaliere: “Non sapevo nulla”

sabato, Gennaio 15th, 2022

Ilario Lombardo

ROMA. Qualcosa comincia a muoversi davvero anche a Palazzo Chigi. Quando le agenzie battono la notizia che Gianni Letta è stato ricevuto da Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier Mario Draghi, il vertice di centrodestra è finito da più di un’ora. Nel giardino, a favore dei fotografi, i leader hanno improvvisato pose e gesti di intesa con Silvio Berlusconi, prima di salutarlo. Pochi minuti dopo, non sono ancora le sei, Villa Grande è semivuota. Il leader di Forza Italia è attorniato dallo staff. La notizia lascia tutti stupiti. «Che vuol dire che è andato a Palazzo Chigi questa mattina? Prima del vertice?», chiede Berlusconi. La ricostruzione è confermata da fonti a lui vicine: il fondatore di Mediaset, assicurano, non ne sapeva nulla. Né tantomeno, aggiungono, è stato inviato a far visita a Draghi come emissario del presidente di Forza Italia, come qualcuno potrebbe immaginare. Ma soprattutto: avrebbe taciuto dell’incontro per tutta la durata del summit con i leader di Lega e Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. È una precisazione importante, che dà l’idea di come la partita del Quirinale stia slabbrando ogni certezza e di quanto i sospetti, anche tra amici o alleati, siano diventati la matrice comune delle diverse interpretazioni dei fatti.

Il colloquio tra Funiciello e Letta, durato un’ora, avviene su richiesta di quest’ultimo. Le bocche, però, alla domanda su cosa si siano detti, restano cucite. Verrebbe naturale pensare che Letta abbia incontrato pure Draghi, ma lo staff del premier si affretta a smentire. Dalle stanze attigue a quella dell’ex banchiere filtra che si è «verosimilmente parlato anche di Quirinale». E non potrebbe essere altrimenti. Come è stato in precedenza per la Rai, Funiciello è delegato a trattare con i partiti, per sondarne la volontà, i desideri e le intenzioni. Per Draghi è fondamentale capire cosa farà Berlusconi. «Tutto dipende da lui», è la riflessione che fanno a Palazzo Chigi. E Letta, in questo senso, rappresenta il suo migliore alleato. I due hanno un canale aperto da sempre, si sentono spesso, e hanno incrementato i contatti nelle ultime settimane, proprio per capire fino a dove voglia spingersi Berlusconi. Quella che inizialmente sembrava una fantasticheria, e poi un capriccio, si è trasformata in una vera e propria campagna elettorale. E per quanto irrituale come autocandidatura, è una manifestazione di orgoglio che ha avuto l’effetto di far impantanare i piani di Draghi e di rendere molto più complicato il suo trasloco al Colle.

Berlusconi si è impuntato. Letta lo ha intuito prima di tanti altri e lo ha già spiegato al premier in altre occasioni. «Bisogna capire se fa sul serio, se vuole rimanere candidato fino alla fine». Fino cioè alle prime quattro votazioni. L’ex sottosegretario, che ha aiutato il tycoon di Arcore a districarsi nella palude romana negli anni del potere e della gloria a Palazzo Chigi, è tra i più scettici che possa riuscirci. A sentire l’entourage di Berlusconi, durante il vertice Letta non avrebbe detto nulla dell’incontro avvenuto in mattinata. Ma ha spinto a prendere tempo, con una frase che è, insieme, un invito al realismo e un tentativo di congelare la candidatura: «È giusto verificare i numeri, prima di andare avanti».

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Plastica, da oggi addio a piatti e sacchetti monouso

venerdì, Gennaio 14th, 2022

Luca Monticelli

Scatta lo stop alla plastica monouso. Entra in vigore oggi il decreto legislativo 196, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 30 novembre scorso, che recepisce la Direttiva europea «Sup» (Single Use Plastic) del 2019. Addio agli oggetti usa e getta e agli attrezzi da pesca non biodegradabili e non compostabili.

Niente più piatti e bicchieri di plastica, bastoncini per le orecchie, posate e bacchette, cannucce, aste da attaccare a sostegno dei palloncini, agitatori da cocktail, buste e pacchetti. Messi al bando pure i contenitori per alimenti e liquidi, tazze, coppette da caffè, bicchieri per frullati in polistirene espanso (ovvero il polistirolo, un materiale rigido e leggero). La stretta non finisce qui e continuerà in futuro. A partire dal 2025, le bottiglie devono contenere almeno il 25% di plastica riciclata e il 30% dal 2030.

Il decreto, emanato «con l’intento di promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili», punta a promuovere l’uso di plastica riciclata «idonea al diretto contatto alimentare». Vengono fissate multe sostanziose per i trasgressori, da 2.500 a 25 mila euro. Ma gli effetti di questa legge non saranno così repentini. Per esercenti e produttori, sarà infatti possibile vendere le scorte esistenti fino a esaurimento.

Inoltre, per promuovere l’uso di prodotti alternativi a quelli vietati, il decreto stabilisce agevolazioni per le aziende che ne fanno uso, sotto forma di credito d’imposta, nel limite massimo di nove milioni di euro per il prossimo triennio. Sono previste campagne di sensibilizzazione, e gradualmente anche regole per lo smaltimento. Entro un anno, il ministero della Transizione ecologica dovrà indicare con un decreto i criteri ambientali minimi per i servizi di ristorazione, così come i criteri per l’organizzazione di eventi e produzioni cinematografiche e televisive.

Le associazioni ambientaliste criticano però il governo, accusandolo di aver creato deroghe e «trucchi» per aiutare le imprese ad aggirare le restrizioni. Secondo il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, in queste ultime settimane «stanno comparendo prodotti in plastica molto simili a quelli monouso ma “riutilizzabili” per un numero limitato di volte, come indicato nelle confezioni. Un modo, a nostro avviso, per aggirare il bando che porta a un incremento dell’utilizzo di plastica, piuttosto che a una sua diminuzione».

Greenpeace attacca «l’approccio miope che favorisce solo una finta transizione ecologica», perché viene sostituito un materiale con un altro (biodegradabile e compostabile) o promuovendo soluzioni basate sul riutilizzo. Un’ulteriore violazione, sostiene l’organizzazione ecologista, è l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva dei prodotti dotati di rivestimento in plastica con un peso inferiore al 10% dell’intero prodotto. Su questa tipologia di articoli i dettami comunitari non hanno fissato alcuna deroga. Perciò, «c’è il concreto rischio che venga avviato l’iter per una procedura d’infrazione», avverte Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

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“Avanti con Silvio”. Due assist di peso da Salvini e Ppe per Berlusconi capo dello Stato. Gli alleati al tavolo

venerdì, Gennaio 14th, 2022

Anna Maria Greco

Ma quale «missione impossibile», per Silvio Berlusconi il Quirinale è «un obiettivo realisticamente raggiungibile». Oggi lo ripeterà agli alleati di centrodestra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma anche ai «piccoli» centristi più ondivaghi, come Giovanni Toti e Brugnaro, non Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi, che garantiscono l’appoggio. Il vertice della coalizione a Villa Grande, all’ora di pranzo dopo il funerale dell’ex presidente del Parlamento europeo David Sassoli, servirà a restituire un’immagine di compattezza, soprattutto dopo le ultime dichiarazioni del leader della Lega su un governo dei leader anche senza Mario Draghi premier.

Il Cavaliere non l’ha presa bene e ha telefonato a Salvini per avere spiegazioni. L’altro l’ha tranquillizzato, dicendo di aver sottovalutato l’effetto delle sue parole: «Nessun problema, siamo con te». Poi ha chiarito ufficialmente: «Il centrodestra compatto e convinto nel sostegno a Berlusconi, non si accettano veti ideologici da parte della sinistra. Spero che nessun segretario e nessun partito si sottraggano al confronto ed alla responsabilità».

Il messaggio al Pd è chiaro, anche se Enrico Letta insiste con il veto a leader di partito, come quello che viene dall’altro Letta, zio Gianni, che uscendo dalla camera ardente di Sassoli in Campidoglio invita i partiti a ispirarsi proprio a «un uomo straordinario, con il desiderio di contribuire a guardare agli interessi del Paese e non alle differenze di parte, una grande lezione, un grande contributo. Se il clima sentito alla Camera e al Senato nel ricordo di David fosse quello che porta i grandi elettori a votare per il presidente della Repubblica sarebbe una grandissima lezione e il contributo di David alla pacificazione del Paese e allo sviluppo dell’Italia». A Gianni Letta il plauso di Renzi: «Sono totalmente d’accordo. Sono molto sagge le sue parole».

Berlusconi del veto del Pd sembra non preoccuparsi. Lo descrivono «rinfrancato e ottimista», qualcuno addirittura «scatenato» nella preparazione della sua candidatura al Colle. E a tenerlo di buon umore contribuisce anche il secondo, autorevole endorsement del Ppe, dopo quello del segretario dei Popolari europei, Antonio Lopez. Stavolta è il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo Manfred Weber, con cui si sono incontrati, a dire: «Berlusconi è un europeista convinto e questo è ciò di cui ha bisogno l’Italia, penso che sarebbe un ottimo candidato per la presidenza della Repubblica. Guiderebbe il Paese nella giusta direzione, in una direzione pro europea. E per questo da un punto di vista europeo Berlusconi ha il totale sostegno della sua famiglia del Ppe». Weber aggiunge che «Draghi premier sta facendo un buon lavoro e sta portando l’Italia del futuro in una buona direzione, contiamo che continui con le sue responsabilità. Dall’altra parte come Presidente della Repubblica Berlusconi è preparato con la sua conoscenza, la sua esperienza e le sue idee». «Ho incontrato Manfred Weber – ha detto il Cavaliere – . Abbiamo parlato della pandemia, del lavoro fatto sul green pass, della situazione economica, del necessario controllo delle frontiere. Ci sono grandi sfide che attendono l’Unione e noi del Ppe abbiamo le migliori soluzioni per affrontarle».

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Quirinale, la lezione di Vittorio Feltri ai colleghi: “Date contro a Mario Draghi perché non si esprime? Avete torto marcio”

venerdì, Gennaio 14th, 2022

Vittorio Feltri

Quasi tutti i giornalisti, e non solo loro, se la sono presa con Mario Draghi perché si è rifiutato, nella sua conferenza stampa recente, di rispondere a domande riguardanti il prossimo presidente della Repubblica. Hanno criticato aspramente il premier dicendo che quando un cronista pone una domanda a un uomo di potere questi è obbligato a fornire una risposta invece di tergiversare. Ma nel caso specifico i colleghi della stampa hanno torto marcio. Mentre il presidente del Consiglio ha perfettamente ragione: egli, infatti, non è un candidato al Quirinale, come non lo è nessuno, visto che a votare l’uomo da inviare al Colle è il Parlamento, quindi non esistono candidati personaggi che possano autopromuoversi.
Solo i deputati e i senatori, nonché i grandi elettori delle regioni, hanno facoltà di scegliere il capo dello Stato. Non è ammissibile che un politico o una persona qualunque si proponga quale vertice delle istituzioni. La Costituzione in questo senso parla chiaro. Ecco perché Draghi, rispettoso della Carta, non ha voluto esprimersi sulla prossima elezione del garante dell’unità nazionale. Altro che dire: egli ha sbagliato a non fornire delucidazioni sulla sua eventuale nomina a padrone del Colle. Si è limitato ad attenersi alle regole. Supermario avrebbe errato gravemente se si fosse sponsorizzato, dato che non tocca a lui proporsi per l’alto ruolo, ma spetta ai parlamentari esprimersi con suffragi segreti.
A Draghi si può insegnare a governare e anche a gestire una conferenza stampa, ma non certo a comportarsi in linea con il dettato costituzionale che conosce più di tutti i suoi censori. Invitiamo pertanto i colleghi giornalisti a tenere il becco chiuso su questo argomento che li trova impreparati. Draghi è tenuto a spiegare il perché di ogni iniziativa approvata dal governo, anche la più complicata, ma chiedergli di raccontare se sarà o meno il prossimo presidente degli italiani è fuori da ogni logica. Non sarà lui bensì i partiti a decidere il suo destino, ammesso che egli sia d’accordo con loro. Non è lecito attribuire al premier la facoltà di cambiare ruolo.

LIBERO.IT

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Sergio Mattarella, la proposta che non può rifiutare (e un pizzino su Repubblica): Quirinale, cosa lo spinge al bis

venerdì, Gennaio 14th, 2022

Il nome di Mario Draghi è tra quelli in lizza per il Quirinale (anche se l’ufficializzazione del diretto interessato ancora non c’è), ma chi davvero sarebbe pronto a votarlo? A parte Enrico Letta in queste ore i partiti si starebbero smarcando dall’ipotesi che il premier passi direttamente alla presidenza della Repubblica. Il rischio, spiega Dagospia, è che l’ex numero uno della Bce finisca impallinato in Aula e, la conseguenza più inevitabile, che finisca per essere messo alla prova. Un esito che genererebbe il caos spread per l’Italia e che non piacerebbe affatto all’Europa. Così, svela Dago, “nelle segreterie di partito si pensa alla exit strategy e cresce con maggiore insistenza l’ipotesi di un appello a Mattarella per un bis a tempo determinato (ne hanno discusso anche Conte e Letta nell’ultimo vertice), che farebbe da scudo alla tentazione di Draghi di mollare Palazzo Chigi in caso del fallimento dell’operazione Colle (l’ex Uomo della Provvidenza starebbe già guardando con interesse a un ruolo internazionale tipo la NATO)”. 

Una proposta che Sergio Mattarella non potrebbe rifiutare. Per di più alcuni parlamentari ammettono di aver ricevuto telefonate da uomini del Quirinale affinché, dopo le prime votazioni a vuoto, decolli l’appello dei partiti per la permanenza dell’attuale capo dello Stato. A convincere il restio Mattarella anche un editoriale di Michele Ainis apparso su Repubblica. Citato da Dago l’articolo svela che “ci sono quattro fattori che, creando un inedito costituzionale, spingono per il bis di Mattarella”.

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La scelta politica di aprire la scuola

venerdì, Gennaio 14th, 2022

Vladimiro Zagrebelsky

Quando il presidente del Consiglio presentò il suo governo al Parlamento, la menzione che fece del dovere di fare tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura, poteva parere qualcosa di obbligato nel quadro del programma di qualunque governo. Qualcosa che non poteva mancare e che dunque rimaneva poco significativo, tanto più che le contingenze spingevano l’attenzione verso i temi propri delle emergenze sanitaria ed economica. Eppure, una maggiore attenzione avrebbe dovuto essere prestata a quel passaggio (e ad altri che non riguardavano economia e sanità) e confrontarlo con l’insistenza con la quale Mario Draghi era ed è ancora spesso indicato con il “banchiere” o il “tecnico” di economia e finanza. Così suggerendo che in qualche modo sia fuori posto nel ruolo del presidente del Consiglio, che, come stabilisce la Costituzione, dirige la politica generale del governo e ne mantiene l’unità di indirizzo politico. Con quelle etichette non se ne vuole indicare l’esperienza e l’alta qualificazione in un settore specifico, importante ma non esaustivo; se ne vuole invece ridurre o immiserire il profilo professionale a fronte della più importante qualità che avrebbe un presidente “politico”. Quest’ultimo carattere, senza specificare, viene assegnato a chi ha fatto tirocinio e poi è cresciuto nella vita dei partiti politici. Ciò che non è necessariamente negativo, ma non mette in luce la natura fondamentale che dovrebbe avere l’azione politica e il ruolo “politico” di chi la svolge. Si tratta della non settorialità, della completezza della considerazione e della conoscenza dei bisogni della società, della visione di prospettiva di lungo periodo, dell’attitudine alle scelte di priorità, dell’interesse per la costruzione di un tipo di società e non di un altro.

Dopo l’ultima conferenza stampa del presidente del Consiglio sarebbe bene far cessare l’equivoco (e la falsificazione) e considerare che Mario Draghi è sì un tecnico, nel senso che sa di cosa parla quando affronta temi di economia e finanza, ma è anche un politico a tutto tondo. Cosa è infatti, se non una scelta pienamente e consapevolmente politica, quella che il presidente del Consiglio ha illustrato e rivendicato nella conferenza stampa insieme al ministro dell’Istruzione, in favore della riapertura delle scuole secondo il calendario prestabilito? Certo il terreno su cui il governo si è mosso è segnato dai dati della epidemia, dalle interpretazioni e previsioni (non univoche) che ne danno gli esperti epidemiologi, dalle indicazioni che vengono dallo stato oggettivo in cui operano le scuole, eccetera. Ma da tutto ciò non derivano conseguenze obbligate; semmai qualche controindicazione o impedimento alla adozione dell’una o dell’altra soluzione tra le diverse possibili. Ed allora, come è normale e bene che sia, intervengono le scelte politiche. Che sono certo sempre discutibili, ma sono doverose e legittime quando l’autorità competente ne assume la responsabilità, non pretendendo di essere puramente e semplicemente guidata dai dati della realtà (indicati dai tecnici). La scelta politica del governo sottostante le misure riguardanti la scuola è in favore della scuola e dell’insegnamento in presenza. L’effetto della qualità dell’istruzione è stato indicato anche sul piano, tutto politico, della lotta alle diseguaglianze sociali. Elsa Fornero ha illustrato su questo giornale l’importanza della istruzione, ai suoi vari livelli, sottolineando il valore della scelta della scuola come vera priorità strategica del Paese.

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La mossa di Draghi: nei colloqui con i fedelissimi il premier respinge la tentazione del semipresidenzialismo

venerdì, Gennaio 14th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Se toccasse a me essere scelto per il Quirinale, non potrei certo indicare un successore o mettere a punto un nuovo esecutivo. Lascerei mano libera alla politica, sarebbero i leader a trovare un accordo tra loro». Al telefono con un esponente di governo, Mario Draghi manda un messaggio che non può essere frainteso. Nessun semipresidenzialismo di fatto, nessuna mania di grandezza. Il presidente del Consiglio rispetta tutte le prerogative dei partiti e del Parlamento. Sa che il suo futuro è nelle loro mani. Soprattutto, sa che è quello che i leader vogliono sentirsi dire.

A un anno e mezzo dalla fine della legislatura – bene che vada – la politica vuole riprendersi la sua autonomia. E la partita del Quirinale è lo scenario ideale per farlo. Tutto si muove in questa direzione. Soprattutto, così si stanno muovendo il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, il segretario del Partito democratico Enrico Letta e quello della Lega Matteo Salvini. Che si sono sentiti, e visti, in una triangolazione che va avanti da giorni. Senza fare troppa pubblicità, ma senza negarlo e senza affidare la trattativa a sherpa o emissari. Perché – è quello che si sono detti – se loro tre saranno in grado di trovare un’intesa, nessuno potrà forzare la mano sulla presidenza della Repubblica.

«Dobbiamo farlo per il bene del Paese», ha detto ai suoi Giuseppe Conte, davanti alla sorpresa di vederlo parlare con colui che ha fatto cadere il suo primo governo compiendo quello che l’avvocato ha considerato un tradimento politico. «Non è il momento di pensare alle nostre simpatie e non è il caso di affidare il dialogo a qualcun altro, seguirò tutto in prima persona. Fidatevi di me».

Il primo segnale di un’intesa nuova, che conviene a tutti gli attori per molte ragioni, è arrivato sulla richiesta di un nuovo scostamento di bilancio per dare ristori alle attività in crisi e per aiutare le imprese e le famiglie provate dal caro bollette. Il premier ha reagito tiepido, ma la richiesta è arrivata all’inizio dell’anno dal Movimento 5 stelle, negli ultimi giorni dalla Lega di Salvini, e ieri – esplicitamente – dal Pd. Che già proprio con Letta aveva chiesto «scelte coraggiose».

A Palazzo Chigi, non a caso, parlano di «un’aria di burrasca mascherata da bonaccia». Perché a Draghi – nelle conversazioni private – tutti dicono: «Se si creeranno le condizioni siamo pronti a sostenerti», ma quel che si sta tentando – invece – è di fare a meno di lui. Per il Quirinale, ovviamente. Non certo per la guida del governo in un anno che si prevede travagliato. È per questo che l’idea di un ingresso dei leader nell’esecutivo, gli assi di briscola – per dirla con Salvini – è stata subito bollata dal Nazareno come una «solenne sciocchezza». Con un avviso rivolto proprio al leader della Lega: «Per noi tutto quel che è costruzione di un dialogo va bene, ma mettiamo da parte le provocazioni».

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Fraintendere l’avversario: così si rischia il disastro

venerdì, Gennaio 14th, 2022

di Angelo Panebianco

Le democrazie occidentali e le potenze come Cina e Russia hanno idee diverse su come esercitare l’egemonia: per le seconde conta ancora l’acquisizione territoriale

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Xi Jinping e Vladimir Putin (Afp)

Nelle crisi internazionali i fraintendimenti delle intenzioni dell’avversario o degli avversari hanno l’effetto di aggravarle. Al punto che, a volte, senza che nessuno dei protagonisti lo abbia inizialmente voluto, la situazione sfugge al loro controllo e precipita nel disastro. Una causa rilevante dei fraintendimenti, degli equivoci che rendono così difficoltosi i contatti fra le democrazie occidentali e le due grandi potenze autoritarie (Russia e Cina) dipende dal diverso significato che viene attribuito dalle une e dalle altre al territorio, al suo controllo statale (diretto o tramite un governo fantoccio) e di coloro che vi abitano. Si consideri il braccio di ferro attualmente in corso sull’Ucraina o quello, probabile, di domani su Taiwan , nonché la «pace cartaginese» (la brutale imposizione del dominio su popolazioni ostili) di cui l’ultima vittima è il Kazakistan (ma la lista è lunga: dalla Bielorussia allo Xinjiang, a Hong Kong). In tutti questi casi, fra occidentali e potenze autoritarie sembra possibile solo un dialogo fra sordi: con gli uni che agitano il tema del diritto delle popolazioni coinvolte all’autodeterminazione (a decidere autonomamente come e da chi essere governati) e gli altri che rivendicano il proprio diritto a esercitare il controllo su territori di loro proprietà o che hanno comunque per loro valore strategico, qualunque cosa ne pensino coloro che vi risiedono.

È un argomento ormai classico quello secondo cui il territorio non ha più, in età contemporanea, il significato che ha avuto per millenni nell’età pre-industriale. Per ragioni sia economiche che politiche. Economicamente — si pensava — ciò che conta, in epoca industriale e post-industriale, non è più il controllo statale diretto su territori ma la posizione, di forza o di debolezza, sui mercati e nella competizione di mercato. Politicamente, inoltre, era opinione comune che territori e popolazioni non potessero più passare di mano (per il risultato di guerre, di matrimoni dinastici o di accordi diplomatici) fra una potenza e l’altra come se fossero «pacchi». Adesso, in età democratica — si pensava — è necessario tenere conto dell’opinione degli abitanti dei vari territori, di ciò che essi vogliono fare di se stessi e del proprio destino. Da tutto ciò se ne ricavava l’idea che il controllo dei diversi territori non fosse più, come era stato per millenni, la posta in gioco principale, il vero motore, della competizione internazionale. Nonché la principale causa delle guerre.

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