Archive for Gennaio 13th, 2022

I centristi: il Cavaliere è la nostra prima scelta

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Fabrizio De Feo

Pronti a votare Silvio Berlusconi, ma senza schiantarsi sui numeri. Alla fine la tentazione di rompere il fronte della coalizione e proporre il nome di Mario Draghi per il Quirinale, circolata e dibattuta per alcuni giorni, non trova sponde nel gruppo. L’assemblea di Coraggio Italia – la formazione creata da Giovanni Toti, Luigi Brugnaro, Marco Marin e Gaetano Quagliariello – non rinnega l’appartenenza al centrodestra e l’impegno preso nel vertice di Villa Grande prima delle feste. Ma semina sul terreno alcuni distinguo.

Coraggio Italia è pronto a sostenere la candidatura di Silvio Berlusconi al Colle «se ha possibilità» dice Giovanni Toti nella riunione. «Altrimenti capiremo chi votare ma a larga maggioranza». Concetti che si ritrovano anche nel documento unitario che conferma che «si dovrà partire da una proposta dei partiti e dei gruppi del centrodestra del quale siamo parte integrante» ma bisognerà «lavorare per trovare una convergenza più ampia possibile tra le forze politiche in Parlamento». In mattinata, prima della riunione i vertici del neo partito centrista avevano incontrato Matteo Salvini, in serata invece Brugnaro si è confrontato con Luigi Di Maio.

Le grandi manovre, insomma, sono iniziate. E Coraggio Italia – che ieri ha accolto Lucia Scanu, eletta con il M5s – rilancia un patto federativo con tutte le forze di centro. Un patto di ampio respiro, che parta dal Colle e si allarghi alla riforma elettorale, e possa assicurare continuità al progetto politico di Ci per costruire quella federazione sulla quale si sta ragionando da tempo insieme a Matteo Renzi. Un terzo polo che vada oltre il perimetro del centrodestra, da Italia viva a Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella, e possa attrarre anche eventuali forzisti scontenti. Questo progetto, naturalmente, non può non guardare con interesse anche alla federazione nata ieri tra Azione e +Europa. I leader dei due partiti, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova, hanno presentato ieri l’alleanza politica insieme con Emma Bonino. L’obiettivo dell’accordo è, anche in questo caso, quello di creare un nuovo polo di centro che possa rappresentare «la quinta forza politica» dopo Partito democratico, Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 stelle. Azione e +Europa hanno già costituito rappresentanze comuni alla Camera e al Senato.

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Mattarella sceglie il silenzio per non ostacolare Draghi

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Adalberto Signore

Il solo fatto che il suo nome aleggi come una sorta di fantasma lo mette a disagio. Non solo perché Mattarella non vede affatto con favore l’ipotesi di un bis che sarebbe il secondo consecutivo dopo quello di Napolitano, a conferma di una vera e propria patologia del sistema che – per due volte consecutive in nove anni – si troverebbe a giocare in difesa e congelare lo status quo. Ma anche perché non vuole diventare il pretesto per impedire a Draghi di tentare, legittimamente, la scalata al Quirinale. D’altra parte, ormai da settimane, che il premier voglia giocarsi le sue carte per provare ad essere il primo presidente del Consiglio che da Palazzo Chigi trasloca direttamente al Colle non è più un mistero. Lo ha chiaramente – e pubblicamente – lasciato intendere l’ex numero della Bce. Ma lo si coglie anche dall’agitazione che si respira in queste ore a Palazzo Chigi, dove negli uffici di diretta collaborazione del premier in molti hanno la percezione che l’esperienza sia agli sgoccioli. Se Draghi non riuscirà nella conquista del Colle, infatti, sono tutti convinti che il caos politico che ne seguirebbe sarebbe ingovernabile. Il premier, peraltro, anche nelle ultime ore ha ricordato nelle sue riflessioni private che quando si elegge un nuovo capo dello Stato il presidente del Consiglio si presenta al Quirinale dimissionario. Certo, trattasi di dimissioni di cortesia, per prassi sempre respinte. Ma il precedente del 1955 (governo Scelba quando venne eletto Gronchi) lascia pensare che il premier contempli anche scenari meno concilianti. Di certo, l’ex Bce non sembra al momento considerare una sua permanenza a Chigi dopo il voto sul Colle. Ovviamente, a meno di un bis di Mattarella.

Scenario, quest’ultimo, che il diretto interessato continua a respingere con forza. Ma che la complessità della situazione torna a riproporre. Se al Quirinale si preparano gli scatoloni da mandare a Palazzo Giustiniani – l’assegnazione delle stanze al futuro ex presidente è stata oggetto di alcune tensioni nell’individuazione dei locali adatti, con una disputa tra piano nobile e ammezzato – a Palazzo Chigi c’è chi nell’entourage ristretto di Draghi ha già chiesto consulenza agli uffici giuridici per capire come cambierebbe il suo contratto in caso di «trasloco» al Colle.

In questo quadro piuttosto caotico e difficile da decifrare, di certo c’è l’intenzione di Mattarella di rimanere in disparte. Perché ha ragione Mastella quando dice che se il Parlamento decidesse di rieleggerlo «non potrebbe certo fare come Celestino V», ma non c’è dubbio che il capo dello Stato guardi a questo scenario come all’ultima ratio. Non è un caso che Mattarella sia sparito dai radar, tanto che in questi primi giorni del 2022 si è limitato a una presenza alla finale di Coppa Italia di pallavolo femminile e a un incontro con l’astronauta Cristoforetti e i vertici dell’Esa. Per il resto, si è inabissato. E continuerà a farlo fino al voto sul suo successore. Anzi, starebbe valutando l’idea di una nota ufficiale come quella con cui Ciampi – era il 3 maggio 2006 – confermò la sua indisponibilità a un settennato bis.

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Ci sono due Cacciari: dell’inizio e della cosa ultima

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Che Massimo Cacciari sia uno dei più importanti filosofi italiani, una delle nostre più brillanti intelligenze, non vi sono dubbi. Come non ho mai dubitato, neppure per un attimo, che potesse non vaccinarsi. Ieri, in fila per la terza dose, ha salutato le telecamere con il pollicione in evidenza e dichiarato: “Alle leggi si obbedisce. Socrate insegna. Chi può, vada a vaccinarsi”.

Be’, Socrate insegna anche tante altre cose, soprattutto ad ascoltare. Le ospitate televisive, che non si prestano al ragionamento filosofico, insegnano invece a parlare tanto, forse troppo. E, parlando troppo, si può anche finire fuori strada, in quella terra di nessuno dov’è possibile incontrare scontenti e rivoltosi e, talvolta, alimentarne la rabbia. La costante riflessione filosofico-politica di Cacciari, però, non poteva impedirgli di prendere posizione sulla continua emergenza del Paese, sui rinnovati provvedimenti che, in qualche modo, lo bloccavano, facendo del Covid l’unico tema su cui discutere e (non) vivere. Si è trovato anche in compagnia, lungo la strada, di chi ha avuto il torto imperdonabile di evocare Auschwitz, Hitler, stato d’eccezione, di ricorrere a metafore infelici, mentre i morti venivano seppelliti a migliaia, medici e infermieri tentavano di salvare vite e molti di loro perdevano la propria.

Ci sono due Cacciari, potrei dire, citando due dei suoi libri migliori, editi da Adelphi: “Dell’inizio” e “Della cosa ultima”. Il filosofo dell’inizio ha commesso diversi errori di comunicazione, pur avendo legittimamente segnalato alcune forzature, quella torsione volontaria di chi è stato chiamato, e continua a essere chiamato, a decisioni impopolari ma necessarie e inevitabili. Il filosofo della cosa ultima, al contrario, ha dato dimostrazione di intelligenza, facendo l’unica cosa che l’intelligenza detta: vaccinarsi e invitare a vaccinarsi.

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Sul Quirinale ancora non si parte ma siamo già alla quinta votazione

giovedì, Gennaio 13th, 2022

In un moto di sincerità Matteo Salvini fa sapere che il “nome per il Colle” si saprà tra “quindici giorni”, che non è un modo di dire per prendere tempo, ma una data, cioè mercoledì 26 gennaio, dopo che saranno andate a vuoto le prime tre votazioni, in cui serve la maggioranza qualificata. E non ci vuole Frate indovino per ricondurre quel nome a Silvio Berlusconi, di fronte alla cui determinazione i baldi giovanotti del centrodestra nostrano, pur pensando che trattasi di un testardo capriccio, non hanno il coraggio, la forza o l’animo di dire di no, per ora. Perché, in questa confusione, tante volte si andasse al voto, pur sempre in coalizione col Cavaliere si devono presentare per competere con questo sistema elettorale.

E dunque, come in un deja vu – ricordate i vertici a palazzo Grazioli, i giornalisti assiepati sul marciapiede, i vertici a pranzo e le pennette tricolori – venerdì tutti a Villa Grande con i giornalisti sull’Appia antica, il pranzo e il Quirinale come menù. Nell’anno del Signore 2022 (sic!). Senza neanche aspettare la direzione del Pd, segno che c’è non la ricerca di condivisione, come pure richiederebbe lo spirito con cui si elegge un capo dello Stato, il contesto di un governo di larghe intese da non terremotare, un paese da tenere unito in questa situazione. Ma c’è in campo uno scherma predefinito e rigido, fino al momento in cui salterà. In questa gara di furbizia però già si intuisce dalle dichiarazioni di Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera, sulla necessità di “piano b” cosa pensi Salvini. E cioè che, pagato lo scotto di fedeltà al Cavaliere, dalla quinta votazione sarà lui il king maker, con l’obiettivo di un nome di centrodestra “meno divisivo”. Per la serie: ti abbiamo accontentato, ora tocca a noi la proposta e a te adeguarti.

Come ogni volpe, parafrasando i classici, anche Salvini rischia di finire in pellicceria perché non è scritto da nessuna parte che, a quel punto, Berlusconi, ferito nell’orgoglio, non giochi a impallinare la Moratti o il Frattini di turno proposto da Salvini o chissà chi, secondo la nota linea del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Si sa, l’uomo che pensa di essere l’incarnazione del centrodestra, difficilmente può incoronare qualcun altro all’infuori di sé, a meno di non trarne un clamoroso vantaggio. E infatti nell’inner circle più stretto sussurrano che in questo momento lui un “piano b” non lo prende neanche in considerazione ma, se proprio lo dovesse prendere, le sue preferenze andrebbero su Giuliano Amato ma ancor di più sulla presidente del Senato, Elisabetta Casellati perché è l’unica che potrebbe nominarlo senatore a vita. E c’è infatti tutto un chiacchiericcio attorno alla presidente del Senato, con qualche altra volpe che pensa di sedurre il Pd offrendo a Luigi Zanda la presidenza del Senato, o meglio di sedurre Zanda in modo che sua volta seduca il Pd, ingolosito dall’idea.

E pure il Pd, come noto, aspetta che si consumi fino in fondo il tentativo di Berlusconi perché vani sembrano anche gli sforzi di Gianni Letta, tesi a favorire un suo passo indietro, proponendo Mario Draghi, favorendone l’elezione nei panni del vero padre della Patria. Non sapendo a che santi appellarsi, il Pd invoca Mattarella in buona fede, rischiando però di produrre una singolare eterogenesi dei fini perché se il capo dello Stato uscente diventa la bandiera di una parte è più difficile che poi diventi un elemento di convergenza di tutti. Insomma, si brucia pure Mattarella. Il che potrebbe essere un elemento involontario o, ad essere maliziosi, un modo per arrivare, quando e se mai finirà questa fase di propaganda, al vero candidato di Enrico Letta, ovvero Mario Draghi.

In fondo al segretario del Pd non dispiacerebbe andare a votare, sia perché pensa di potersela giocare sia perché, in ogni caso, rinnoverebbe i gruppi sancendo che il Pd è il primo partito. Nessuno può dirlo perché si spaventano gli attuali parlamentari ma, nel Pd c’è una robusta corrente di pensiero di chi pensa che convenga votare in pandemia perché (come si è visto alle amministrative) è un contesto che penalizza la destra: vuoi mettere ora una campagna elettorale all’insegna dei vaccini rispetto a quando, tra un anno, si parlerà di ripresa imponente dell’immigrazione o di un’Europa meno generosa in tema di debito pubblico.

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“No a un presidente di parte”, l’assurda pretesa di Letta

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Franco Bechis

A pochi giorni dalla complicata elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale ha fatto breccia una strana pretesa, cavalcata soprattutto dal segretario del Pd Enrico Letta: «inaccettabili candidature di parte». È il suo no all’ipotesi della candidatura di Silvio Berlusconi che a quanto sembra sarà lanciata dal centrodestra, leader politico che evidentemente non gli piace.

Non gradire una scelta e quindi opporvisi è ovviamente un diritto di Letta, come ipotizzare il suo voto per personalità che mai abbiano preso parte alla vita politica italiana, né mostrato una scelta o una preferenza di campo. Certo si riduce molto il campo e viene difficile trovare un’ampia rosa di papabili con queste caratteristiche. Ma dire che un presidente della Repubblica «non può essere stato di parte» né «leader di partito», è ben altra cosa, in assoluto contrasto con la nostra storia repubblicana e in fondo inaccettabile. Sarebbe anti-politica da quattro soldi, a cui non è mai sceso nemmeno il Movimento 5 stelle. Ed è offensiva anche per la storia personale di chi oggi assai apprezzato siede ancora al Quirinale.

Dote e in fondo quasi dovere di un presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano è spogliarsi di qualsiasi appartenenza precedente e avere come bussola solo il bene comune e l’unità della Nazione. Mattarella è stato impeccabile in questo, ma in tutta la sua storia politica precedente è stato legittimamente «di parte». Non solo ha militato prima in un partito politico, concorrendo con successo alle elezioni sfidando avversari politici, ma addirittura ha «inventato» con la sua creatura più celebre – la legge elettorale che porta il suo nome – il concetto stesso di «schieramento politico», rendendo doveroso essere di parte per potere concorrere alle elezioni politiche generali e vincerle.

Come abbiamo visto in questi sette anni quella esperienza vissuta di politico con le sue idee profondamente di parte non ha impedito a Mattarella di spogliarsi con grande capacità e onestà di quegli abiti indossando l’abito super partes richiesto a un garante della Costituzione. C’è chi è riuscito a farlo più o meno bene nella storia repubblicana, e ognuno ha i suoi giudizi sui vari settennati. Personalmente non riesco a paragonare gli anni impeccabili di Mattarella con il settennato precedente, che ha prestato il fianco a molti dubbi o con quello ad esempio di Oscar Luigi Scalfaro che non riuscii ad apprezzare allo stesso modo. Ma si tratta di giudizi personali. È un fatto storico però che alla presidenza della Repubblica siano stati eletti sempre uomini chiaramente di parte, con la sola eccezione di Carlo Azeglio Ciampi. In un caso – quello di Giuseppe Saragat – fu eletto addirittura il capo e leader indiscusso di un partito. Fosse stato per Letta, che evidentemente all’epoca non era ancora folgorato da esigenze terziste, avremmo avuto presidente della Repubblica anche Romano Prodi, che certo non poteva essere definito «super partes», essendo stato nell’Italia bipolare il leader di uno dei due schieramenti politici.

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Revocati gli assessori, Musumeci azzera la giunta e sfida i franchi tiratori

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Francesco Storace

Il Colle fa ballare anche la Sicilia. L’assemblea regionale ieri ha fatto mancare un gruzzolo di voti al presidente eletto dai siciliani, Nello Musumeci, per i grandi elettori da mandare a Roma per l’elezione del Capo dello Stato.

Sette-otto voti in meno della maggioranza. Musumeci non si è fatto intimidire e in diretta facebook ha annunciato l’azzeramento della giunta regionale siciliana. Se si approfitta del voto segreto per tentare di delegittimare istituzionalmente il governatore, è evidente che c’è il dovere di reagire e verificare chi ci sta e chi no a proseguire con lui la parte finale della legislatura.

Chi sono i franchi tiratori che hanno pensato di punire Musumeci piazzandolo in terza posizione fra i tre grandi elettori dell’isola? Il governatore non ne fa ancora i nomi, ma probabilmente si tratta anche di contese interne ai gruppi parlamentari della regione siciliana, che comunque bolla come «ricattatori» che approfittano di «mezzucci come il voto segreto».

Di qui l’azzeramento della giunta regionale. Musumeci chiederà ai partiti rose di nomi per gli assessorati, mantenendo nelle sue mani il timone del governo regionale. In buona sostanza, alla faccia di chi ne chiedeva le dimissioni, non lascia ma raddoppia.

Nel suo messaggio via social ai siciliani, Musumeci ha riferito che per quel tipo di votazione, «di solito il presidente dell’Assemblea è il più votato, come è normale che sia, poi c’è il presidente della regione che prende i voti della sua maggioranza e poi il rappresentante dell’opposizione che prende i voti dell’opposizione. Al presidente della Regione sono mancati 7-8 voti circa.

Sono stato eletto lo stesso ma il dato politico rimane. Perché mancano questi 7-8 voti? Se il voto fosse stato palese avrei avuto più voti, ma perché questi voti sono mancati? Perché alcuni deputati hanno pensato di compiere nei miei confronti quello che in gergo giudiziario si chiama atto di intimidazione. Si tratta di una sorta di resa dei conti». Che una persona seria come il governatore non può evidentemente tollerare, in una terra che troppo spesso ha sopportato una politica che si ricatta.

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Covid, Abrignani: «Picco a gennaio, per i vaccinati sarà come l’influenza»

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Margherita De Bac

L’immunologo Sergio Abrignani: «Omicron non è come il raffreddore, il raffreddore non uccide. La nuova normalità? Alcuni Paesi ci stanno pensando, in Italia bisogna domandarsi se siamo pronti ad accettare altri morti»

Il Covid diventerà leggero come un raffreddore?
«Non scherziamo. Il virus del raffreddore non uccide», respinge l’accostamento Sergio Abrignani, immunologo dell’università Statale di Milano (leggi qui un’opinione diversa).

Allora diventerà un’infezione simile all’influenza?
«Questo è probabile però dobbiamo distinguere tra vaccinati e non vaccinati. Solo per i primi essere contagiati dal Sars-CoV-2 potrebbe essere come prendere l’influenza che infetta ogni inverno milioni di persone, è letale in circa lo 0,1% (1 per 1.000) dei casi ed è pericolosa sopratutto per gli ultra 70enni con patologie croniche importanti».

Chi all’inizio della pandemia, nel gennaio 2020, paragonava il Covid all’influenza si è dovuto rimangiare le sue affermazioni. Non teme che possa succedere anche a lei azzardando il paragone?
«No, i numeri parlano. Fino alla primavera del 2021, prima dell’uso estensivo dei vaccini, il Covid in Italia era letale nel 2-3% dei casi, avevamo al picco ogni giorno 30-40 mila infezioni e 700-900 morti . Oggi 12 gennaio, con circa il 94% della popolazione ultra60enne vaccinata con almeno due dosi e molti con tre, e con la variante Omicron che ha preso il sopravvento, la media settimanale è di 172.500 casi e 216 morti al giorno, quindi una letalita dello 0,12% ».

La Lombardia e altre Regioni vorrebbero cambiare il sistema di conteggio dei dati separando i pazienti ricoverati per Covid da quelli ricoverati per altre patologie che poi risultano positivi, un terzo del totale. È d’accordo?
«Non mi pronuncio perché non so quanto sia semplice cambiare i codici dei ricoveri. So però che l’impatto del numero dei malati Covid in area medica con una modalità di conteggio diversa si ridurrebbero del 30%. I passaggi di colore di una Regione dipendono dalla percentuale dei posti occupati da questi pazienti qui e in terapia intensiva».

I pazienti infettati da Omicron, oltre che meno gravi, se vaccinati, vengono dimessi prima rispetto ai contagiati dalla variante Delta?
«Come numero assoluto i pazienti colpiti da Omicron sono tanti di più perché questo virus è molto, molto più trasmissibile di Delta, ma sembrerebbe che sia causa di una malattia meno aggressiva. Non possiamo dare la risposta definiva in quanto i dati sono preliminari (leggi qui l’intervista al virologo Palù)».

Si sta facendo largo tra gli scienziati occidentali un ripensamento sulla politica di contenimento. Al presidente Usa Biden viene suggerita una strategia nuova, orientata a condurre una vita normale col virus anziché tentare di spazzarlo via.
«Anche Spagna, Portogallo e la Gran Bretagna stanno andando verso questa direzione. Molti Paesi, chi più chi meno, stanno razionalizzando la possibilità di un ritorno a una nuova normalità di vita con meno restrizioni e un certo numero “accettabile” di morti. Siamo pronti in Italia, dopo il picco atteso per fine gennaio (quando la curva dei contagi dovrebbe scendere), a tollerare 3-4mila decessi per Covid al mese per 4-5 mesi l’anno in cambio di una vita di nuovo “normale”?».

Israele sta vaccinando con la quarta dose tutti gli ultra 60enni e alcuni parlano di un richiamo vaccinale ripetuto ogni pochi mesi, che ne pensa?
«Sulla base delle conoscenze immunologiche scaturite dallo studio in 50 anni dei moderni vaccini, non ha molto senso ripetere una quarta dose a 2-3 mesi dalla terza con un preparato non aggiornato. Anzi, le immunizzazioni ripetute in tempi ravvicinati a volte producono lo spegnimento della risposta immunitaria. Vediamo i dati di Israele, quando arriveranno, e poi decidiamo. Diverso sarebbe fare una quarta dose di vaccino disegnato contro la variante Omicron. Sarebbe agire come per l’antinfluenzale: lo cambiamo ogni inverno e non si parla di terze o quarte dosi ma di nuovo vaccino».

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Omicron ci contagerà tutti? Il Covid diventerà endemico? Le previsioni

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Cristina Marrone

L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che oltre il 50% degli europei potrebbe essere contagiato da Omicron nelle prossime sei-otto settimane. «Nella prima settimana del 2022 l’Europa ha registrato oltre sette milioni di casi» ha riferito il direttore europeo dell’Oms, Hans Kluge. Secondo Anthony Fauci, immunologo e consigliere per la pandemia per Biden «Omicron alla fine troverà tutti» grazie al suo grado di trasmissibilità senza precedenti. Anche i vaccinati «saranno probabilmente infettati, compresi quelli con terza dose, ma non finiranno in ospedale e non moriranno». Secondo l’immunologo americano Sars-CoV- siamo davanti a un periodo di transizione con la pandemia.

1 – Ci ammaleremo tutti di Covid?
Con un andamento delle curve in una fase che è ancora pandemica,come quella attuale, tante persone verranno contagiate. «Tuttavia anche nelle pandemie più terribili – spiega Paolo Bonanni, epidemiologo – non è mai successo che sia stata colpita tutta la popolazione nel giro di una manciata di mesi. È plausibile che il coronavirus nel tempo diventerà endemico ed è chiaro che, analogamente ai virus con cui conviviamo, come influenza e raffreddori, prima o poi ci toccherà nella vita. Ma non è detto che succeda adesso, può capitare anche tra cinque anni o tra sette». «Adesso non ci ammaleremo tutti – concorda l’immunologa Antonella Viola – ma negli anni tutti entreremo in contatto con il virus, ma non tutti si ammaleranno».

2 – Se il nostro destino è quello di contagiarci prima o poi a che cosa serve portare la mascherina?
«Vista l’alta contagiosità di Omicron la mascherina contribuisce ad evitare di infettarci tutti contemporaneamente. In una società i servizi essenziali devono funzionare: non possiamo permetterci di non avere più medici e infermieri in ospedale, netturbini che raccolgono la spazzatura o macchinisti alla guida dei treni» avverte Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano.

3 – Si può trattare Omicron come un’influenza?
Il premier spagnolo Pedro Sanchez propone di trattare il Covid come una normale influenza dal momento che l’aumento dei casi non è seguito da quello dei decessi, sostenendo che non è più necessario tracciare e confinare chiunque risulti positivo al test ed è arrivato il momento di passare da un quadro di «pandemia» a uno di «malattia endemica» come è appunto l’influenza stagionale. L’Oms ha tuttavia messo in guardia dal trattare l’ultima ondata di Covid come un’influenza stagionale poiché molto ancora resta sconosciuto della nuova variante, in particolare per quanto riguarda la gravità della malattia che potrebbe riguardare le aree con bassi tassi di vaccinazione come alcune zone dell’Europa orientale. «Non siamo ancora pronti a considerare il Covid come un’influenza. Lo si potrebbe fare se fossimo tutti vaccinati ma anche in questo caso ci sarebbe sempre il rischio di mutazioni che bucano la protezione e mettono sotto stress il sistema sanitario» aggiunge Antonella Viola, che è anche docente di Patologia generale all’Università di Padova.

4 – In questa fase ha senso continuare a fare tamponi?
«Facciamo tantissimi sforzi con tamponi e quarantene – riflette Paolo Bonanni, che è anche professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze – ma questo non porta a un valore aggiunto particolarmente elevato in termini di prevenzione. Meglio concentrarsi sulle vaccinazioni e fare tamponi solo ai sintomatici anche perché oggi i servizi di prevenzione non sono in grado di tracciare e prendere in carico tutti. Fare così tanti tamponi è come fermare le onde con le mani: dobbiamo essere realisti e fare i conti con le forze che abbiamo».

5 – Quando la curva epidemica rallenterà?
«Non è pensabile che continui a rimanere su questi numeri così elevati perché verrebbero a mancare comunque le persone suscettibili. Con i dati che abbiamo al massimo entro la fine di gennaio la curva dei contagi comincerà a scendere», prevede Bonanni.

6 – Diventeremo dunque tutti immuni?
«Solo temporaneamente» sostiene Antonella Viola. «Abbiamo già visto che le reinfezioni sono possibili soprattutto se il virus cambia, come è accaduto con Omicron». «L’immunità scema nel tempo ma mi aspetto che tra vaccini e contagi avremo un substrato di immunità di base – aggiunge Bonanni – e per un po’ di tempo saremo almeno parzialmente protetti, con una riduzione di complicanze e mortalità».

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Presidente della Repubblica, i danni di un voto protratto

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Paolo Mieli

In passato ci sono state tre elezioni «difficili» del capo dello Stato (quelle di Segni, di Saragat e di Leone) che hanno avuto come effetto un terremoto durato poi un decennio

A questo punto solo uno scatto di reni che porti i principali partiti — anzi tutti i partiti — a identificare e ad eleggere il presidente della Repubblica in una delle prime tre votazioni (quelle che richiedono la maggioranza di due terzi degli aventi diritto al voto) può salvare la politica italiana da un immaginabile marasma. Al massimo, i grandi elettori possono contare su altre due votazioni, la quarta e la quinta. Dopodiché si apriranno le porte dell’inferno. E non perché sia impossibile pescare alla fine un capo dello Stato, anche al ventesimo voto o addirittura oltre. L’esperienza ci dice che prima o poi qualcuno lo si trova. Cioè ovviamente si trova, magari in extremis, un accordo per mandare qualcuno al Quirinale. Ma le macerie lasciate alle spalle di quel voto finale, dopo giorni e giorni di sofferenza, produrranno effetti che una pur felice conclusione difficilmente riuscirà a far dimenticare.

Le votazioni a vuoto saranno state, ognuna, un colpo di martello, sempre più violento, alle fondamenta di un altro edificio, Palazzo Chigi dove come è noto ha sede la Presidenza del Consiglio. L’idea che si possa stare tranquilli, dal momento che a presidiare il palazzo del governo resta Mario Draghi (e che, nel caso, ci penserà Draghi a mettere lo stucco sulle crepe prodotte dalle martellate), potrebbe rivelarsi illusoria. O peggio. Non perché all’ex presidente della Bce manchi l’attitudine a compiere il genere di riparazioni di cui si è detto.

Da più di un mese Draghi dovrebbe essersi reso conto che le sue attuali mansioni sono assai diverse da quelle che Sergio Mattarella gli assegnò nel febbraio del 2021. Adesso si tratta di rassicurare e mettere al passo partiti spaventati dalla prospettiva del salto nel buio delle elezioni che prima o poi verranno. E perciò sospettosi, imbizzarriti, ma soprattutto imprevedibili. Poco propensi per di più a rispettare le regole. Inclini, ove si intraveda una convenienza, a ogni genere di slealtà.

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Il Cts: rivedere il bollettino Covid. Scontro nel governo sul Green pass per i negozi

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Adriana Logroscino

Un vertice per cambiare il calcolo dei positivi e dei ricoverati, su cui si basano le restrizioni. Ed è scontro Brunetta-Giorgetti sulle «attività essenziali» alle quali da febbraio si accederà solo col Green pass

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Cambiare il bollettino che misura il contagio in Italia. Perché il numero esponenziale di tamponi, decuplicati in un anno, forse restituisce una fotografia distorta del contagio. E perché Omicron infetta di più ma fa meno danni. I presidenti di Regione sono in pressing. Il Cts ne discuterà domani. Riconsidererà la mappa su cui si basano le misure per contenere il contagio.

Ma c’è un altro aspetto su cui ieri si è accesa la discussione, questa volta interna al governo: l’elenco dei negozi in cui non si potrà entrare senza green pass dal primo febbraio . La lista, nella bozza messa a punto dal ministero della Funzione pubblica, retto da Renato Brunetta, era stringatissima, ridotta ai soli esercizi essenziali (alimentari e farmacie). Il ministero per lo Sviluppo economico, guidato da Giancarlo Giorgetti, invece, preme perché l’ingresso resti libero in tutti i negozi che rimanevano aperti anche in zona rossa, secondo il decreto di marzo scorso: tabaccherie, librerie, fiorai e negozi di giocattoli, circa 30 tipologie. Sembra una riedizione dello scontro tra rigoristi e aperturisti. Il Dpcm, anticipato dal Corriere, però sarebbe chiuso. Senza possibilità di revisioni: un lungo elenco di eccezioni sterilizzerebbe gli effetti del provvedimento e ne contraddirebbe lo spirito.

Con i positivi sempre molto numerosi e gli ospedali che si riempiono, il passaggio in arancione non è più un’eventualità, è un orizzonte per diverse regioni. Ma la pandemia ha un volto diverso rispetto a quando i criteri sono stati fissati. Per questo i presidenti di Regione chiedono di snellire le norme per gli asintomatici: «Stop al tamponificio, si facciano i test solo a chi sta male», dice Giovanni Toti, presidente della Liguria. Dal Lazio la proposta è che l’isolamento scenda a 5 giorni.

La Lombardia fa da apripista: da domani «per dare una rappresentazione più realistica della pressione sugli ospedali», distinguerà tra ricoverati per Covid e quelli con Covid. Ma ci sono anche sollecitazioni a modificare direttamente le restrizioni, oltre che i parametri su cui si fondano. Per la Liguria, che i numeri da zona arancione li ha raggiunti, l’assessore ai Trasporti, Gianni Berrino, ha chiesto che la capienza dei bus resti all’80 per cento (e non scenda al 50): con le scuole aperte, non sarebbe sostenibile. Anche su questo aspetto, il Cts si pronuncerà nella riunione di domani. Per garantire l’efficienza del trasporto pubblico anche dovendo mantenere il distanziamento, poi, le Regioni chiedono di sbloccare al più presto i fondi stanziati nel 2021 per potenziare il servizio.

Il tema è strettamente legato a quello della scuola: i maggiori utenti di autobus e metro sono gli studenti, gli orari di punta coincidono con quelli della campanella di entrata e uscita. Oggi con il rientro in classe dei ragazzi siciliani, le lezioni in presenza sono di nuovo regola ovunque. Ma tra i mugugni di sindaci e sindacati, preoccupati dai focolai. E lo sciopero annunciato dagli studenti per domani.

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