Archive for Febbraio 12th, 2022

La rivoluzione di Grillo è finita in un condom

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Pietro Salvatori

“Va tutto bene, mi usano un po’ come condom per la protezione del Movimento, capisci?”, dice oggi Beppe Grillo, l’uomo che ha spaccato in due la politica italiana senza bene sapersene che fare e oggi per sua stessa ammissione costretto a fare da scudo di protezione in lattice alle esimie teste che hanno spappolato il Movimento 5 stelle.

Dall’opera di distruzione della casta all’operetta è un attimo che dura una decina di anni, il visionario fondatore mestamente passato dall’immaginare il futuro con piste da sci sopra i termovalorizzatori per coniugare ecologia (transizione ecologica all’epoca non si portava) al curatore fallimentare di una guerra di carte bollate che servirebbe un manuale di diritto amministrativo o di autodistruzione-in-5-semplici-mosse per raccapezzarci qualcosa.

Il senso della fine d’altronde Beppe lo ha avuto fin dalle origini, a insistere più e più volte sul Movimento biodegradabile, sul scusateci, rivoluzioniamo tutto e poi ce ne andiamo. Ma una cosa l’ha avuta sempre chiara: “Non siamo un partito, se non cambiamo meglio scordarci le politiche”. Era il marzo di dieci anni fa, le politiche quelle che cambiarono il panorama politico italiano, quasi duecento grillini a imperversare in Parlamento. Nel mondo alla rovescia di oggi le politiche il M5s se le scorda se non riuscirà a trasformarsi effettivamente nella sua nemesi, quel partito con statuti e organismi a prova di tribunali, che riesca a raggranellare fondi dal 2×1000, che si acconci sulla prospettiva di una legge elettorale decente che con qualcuno bisognerà pur arrivare a governare.

Il fondatore non è mai stato tipo da seguire il day-by-day della sua creatura, ma la visione quella sì, il disegno grande pure, le parole d’ordine anche. Insomma, senza il discutibilissimo armamentario che l’ha reso attrattivo per milioni di cittadini, senza la speranza e la promessa di cambiare tutto, di rovesciare il tavolo, i 5 stelle non sarebbero mai usciti dal meetup. C’era Casaleggio, dicono, il padre, Gianroberto, lui sì che era un visionario, non come il figlio , archivista dell’eredità e poco più, sbattuto fuori dalla porta appena ha pensato che magari poteva far politica. Ed è vero, ma da solo non sarebbe bastato, senza quel megafono dal carattere irascibile e incostante ma dal carisma magnetico e dall’indubbia capacità comunicativa.

C’era “Gaia”, lo spernacchiatissimo video made in Casaleggio che prediceva un futuro distopico, c’era l’afflato di mettere in piedi una cosa mai vista, l’idea pian piano maturata di entrare a Palazzo magari per non distruggerlo, ma almeno per riverniciare la facciata sì. Eccolo qui a un mese dall’ingresso in Parlamento, primavera 2013: “Abbiamo solo affrettato i tempi. La rete non dà spazio alle intermediazioni, via i politici che sono intermediari, via i giornali, si bypassano le televisioni. Siamo una realtà di internet ed internet è il mondo. Io voglio che l’Italia diventi una comunità”. Una comunità non lo è diventato nemmeno il suo partito, che dopo anni di faide di lotte e di principi draconiani spazzati via nel nome del potere si vede smunto nei consensi e del tutto privo di una visione del futuro.

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“Lo escludo”: la fase tre di Draghi fatta di disincanto e distacco

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Alessandro De Angelis

“Lo escludo”, ripetuto due volte, e peccato che la scrittura non renda il tono della voce. Proviamo con gli aggettivi: fermo, un po’ più alto, forse ruvido, sia pur nell’eleganza dell’eloquio. Ed è chiaro, prevedibile, quasi scontato che Mario Draghi “escluda” discese in campo, finito il suo mandato, col centro, con la destra, con la sinistra, a capo di geometrie variabili del “Draghi dopo Draghi” o altre amenità di cui si nutre il chiacchiericcio politico nostrano. Però c’è qualcosa di più, nel rifiuto, plasticamente rivelato nella frase successiva, particolarmente dura e felice: “Vedo che tanti politici mi candidano in tanti posti in giro per il mondo, con sollecitudine, vorrei rassicurarli che, se volessi lavorare dopo questa esperienza, il lavoro me lo trovo da solo”.

Il modo, direbbe il poeta, ancor l’offende. È la rappresentazione plastica di un trauma, il Quirinale, non del tutto assorbito, e di una sua faticosa metabolizzazione, fatta di fastidio e di distanza da rivendicare, per quel che è stato ed è: la politica, anzi i “politici”, con i loro conti, il problema del consenso e del piacere, e un’ostilità manifestatasi oltre ogni livello di prevedibilità. E, al tempo stesso, dello sforzo di riprendere l’approccio precedente, con ritrovato distacco ma anche rigetto verso un mondo da cui si è sentito rigettato. Il ruolo della migliore riserva della Repubblica, chiamata a guidare l’Italia per portarla fuori dalla pandemia, ieri, e a riscostruirla oggi, in un contesto di cui elenca le “sfide” da far tremare le vene ai polsi, elencate con realismo, consapevolezza e chiarezza di vedute: l’energia, l’inflazione “che sta aggredendo il potere di acquisto dei salari”, il Pnrr da completare di cui cita un eccellete stato di avanzamento, cui si aggiunge il “rischio” di tensioni internazionali in Ucraina, col Mediterraneo come convitato di pietra.

“Il dovere del governo è proseguire su questa strada chiedendosi cosa è importante per gli italiani”, punto, dice il premier alla sua prima conferenza stampa dopo il Colle. E dopo che, nell’ultima, antecedente ad essa, aveva evitato di pronunciarsi sulla durata e sul destino del governo. È la fotografia di una “terza fase” di Draghi, animato dalla volontà di tornare a “fare Draghi”, in un contesto però segnato dalla fine dell’incanto oggettivo e dal disincanto personale che sconfina nella delusione. La terza, dopo quella dell’uomo della necessità vissuto dall’opinione pubblica quasi come uomo della provvidenza, subìto da un sistema politico collassato, ma in quanto collassato, strutturalmente impossibilitato a contrastarlo di fronte un’emergenza oggettiva. E dopo quella del Quirinale, la seconda, segnata dal dominio della mediazione politica sul governo, come conseguenza di un’autocandidatura che a quel sistema collassato ha ridato potere negoziale e protagonismo.

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Quei punti che restano da chiarire sul suicidio assistito

sabato, Febbraio 12th, 2022

Maria Antonietta Farina Coscioni*

Per una sorta di coincidenza bizzarra (ma esistono le coincidenze?), questo nome, Mario mi suona come familiare. Non solo per la lucidità della scelta estrema che ripetutamente manifesta; penso piuttosto a quel “viaggio” intorno all’amore: all’amor proprio, che ha visto confermarsi a ridosso del giorno degli innamorati, a quel San Valentino da sempre dedicato agli innamorati.

Il farmaco che procurerà la morte di Mario ha un nome astruso, di difficile pronuncia: il tiopental sodico. Una commissione della Asur della regione Marche ha valutato che sia quello «idoneo a garantire una morte rapida e indolore». Per Mario si è anche definita la modalità di somministrazione (particolare non irrilevante che mancava): «Un’autosomministrazione mediante infusione endovenosa»; Mario dovrebbe avviarla con una parte del corpo che è ancora in grado di controllare.

Quindi, ora che conosce il farmaco, Mario potrà procurarsi la morte che da tempo invoca? Non è l’unico interrogativo che la vicenda solleva. Per esempio: se confermerà di volersi suicidare, chi lo assisterà? Ci sarà uno o più operatori sanitari ad aiutarlo in quel difficile, estremo, momento? E dove? Nella sua abitazione, o in ospedale, in un hospice? Questi interrogativi non sono scontati, e tantomeno sono scontate le risposte.

Vorrei che Mario si sentisse davvero libero di decidere di porre fine al suo dolore di vivere. Ora a maggior ragione. Al tempo stesso non vorrei mai che ci sia qualcuno, anche per il percorso accidentato fino ad ora compiuto, avesse deciso per lui.

Mi chiedo: non sarebbe il caso, ora, di svelare la vera identità di Mario? Anche in solidarietà e in nome di quella libertà a cui hanno dato volto e corpo tanti malati e disabili a partire da Luca Coscioni.

Ho parlato di coincidenze, che molto spesso sono incidenze. L’altro giorno il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, durante la riunione settimanale con gli assistenti di studio in vista delle prossime udienze, tra cui quella di martedì 15 febbraio sull’ammissibilità o meno dei referendum, ha espresso un concetto importante: «È banale dirlo ma davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi: cercare qualunque pelo nell’uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione perché il nostro punto di partenza e consentire il più possibile il voto popolare».

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La vendetta di SuperMario

sabato, Febbraio 12th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Quando dice «lo escludo», Mario Draghi alza la voce. Come per farsi ascoltare bene, come se servisse anche il tono a far capire ai partiti che con il presidente del Consiglio hanno chiuso. Non si metterà a disposizione di nessun tipo di progetto, qualsiasi sia la geometria politica che voglia rappresentare. Non sarà il federatore del nuovo centro, non sarà l’uomo cui una qualsiasi maggioranza dopo le elezioni potrà rivolgersi per chiedergli di riprendere la guida. «Chiuso!», lo dice perentorio. Tradendo un fastidio che non intende celare.

Il tempo del «nonno al servizio delle istituzioni» – come lo stesso premier si era definito nella conferenza stampa del 22 dicembre – si è consumato nelle settimane in cui i partiti hanno cercato disperatamente un nome che li unisse per la presidenza della Repubblica, con l’intento divenuto comune di sbarrare la strada per il Colle proprio all’ex presidente della Banca centrale europea. 

Riforma giustizia, Draghi: “Permangono differenze, ma sarà approvata prima delle elezioni Csm”

Giorni come quelli lasciano, inevitabilmente, scorie. E quelle scorie sembra di vederle soprattutto nelle parole che Draghi riserva ai politici «che mi candidano per i posti più diversi in giro per il mondo». Il presidente del Consiglio ringrazia con un sorriso sarcastico, ma dice che – volendo – è in grado di trovarsi un lavoro da solo. E ripete – a una seconda domanda su un suo futuro in politica – «lo escludo, va bene? Mi sembra chiaro».

E così anche il sottosegretario Bruno Tabacci, che ancora ieri spiegava che dopo il voto non ci sarà storia e bisognerà richiamare lui a salvare il Paese, dovrà probabilmente farsene una ragione. Così come tutti coloro che usano la sua figura per dare valore a progetti che nascono già traballanti.

Draghi ha messo – con la conferenza stampa di ieri – dei paletti chiari: il governo andrà avanti con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza senza indugi e senza accettare ritardi. Senza rimpasti, anche, «la squadra non si cambia». Affronterà il caro-bollette e l’inflazione avendo ben chiara una cosa: «Bisogna puntare sulla crescita per sostenere il debito». È sicuro che i dati in arrivo da questo punto di vista siano buoni, ma consapevole di quante insidie ci siano dietro l’angolo. A partire dalla crisi ucraina e dai venti di guerra che metterebbero l’Italia in una situazione difficilissima.

Draghi: “Frodi sul Superbonus per i pochi controlli. Quelli che tuonano oggi hanno scritto la legge”

Chi ha parlato con il presidente del Consiglio traduce che il senso è esattamente questo: «Finisco il lavoro e me ne vado». Il che rende ogni scelta, ogni azione, più libera da qualsiasi condizionamento. Anche solo percepito. Ma se ci sono dirigenti di partito che festeggiano dicendo bene, «prima era un po’ distratto dalle aspettative sul Quirinale, adesso sarà più concentrato sull’azione di governo», ci sono anche leader preoccupati. Lo è ad esempio il segretario pd Enrico Letta, che vede come le tensioni già in corso non potranno che moltiplicarsi. E per la direzione dem della settimana prossima prepara un discorso utile a mettere in guardia da scenari di possibile instabilità.

Bollette, Draghi: “Intervento di ampia portata nei prossimi giorni”

La sferzata del premier sul Bonus al 110 per cento, una misura che il presidente del Consiglio non ha mai amato e che ha già tentato di arginare, è solo la prima di scelte molto nette alle quali Draghi non intende sottrarsi. A impressionarlo sono stati i numeri delle truffe fatte attraverso la cessione a catena dei crediti di imposta, ma anche le relazioni molto chiare della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. I 5 stelle si sentono sotto attacco, ma quel che ha detto il capo del governo lo pensa davvero: quella legge è stata scritta male e difesa peggio. La reazione indignata dei parlamentari M5S è già – a poche ore dalla conferenza stampa del ritorno – il primo elemento di fibrillazione. È facile ce ne siano presto altri, senza però che Palazzo Chigi cambi atteggiamento.

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Riforma della giustizia: Camere e toghe alla prova

sabato, Febbraio 12th, 2022

di   Giovanni Bianconi

Al termine di una lunga gestazione, complice l’intermezzo quirinalizio, il governo ha partorito la riforma del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario, terzo capitolo dopo quelle del processo penale e del processo civile. Un traguardo di cui la ministra della Giustizia Marta Cartabia può essere soddisfatta, e con lei il presidente del Consiglio Mario Draghi che le ha dato sostegno e copertura. Soprattutto in quest’ultima fatica, quando le difficoltà a tenere insieme una maggioranza tanto ampia quanto variegata al limite della contrapposizione, sembravano insuperabili.

Invece proprio la tenacia della Guardasigilli e la determinazione del premier hanno avuto ragione su perplessità e contrasti. Anche attraverso interventi drastici rispetto a questioni sulle quali i partiti hanno battagliato fino all’ultimo: ad esempio l’equiparazione (a proposito di commistioni tra magistratura e politica) tra toghe elette in Parlamento o negli enti locali, o al vertice di qualche istituzione, e toghe chiamate a svolgere funzioni come quella di ministro, sottosegretario o assessore; a fine mandato varranno per tutti le stesse regole, niente più ritorno alle funzioni giurisdizionali. Ma non tutti i ministri erano d’accordo, perché c’era chi riteneva (e ritiene tuttora) che un conto è partecipare alle competizioni elettorali, magari sotto le insegne di un partito, e un conto è prestare la propria esperienza di tecnico in un ministero o in un assessorato.

Alla fine è prevalsa la soluzione più radicale, e vedremo come andrà in Parlamento. Su questa e su altre questioni, che sono di sostanza ma pure d’immagine: il tema delle «porte girevoli», al momento, riguarda pochissimi magistrati tra ordinari e amministrativi (due deputati nazionali, un eurodeputato, un presidente di Regione, più una ventina o poco più tra eletti nei consigli regionali o comunali e ruoli apicali in ministeri e enti locali). Dunque vale più il principio che la reale consistenza del problema.

Ora la sfida diventa la discussione in aula. Ieri il maxi-emendamento è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri con l’impegno di Draghi e Cartabia di rimanere aperti al contributo di Camera e Senato, dove il testo non arriva blindato e non dovrebbe calare la scure della «questione di fiducia» che interrompe ogni discussione mettendo in gioco il destino del governo. Una scelta significativa e coraggiosa, che risponde al monito del capo dello Stato al momento del suo reinsediamento: deputati e senatori devono avere la possibilità di intervenire sulle leggi, senza essere relegati al ruolo di chi appone un timbro su decisioni concordate a palazzo Chigi.

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Governo, il corto circuito da evitare

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Claudio Tito

Esiste un’agenda 2022 dei partiti italiani? Ne esiste una davvero compatibile con la realtà che ci circonda? A poco più di un anno dalle prossime elezioni, le forze politiche possono fare a meno – come molte di esse sembrano voler fare – della parola “Europa”?

Dopo la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, è partita di fatto la campagna elettorale. Ma il tutto sta avvenendo intorno ad un perno che ha di nuovo lo stesso nome e cognome: Mario Draghi. Stavolta però il suo ruolo (più che il suo governo) e la sua funzione futura (al di là delle sue intenzioni) si stanno rivelando il punto nevralgico se non l’ossessione della maggioranza e dell’opposizione. Un parafulmine e una giustificazione, una scusa e un alibi. Che insieme si stanno rivelando il paradosso della politica italiana. Una situazione che rischia di provocare un corto circuito. E di far sprofondare il dibattito nella irrealtà.

Il problema è che, in questo inizio di anno, il confronto appare slegato dal contesto internazionale in cui l’Italia – nolente o volente – è costretta ad agire. Se non se ne tiene conto, è letteralmente impossibile risolvere o tentare di risolvere i problemi degli italiani. La propaganda e la demagogia di chi spera di ottenere consensi rivolgendosi direttamente alla “gente” assecondandone gli istinti e non i bisogni, è una mera fabbrica di inefficacia e non di buona politica.

La lezione degli ultimi due anni, per molti dei partiti anche della coalizione governativa, sembra già dimenticata. L’Italia è un Paese che purtroppo continua ad avere un fardello pesantissimo di questioni irrisolte, di ritardi annosi, di esigenze basilari insoddisfatte. Ma si tratta di ostacoli superabili solo e soltanto con una agenda realistica da concordare con l’Unione europea. Al di fuori di quel perimetro si staglia solo il baratro dell’irresponsabilità e dell’incompetenza.

Il presidente del Consiglio ha richiamato l’esistenza di quel perimetro. L’attuazione del Pnrr, i costi dell’energia, i rischi dell’inflazione non sono parole vuote. Rappresentano strumenti e difficoltà reali. Occasioni da mettere a disposizione degli italiani per risolvere i loro problemi.

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Riforma della giustizia, la conferenza stampa di Draghi: «Il mio futuro in politica? Il lavoro me lo trovo da solo»

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Valentina Santarpia

Il premier parla della riforma ma anche del suo futuro, sollecitato dai cronisti: «Io federatore di un’area di centro? Lo escludo. Ho molte sollecitazioni, ma dopo il governo il lavoro lo trovo da solo». E sul governo: si va avanti, nessun rimpasto

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Prima scherza, poi all’ennesima domanda dei cronisti il tono diventa più duro: ma il premier Mario Draghi, in conferenza stampa per spiegare le decisioni del Consiglio dei ministri, esclude un suo impegno politico al termine della legislatura.«Tanti politici mi candidano in tanti posti, mostrando una sollecitudine straordinaria. Vorrei rassicurare che se decidessi di trovare un lavoro dopo questa esperienza, un lavoro lo troverei da solo…», scherza Draghi. Che esclude la possibilità di diventare un federatore dell’area di centro nel 2023, e chiarisce più volte che il suo orizzonte è quello immediato: «La squadra di governo è efficiente e va avanti», quindi non c’è alcun rimpasto in vista.

L’ultimo anno di governo Draghi lo vede «in maniera relativamente chiara»: «Il dovere del governo è proseguire e affrontare sfide importanti per gli italiani che sono quella immediata del caro energia, quello meno immediata ma preoccupante che è l’inflazione che sta aggredendo il potere acquisto dei lavoratori ed erodendo, anche se per ora non si vede, la competitività delle imprese, c’è poi l’uscita dalla pandemia e poi il Pnrr che sta andando molto bene».

La riforma della giustizia

Ma sul tavolo di lavoro oggi c’è soprattutto la questione della giustizia, su cui la maggioranza ha faticosamente trovato la quadra. In Consiglio dei ministri c’è stata una «discussione ricchissima e condivisa», ha detto Draghi aprendo la conferenza stampa subito dopo la riunione del Cdm che ha approvato la riforma (qui tutte le novità del provvedimento). E ci sarà un «pieno coinvolgimento delle forze politiche nel rispetto dei tempi: niente tentativi di imporre la fiducia», ha precisato Draghi. Sarà data quindi «priorità assoluta in Parlamento al voto per approvare le nuove regole.«C’è stata condivisione della riforma e delimitazione delle aree con differenze di vedute e impegno ad adoperarsi con i capigruppo per avere priorità assoluta in parlamento entro l’elezione del nuovo Csm», ha precisato Draghi. Questo significa che sono rimaste le differenze di visione, ma c’è «l’impegno a superarle».

Una «riforma ineludibile»: così l’ha definita la ministra della Giustizia Marta Cartabia, ineludibile sia per la scadenza degli incarichi del Csm sia per il ritorno ad un rapporto di fiducia con la giustizia. Quella dell’ordinamento giudiziario e del Csm è una «riforma esigente nei confronti dei giudici ma che risponde ad una esigenza della magistratura di essere forse un pochino più severa con se stessa, perché questa richiesta di recupero della credibilità viene anzitutto dall’interno». Era dovuta, spiega ancora Cartabia, ai tantissimi magistrati che lavorano silenziosamente e ai cittadini che devono recuperare piena fiducia nella magistratura. Una giustizia dai tempi certi, rapida, favorisce anche l’afflusso degli investimenti stranieri, aggiunge Draghi.

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Crisi Ucraina, la minaccia dell’invasione e il film della guerra possibile: missili e sommergibili

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Francesco Battistini

Kiev minimizza la minaccia dell’invasione, ma le forze schierate lungo i confini hanno cambiato il teatro di guerra

DAL NOSTRO INVIATO A KIEV
«Questa minaccia d’invasione l’aspettiamo da otto anni. Questa è la guerra, questa è la Russia. E anche quest’anno ci aspettiamo che Mosca sfrutti qualsiasi momento buono: la fine dell’inverno, la fine delle Olimpiadi a Pechino, la fine della nostra pazienza…». Amaro e preoccupato, una lunga esperienza e i freschi gradi di capo di stato maggiore, il generale ucraino Oleksandr Pavlyuk è sulla linea del suo governo: minimizzare la minaccia.

Mica facile. I 60 mila (dice Mosca) o 130 mila (teme Kiev) o 170 mila (sospetta la Nato) soldati schierati sul doppio confine russo e bielorusso, oltre a quelli nascosti nella regione moldava della Transnistria e di pattuglia in Crimea e sul Mar Nero, sono spiati h24 dai satelliti. E gli scenari di un’invasione sono studiati dal 2014. Ma l’ammasso dei parà russi della 76esima e della 98esima davanti a Kharkiv, o degli assaltatori della Settima e della 106esima di fronte a Donetsk e a Luhansk, più la parata di missili Iskander-M destinati agli obbiettivi terrestri, di sistema di difesa antiaerei S-400 Prometei, di caccia Su-35, di Bastion-P antinave, di sommergibili nucleari Akula, di Backfire supersonici, di tecnologie ipersoniche Avangard-Hgv per neutralizzare il sistema missilistico ucraino, tutta questa roba schierata di colpo da Putin ha cambiato velocissimamente il teatro di guerra. Il fatto che siano lì, non significa che siano pronti a un’invasione: «Mancano ancora gli ospedali da campo — trasecola l’esperto militare di un’ambasciata europea —, i depositi di munizioni, le protezioni informatiche, molta logistica, e in queste condizioni solo un generale pazzo manderebbe avanti un’invasione di terra. Abbiamo le stesse informazioni degli americani, ma a queste informazioni diamo interpretazioni molto diverse».

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Missili e sommergibili, il film della guerra possibile

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Renzi erede di Berlusconi: ora la magistratura ha il suo nuovo nemico

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Filippo Ceccarelli

Dai meandri degli ormai sterminati archivi visivi diversi anni orsono uscì fuori un filmato in cui un giovanissimo Renzi, sul palcoscenico del teatrino dell’oratorio di Rignano, faceva l’imitazione di Berlusconi. Quando in uno studio televisivo glielo fecero rivedere, il Cavaliere commentò: “Bello e divertente”, aggiungendo, sia pure in modo tortuoso, che molto quel ragazzo aveva imparato da lui.

Ogni tanto, ancora oggi, Renzi rifà volentieri il verso a Berlusconi, come se un po’ gli fosse rimasto dentro. In famiglia era lo zio Nicola, fratello di mamma Lalla e manager di quiz e tombole, ad avere rapporti con i giornali e le tv Fininvest. Fu lui a raccomandarlo alla Ruota della fortuna di Mike, dove il giovanotto guadagnò 48 milioni di lire. Prima ancora di diventare sindaco, ad Arcore gli avevano messo gli occhi addosso, e poco dopo Berlusconi desiderò conoscerlo di persona e lo invitò a pranzo. Svariate versioni esistono di quell’incontro che doveva restare segreto, ma così non fu. In una, al momento di congedare il promettente fiorentino, il Dominus gli avrebbe detto: “Mi piaci perché sei come me”; in altra lectio: “Perché mi ricordi come ero”.

Oltre a possedere un ego a prova di smancerie, alla prima occasione utile Renzi trovò la maniera di dire che Berlusconi poteva essere suo nonno, cosa anche sensata. Eppure, molto lascia pensare che a suo modo, molto a suo modo, fin da allora abbia conservato una qualche forma non solo di simpatia, ma anche di affetto, entità quest’ultima in politica piuttosto sfuggente, tanto più nei rapporti ufficiali. Così, non molto tempo dopo il Patto del Nazareno, nel seguente modo Renzi si sarebbe espresso a proposito del Cavaliere: “Resta il numero uno”. E poi, con enigmatico trasporto: “Un cazzone insuperabile”.

I verbi al condizionale surrogano relazioni e retroscena di norma fin troppo confezionati per essere credibili. Ma l’altra sera da Vespa, quando nell’attaccare i giudici ha detto “Io non faccio Berlusconi”, sintesi perfetta, ecco proprio in quel momento Renzi ha preso il posto di Berlusconi, ne è diventato a pieno titolo il continuatore, l’erede, il discendente, il figlio per certi versi vendicatore. Il passaggio delle consegne era compiuto, la magistratura ha ora il suo nuovo nemico e nella vita pubblica italiana lo scontro tra giustizia e politica è destinato a durare attraverso il più naturale avvicendamento.

Sarà stato lo studio di Porta a porta, ma l’efficace sicurezza con cui Renzi alzava le braccia mostrando la sua denuncia ai “suoi” Pm era l’esatta ripetizione di una scena che va in onda ormai da vent’anni; mancava solo – ma era come se ci fosse – l’incombente faccione del Cavaliere sul maxischermo e la scritta: “Ora parlo io”.

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“Bonus edilizi, frodi troppo facili”. Lite tra Draghi e M5S sui controlli

sabato, Febbraio 12th, 2022

di Valentina Conte

ROMA – La stretta al Superbonus sarà allentata, consentendo “2-3 cessioni del credito e solo tra banche”, anziché una come dal 27 gennaio, e “attribuendo un codice a ogni operazione”, per garantire la tracciabilità del credito. La modifica arriverà via emendamento al decreto Sostegni ter (quindi sarà legge ed entrerà in vigore tra circa 60 giorni), assicura il ministro dell’Economia Daniele Franco.

Ma non basta a spegnere la polemica politica, che anzi divampa, sulle frodi legate ai bonus edilizi, “le truffe tra le più grandi mai viste nella storia della Repubblica”, dice Franco. Il premier Draghi affonda il colpo: “Quelli che oggi più tuonano sul Superbonus, che dicono che questi frodi non contano, che bisogna andare avanti lo stesso… beh, questi sono quelli che hanno scritto la legge e permesso di fare lavori senza controlli”. E quando dice queste parole legge il depliant di Poste con l’invito a cedere il credito senza alcuna documentazione.

Il riferimento è al decreto 34 del 2020, il decreto Rilancio di maggio del primo anno pandemico, firmato da Conte-Gualtieri, governo giallorosso, che ha introdotto il Superbonus e sciolto le briglie pure agli altri bonus, consentendo per tutti lo sconto in fattura o la cessione illimitata del credito. Cessione che ha trasformato questi crediti in “moneta fiscale”, spiega Franco, libera di circolare, essere falsificata e monetizzata dall’ultimo anello della catena: banche, assicurazioni, Cassa depositi e prestiti, Poste.

Il direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Ruffini ha rivelato giovedì, in audizione parlamentare, che su 38 miliardi di crediti ceduti al 31 dicembre scorso, ben 4,4 miliardi sono inesistenti. Di questi 2,3 miliardi sono stati sequestrati dalle Procure “e 1,5 miliardi già incassati”, aggiunge Franco. Dal 12 novembre – con il decreto anti-frode poi confluito in legge di bilancio – il governo ha introdotto un primo giro di vite, consentendo all’Agenzia anche controlli ex ante, anziché ex post.

Ora può bloccare la comunicazione sulla piattaforma telematica di scambio dei crediti entro 5 giorni dall’invio, se l’operazione è sospetta, e tenerla in sospeso fino a 30 giorni. Nel decreto Sostegni ter del 27 gennaio, all’articolo 28, è stato poi introdotto il divieto di cessione multipla del credito, limitandola a una sola volta. Una stretta che secondo gli operatori ha bloccato il mercato.

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