Archive for Febbraio, 2022

Ma occupiamoci un po’ di cazzate: Bettini

sabato, Febbraio 19th, 2022

di  Alessandro De Angelis

Riunione di redazione, Dio come è pesante il mondo: l’Ucraina, le bollette, la crisi, Draghi imbufalito coi partiti, pare pure che oggi parli. E siamo a dieci pezzi: “Ragazzi, oggi c’ho voglia di occuparmi di cazzate, lo avete letto Bettini sul Foglio?”. Non tutti hanno queste perversioni. “Che dice?”. Testuale: “Pd e Lega possono governare insieme dopo Draghi”. Occhi strabuzzati. L’argomentazione è questa: “Come in Germania si tenterebbe la strada della grande coalizione con un compromesso trasparente, Salvini ha l’occasione di fare della Lega con pezzi di Fi l’equivalente del Pd nel campo della destra”.

Beh, il pezzo c’è tutto. “Ma non era innamorato di Conte, il famoso “punto di riferimento dei progressisti europei?” ci si chiede. Gli è passata la cotta, lo scarica: “La sua figura è un patrimonio da rispettare”. Vabbè, abbiamo capito. Occupiamoci del caso: politica, psico-politica, sindrome da aspirante Machiavelli alla ricerca sempre di un novello Principe da consigliare, ruolo che gli attribuì Zingaretti – e si è visto come è andata a finire – mentre Enrico Letta – i democristiani ci vedono lungo – si è tenuto alla larga, infatti regge ancora.

È fatto così l’uomo, vive di repentine infatuazioni e di altrettanto repentine disillusioni, ma in verità è innamorato solo della manovra di cui si sente baricentro: “Dovrebbe compiere un atto di servizio disinteressato, mettere la sua popolarità a disposizione di una battaglia civile e democratica, giustificando la sua scelta con l’emergenza che l’Italia vive”, così si rivolgeva a Luca Cordero di Montezemolo oltre dieci anni fa, con parole non dissimili dall’elegia contiana di oggi. In mezzo c’è la fascinazione per Casini come nuovo Prodi e la scommessa su Renzi, che fa tanto pensare al vecchio riflesso comunista per cui si scelgono figure sempre esterne alla propria tradizione con la presunzione di poterle gestire ma che però, ma senza Pci e ancoraggi solidi assomiglia di più all’andazzo di una novella “bocca di rosa” che mette “una teoria sopra ogni cosa”.

Stavolta la piroetta è sulla Lega, sempre ammantata da una prosa roboante, da echi lontani di un ingraismo di maniera, dalla spocchia storicista per cui è sempre la fase che è cambiata non il dirigente che ha preso lucciole per lanterne, ci mancherebbe altro. Breve ricerca delle ultime lucciole: “Sono convinto – sentenziò lo scorso ottobre – che la Lega strapperà, purtroppo è nella logica delle cose. Mi pare giusto riflettere, solo riflettere, su questo scenario”. Peccato: non ha strappato prima, tanto vale riflettere se attaccarsi alla lanterna leghista dopo, non si sa mai, così, tanto per rimanere al governo pure se non si vincono le elezioni, una specialità della casa da un decennio. Del resto, l’avvocato del popolo, quello disarcionato da un “complotto” dei poteri internazionali e dalla borghesia italiana con i suoi giornali, “carta decisiva” contro una destra rocciosa (tutte summe del Bettini pensiero), un po’ retriva, e pure un po’ fascistoide, si è andato a schiantare in tribunale. E magari ci si è accorti che le masse pentastellate, il gorgo dove ritrovare una verginità – era questa la teoria pret a porter a per stare al governo proni a ogni nefandezza – si è pressoché estinto.

Ci vorrebbe un’altra intervista, a questo punto, per sentirsi un bello spiegone sul fatto che in fondo è sbrigativo classificare la Lega come il fascismo che avanza: un po’ costola della sinistra lo è sempre stata, magari utile per parlare al Nord per interposta persona lo è ancora. E poi come non vedere, compagni, non andiamo per il sottile, che si sta sostenendo insieme un governo e sta emergendo l’anima europeista di quel partito (anche se in Europa sta con Orban ma questo non diciamolo). E poi ci sono i governatori, gente seria, diciamocelo, quasi meglio di quelli del Pd – vuoi mettere che efficienza Fedriga e Zaia rispetto al sottogoverno di Emiliano e De Luca – insomma c’è un’evoluzione positiva, che diventa positivissima se rimane al governo col Pd capace a chiacchiere di civilizzare ogni barbaro, nei fatti di farsi imbarbarire. Accadde così con chi lo chiamava “partito di Bibbiano” contraccambiato da un “mai insieme”, diventato “sempre”, ridiventato “quasi sempre”. Tre anni buttati, ma rimanendo al governo, vuoi mettere.

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Bollette, ecco il piano per l’emergenza

sabato, Febbraio 19th, 2022

A cura di Paolo Baroni

Su un pacchetto di misure che nel complesso vale circa 8,3-8,5 miliardi il nuovo intervento del governo per calmierare anche nel secondo trimestre il caro energia vale all’incirca 6 miliardi. È stato il ministro dell’Economia Daniele Franco a elencare ieri in dettaglio gli interventi: per le famiglie sono previsti 2,6-2,7 miliardi, per le imprese 2,8-2,9 miliardi e per i servizi degli enti locali altri 700 milioni. In particolare per le famiglie è previsto l’intervento sugli oneri di sistema per 1,8 miliardi, di 400 milioni sull’Iva e di 500 per i bonus sociali. Per le imprese sono previsti interventi sugli oneri di sistema e per le aziende energivore per 2,8-2,9 miliardi.

Con questo nuovo decreto il governo «sta aumentando la percentuale di compensazione» dei rincari ha spiegato Franco, perché «dobbiamo assolutamente evitare un impatto troppo negativo dell’energia sulla nostra economia, avendo anche a mente la competitività delle imprese». Quindi ha spiegato che nell’ultimo trimestre del 2021, a fronte di rincari per circa 21 miliardi, «ne abbiamo fiscalizzati circa un sesto, 3,5 miliardi». Le stime dell’Arera indicano aumenti sempre per 21 miliardi per il primo trimestre 2022 quando «siamo intervenuti per circa 5,5, quindi per un quarto». Nel secondo trimestre l’aumento della bolletta è invece stimato in 14-15 miliardi «e noi interverremo per circa 5,5» pari a oltre un terzo, ha aggiunto poi Franco. Quanto alle coperture, tassativamente escluso uno scostamento di bilancio, si attingerà a residui dei risparmi sulle misure di sostegno, a cui si aggiunge una rimodulazione su fondi del Mef, un intervento sulle rivalutazione dei beni aziendali ed una rimodulazione delle deduzioni su svalutazioni e perdite su crediti. 

SCONTI E RIDUZIONI – Via gli oneri di sistema, più bonus sociali
Il pacchetto taglia bollette estende anche al secondo trimestre, quindi sino a tutto giugno, le misure e gli sconti già applicati nei primi tre mesi di quest’anno. In particolare, il governo mette a disposizione 3 miliardi per annullare gli oneri di sistema applicati alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche in bassa tensione, per altri usi, con potenza disponibile fino a 16,5 kW. Ci sono poi 500 milioni di euro per rafforzare il bonus sociale elettrico e gas riconosciuto ai clienti domestici economicamente svantaggiati azzerando così gli aumenti a 3,5 milioni di nuclei. Altri 480 milioni serviranno invece a confermare il taglio dell’Iva sul gas che resta al 5%. Infine, altri 700 milioni vengono assegnati alle cosiddette imprese «energivore» che hanno forti consumo di energia elettrica sotto forma di credito d’imposta pari al 15% delle spese sostenute a fronte di rincari superiori al 30% rispetto al 2019. Una norma analoga viene poi introdotta per la prima volta per le imprese gasivore a cui vanno altri 522,2 milioni di euro.

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Claudio Descalzi: “Il prezzo del gas destinato a calare, ma non tornerà più quello di prima”

sabato, Febbraio 19th, 2022

Francesco Spini

L’Italia è alle prese con il caro-energia. E Claudio Descalzi, ad dell’Eni, sa perfettamente che il colosso da lui guidato può essere parte della soluzione: «Siamo disponibili e pronti a investire sul fronte del gas in Italia». Racconta di averne parlato col governo e assicura di avere «capacità di aumentare la produzione». Un’apertura che arriva nel giorno dei conti relativi al 2021, chiusi per l’Eni con utili che sorprendono il mercato, a quota 6,13 miliardi (4,7 miliardi di euro a livello organico), ai massimi dal 2012. «Per noi è stato un anno molto positivo – commenta –. Rispetto a dieci anni fa, quando il petrolio era oltre quota 110 dollari al barile, abbiamo fatto questi numeri con il greggio poco sopra i 70 dollari, grazie alla nostra disciplina soprattutto negli investimenti e nei costi».

Descalzi, partiamo dalle bollette. Quanto durerà questa emergenza?
«L’Italia ha una grossa componente di gas. L’attuale situazione andrà avanti fin quando l’offerta di gas resterà scarsa rispetto alla domanda. Nel 2022 l’andamento dei prezzi procederà in modo non costante, visto che durante l’estate la domanda di gas scende e i prezzi si riducono. La situazione potrà migliorare stabilmente solo quando ci saranno nuovi contributi importanti, il gnl dal Qatar per esempio, o nuovi volumi dai paesi produttori. E quando ci sarà una geopolitica meno nervosa».

Quali prezzi potremo rivedere?
«Al momento vedo difficile una discesa drastica ai livelli del 2019, di certo non si arriverà più a quelli del 2020. Penso che ci sarà una stabilizzazione verso il basso ma sempre con valori più alti di quelli a cui eravamo abituati».

Spingere sulla produzione italiana raffredderà i costi?
«Se inseriamo nel paniere più volumi, il prezzo si abbasserà».

Quanto tempo occorrerà per sfruttare appieno i giacimenti nostrani?
«Per quanto ci riguarda potremmo avere una scaletta di crescita interessante in 2-3 anni, non in sei mesi. Mi spiego: alcune produzioni potrebbero cominciare a entrare fra 6-7 mesi, poi ne entreranno altre per risalire. Il problema è che noi siamo fermi da molto tempo nell’upstream italiano: la ripartenza non è una cosa che si fa schioccando le dita».

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Dietro la tregua armata tutti i rischi per il Pnrr

sabato, Febbraio 19th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Il problema sono i tempi». Mario Draghi lo spiega cercando di essere il più chiaro possibile a tutti coloro che lo hanno sentito dopo la sfuriata di giovedì in cabina di regia: «Per prendere la seconda rata del Piano di ripresa e resilienza bisogna completare le riforme su cui il governo si è impegnato secondo le scadenze previste. Gli incidenti parlamentari, le leggi bloccate in commissione, rischiano di farci mancare l’obiettivo. Non possiamo in alcun modo permetterlo».

Il presidente del Consiglio non si intesterà una caduta. Non ha accettato il mandato di Sergio Mattarella per dover dire alla Commissione europea: «Scusate, non ce l’ho fatta». Quando Draghi dice: «Abbiamo rimesso la barra dritta», intende esattamente questo. La navigazione deve essere sicura. Serve, è una parola che torna spesso nelle ultime ore, «convinzione» da parte delle forze politiche. E aver mostrato ieri in cabina di regia e in Consiglio dei ministri modi più concilianti non cambia la sostanza. Il premier può forse sopportare che Matteo Salvini non aspetti la fine della conferenza stampa sul decreto bollette per dire: «Servono nuove misure». Può accettare che Giuseppe Conte ci metta giusto un’oretta in più per unirsi alla Lega nel twittare: «Non basta». Quello che però ritiene intollerabile va al di là delle parole e sono i ritardi nel percorso. Come sul dl Concorrenza, per cui servono i decreti delegati entro fine anno. Come sulla delega fiscale, l’esempio che ha fatto giovedì: «Abbiamo fatto riunioni su riunioni al Mef, con il ministro Franco, abbiamo detto di sì a ogni tipo di approfondimento e il risultato è che è bloccata in commissione!».

Non si può parlare di pace fra Draghi e i partiti. Di tregua armata sì, forse, a patto che si consideri come tutto possa precipitare da un momento all’altro. Perché se un anno così delicato per il governo diventasse un ottovolante con continui su e giù, strappi improvvisi e ricuciture parziali giorno dopo giorno, le cose potrebbero andare fuori controllo. Nessuno nella maggioranza dice di volere una crisi di governo. Ed è probabile che nessuno, neanche Matteo Salvini e Giuseppe Conte che pure paiono i più propensi, la voglia davvero. Per dirla con un ministro: «La tarantella delle dichiarazioni, la gara a chi vuole fare il “più uno”, lasciano il tempo che trovano. Draghi è concentrato sulla tempistica dei provvedimenti. E sa quello che tutti sappiamo: se cadesse il governo con l’inflazione che sale, il costo dell’energia alle stelle, le tensioni geopolitiche, sarebbe un disastro. Una catastrofe».

Fin qui, il principio di razionalità che muove parte del governo. C’è poi però un’inerzia della politica – e di un Parlamento definito spesso dagli stessi capigruppo come «una polveriera» – che rischia di far precipitare la situazione al di là delle volontà dei singoli dirigenti, ministri o degli stessi parlamentari. A Palazzo Chigi sono convinti che Salvini abbia ricevuto un messaggio molto chiaro e che adesso stia a lui capire se intende aprire una crisi oppure no. Assumendosene in quel caso tutta la responsabilità. Le parole di Giancarlo Giorgetti, la distanza tra i «desideri» del segretario leghista e la realtà dei fatti, la necessità che le Camere migliorino le norme e non le peggiorino, sono state viste con favore dal premier. Che le ha lette come un esercizio di consapevolezza e di sincerità, visto che il ministro dello Sviluppo non ha negato la differenza di vedute all’interno della stessa Lega. Ma non è detto che bastino a rassicurarlo, se ci saranno nuovi incidenti in commissione o in aula. Draghi «quando ha un obiettivo lo persegue, non è da lui mollare e non lo farà neanche questa volta», dice chi lo conosce bene. Aggiungendo però la frase che più di tutte sta destando la preoccupazione di leader di partito come Enrico Letta: «Finché ci saranno le condizioni».

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Andrea Crisanti e la villa storica: «L’ho presa con i risparmi. In tv vado sempre gratis»

sabato, Febbraio 19th, 2022

di Marco Imarisio

Andrea Crisanti si dice «stupito dalle polemiche» dopo aver acquistato Villa Priuli Custoza, a Val Liona, in provincia di Vicenza: «Non vivo tra ori e lusso. Io e mia moglie occupiamo posizioni apicali da tempo e abbiamo sempre condotto una vita frugale»

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Professor Crisanti, era il momento giusto?
«Io e mia moglie abbiamo iniziato le trattative per quella villa con giardino in provincia di Vicenza un anno e mezzo fa. E quando abbiamo firmato il rogito, come potevo aspettarmi che la notizia diventasse di pubblico interesse?».

Forse per via del fatto che negli ultimi due anni non ha condotto una vita molto appartata?
«Se è per questo, ho una bella casa anche a Londra, dove lavoravo fino a pochi anni fa e avevo ottenuto riconoscimenti importanti. Eppure, non è mai successo che qualcuno ne discutesse».

Anche in Inghilterra le capitava di andare in televisione una settimana sì e l’altra pure?
«No, certo che no. C’è differenza, lo riconosco. Ma sono rimasto comunque sorpreso e colto alla sprovvista dal rilievo dato a una vicenda privata. A dirla tutta, ci sono rimasto male».

Lo prendiamo come un segno del fatto che non se ne può più, della pandemia e dei virologi divenuti celebrità televisive?
«Lo penso anch’io. Mi sembra evidente che la nostra stagione sta ormai finendo. Ci sono segni evidenti di un rigetto, non solo mediatico, nei nostri confronti. In questa fase, esiste anche una componente psicologica che porta a uno spirito di rivalsa verso chi ha avuto un’immagine pubblica per via di una tragedia enorme. Ma io non mi sono mai sentito un personaggio, mai. Vado in televisione, rispondo ai giornalisti, cerco di fare divulgazione. Non sono un divo, non vivo nel lusso e negli ori».

Vale la pena rispondere alle accuse di essersi arricchito con la pandemia?
«Sono io che le chiedo di lasciarmelo fare. Si può essere d’accordo o meno con quel che dico, ma non si dovrebbe mai scendere così in basso. Sfido chiunque a dimostrare che io ci abbia guadagnato un euro. In televisione, ci sono andato sempre gratis. I compensi per le mie consulenze li ho sempre girati al mio dipartimento. Se oltre ai soliti leoni da tastiera qualcuno ci mette la faccia sostenendo questa tesi vergognosa e infamante, lo denuncio».

Lei frequenta i social?
«Mi ci stavo avvicinando prima che tutto questo cominciasse. Poi, ho subito smesso. Se cominci a leggerli, e guardare cosa si dice sul tuo conto, finisci per riflesso incondizionato a pensare e agire per accontentare chi ti elogia oppure per blandire chi ti attacca. Ti fai condizionare in ogni caso, e perdi autenticità. E così quando ho capito che il mio lavoro e la mia opinione cominciavano ad avere un certo peso, ho deciso di isolarmi, di non leggere nulla sui social, di non utilizzarli».

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Villa Crisanti

sabato, Febbraio 19th, 2022

IL CAFFÈ DI GRAMELLINI

di   Massimo Gramellini

Dopo una vita di lavoro, uno stimato professionista di sessantasei anni decide di soddisfare la sua grande passione per il restauro e acquista con la moglie una villa veneta del Cinquecento per meno di due milioni, accendendo un mutuo e dando fondo ai risparmi di famiglia. Perché quest’ uomo è costretto a giustificarsi come un ladro e a dichiarare pubblicamente di condurre un’esistenza morigerata e di non essersi arricchito con il Covid? Perché si tratta di Andrea Crisanti, il virologo tendenza crisantemo che per due anni si è affacciato in televisione a dirci che le cose andavano male ma sarebbero andate peggio se non ci fossimo comportati meglio. Quindi chi si erge ad autorità morale o, come nel caso di Crisanti, lo diventa sull’onda di un’emozione collettiva, secondo un pregiudizio diffuso dovrebbe prendere i voti di povertà.

Di per sé la ricchezza non infastidisce il pubblico, se colui che la ostenta è un gaudente e non pretende di suggerire regole, anzi si diverte un mondo ad aggirarle. Se invece il benessere economico arride a chi è salito, o si è ritrovato, su una cattedra da cui ha impartito lezioni su ciò che è bene e ciò che è male, immediatamente scatta il sospetto dell’interesse personale, neanche Crisanti fosse il socio occulto di una multinazionale che produce tamponi e mascherine.

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Ucraina-Russia, le ultime notizie in diretta: il leader separatista di Donetsk annuncia la «mobilitazione generale»

sabato, Febbraio 19th, 2022

di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

Le notizie dal Donbass, le parole di Joe Biden, come si sta muovendo la Russia: le ultime notizie di oggi, 19 febbraio

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«Siamo pronti a imporre costi massicci alla Russia se dovesse scegliere un ulteriore conflitto»: sono la parole di Joe Biden nella sua conferenza stampa di ieri sera sulla crisi in Ucraina. Intanto, tra Kiev e Mosca la situazione è più tesa che mai: nel Donbass e a Lugansk — due regioni separatiste dove sono in azione i ribelli filorussi — ci sono state numerose violazioni del cassata il fuoco, comprese diverse esplosioni, segno di un surriscaldamento della situazione. Oggi, Mosca ha in programma una serie di esercitazioni missilistiche: uno sfoggio di potenza che sembra legato alla strategia negoziale di Putin. Qui le notizie della giornata di ieri, 18 febbraio; di seguito quelle di oggi.

Ore 8.30 — Anche il leader di Lugansk, la seconda repubblica separatista del Donbass, incita alla «mobilitazione generale»
Anche il leader dell’autoproclamata repubblica filorussa di Lugansk, nel Donbass, poco dopo il suo omologo di Donetsk, ha proclamato la «mobilitazione generale» sul suo territorio. Il leader, Leonid Pasechnik, lo ha stabilito – fa sapere la Tass – con un decreto comunicato online.

Ore 07.15 – Il leader dei ribelli di Donetsk, nel Donbass, ha annunciato la «mobilitazione generale»
Il capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, ha annunciato la mobilitazione generale. «Mi rivolgo ai miei concittadini che sono nella riserva perché si presentino ai rispettivi distretti militari. Oggi ho firmato un decreto per la mobilitazione generale», fa sapere Pushilin attraverso un videomessaggio. In precedenza, i capi delle repubbliche filorusse, Donetsk e Lugansk, avevano annunciato l’evacuazione temporanea dei cittadini in Russia, nella regione di Rostov, partendo da donne, bambini e anziani. Secondo Pushilin, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ordinerà presto ai militari di lanciare un’offensiva nel Donbass per invadere il territorio delle autoproclamate repubbliche separatiste.

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Draghi, il decreto approvato per bollette e bonus e il messaggio ai leader: «Impegno preciso»

sabato, Febbraio 19th, 2022

di Monica Guerzoni

Il messaggio di Draghi: non sarò io il premier che si intesta il fallimento del Pnrr. Un ministro prevede: se la maggioranza facesse ancora mancare i voti, «Draghi salirà al Quirinale e rassegnerà le dimissioni, aprendo la crisi»

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ROMA — La carota arriva in diretta video: «Avete visto che bravi ministri che ho? È un bellissimo governo».

Il sorriso sarcastico di Mario Draghi rivela l’artificio e fa balenare il metaforico bastone con cui, il giorno prima, il capo del governo aveva colpito i partiti, richiamandoli al doveroso ordine della responsabilità nazionale.

Da giovedì è cambiato il clima, ma non la sostanza. Il severo warning lanciato due giorni fa ai capidelegazione, Draghi lo ha ribadito ieri al telefono con i leader. «Non sarò io il premier che si intesta il fallimento del Pnrr», è la sostanza dell’avviso.

In gioco ci sono 50 miliardi per il 2022 e Draghi non resterà a guardare le forze politiche che si preparano alle elezioni scherzando con il fuoco, cioè il futuro dell’Italia. Non griderà un’altra volta «al lupo, al lupo». E se la maggioranza dovesse di nuovo far mancare i voti in Parlamento, non convocherà i capi delegazione per un altro ceffone. «Salirà al Quirinale – prevede un ministro – E aprirà la crisi».

D’altronde, come lo stesso Draghi avrebbe fatto notare ai capi dei partiti, i tempi tecnici per andare al voto anticipato in tarda primavera ci sarebbero anche.

Governo avvisato, mezzo salvato? A scorrere il film della giornata sembrerebbe di sì. Cabina di regia senza scossoni, Consiglio dei ministri liscio su bollette e superbonus e conferenza stampa chiarificatrice.

Draghi loda i ministri, conta «sul Parlamento e sulle forze politiche», si dice certo che i risultati arriveranno e concede qualche ritocco al metodo di governo: «Rivedremo se necessario certe forme di confronto, ma terremo dritta la barra del timone». Il che vuol dire un confronto più forte col Parlamento attraverso i capigruppo e più tempo ai ministri per consultare le bozze dei provvedimenti, dopo che alcuni preconsigli si sono svolti senza testo davanti. Aperture che non muteranno di molto il rapporto con i partiti, dove c’è anche chi ironizza sul Draghi «di lotta e di governo».

Ai leader, che mai convocherà attorno a un tavolo nello stile di Mario Monti, il presidente ha chiesto di «confermare con un preciso impegno» la volontà di portare avanti il governo.

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La “profezia” di Bettini su Lega e Pd: “Cosa possono fare…”

venerdì, Febbraio 18th, 2022

Luca Sablone

Chi l’avrebbe mai detto? Il Partito democratico apre le porte e strizza l’occhio alla Lega, magicamente passato dall’essere un pericoloso partito della destra che ammicca a estremisti e no-vax all’interpretare una forza politica moderna e pacata. Tanto da non escludere di governarci assieme anche dopo il 2023, se le elezioni nazionali non dovessero incoronare un vincitore alla guida del Paese. A far filtrare segnali di ottimismo è Goffredo Bettini, che non ha sbarrato la porta a un possibile nuovo esecutivo con il Carroccio al termine dell’esperienza Draghi.

La “tentazione” di Bettini

Quasi una tentazione, verrebbe da dire. Visto che lo storico esponente di spicco del Pd ha usato toni concilianti nei confronti del partito guidato da Matteo Salvini. Quanto alla legge elettorale e al dibattito sui due sistemi, proporzionale e maggioritario, Bettini ha osservato come il segretario della Lega abbia due strade: una tattica che è quella di “presentarsi con l’attuale schema”; l’altra strategica per “arginare la forza della Meloni e autonomizzarsi”.

La scadenza naturale della legislatura è fissata per il 2023 quando – a meno di una crisi di governo nei mesi precedenti – si terranno le elezioni politiche. Al di là delle incognite sul sistema elettorale, la domanda che ci si pone si interseca perfettamente con un possibile scenario di incertezza: cosa potrebbe accadere se non ci fosse un vincitore palese la notte del ritorno alle urne? Bettini, nell’intervista rilasciata a Il Foglio, ha sostenuto chiaramente che se Pd e Lega pareggiassero si potrebbe tentare “la strada della grande coalizione con un compromesso trasparente”.

La succursale della sinistra

È opinione ormai diffusa che il Partito democratico rappresenti la forza del palazzo, pronta a fornire il proprio sostegno anche ai governi più lontani (prima l’esperienza giallorossa con i 5 Stelle, poi l’esecutivo di unità nazionale con Forza Italia e Lega). In tal senso Bettini non si è nascosto e non ne ha fatto una questione di vergogna. Anzi, ha rivendicato il ruolo dei dem: “Dobbiamo essere il partito della stabilità. Gli elettori hanno sempre bisogno della ‘forza’”. L’auspicio è che il Carroccio diventi la succursale della sinistra? “Salvini ha l’occasione di fare della Lega con pezzi di Forza Italia, l’equivalente del Pd nel campo della destra”, è l’osservazione dell’esponente dem.

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Rivalsa impossibile sulle toghe che sbagliano. La casta resta impunita: 8 condanne in 11 anni

venerdì, Febbraio 18th, 2022

Stefano Zurlo

Si contano sulle dita di due mani. Otto condanne in 11 anni. Briciole, quasi elemosine. Con tutto il rispetto, un’offesa verso i cittadini che si sono visti calpestare nei loro diritti e verso la collettività che chiede giustizia. La legge sulla responsabilità civile dei magistrati non funziona anche se un referendum, nell’87, aveva annunciato fra squilli di tromba il vento del cambiamento. I sì raccolsero l’80,2% e tutti immaginavano quel che poi puntualmente non è successo. La corporazione non si tocca. Nell’88 con la legge Vassalli viene introdotto un meccanismo risarcitorio, ma è indiretto: il cittadino propone la condanna dello Stato e poi sarà quest’ultimo, semmai, a rivalersi sulla toga che ha commesso errori imperdonabili.

Non si tratta di punire in modo astratto, ma di colpire situazioni obiettivamente vergognose se non inguardabili. Un esempio? Ha fatto scuola la storia di Marianna Manduca che a Caltagirone aveva denunciato il marito violento dodici volte e poi è stata uccisa. Si possono ignorare dodici campanelli d’allarme?

Arrivare a una sanzione è impresa difficilissima. Parliamo di undici condanne dello Stato fra il 2010 e il 2021, ma nessuno sa se ci sia stato il secondo passaggio. Le toghe che hanno dovuto mettere mano al portafoglio sono ancora meno e si avvicinano allo zero.

Surreale. E, peggio, ora par di capire che la Consulta si sia attaccata proprio al passato per mantenere lo status quo; poiché c’è sempre stata la responsabilità indiretta ora non si può per via referendaria passare a quella diretta: il cittadino contro la toga. «Sarebbe – ha spiegato il Presidente della Consulta Giuliano Amato – un referendum innovativo e non abrogativo».

Eminenti giuristi sottolineano che meccanismi di risarcimento spicci suonerebbero poi come forme di intimidazione per i giudici che fanno il loro lavoro e, talvolta, sbagliano. Tutto può essere, ma i dati sono sconfortanti. La punizione pecuniaria del magistrato negligente e impreparato, anche di quello che ha combinato un disastro, è per quanto se ne sa, rarissima. Affidata a procedure lente e farraginose. Con quei due procedimenti civili che richiedono tempi lunghissimi – e il secondo segmento è di fatto un mistero – e la pazienza di Giobbe. Gli importi poi sono contenuti: una media, fra il 2005 e il 2014, di 54 mila euro.

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