Archive for Febbraio, 2022

“Isole Chagos come le Falkland”, l’altra crisi agita Boris Johnson: venti di guerra nell’Oceano indiano

martedì, Febbraio 15th, 2022

L’altra crisi internazionale è simbolica e si gioca nel mezzo dell’oceano, ma rischia per Boris Johnson di diventare come quella delle Falkland. L’isola di Mauritius in fatti ha “invaso” lo sperduto arcipelago delle Chagos nell’Oceano indiano, possedimento britannico. Con un blitz improvviso una nave del Paese africano è approdata alle Chagos e ha piantato nella sabbia il proprio vessillo. “Compiamo l’atto simbolico di alzare la bandiera come tante volte i britannici hanno fatto per stabilire le loro colonie. Solo che noi ora reclamiamo ciò che è sempre stato nostro”, ha detto nella proclamazione l’ambasciatore mauriziano all’Onu. La disputa risale al 1965, ricorda il Corriere, quando Mauritius, allora dominio britannico, acquistò l’indipendenza, Ma senza le Chagos, che Londra tenne per sé come avamposto strategico tra l’Africa orientale, il Medio Oriente e il Sudest asiatico. L’isola maggiore dell’arcipelago, Diego Garcia, è in affitto agli americani che vi hanno stabilito una base militare.

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Over 50, scatta l’obbligo di Super Green Pass per tutte le professioni

martedì, Febbraio 15th, 2022

Paolo Russo

Oggi scatta l’obbligo del Super Green Pass per andare al lavoro. Una stretta introdotta dal governo il 7 gennaio, quando i contagi volavano anche sopra i 200 mila al giorno e la pur meno aggressiva Omicron aveva di nuovo messo sotto stress gli ospedali. Ma oggi la quarta ondata si sta ritirando sempre più rapidamente, ieri sono stati registrati solo 28.630 nuovi casi. E allora Salvini torna in pressing chiedendo di mandare in pensione il certificato rinforzato già a marzo. Obbligatorio non solo per andare a lavorare, ma anche per viaggiare in treno o in aereo, su bus e metro, per andare allo stadio, in palestra o in piscina, per ballare in discoteca, prendere una cabinovia, andare a un concerto oppure a vedere una mostra, sedersi al ristorante o al bar, anche all’aperto.
«Funzione esaurita»
Che ne chieda l’abrogazione il leader della Lega che non lo ha mai del tutto digerito non sorprende nessuno, ma ora anche altre frange del governo, in testa quella azzurra, cominciano a credere che del Super Green Pass se ne possa fare a meno, se non dai primi del prossimo mese, a partire dal 31 marzo, ossia allo scadere dello stato di emergenza che Draghi ha già detto ai suoi di non voler rinnovare. Del resto i primi a non aver mai creduto al certificato verde sono i super esperti del ministro della Salute, Roberto Speranza. «Con Omicron che contagia anche i vaccinati, il certificato rafforzato non ha alcun effetto protettivo, pur difendendoli dalla malattia grave. Casomai può essere d’aiuto a spingere verso il vaccino chi ancora non lo ha fatto», è il ragionamento fatto allora. E ancor più valido oggi, alla luce dei milioni di contagi targati Omicron e del fatto che la spinta verso la vaccinazione si è oramai esaurita. Dall’11 gennaio in poi le prime somministrazioni sono andate infatti via via calando e da alcuni giorni sono scese sotto quota 20 mila al giorno, compresi i bambini da 6 a 11 anni che il vaccino lo hanno a disposizione da poco. Praticamente tra gli adulti non si vaccina più nessuno. Nemmeno tra gli over 50, per i quali pure è scattato prima l’obbligo di vaccino e ora quello del Super Green Pass per lavorare. In Italia tra i 50 e i 65 anni senza certificato rafforzato sono rimasti in 820 mila.

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Diseguaglianza economica: un’ingiustizia sociale e un freno alla crescita

martedì, Febbraio 15th, 2022

Giuseppe Arbia*

Uno dei temi principali del discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella pronunciato il 2 febbraio durante la cerimonia di insediamento a Montecitorio per il suo secondo settennato ha riguardato la diseguaglianza economica. Il Presidente ha affermato: « Costruire un’Italia più moderna è il nostro compito. Ma affinché la modernità sorregga la qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche ».

In effetti il tema della diseguaglianza economica era stato affrontato anche dal Presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso di insediamento di un anno esatto fa il 17 febbraio 2021. Ecco le sue parole: “Gravi e con pochi precedenti storici gli effetti sulla diseguaglianza. In assenza di interventi pubblici il coefficiente di Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima), di 4 punti percentuali, rispetto al 34,8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni”. Il coefficiente di Gini, cui fece riferimento Draghi in quell’occasione, viene utilizzato in tutto il mondo nelle statistiche ufficiali, ed è una misura che varia da 0 a 100, assumendo il valore pari a 0 nel caso di perfetta equità nella distribuzione del reddito (cioè quando tutti gli individui percepiscono lo stesso reddito) e un valore pari a 100 nel caso di massima disuguaglianza, cioè quando un solo percettore di reddito detiene tutto il reddito dell’economia e tutti gli altri hanno reddito pari a zero. Invero, la crescita della diseguaglianza in Italia non è certamente un fenomeno tipico di questo periodo di pandemia e costituisce, al contrario, una caratteristica costante degli ultimi anni. L’indice di Gini, infatti, cresce ormai costantemente in Italia dal 2007 (quando era al 32,9%) fino a raggiungere il valore di 35,9 nel 2017 (ultimo dato ufficiale rilasciato dalla World Bank) quando la media dei paesi dell’Unione Europea era 31,3% e solo tre Paesi dell’Unione mostravano una situazione più diseguale della nostra (Bulgaria, Lituania e Romania). Nello stesso anno a livello mondiale la media era del 36,1, quindi appena superiore al valore registrato nel nostro Paese.

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Se la politica scarica le responsabilità sulla burocrazia

martedì, Febbraio 15th, 2022

Montesquieu

C’è stata anche questa, nella convulsa partita del Quirinale, non oscurata dal lieto fine: una nuova prova della difficile partita tra politica e burocrazia. La politica ama rovesciare le proprie responsabilità sulla burocrazia (tutta, dai massimi dirigenti, ai “ furbetti del cartellino”), che non ha diritto di parola. Un gioco facile, per chi ne detta le regole di condotta, ha il potere di nomina e di revoca, il tutto senza mai dover spiegare, motivare. Persino nella nomina del capo dello Stato, il “primo funzionario”dello Stato: che la confusione dei “kingmaker” nel definire il perimetro della ricerca dei candidati nasca da questa definizione? L’ultimo esempio, la candidatura di Elisabetta Belloni al Quirinale. Il ruolo di capo dello Stato riunisce il compito di esaminare, giudicare e richiamare la politica per il suo rapporto con la Costituzione; di tenere unito il Paese, di rappresentarlo, all’interno e fuori dei confini; di risolvere problemi assai complessi, quali la formazione dei governi, a partire dalla individuazione del presidente del Consiglio e di una maggioranza. Di essere terza ed equidistante tra le parti, non solo di sembrarlo. Un cumulo di funzioni che è davvero curioso pensare di addossare a chi abbia svolto mansioni amministrative, sia pure con unanimi e singolarmente diffusi riconoscimenti, come nel caso in esame.

L’idea diffusa che l’alta burocrazia stia “sotto” la politica è uno dei tanti luoghi comuni che derivano dalla convenienza, reciproca, di cercare complicità, in luogo di autonomia. E’ la storpiatura di un concetto in sé nobile, quello del primato della politica. Autonomia non nella scelta dei fini, ma nei modi per raggiungerli. Ma che la politica possa proiettare un pubblico funzionario direttamente “sopra” di sé, al vertice dello Stato, è un evento inusuale, che per alcuni attimi è stato lì per realizzarsi. Senza che ancora oggi si capisca la genesi, il quasi compimento e il declino misterioso di quella proposta. Nemmeno gli autori sono individuati.

La politica, da un lato crea, dall’altro scongiura il rischio che chi è messo (dalla politica stessa) nella condizione di conoscere tutti i segreti e i retroscena, si trasformi in un pericolo a seconda del ruolo. Che idea ha di sé la politica, in un Paese malandato, ma ancora a pieno titolo democratico?Quanto di sé deve nascondere? E che opinione ha dei propri servizi di intelligence in una democrazia, tanto da doverli temere? Perché nominare funzionari di riconosciuta qualità, prefetti e ambasciatori, e vivere nel timore che gli stessi, in altra mansione, possano diventare un pericolo? Ne scapitano, da questi interrogativi, la politica e insieme l’immagine che la stessa proietta della dirigenza amministrativa del nostro Paese. Di sicuro, solidarietà all’ambasciatrice, se vittima inconsapevole di uno dei tanti soprusi di una politica cinica e irrispettosa.

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La politica ha bisogno di regole

martedì, Febbraio 15th, 2022

di Sabino Cassese

I giudici hanno deciso che i partiti, essendo associazioni regolate dal diritto civile, debbono rispettare, nell’interesse dei propri iscritti, le norme che essi stessi si sono date e che sono scritte nei loro statuti. I casi di M5S e Pd

In un magistrale saggio del 1956, uno dei maestri del diritto civile italiano, Pietro Rescigno, osservava che i partiti, «pur vivendo ai confini del diritto privato, non vogliono lasciare gli schemi del diritto privato» e perciò la richiesta dei partiti «si traduce in un’esaltazione del diritto privato come ultima garanzia di libertà». A più di sessant’anni, la persistente forza del diritto privato dei partiti è dimostrata dalle vicende giudiziarie che coinvolgono il Movimento Cinque Stelle e il Partito democratico, il primo dinanzi al Tribunale di Napoli, VII sezione civile, il secondo dinanzi alla Procura della Repubblica di Firenze e alla Corte di Cassazione, VI sezione penale.

I giudici napoletani hanno stabilito che una modifica statutaria dell’associazione chiamata M5S, che escludeva dal voto gli iscritti degli ultimi sei mesi, poteva essere introdotta solo con regolamento adottato dal comitato di garanzia, su proposta del comitato direttivo. Hanno quindi accolto, a norma del codice civile, la richiesta di alcuni iscritti, sospendendo in via cautelare una deliberazione dell’agosto scorso, perché violava la norma statutaria allora vigente, e di conseguenza hanno sospeso la nomina del presidente. Insomma, i giudici hanno deciso che i partiti, essendo associazioni regolate dal diritto civile, debbono rispettare, nell’interesse dei propri iscritti, le norme che essi stessi si sono date e che sono scritte nei loro statuti.

Pare che, dopo la decisione del Tribunale di Napoli del 3 febbraio scorso, si sia scoperta l’esistenza di un regolamento del 2018 che avrebbe consentito l’esclusione dei nuovi iscritti dal voto. Ma la scoperta è un’ulteriore prova della anomia del M5S.

La vicenda fiorentina ha caratteristiche diverse, perché riguarda i presupposti civilistici su cui si innesta una norma penalistica. La Procura della Repubblica di Firenze ha ritenuto che il divieto di finanziamento ai partiti o a loro articolazioni politico-organizzative, regolato da leggi del 1974, 1981, 2013 e 2019, si possa applicare anche a fondazioni non previste dallo statuto dei partiti, né istituite o controllate dai partiti (su questa base, l’1 febbraio scorso ha chiesto il rinvio a giudizio, tra gli altri, di persone allora esponenti del Partito democratico e della fondazione Open). La Corte di Cassazione, invece, in particolare con la sentenza del 15 settembre 2020 della VI sezione penale, ha stabilito che bisogna partire dall’esame dello statuto del partito e dei suoi regolamenti, per decidere se la fondazione è uno strumento nelle mani di un partito e accertare se ha una propria individualità e operatività o è un mero tramite di finanziamento del partito.

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Superbonus, tra Giorgetti e Salvini si è aperto un nuovo fronte

martedì, Febbraio 15th, 2022

di Marco Cremonesi

Il leader della Lega: Giancarlo dice che non basta? Però è essenziale. Anche Bagnai replica al ministro: sulla linea ci si può confrontare ma decide il segretario

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Il prossimo match rischia di essere già oggi. Il provvedimento sulle concessioni balneari ha le caratteristiche per innescare tensioni serie tra la Lega e il governo, nonostante alcuni segnali lascino pensare che lo scontro potrebbe non essere frontale. L’opposizione alla direttiva Bolkenstein è sempre stata un cavallo di battaglia del partito fin dai tempi di Umberto Bossi, laggiù nel 2006. Oggi il provvedimento approderà in Consiglio dei ministri, con il governo che sembra intenzionato a procedere con la liberalizzazione del mercato dal 2023. Il tema è tra l’altro capace di riattivare la discussione sull’Europa e magari dividere al suo interno la stessa Lega.

A prima vista, è quel che è appena successo su un altro tema. «Il superbonus? — ha detto il segretario del Carroccio Matteo Salvini — è uno strumento assolutamente efficace e stiamo lavorando per aumentare la cessione del credito. In caso contrario, si bloccherebbe il settore edilizio che è in ripresa. È fondamentale andare avanti». Non proprio la stessa posizione di Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega e ministro allo Sviluppo economico che, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva detto che per come è stato applicato (contro il parere del governo Draghi) si sta rivelando una sorta di droga: se lo Stato «dà ai miliardari i soldi per ristrutturare gratis la quinta casa al mare», mentre non ha risorse per la riconversione dell’automotive «c’è qualcosa che non va».

Salvini tenta di spegnere la polemica: «Giorgetti dice che non basta il superbonus. Ovvio che non basta, però è fondamentale andare avanti sulla via del superbonus per aiutare gli italiani e un settore come l’edilizia». In realtà, il ministro dello Sviluppo economico non aveva avuto intenzioni polemiche. In effetti, ha riconosciuto anche il valore del bonus all’edilizia nella fase più dura della pandemia e ne aveva anche apprezzati gli effetti sul Pil. Senza però nascondersi il fatto che una politica industriale è altra cosa. Soprattutto con le difficoltà che sembrano destinate a diventare drammatiche nel settore auto e nella sua filiera. A riprova del fatto che la polemica tra i due non esisterebbe, spiegano nel Carroccio, Salvini e Giorgetti si sarebbero sentiti nei giorni scorsi proprio per ragionare sulle possibili iniziative per un settore che in Italia rappresenta il lavoro per 200 mila persone.

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Russia-Ucraina, cosa chiede Putin (e le risposte di Biden)

martedì, Febbraio 15th, 2022

di Fabrizio Dragosei

La rinuncia alla Nato, la questione della Crimea, i missili: punto per punto, le richieste strategiche all’origine della crisi Est-Ovest

L’ arrivo di decine di migliaia di soldati alla frontiera occidentale della Russia e la presentazione di un pacchetto di richieste a Usa e Nato sulla sicurezza europea sono una provocazione del leader del Cremlino desideroso di «menar le mani» o solo l’inevitabile risposta a iniziative ostili dell’Occidente, come sostiene Putin? Non c’è dubbio che all’origine del peggioramento delle relazioni (qui tutte le motivazioni della crisi Russia-Ucraina) ci sia anche l’atteggiamento delle varie amministrazioni Usa che hanno sempre snobbato Mosca non volendo considerarla un interlocutore fondamentale. Così da partner strategico che era dopo il crollo dell’Urss, la Russia è diventata nuovamente avversario. E questo anche grazie al contributo dell’ex agente del Kgb che non ha certo fatto tutto il possibile per evitare di inasprire le relazioni. Vediamo sui singoli punti la situazione e cosa vuole veramente la Russia da noi.

Missili e scudi strategici
Risale all’inizio della presidenza Putin il venir meno di quell’equilibrio che aveva assicurato la pace anche durante la guerra fredda. Il motivo ufficiale era la difesa dal lancio di ordigni da parte di Corea del Nord e Iran. Ma lo scudo difensivo che gli Usa decisero di installare in Polonia e Repubblica Ceca (poi Romania) e che si sta finendo di realizzare, di fatto riduce la sicurezza russa perché può anche intercettare eventuali armi nucleari lanciate da Mosca in risposta a un teorico attacco americano con missili intercontinentali. Le preoccupazioni russe sono all’origine dell’abbandono dei vari tavoli negoziali. Poi gli Usa sono unilateralmente usciti da accordi sugli armamenti accusando la Russia di averli già violati.

Truppe al confine
L’attuale situazione in realtà si trascina da un anno. Dodici mesi fa la Russia iniziò grandi manovre a Occidente ma, secondo quanto ha sempre sostenuto il Cremlino, in risposta a iniziative Nato. Effettivamente a Bruxelles si era deciso di creare una forza di intervento rapida e di spostare a rotazione militari di vari Paesi membri sul territorio di ex nazioni satelliti dell’Urss o repubbliche della stessa Unione Sovietica (Paesi baltici). Le ultime iniziative in questo campo sono di questi giorni: l’Ucraina ha iniziato manovre militari e la Russia si è messa d’accordo con la Bielorussia per nuove esercitazioni.

Allargamento Nato
Ci fu certamente una promessa americana fatta ai tempi di Gorbaciov, ma fu solo verbale. Man mano che vari Paesi ex Urss (i baltici) o del Patto di Varsavia entravano nell’Alleanza, la Russia ha protestato ma senza alcun effetto. È vero però che la Nato non ha spostato a est armamenti nucleari. Oggi Mosca chiede che per iscritto si codifichi che Ucraina e Georgia non entreranno. Washington non può dichiararlo ufficialmente (ogni Paese deve essere libero di decidere delle sue alleanze, eccetera) ma nei fatti l’allargamento a questi due Paesi è oggi impossibile. Se non altro perché entrambi hanno conflitti aperti (Ossezia e Abkhazia per la Georgia; Crimea e Donbass per l’Ucraina) che non possono essere accettati in base al testo sull’allargamento della stessa Nato del 1999.

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Sofia Goggia d’argento alle Olimpiadi di Pechino, bronzo Delago e oro Suter

martedì, Febbraio 15th, 2022

di Daniele Sparisci, inviato a Yanqing

Due italiane sul podio nella discesa libera femminile, l’impresa incredibile di oggi della campionessa di Bergamo a 23 giorni dall’infortunio di Cortina. Terzo posto a sorpresa della gardenese

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Sofia Goggia, Corinne Suter, Nadia Delago (Ap)

Italia da sogno nella discesa libera olimpica di Pechino, arrivano due medaglie in un colpo solo. Le montagne di Yanqing esplodono di gioia, parte il po-po-po-po nel parterre, la squadra azzurra urla e si unisce in un abbraccio infinito. Argento di Sofia Goggia ed è un’impresa clamorosa a 23 giorni dall’infortunio di Cortina. E bronzo di Nadia Delago, l’outisider che dopo tante mancate promesse piazza il colpo della vita.

L’oro è andato alla campionessa Mondiale, la svizzera Corinne Suter . L’unica in grado di dar fastidio alle Frecce Tricolori con una sciata perfetta nella parte più tecnica e anche in quella più veloce. Dal 2002 due sciatrici azzurre non salivano insieme su un podio olimpico (da Salt Lake City, Daniela Ceccarelli e Karen Putzer), in discesa non era mai successo.

Quando vede il tempo di Corinne sul monitor Sofia sbuffa: voleva l’oro, voleva difendere il titolo olimpico conquistato a Pyeongchang quattro anni fa. Se la gamba sinistra fosse stata al 100% lo avrebbe tenuto a mani basse, ma questo podio è comunque un miracolo costruito sulla volontà, sul coraggio, su un fisico d’acciaio capace di rialzarsi dopo tante cadute e tante operazioni.

Goggia si conferma una fuoriclasse assoluta sugli sci e di testa, aveva buone sensazioni alla vigilia, ha scosso «The Rock» con un ritmo esagerato. Soltanto una come lei poteva riuscirci, le medaglie dello sci arrivano tutte dalla ragazze, tre con l’argento di Federica Brignone.

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Non cediamo all’ansia di bruciare le tappe

lunedì, Febbraio 14th, 2022

Antonella Viola

Alcune regioni del mondo, tra cui l’Europa e gli Stati Uniti, stanno lasciando la fase più acuta della pandemia per avvicinarsi, si spera, ad una nuova fase di convivenza con il SARS-CoV-2. Il merito di questa situazione e delle previsioni positive per i prossimi mesi è dei vaccini che sono riusciti, anche di fronte ad una variante contagiosissima come Omicron, a limitare il numero di decessi e dei ricoveri. La speranza è quindi che il virus non cambi in peggio e che le vaccinazioni continuino a permetterci una gestione più o meno normale della società, consentendoci di rinunciare gradualmente anche a mascherine e green pass. Tuttavia, con l’arrivo del prossimo autunno, lo scenario potrebbe cambiare se, nonostante le terze dosi, non si riuscisse ad ottenere una protezione duratura. Un recentissimo studio effettuato negli Stati Uniti ha evidenziato come l’efficacia dei vaccini, anche con un ciclo di tre dosi, cali nel tempo. In particolare, lo studio ha osservato che l’efficacia della terza dose nell’evitare ai pazienti l’ospedalizzazione si riduce, dopo 4 mesi, dal 91% al 78%. Questo dato, che aveva già spinto Israele a iniziare la somministrazione della quarta dose di vaccino, suggerisce che il richiamo con un’ulteriore dose sarà necessario anche da noi, se non altro nei soggetti fragili, con tempi che andranno valutati sulla base del rischio epidemiologico.

L’altra ragione che non ci permette di dimenticarci di virus, mascherine e green pass è legato alla mancanza di un vaccino per i bambini sotto i 5 anni di età. Nell’ultima fase di questa nuova ondata, i bambini sono stati molto colpiti dal virus e gli ospedali pediatrici hanno sperimentato una pressione che non c’era stata in precedenza. Lo stesso è accaduto in altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti, al punto che i medici avevano richiesto a gran voce che si accelerasse il processo di revisione e approvazione del vaccino Pfizer dedicato ai bambini tra i 6 mesi e i 4 anni. Tuttavia, i dati che Pfizer ha raccolto con il suo studio clinico dedicato a questa fascia di età non sono convincenti. Sebbene le due dosi di vaccino, con un contenuto di mRNA dieci volte più basso rispetto alle dosi per gli adulti, si siano dimostrate sicure, l’efficacia nel prevenire infezione e malattia è risultata bassa, particolarmente per i bambini tra i 2 e i 4 anni. Per questa ragione, Pfizer ha avviato una sperimentazione con una dose ulteriore, ma i risultati non saranno disponibili prima di aprile. L’agenzia regolatoria FDA ha quindi sospeso il giudizio sul vaccino e rimandato la decisione alla tarda primavera, quando saranno disponibili i nuovi dati basati su un ciclo di tre dosi. Questa è chiaramente una brutta notizia perché significa che i bambini di tutto il mondo non potranno essere protetti prima dell’autunno e sarebbero quindi nuovamente a rischio qualora il virus dovesse riprendere forza.

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Il prezzo della guerra: Italia, il conto più alto

lunedì, Febbraio 14th, 2022

Alessandro De Angelis

Non è un mistero che dentro la maggioranza di governo convivano posizioni diverse sui rapporti con la Russia, e dunque sulla crisi ucraina, destinate ad acuirsi in caso di escalation con chi, già oggi, chiede rapporti bilaterali con Putin fuori dal quadro di azione europea. Così come l’aggravarsi della crisi energetica conseguente è destinata ad acuire le differenze, invece, con i Cinque stelle in merito all’aumento delle estrazioni di gas sul territorio nazionale.

In attesa di capire se siamo di fronte a una sorta di nuova crisi di Cuba, destinata a rientrare grazie anche all’effetto calmierante delle Olimpiadi cinesi, l’Ucraina disvela un’assenza di protagonismo italiano, che va oltre la prudenza. E lo stesso vale per la Libia, che sta precipitando verso lo scenario di una sua “spartizione” in zone di influenza: una filo-turca, con il governo a Tripoli, l’altra filo russo-egiziana, con il governo a Bengasi. Una catastrofe strategica nel Mediterraneo, per l’Europa e per l’Italia, dalle conseguenze imponenti per i flussi migratori (e infatti gli sbarchi a Lampedusa sono ripresi nonostante la stagione), la questione energetica, la sicurezza sanitaria.

La riscoperta dell’interconnessione del mondo non più solo virale – anche la questione energetica è innanzitutto geopolitica – coincide con la scoperta di una disconnessione italica, che fatica a vivere la dimensione internazionale oltre lo spread e il Pnrr. Non sarà impresa facile per Draghi, che ha un’emergenza oggettiva da affrontare, il collasso partitico su cui navigare e, parafrasando Woody Allen, nemmeno lui si sente tanto bene, nel senso che, dopo il travaglio quirinalizio, per uscire più forte deve dimostrare di avere, più che il fastidioso rigetto del tecnico verso un mondo che a sua volta ne ha rigettato l’ascesa, capacità di guida politica superiore alla politica in crisi. Venuti meno il Great Game quirinalizio e l’angoscia da Covid, vero collante collettivo degli ultimi anni, si gioca su questo la terza fase del premier, dopo quella dell’uomo della provvidenza, chiamato a salvare il paese sul default della politica e quella del Colle, segnata dal dominio della mediazione, ai tempi dell’auto-candidatura che ha rivitalizzato il potere negoziale dei partiti.

E se il tentativo di rilancio è legato al recupero della prima, la riuscita è legata a come si approccerà al nuovo contesto, radicalmente mutato nei suoi assi portanti. Oggettivi: e cioè il quadro internazionale, più impegnativo rispetto alle previsioni in termini geopolitici ed economici, e quello nazionale, segnato da un nuovo capitolo dello sfarinamento dei partiti. E soggettivi: come cioè si porrà verso la politica, perché un conto è rimanere fuori dal gorgo degli schieramenti che verranno, altro è la funzione di indirizzo e il rapporto col paese, adesso che col Colle si è chiusa la fase del “tecnico prestato”.

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