Archive for Febbraio, 2022

Fontana: “L’atlantismo non si discute, ma il vero nemico è la Cina”

lunedì, Febbraio 14th, 2022

Alessandro Di Matteo

La collocazione internazionale dell’Italia non è in discussione, l’atlantismo è un punto cardine e la Lega è anche disponibile a valutare le eventuali sanzioni nei confronti della Russia, a patto che non siano un «boomerang» economico per l’Italia. Lorenzo Fontana – vicesegretario federale e responsabile esteri della Lega – è convinto però che si debba ancora tentare la strada del «dialogo» e chiede che anche l’Italia sia meno «silente» nella controversia tra Washington e Mosca.

Innanzitutto, è ancora convinto che la Russia non invaderà l’Ucraina?

«Secondo me la guerra non la vuole nessuno in realtà, ma purtroppo questo non vuol dire che poi non capiti comunque. Io credo che nessuno abbia interesse a fare una vera e propria guerra, e di certo spero che non succeda nulla perché una guerra sarebbe una catastrofe, per l’Europa e per tutti».

L’Europa avrebbe potuto avere un maggiore ruolo negoziale?

«L’Europa purtroppo dal punto di vista geopolitico non esiste. Dobbiamo prenderne atto, si è visto un ruolo di Macron, si è visto quanto manchi la Merkel alla Germania. E anche l’Italia, secondo me, è stata un po’ troppo silente, per gli interessi economici che ha: la totalità del gas che usiamo passa dall’Ucraina. Bisognerebbe cercare una mediazione».

Vuol dire che Mario Draghi si è mosso poco?

«In generale ho visto un’Italia un po’ silente. Poi non mi permetto di giudicare, io non so tutto, parlo in base a quello che vedo sui canali ufficiali e magari c’è stato un lavoro non ufficiale… Però questo ruolo in questi giorni dobbiamo cercare di usarlo nel migliore dei modi perché un conflitto per noi potrebbe avere un effetto devastante».

Sicuramente l’Italia deve tenere conto della sua appartenenza alla Nato. E l’amicizia della Lega con la Russia è guardata con diffidenza.

«Io personalmente non sono mai stato in Russia… L’atlantismo non è in discussione e non cambierà. Detto questo, abbiamo rapporti commerciali importanti con la Russia e per questo abbiamo interesse a mediare. Ma pure gli Usa hanno interesse ad una composizione, la vera sfida è con la Cina. Io penso che anche a Biden non sfugga questa cosa. Questa situazione sta spingendo la Russia nelle braccia della Cina. Avere un rapporto con la Russia non significa essere deboli, ma agire per evitare conflitti che sarebbero gravissimi. Il che – ripeto – non significa cambiare sfere di influenza».

Se verranno decise sanzioni contro la Russia la Lega che posizione avrà?

«L’unica cosa che mi preme è questa: fare attenzione perché l’altra volta le sanzioni sono state una mazzata per la nostra economia, l’Italia perse un miliardo di euro l’anno, soprattutto per le imprese del nord-est. Le sanzioni ci possono stare, non sono assolutamente contrario, ma facciamo in modo che non ci tornino come un boomerang. Se si trova una quadra, garantendo che l’Ucraina non entri nella Nato nei prossimi anni e assicurando zone di autonomia nella regione est del paese, i margini per un accordo secondo me ci sono»

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Super Bowl all’ultimo respiro: i Los Angeles Rams sono i campioni Nfl, Cincinnati Bengals battuti 23-20

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Giovanni Marino

Con una disperata rimonta i Los Angeles Rams hanno vinto il Super Bowl, disputato sul loro terreno, battendo 23-20 i Cincinnati Bengals. La cronaca di un match emozionante sino alla fine.

Il primo touchdown della finale arriva al secondo drive d’attacco dei Rams che sfruttano al massimo una precedente e troppo audace scelta offensiva dei Bengals. Cincinnati decide di giocare un quarto down, ma non va da nessuna parte e riconsegna palla a Los Angeles in una favorevole zona di campo.

Palla ai Rams dunque e fondamentale terzo down di Kupp. Poi Stafford è perfetto nel trovare Odell Beckham junior per i sei punti che aprono il match. Il kicker realizza e a 6 minuti e 22 secondi dalla fine del primo quarto i Rams sono in vantaggio 7-0.

Burrow sembra impacciato, i primi due drive sono da dimenticare. Sta per finire il primo quarto e torna in campo. Deve dare un segnale per lui e i suoi Bengals. Lo fa con uno splendido lancio lungo e profondo per il suo target preferito, Chase. Il formidabile ricevitore batte Ramsey e in tuffo con la mano destra ghermisce la traiettoria. Cincinnati è vicina al touchdown, ma un drop di Mixon prima e uno splendido intervento difensivo di Ramsey dopo lo impediscono. I Bengals devono accontentarsi di un field goal. Il primo quarto dice: Rams 7 Bengals 3.

Il secondo quarto si apre con un terzo down ancora decisivo: ma la connection Stafford-Beckham funziona alla grande e da lì i Rams prendono lo slancio per andare a segno. Stafford trova Kupp liberissimo in end zone. Ma subito dopo i Rams pasticciano sul punto addizionale. Punteggio: 13-3 per LA.

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Il dovere del Parlamento

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Luciano Violante

Alla fine di marzo l’Aula di Montecitorio dovrebbe cominciare l’esame della riforma dell’ordinamento giudiziario. I partiti intendono discuterla e hanno guadagnato l’impegno del governo a non apporre la fiducia. Su temi così rilevanti, che attengono allo statuto di un potere dello Stato, è giusto che ciascuna forza politica presenti al dibattito la propria visione dei problemi e le proprie soluzioni.


Un potere dello Stato, il Parlamento, interverrà sullo statuto di un altro potere dello Stato, la magistratura. Quando discute e approva leggi, il Parlamento esercita la propria sovranità. I vincoli della sovranità sono particolarmente stringenti quando vengono prodotte regole che riguardano un altro potere dello Stato. In questi casi bisogna essere all’altezza del compito nei confronti della storia costituzionale e della opinione pubblica. L’obbiettivo è il recupero di credibilità della magistratura attraverso la ricostruzione di un nuovo equilibrio tra indipendenza e responsabilità. È in gioco anche la credibilità del Parlamento. Se su una materia di questa delicatezza le Camere legiferassero in modo scomposto, sarebbe inevitabile la perdita di fiducia. Se legiferassero male, tra litigi e senza dar prova di essere consapevoli dei valori in gioco, se apparisse che intendono celebrare vendette o consacrare umiliazioni, la politica subirebbe un’altra sconfitta perché si sarebbe dimostrata inadeguata al compito.

I temi sono certamente difficili; ma proprio sui temi difficili la politica è chiamata a dar prova di essere consapevole dei propri doveri. La questione più delicata riguarda il sistema elettorale del Csm. L’obbiettivo comune a tutti è la eliminazione del peso improprio delle correnti, per garantire la indipendenza del singolo magistrato da centri di potere interni al Csm. Occorre chiarire una questione chiave. Al Csm la Costituzione non attribuisce alcuna funzione di governo della magistratura-istituzione; affida invece, e nel rispetto delle norme dell’ordinamento giudiziario, tutte le decisioni che riguardano la vita professionale dei singoli magistrati. E solo queste. Pertanto non si deve eleggere una maggioranza, ma una rappresentanza, il più vasta possibile, delle opinioni interne alla magistratura, che si intreccerà con la rappresentanza delle opinioni sulla giustizia presenti nella società e nel mondo politico, espressa dai componenti eletti dal Parlamento.

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Giustizia, non solo riforma del Csm: dalle carriere alla Severino c’è l’incognita referendum

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Liliana Milella

Le coincidenze possono essere assai malandrine. Stavolta, tra referendum radical-leghisti sulla giustizia e legge di riforma del Csm, il diavolo ci ha proprio messo la coda. E basta un’occhiata al calendario per averne conferma. Tra domani e mercoledì i 15 giudici della Consulta affronteranno il dossier sui referendum presentati a doppia firma dalla Lega e dai Radicali. Decideranno se sono ammissibili. Dozzine di volte Matteo Salvini e Giulia Bongiorno hanno ripetuto che il voto degli italiani può cambiare il destino della politica della giustizia. E allora cosa può accadere alla legge sul Csm se la Corte licenzia tutti, o la maggior parte, dei sei referendum? Inevitabile un impatto mediatico con conseguenze politiche, perché in vista del voto – aprile o i primi di maggio – si scatenerà un’imponente propaganda radical-leghista. Proprio mentre la Camera discute la legge sul Csm (in aula a fine marzo). Dei sei referendum ce ne sono due che possono influire. Il quesito sulla separazione delle carriere e quello sulla responsabilità civile dei giudici. Il primo ha un effetto specifico sul testo. Il secondo ne ha uno politico. Perché se, com’è accaduto nel 1987, gli italiani votano in massa sì alla responsabilità diretta delle toghe, questo suona come l’espressa richiesta di una legge molto severa contro i giudici. Quanto alle carriere, nella legge di Cartabia è scritto che una toga non può cambiare casacca più di due volte. Il referendum darebbe grande fiato al centrodestra per ridurre il passaggio a una sola volta. E la saldatura tra Lega, Fi, Azione a FdI,che già emerge con chiarezza sul sorteggio come legge elettorale, trarrebbe grande fiato dalla campagna sui referendum.

Separazione delle funzioni

Un giurista come Nello Rossi lo ha definito »il quesito più complicato e astruso». Sicuramente è quello più lungo, oltre due pagine, praticamente illeggibile per un cittadino comune per via dei riferimenti ai singoli commi di ben cinque diverse leggi. Più che di separazione delle carriere dei magistrati sarebbe corretto parlare di una separazione delle funzioni, quella di giudice e quella di pubblico ministero. L’obiettivo del quesito è cancellare del tutto la possibilità di passare da una funzione all’altra nel corso di una carriera. Oggi questo è possibile per quattro volte, ma già con la riforma Cartabia i passaggi diventano solamente due. E il centrodestra chiede di ridurli a uno soltanto. Ridurli del tutto è impossibile perché la Costituzione parla di un solo ordine.

Responsabilità civile diretta per i giudici

Nel 1987, dopo il caso Tortora, i Radicali di Pannella, Partito socialista e Partito liberale vinsero il referendum sulla responsabilità civile delle toghe, che passò addirittura con l’80,21% di sì. Ma la legge dell’anno dopo, firmata dal Guardasigilli Giuliano Vassalli, fu subito contestata dai Radicali perché non prevedeva una responsabilità “diretta” dei giudici, ma frapponeva lo scudo dello Stato, il quale poi si rivaleva economicamente sul magistrato. La legge del 2015 del ministro della Giustizia Andrea Orlando conferma il “filtro” dello Stato. Ed è proprio questo “filtro” che il nuovo referendum vuole eliminare, riproponendo la responsabilità diretta del magistrato che deve pagare di tasca sua l’eventuale condanna per l’errore giudiziario commesso.

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Crisi ucraina: l’Italia invierà alpini e bersaglieri

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Tommaso Ciriaco

I mille soldati italiani che la Nato si prepara a schierare nei battle group sul fronte Sud-Est dell’Europa fanno parte della fanteria e dei reparti meccanizzati del nostro esercito. E saranno utilizzati per l’attività di deterrenza, resa necessaria dall’escalation di Mosca nella crisi ucraina. La notizia della disponibilità italiana a rafforzare il contingente lungo il confine sud-orientale, anticipata ieri da Repubblica, si inserisce nel quadro di un crescente impegno che coinvolge le principali cancellerie europee. Ma chi sono i militari italiani che nei prossimi giorni potrebbero essere chiamati a recarsi in Ungheria – se il governo Orbán supererà alcune resistenze di queste ore – oppure in Bulgaria, che assieme a Slovacchia e Romania costituiscono il fronte su cui la Nato intende replicare il modello già applicato nei Paesi baltici? Si tratta di truppe già impegnate fino all’agosto 2021 in Afghanistan e ritirate la scorsa estate in seguito al disimpegno dagli Usa. L’altro “bacino” è quello dei militari attualmente presenti nella missione in Kosovo. Ancora più nel dettaglio: si tratta, come detto, della fanteria e dei reparti meccanizzati. Alpini e bersaglieri, in buona parte, che saranno impiegati in attività di addestramento: soprattutto esercitazioni congiunte nelle aree del confine sud-orientale. Lo scopo, come detto, è quello della deterrenza.

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Auto elettrica obbligatoria, l’Italia è ferma. Gli ostacoli in vista del 2035

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Milena Gabanelli e Rita Querzè

In Europa non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035. Ci candidiamo così a essere il primo mercato al mondo per l’auto elettrica. Nel 2030 Volkswagen prevede che il 50% delle sue vendite saranno auto elettriche, Toyota il 30%, Renault il 90% e Stellantis il 70% in Europa e il 40% negli Usa. Un cambiamento che comporta investimenti miliardari, pubblici e privati, per avviare una produzione di batterie, attrezzare il territorio con le colonnine di ricarica e aumentare enormemente la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sappiamo anche che in Italia, con lo stop al motore diesel e benzina, si perderanno oltre 70 mila posti di lavoro e, dunque, cosa stiamo facendo per creare occupazione nella mobilità emergente?

Produrre più energia verde

I veicoli elettrici circolanti oggi nel nostro Paese sono 236 mila e, stando alle previsioni comunicate a Bruxelles, diventeranno 6 milioni entro il 2030 e 19 milioni entro il 2050. Si stima che per caricare i 6 milioni di auto elettriche servano almeno 10 terawattora di energia l’anno, su un consumo complessivo di energia di 330 TWh. Per caricare invece i 19 milioni di auto elettriche nel 2050 serviranno oltre 32 TWh, ma nel frattempo il fabbisogno complessivo di sarà salito a 650 TWh annui. Significa che il caricamento delle auto elettriche nel 2030 avrà un’incidenza del 3% sul totale dei consumi di energia del Paese, mentre nel 2050 salirà al 4,9%. Un peso non eccessivamente oneroso, il vero punto è che per reggere la transizione occorre raddoppiare la disponibilità di energia, poiché tutto funzionerà con una presa di corrente, caldaie comprese. E se vogliamo che le auto elettriche siano a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili. Già oggi il nostro mix energetico è tra i migliori in Europa con il 38% dell’energia che viene da rinnovabili, ma per arrivare al 72% entro il 2030, è cruciale attuare da subito i piani del Mite.

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Ucraina, il generale Allen: «È la nuova guerra del XXI secolo, cyber, mediatica e sul terreno. Mosca l’ha già iniziata»

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Viviana Mazza

L’ex comandante in Afghanistan: l’America è tornata in Europa, se invade ci siamo. Mosca? E’ il junior partner di Pechino

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Mentre molti si interrogano se e quando scoppierà la guerra in Ucraina, John Allen, presidente del Brookings Institution — il maggiore think tank Usa — ed ex comandante delle forze Nato in Afghanistan, spiega che il conflitto è per molti aspetti già iniziato.

Generale Allen, come valuta gli avvertimenti dell’Amministrazione Biden che l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe iniziare a giorni e che non è escluso che Kiev venga bombardata?
«Innanzitutto bisogna ricordare che l’Ucraina non costituisce alcuna minaccia per la Russia e che questa crisi è artificiosamente creata da Putin e dagli oligarchi per fare quel che stanno facendo. Possiamo fare speculazioni su un attacco sulla capitale, ma solo i russi lo sanno. Se intendono compiere un’operazione decisiva nel “dominio fisico” per abbattere la resistenza dell’Ucraina piuttosto rapidamente, la logica potrebbe indicare un attacco per “decapitare” il “comando e controllo”. Non so cosa faranno ma ricordiamo che l’Ucraina è già sotto attacco da mesi nel dominio cibernetico e in quello dell’informazione. Nel XXI secolo le guerre si combattono in domini multipli e quello fisico, tradizionale, con gli aerei che sganciano bombe, i missili, i carri armati, le navi e i sottomarini è solo uno di essi. Ma per molti aspetti i domini chiave dei conflitti del XXI secolo sono quelli dell’informazione (per controllare la narrazione) e del cyberspazio, sfruttando il fatto che i Paesi sviluppati dipendono da esso per la coesione sociale e la qualità della vita (servizi medici, transazioni finanziarie, istruzione, autostrade, aeroporti). Questi domini sono già sotto attacco da parte dei russi».

Crede che la strategia di Biden di rivelare in modo aggressivo l’intelligence sui piani russi, come non avveniva forse dai tempi della crisi dei missili a Cuba, sia sufficiente come deterrente contro Putin?
«I russi hanno creduto a lungo di poter operare impunemente nei domini cibernetico e dell’informazione, che saranno sempre più importanti per gli autocrati nel XXI secolo. Hanno cercato per anni di destabilizzare le democrazie, inclusi gli Stati Uniti e l’Italia. Quello che vedete adesso è che gli Stati Uniti stanno contestando la Russia in questi spazi. Non intendiamo intervenire nel dominio fisico per conto degli ucraini ma non permettiamo che i russi agiscano impunemente negli altri due. Sotto alcuni aspetti si tratta di una strategia senza precedenti se la paragoniamo alle azioni che avremmo intrapreso nel XX secolo, ma questo è un tipico conflitto multi-dominio del XXI secolo».

Gideon Rachman sul «Financial Times» pone il dubbio se si stia negoziando con «Putin il razionale» o con «Vlad the Mad» (il pazzo).
«Io non penso che Putin sia instabile, irrazionale o pazzo, e ritengo che sia un errore giudicarlo tale. Credo che Putin capisca l’Occidente probabilmente meglio di quanto noi capiamo lui. Solo lui sa che cosa può funzionare come deterrente.

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Biden e l’Ucraina, il piano B per evitare la guerra: patto con Putin sull’Europa di domani

lunedì, Febbraio 14th, 2022

di Federico Rampini

«Helsinki 2»: un accordo sulla ritirata atlantica dall’Est del continente. Tra i fautori del compromesso anche McFaul, ex ambasciatore di Barack Obama in Russia

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Joe Biden ha un piano B per evitare la guerra in Ucraina? In apparenza il presidente americano sta cercando di evitare una nuova Kabul, con il suo appello ai cittadini americani perché lascino l’Ucraina, e l’avvertimento che non manderà militari ad evacuarli. Il crescendo di allarme della Casa Bianca è anche parte di una guerra delle notizie: i continui annunci sulla data e le modalità di un attacco russo cercano di destabilizzare i piani di Vladimir Putin. Dietro le quinte accade dell’altro. Voci autorevoli cominciano a immaginare quali concessioni potrebbero placare Putin e inaugurare un periodo di tregua in Europa. Tra i fautori di un compromesso si segnalano l’ex ambasciatore di Barack Obama in Russia; due tra i maggiori think tank strategici ascoltati dalla Casa Bianca; diverse analisi sulle riviste geopolitiche dell’establishment americano come Foreign Affairs e Foreign Policy .

Il punto di partenza è una diagnosi lucida dei rapporti di forze
. A fronte degli oltre centomila militari russi schierati sul confine, che cosa oppone l’Occidente? Al di là dell’apparente coesione Nato, la realtà non è confortante. Essendosi legata alla Russia con una dipendenza energetica soverchiante (il 55% del suo gas viene da Mosca), la Germania non è poi così solidale con gli alleati atlantici come si vorrebbe. La settimana scorsa il neo cancelliere Olaf Scholz ha incontrato Biden a Washington. Al momento di annunciare se un attacco russo segnerebbe la fine del gasdotto Nord Stream 2, Scholz ha fatto una penosa scena muta, che solo gli ottimisti hanno interpretato come un’adesione alle minacce di sanzioni americane. Se una parte della Germania è tentata dalla «finlandizzazione», cioè da una neutralità fra Est e Ovest, a maggior ragione si capisce la riluttanza di Biden. Il presidente americano ha escluso di mandare soldati americani a combattere in Ucraina. Perché dei giovani americani dovrebbero rischiare la vita, mentre la ricca Germania manda solo… degli elmetti all’esercito ucraino? È in questo scenario che il partito del compromesso esce allo scoperto.

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Michael McFaul, che fu ambasciatore a Mosca per Obama
, sostiene che «solo un grande patto con Putin può evitare la guerra». L’ex diplomatico non è ottimista, considera inaccettabili le richieste della Russia: cioè che la Nato chiuda per sempre le sue porte all’Ucraina, e tolga truppe e armi dai Paesi che vi hanno aderito dopo il maggio 1997. Si tratterebbe di una ritirata atlantica dall’Europa dell’Est, una restituzione di quei Paesi alla sfera d’influenza che fu sovietica. Quelle richieste sono così estreme che possono sembrare «giustificazioni per la guerra, più che basi per un negoziato».

Ma la guerra non è un’opzione facile neanche per Vladimir Putin
. Incontrerebbe una resistenza e dovrebbe giustificare massacri di un popolo ucraino che lui stesso descrive come parte della storia russa. McFaul lancia l’idea di un «Helsinki 2», un grande accordo multilaterale che offra garanzie reciproche ai russi e agli europei. Il richiamo storico è interessante perché il primo accordo di Helsinki avvenne negli anni Settanta, quando l’Urss sembrava in ascesa e l’America in difficoltà. Quell’accordo, stabilizzando l’Europa, non si rivelò un cattivo affare: alla lunga facilitò l’avanzata della libertà a Est.

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Una nuova variante? Ecco quanto è probabile

domenica, Febbraio 13th, 2022

Alessandro Ferro

Le notizie quotidiane sull’andamento del virus migliorano: calano i contagi, l’indice Rt ma soprattutto ricoverati nei reparti ordinari e negli ospedali. Ottime notizie si, ma c’è sempre chi invita alla prudenza: lo fa il Centro europeo per le malattie, Ecdc, che raffredda gli entusiasmi e chiede di non abbandonare subito le misure restrittive. Una nuova variante, nel prossimo futuro, non è del tutto esclusa.

Cosa potrà succedere

Lo ha fatto capire il prof. Mario Clerici, ordinario di Immunologia all’Università Statale di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, intervistato dal Corriere della Sera. “Nessuno di noi può dire quello che succederà nel futuro. Soprattutto perché questo è un virus così strano che ci pone continuamente di fronte a sfide”. Insomma, attenzione a non rilassarci troppo, questo virus è diverso da tutti gli altri visti finora nella breve storia recente della virologia. Nei precedenti casi, almeno 6-7, in cui un coronavirus ha fatto il salto di specie sull’uomo, dopo una fase acuta si è osservata una fase “molto più lieve. Quindi se ci basiamo su quello che è successo con tutti gli altri coronavirus è abbastanza logico supporre, sperare, che avverrà la stessa cosa anche con questo”, sottolinea l’immunologo.

Il rischio di una nuova variante

Il prof. Clerici ha spiegato che, per poter convivere con l’uomo, ogni virus ha bisogno di “adattarsi”, un po’ come succede con il virus influenzale che esiste da chissà quanti anni ed ogni anno muta, leggermente, per poter continuare a provocare influenza, febbre, tosse e i sintomi che conosciamo da sempre. Anche il Covid-19, probabilmente, non sfuggirà a questa regola. “Basandoci sulla biologia delle infezioni virali, c’è la possibilità teorica che emerga una variante più pericolosa ma è molto più probabile che emergano altre varianti sempre meno pericolose. Anche perché le varianti vanno a impattare su una popolazione grazie al cielo sempre più vaccinata”, sottolinea Clerici.

“Il concetto di One Healt”

Come anticipato, i salti di specie sono stati almeno sette dal 1300 ad oggi ma tre di questi sono avvenuti negli ultimi 20 anni. Il prof. spiega che questo è dovuto all’aumento di popolazione che causa un’indiretta promiscuità tra uomo e animale, ad esempio con gli allevamenti di suini. Il concetto è chiamato “One healt”, diventa sempre più facile sia il passaggio che il salto di specie. “Aumenta la popolazione, bisogna far crescere più polli piuttosto che di suini per nutrirla, i contatti sono sempre più continui”. Molto interessante, poi, il concetto di sviluppo di una mutazione, una sorta di “braccio di ferro” con l’organismo: il nostro sistema immunitario combatte il nemico ma “la risposta immune non è mai in grado di uccidere del tutto il virus”: in pratica, la maggior parte dei virus che ci infettano ci tengono compagnia per sempre, in “silenzio” perché controllati dal nostro sistema immune ma, ad esempio, quello dell’herpes ogni tanti riappare. “Non perché si ha un nuovo contatto con il virus, ma perché il virus è sempre presente”, sottolinea Clerici.

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Draghi compie un anno. La partita più dura arriva ora

domenica, Febbraio 13th, 2022

Paolo Bracalini

Un anno esatto di Draghi a Palazzo Chigi. I sondaggi dicono che il consenso per l’ex presidente della Bce resta ancora alto, al 60% secondo YouTrend, al 53% per Demopolis. Un ottimo piazzamento se si considerano le fugaci parabole di altri premier tecnici suoi predecessori, come Mario Monti, salutato come il salvatore della Patria al suo insediamento ma già impopolare (per non dire detestato) dopo appena sei mesi di governo. Nel caso di Draghi l’opinione pubblica – raccontano sempre le rilevazioni- considera a buon punto il primo obiettivo che si era dato (e che Mattarella gli aveva assegnato chiamandolo per la mission impossible di fare un governo con quasi tutti dentro, da Leu alla Lega), cioè l’uscita dall’incubo Covid. La data formale è il prossimo 31 marzo, con la fine dello stato di emergenza, ma se l’accelerazione sul super green pass non è stata condivisa da molti italiani, rispetto al caos della gestione Conte-Arcuri (tra mascherine introvabili, ritardi negli approvvigionamenti, lockdown devastanti, banchi a rotelle e scuole chiuse), è indubbio che la campagna vaccinale sotto il governo Draghi – con l’88% di vaccinati – abbia avuto successo. Non a caso una delle primissime decisioni prese dal premier è stata quella di silurare Arcuri e affidare il coordinamento dell’emergenza Covid a un militare, il generale Figliuolo. Insieme a quella di mettersi in prima linea per convincere gli italiani a vaccinarsi, anche in maniera cruda («L’appello a non vaccinarsi è l’appello a morire» disse in una conferenza stampa). La linea inflessibile sui vaccini gli è costata qualche turbolenza nella maggioranza, specie in area Lega, ma alla fine senza nessuno strappo. Non è quello sanitario il fronte più complicato con cui Draghi deve misurarsi, ma quello economico.

L’altro obiettivo del suo governo, la ripartenza del Paese con il Pnrr, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza, è ancora tutto sulla carta. L’Europa vede in lui una garanzia per l’impiego fruttuoso dei 220 miliardi messi a disposizione per finanziare progetti ben definiti in una vasto ventaglio di settori, dalle infrastrutture alla sanità. Progetti, però, ancora in fase embrionale. La credibilità del suo esecutivo è legata soprattutto all’autorevolezza del personaggio Draghi, più che alle cose fatte. La riforma della giustizia affronta solo in minima parte i problemi emersi dagli scandali della magistratura italiana e del suo organo di autogoverno, il Csm dilaniato dalle correnti. Il governo Draghi in un anno non ha aumentato le tasse («In questo momento i soldi si danno e non si prendono» altra sua frase), e in Italia è già qualcosa. Ma nell’aria c’è una riforma del catasto che potrebbe gettare le basi per una futura mazzata sugli immobili, mentre la riforma fiscale ha sì ridotto le aliquote della classe media, ma il risparmio fiscale sarà più simbolico che altro. Con l’assegno unico per i figli, alla fine, molti genitori ci rimetteranno rispetto alle vecchie detrazioni. Mentre sul reddito di cittadinanza, inutile e dannoso, Draghi ha dovuto pagare dazio al partito di maggioranza relativa, il M5s, e confermarlo.

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