Archive for Marzo 10th, 2022

Ernesto Galli della Loggia: “Si scrive carneficina ma si legge resistenza”

giovedì, Marzo 10th, 2022

di  Alessandro De Angelis

Professor Galli della Loggia, questa è un’intervista sul cosiddetto “realismo”. Quelli che dicono “a che serve prolungare la carneficina”, anche mandando armi all’Ucraina, meglio trattare con Putin. È semplicemente una riedizione dello spirito di Monaco o qualcosa di più complesso?

Diamo un nome alle cose. La carneficina si può chiamare anche resistenza. A che serve la resistenza? A logorare le forze del nemico, cosa che mi pare stia accadendo. Se i russi non sono lì a dettare le condizioni è perché c’è stata la carneficina. E combattere implica anche che si possa morire, ma vale per entrambe le parti. Sappiamo poco dei numeri della carneficina dei russi che però pesa eccome, perché Putin non può sopportare più di tanto i morti, senza che qualcosa inizi a scricchiolare, come trapela a proposito di segnali di insofferenza interni anche nell’organismo militare.

Sempre lì si torna, alla resistenza come presupposto della trattativa.

Qui c’è un punto veramente bislacco su questo “trattiamo”, senza che peraltro Putin sembri averne molte intenzioni. Essendo gli ucraini quelli che resistono sono loro i padroni della trattativa. Sono loro che bisogna ascoltare prima di avviare qualunque trattativa. Si può immaginare che qualcuno tratti a nome loro, i quali peraltro è da giorni che con i russi trattano, con i risultati che vediamo? In verità l’idea, per come è formulata, sottintende una cosa loschissima: noi trattiamo con Putin per ridurre il nostro aiuto alla resistenza. Così gli ucraini, indeboliti, sono in qualche modo costretti a cedere e noi facciamo bella figura.

Ci vede anche un eccesso di “politicismo”, anche molto italiano, neanche fosse una crisi di governo? “Mandiamo la Merkel”, “apriamo il tavolo”, che poi non si capisce perché dovrebbe riuscire la Merkel dove non ce l’hanno fatta Scholz e Macron.

Non è un eccesso di politicismo, sono pure corbellerie. Perché la Merkel dovrebbe accettare, col rischio di andare a sbattere contro un muro e giocarsi immagine e storia personale? E poi perché dovrebbe riuscire dove altri hanno fallito, peraltro senza rappresentare più neanche la Germania? Perché sa il russo? E perché mai il cancelliere socialdemocratico in carica dovrebbe mandare lei, la sua ex principale avversaria politica, perché dovrebbe regalare un eventuale successo alla Cdu? Lei capisce: parole in libertà.

Lei ha detto una cosa importante: sono gli ucraini i titolari del proprio destino. Quanto impatta la cultura del benessere, intesa come predisposizione a una lettura materialistica del conflitto, nel sentirci noi padroni del loro? Voglio dire: l’altra sera da Lilli Gruber era ospite un tennista ucraino, che è stato numero 31 del mondo, non ha mai preso una pistola in mano e si è arruolato, pur non sapendo sparare in nome della libertà, bene non negoziabile.

Questo esempio che lei fa riguarda innanzitutto il tema della coesione e della cultura nazionale. Il tennista va lì anche perché, se non impugna le armi, quando torna a impugnare una racchetta su un campo ucraino deve fuggire sotto una valanga di fischi. È il sentirsi nazione, comunità di destino. Poi c’è il tema della cultura della virilità: gli uomini combattono, le donne stanno a casa o mettono in salvo i bambini, una cultura che contraddice un secolo dei nostri discorsi sul gender. Per noi, che concepiamo solo il diritto di vivere è inconcepibile il dovere di combattere e del coraggio fisico, anche rischiando di farsi ammazzare. E qui l’elemento fondamentale è la religione: se credi in Dio muori più facilmente. Se togli la trascendenza divina dalla cultura diffusa di una società anche per gli atei rischiare di morire diventa più difficile perché i valori sono un universo complesso nel quale in qualche modo si tengono tutti assieme: la libertà non si mangia, è qualcosa di trascendente e il martirio ha un coté religioso. Tutta la storia culturale degli ultimi due secoli viene messa alla prova.

Domanda vasta: quanti punti di Pil siamo disposti a sacrificare per la libertà, percependo la loro libertà come la nostra, al netto della retorica del siamo tutti ucraini? Resistenza o bollette?

Bella domanda. A giudicare dal discorso che abbiamo fatto, direi pochissimi punti. Viviamo in una cultura politica dominata dall’economia e ad essa subalterna. I valori forti, ideologici – libertà, democrazia – sono stati cancellati mentre la delega a difenderli è stata assegnata al mondo anglosassone. Una cosa come l’Ucraina implica una riconversione brutale che ci trova impreparati totalmente.

Insomma professore, trent’anni dopo l’89 e l’illusione della “fine della storia” si ripropone il tema di un nuovo ordine mondiale.

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Sondaggio Ixè, incubo per Lega e FdI: dove vola il Pd (con i grillini), le cifre cambiano il quadro

giovedì, Marzo 10th, 2022

Battuta d’arresto per Lega e Fratelli d’Italia. Il sondaggio di Ixè registra infatti un’ulteriore crescita da parte del Partito democratico che arriva al primo posto. La forza politica guidata da Enrico Letta raggiunge il 23,3 per cento dei consensi. Dietro il partito di Giorgia Meloni al 17,6 per cento e quello di Matteo Salvini al 17. A calare, ancora una volta, il Movimento Cinque Stelle. Con Giuseppe Conte alla guida, i grillini scivolano dritti al 14,9 per cento. Sotto ai dieci punti, invece, si mantiene Forza Italia: il partito di Silvio Berlusconi è in risalita rispetto a febbraio e raggiunge il 9,5 per cento.
Buone notizie, stando ai dati diffusi, anche per la federazione Europa-Azione. Quest’ultima risulta in salita al 5,2 per cento, mentre torna al 2,3 Europa Verde. Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni è in calo al 2,1 per cento. Stessa sorte per Italia Viva che si ferma all’1,7 per cento. 
Cifre, quelle del sondaggio di Ixè, che non devono stupire. La stessa Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, aveva registrato un calo del centrodestra. E, in particolare, di Salvini e del Carroccio. Al 2 febbraio la Lega perdeva l’1.8 per cento registrando il 16,7 per cento dei consensi e tornando al di sotto di quanto preso alle politiche del 2018.

LIBERO.IT

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Federico Rampini a Stasera Italia: “A Kiev combattono per noi, a Putin non basta l’Ucraina”. Se lasciamo fare lo zar…

giovedì, Marzo 10th, 2022

Federico Rampini, ospite di Stasera Italia su Rete 4, suona la sveglia all’Unione europea. Nella puntata di giovedì 9 marzo, a ridosso del tragico bombardamento su Mariupol, il giornalista ricorda che gli ucraini stanno “combattendo anche per la nostra libertà, non solo per la loro”. E per questo, è il suo ragionamento in collegamento con Barbara Palombelli, Kiev non può e non deve capitolare. I rischi infatti sono troppi. Secondo l’editorialista del Corriere della Sera l’Europa dovrebbe iniziare ad ascoltare seriamente Vladimir Putin.
Il presidente russo “ha già detto chiaramente che non gli basterà l’Ucraina” e ha ribadito: “Mettiamoci ad ascoltare Putin perché in passato lo abbiamo sottovalutato, non abbiamo dato retta alle sue parole”. Non a caso, riprende le sue parole, lo zar ha detto “che la Nato si deve ritirare dalla Polonia e dai paesi baltici”. Insomma, “il prossimo confine a rischio è quello”, esattamente nel cuore d’Europa dell’Alleanza atlantica con tutte le conseguenze del caso, anche quella di una possibile Terza Guerra Mondiale. 

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Beretta compra Ruag, nasce il polo della difesa da un miliardo e mezzo

giovedì, Marzo 10th, 2022

Sandra Riccio

Beretta Holding raddoppia. La storica azienda bresciana, che produce armi da fuoco leggere ma anche binocoli, visiere e puntatori laser, ha rilevato Ruag Ammutec, numero uno europeo nei proiettili di piccolo calibro, in mano a Ruag International, gruppo svizzero controllato dal governo di Berna che sta dismettendo le attività collegate alla difesa.

L’operazione rappresenta la più importante acquisizione nel settore messa a segno da un gruppo a controllo familiare: Beretta Holding è stata fondata nel 1526 a Gardone Valtrompia (Brescia) da Bartolomeo Beretta. Con questa mossa la società passerà da oltre 3 mila a oltre 6 mila dipendenti. Il fatturato crescerà dagli 810 milioni del 2020 a 1,5 miliardi. Tendenza analoga anche per i margini di guadagno con l’ebitda che salirà da 145 a circa 300 milioni. Con l’aggiunta di cinque siti produttivi (quello in Baviera da 1.600 dipendenti diventerà il più grande del gruppo) e 16 aziende operanti in 12 Paesi, saliranno ad oltre 50 le controllate della holding lussemburghese della famiglia Beretta. Il presidente e ad, Pietro Gussalli Beretta, ha parlato di momento «molto speciale nella storia del gruppo» e ha sottolineato la «perfetta complementarità» dell’acquisizione: «abbiamo le armi da fuoco e le ottiche, Ruag Ammotec ha le munizioni, praticamente nessuna sovrapposizione». Beretta si attende «importanti sinergie» sia nella distribuzione che nella ricerca. Il prezzo dell’operazione, portata a termine con un mix di cassa e debito, non è stato rivelato anche se, secondo la stampa svizzera, la valutazione di Ruag Ammontec si aggirerebbe sui 400 milioni di euro.

L’acquisizione bilancia il profilo geografico del gruppo bresciano, che genererà un’analoga quota di ricavi – circa il 45% – in Europa e negli Usa, da dove attualmente proviene quasi il 60% del fatturato. Ruag Ammotec – titolare di marchi come Rws, Norma, Rottweil, Geco e fornitore sia dell’esercito svizzero che di quello tedesco – genera due terzi dei suoi ricavi nel settore civile e la restante parte in quello militare. Beretta si è impegnata a mantenere tutti i siti produttivi e i 2.700 dipendenti. Il closing è atteso entro sei mesi, una volta ottenute le autorizzazioni governative. Il gruppo bresciano stava lavorando da tre anni all’acquisizione di Ruag.

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È un dovere accogliere l’Ucraina in Europa

giovedì, Marzo 10th, 2022

Pasquale Tridico (*)

Mentre in Ucraina si combatte e si muore, a due settimane dalla violenta aggressione della Russia contro qualsiasi principio o diritto internazionale, l’Europa si rafforza. Si è rafforzata l’idea di difesa europea, l’idea di appartenenza, si sono rafforzati i valori di libertà, i valori di autodeterminazione e poi l’idea di una pacifica convivenza, priva di aggressioni e violazioni di sovranità, che nel secondo dopoguerra si era affermata all’interno del perimetro della Comunità europea prima e dell’Unione europea dopo.

In verità, la pandemia Covid 19 aveva già risvegliato valori di solidarietà e di condivisione, portando anche alla sospensione del Patto di Stabilità, che in qualche modo incarna certi “egoismi” nazionali, e al lancio del grande Piano Next Generation Eu, con l’importante innovazione della creazione e condivisione di un debito europeo.

Oggi, però, di fronte al baratro della guerra e dell’aggressione, la spinta emotiva e valoriale è ancora più importante: non sono solo in discussone valori materiali e prosperità economica, ma gli stessi principi fondanti dell’Ue, ovvero la libertà e la pace. Libertà e pace che sono strenuamente difesi dal popolo ucraino e dal loro presidente Zelensky, che ha dimostrato non solo coraggio ma leadership e soprattutto attaccamento concreto e visibile a tali valori fondanti dell’Ue, sulla base dei quali ha giustamente avanzato, di nuovo, la richiesta di adesione immediata all’Unione europea.

Ma che cosa significa l’adesione di un nuovo paese all’Ue? I precedenti allargamenti a 11 nuovi Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, i Peco (Slovenia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia, Romania e Bulgaria tra il 2004 e il 2007, e la Croazia nel 2013), hanno rafforzato l’idea di libertà e di pace dentro il perimetro dei paesi aderenti. Con certezza possiamo affermare che l’Ue offre una visione di economia sociale all’interno della quale si sviluppano solidarietà, integrazione, welfare, diritti sociali ed economici oltre che libertà civili e diritti politici, dunque appunto pace e libertà. E questo nonostante negli ultimi anni abbiano avuto crescente spazio, all’interno di alcuni dei Peco ma anche nella vecchia Ue a 15 membri, movimenti nazionalisti e pericoli di derive autoritarie. Anzi, ciò che succede oggi in diversi paesi europei non entrati nell’Unione, dimostra che l’Ue è un vero contenitore di libertà e pace, ed è un antivirus che contrasta efficacemente derive illiberali, i cui rischi sono tutt’ora presenti. Ma senza la cornice dell’Unione europea tali rischi sarebbero divenuti, con un grado di probabilità sicuramente maggiore, autoritarismi, guerre, violazioni di sovranità, morti, sofferenze, aggressioni tra i paesi che non fossero appunto entrati nell’Ue.

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Un atroce crimine di guerra. Impossibile trattare con Putin

giovedì, Marzo 10th, 2022

Nathalie Tocci

Sifica con il susseguirsi dei canali di mediazione europei, israeliani, turchi e cinesi, così come dei negoziati diretti tra ucraini e russi. Al contempo la guerra diventa ogni giorno più violenta. Ieri a Mariupol l’esercito russo ha distrutto un ospedale pediatrico. Un atroce crimine di guerra, il più cruento dall’inizio dell’invasione. Due milioni i rifugiati in due settimane, il doppio dei siriani giunti in Europa in un anno.

E il peggio ci attende. Con ogni ora, ogni giorno, ogni settimana che passa, Vladimir Putin sarà sempre più tentato di spingersi oltre, nell’illusione omicida di «denazificare» l’Ucraina. Kharkiv e Mariupol come Aleppo; Kiev come Grozny. Lo spettro di bombe a grappolo, per non parlare di scenari ancora più terrificanti – attacchi biologici, chimici o nucleari – non sono esclusi. Così come non è esclusa l’espansione della guerra oltre i confini del Paese. Ieri il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è stato chiaro. Un attacco ai rifornimenti militari difensivi agli ucraini in territorio polacco attiverebbe l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza atlantica: un’aggressione contro uno equivale a un’aggressione contro tutti. Se la Russia attaccasse la Polonia, insomma, entreremmo direttamente in guerra.

Proprio perché l’impensabile è diventato possibile, forse addirittura probabile, la diplomazia internazionale s’infittisce. L’unico sbocco sensato di fronte all’invasione di uno Stato sovrano, il massacro crescente di civili, la distruzione di città e un esodo epocale di profughi sarebbe un «cessate il fuoco» immediato e incondizionato. Ma difficilmente saranno i canali turchi o israeliani a centrare il segno. La mediazione di questi Paesi è dettata dalla loro semi-neutralità, non dalla loro influenza. È una neutralità dovuta agli stretti legami con entrambe Mosca e Kiev e i costi insopportabili di schierarsi nettamente da una parte o dall’altra. Ma una mediazione neutrale può essere efficace solo quando le parti in conflitto si equivalgono, o quasi. Non è questo il caso. La Russia è l’invasore, l’Ucraina l’invaso, la disparità tra le forze è abissale. In questi casi l’unico tipo di mediazione efficace è una mediazione di potere, che mette in campo strumenti – più o meno coercitivi – per indurre le parti a trattare. È qui che emergono i canali europei, che fanno leva sulle sanzioni senza precedenti messe in campo dall’Occidente. È anche su questa scia che alcuni sperano nella mediazione cinese, consapevoli che se esiste un attore che può obbligare Putin a ragionare è proprio il presidente cinese Xi Jinping. Ma la Cina, nonostante abbia avanzato un’ipotesi di mediazione, non appare ad oggi disposta a esercitare alcun tipo di influenza coercitiva sulla Russia.

C’è poi la domanda politica di fondo: mediare sì, ma su che cosa? Il presidente ucraino Zelensky ha giustamente chiamato il bluff russo. Negoziare sulla Crimea? Su Donetsk e Luhansk? Sulla neutralità dell’Ucraina così come dice di volere il Cremlino? Benissimo, parliamone. È giusto essere disposto a negoziare su questo e su altro sia perché ogni via per metter fine al massacro deve essere esplorata, sia – e soprattutto – per smascherare Putin.

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Con la guerra in Ucraina, l’Europa accelera sull’esercito comune: “Attivo già dal 2023”

giovedì, Marzo 10th, 2022

dal nostro inviato Claudio Tito

STRASBURGO – La guerra in Ucraina ha cambiato lo scenario. I tempi per costruire l’Esercito europeo vanno accelerati. La “Bussola Strategica” (il documento che delinea la politica estera e militare dell’Europa) messa a punto dall’Alto Rappresentante, Josep Borrell, ha subito negli ultimi giorni delle drastiche correzioni. Con un primo passo per le Forze Armate comuni, da compiere già quest’anno. 
Nello stesso tempo è indispensabile dare la possibilità agli Stati dell’Ue di utilizzare un nuovo Fondo, un “NextGenerationEu2” per gli investimenti nella difesa e nell’energia. Questa è una settimana cruciale per l’Ue. Il consiglio europeo di oggi pomeriggio a Versailles e la riunione della Commissione della prossima settimana infatti cercheranno di far compiere ai 27 un salto verso un’Unione anche militare. Due incontri che solo formalmente sono slegati, ma uno sarà la prosecuzione dell’altro. Basta leggere l’ultima bozza, appena definita, del cosiddetto Strategic Compass che sarà varato mercoledì prossimo, per capire quanto la guerra in Ucraina stia modificando ogni scelta. “Stiamo adottando questa bussola strategica – si legge – in un momento in cui assistiamo al ritorno della guerra in Europa”. Nelle scorse settimane, soprattutto i Paesi dell’Est tra cui i polacchi, avevano chiesto di rinviare il pacchetto di Borrell. La richiesta è stata respinta: “Non è il tempo delle dilazioni”. Bruxelles, insomma, vuole lanciare un segnale. E intende farlo mettendo in campo il nucleo di un esercito europeo con tappe più stringenti rispetto all’idea originaria. Come ha voluto scrivere Borrell, “inizieremo immediatamente l’attuazione” della Bussola Strategica.
Ma cosa si intende per “immediata attuazione”? Vuol dire che già entro quest’anno saranno definiti gli “scenari operativi”. Ossia verranno indicate le aeree in cui il “Battaglione Europeo” potrà agire. E l’idea è quella di individuare uno spazio che va dai Balcani, quindi anche l’Ucraina, al Mediterraneo asiatico e all’Africa. 
Certo, resta il limite numerico di questo battaglione: solo 5 mila soldati. Ma in questo momento i tempi sembrano più importanti dei modi. Si fa così riferimento alla possibilità di mettere in “prontezza” questo primo gruppo già nel 2023. Magari anche solo per “regolari esercitazioni”. Per poi arrivare alla piena e totale operatività per la fine del 2024. Tutte date che nella precedente versione erano molto più sfumate rinviando al 2025 l’esecuzione del Pacchetto. Insomma, di fronte al pericolo russo, l’Europa cerca le contromisure. Tanto che è prevista entro un anno la definizione delle procedure per agire anche attraverso cooperazioni rafforzate (un numero ristretto di Paesi), come previsto dall’articolo 44 del Trattato sull’Ue. 

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Monumenti spenti, termosifoni bassi: il piano di emergenza del governo

giovedì, Marzo 10th, 2022

di Tommaso Ciriaco ,  Giuliano Foschini

ROMA – Spegniamo di notte i nostri monumenti, ad eccezione di quelli più famosi. Spingiamo l’interruttore delle luci che illuminano le facciate dei palazzi, riduciamo la corrette negli uffici comunali. Prepariamoci a mangiare meno pane, pasta, pizza. Abbassiamo di un grado il riscaldamento di casa. Se possibile, disattiviamo un’ora prima i termosifoni.

Non siamo in guerra. Ma prendiamo in considerazione di poter vivere qualche giorno, settimana, così. Dobbiamo tenerci pronti a uno scenario di emergenza estrema. Come questo, appunto. Lo scenario è quello che – per la prima volta – è stato disegnato in queste ore a Palazzo Chigi sul tavolo del Nisp, una sorta di gabinetto di guerra coordinato dalla Presidenza del Consiglio, insieme con ministri e vertici dell’intelligence, che ha il compito di monitorare la situazione della crisi. Prospettive delle quali già oggi si discuterà in consiglio dei ministri.

La crisi dei cereali

A mettere sul tavolo la gravità della situazione è stato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che ha aggiornato il sottosegretario alla presidenza, Roberto Garofoli, il ministro dell’Economia, Massimo Franco, quello della Transizione energetica, Roberto Cingolani di come su alcuni fronti la situazione stia precipitando: “Abbiamo grossi problemi di approvvigionamenti, come nel resto di Europa, sui mangimi e sementi per i nostri animali. C’è un problema per i rottami di acciaio e l’argilla e, più in generale, su tutto quello che arriva da Russia, Ucraina e dalla rotta Est-Ovest. Le scorte sono esaurite”. La vicenda ha un solo precedente nel 2006, proprio ai tempi di un’altra crisi tra Ucraina e Russia. Ma il fatto che oggi non si veda luce all’orizzonte, rende tutto più preoccupante. Talmente tanto che qualcuno al Mise è arrivato addirittura a ipotizzare una misura unica, il blocco dell’export. L’idea più concreta, però, è quella di orientare la vendita dei produttori italiani di materie prime verso le aziende delle nostre filiere. Anche a costo di pagare un prezzo maggiore di quello sostenuto finora. Compensando queste ultime con incentivi mirati, che però aggirino in qualche modo il divieto degli aiuti di Stato.

L’energia

Se la crisi alimentare è quella che dovrà essere affrontata già nelle prossime ore, l’aspetto che preoccupa di più è quello sul fronte energetico. Dal 27 febbraio l’Italia è in stato di preallerta, come da piano di emergenza. Nei prossimi giorni potrebbe salire il livello di crisi, passando al secondo stadio di allarme. Siamo al punto in cui sarà necessario ridurre i consumi. E le prime a cominciare dovranno essere le pubbliche amministrazioni. In una delle riunioni il ministro Cingolani ha spiegato che dovrà – se la situazione lo richiederà – essere ridotto tutto ciò che non è necessario: illuminazione dei palazzi pubblici, a partire dai monumenti minori e dagli edifici non essenziali. Riduzione del riscaldamento. I sindaci si stanno già muovendo in questo senso: chi può abbasserà già nelle prossime ore la tensione della pubblica illuminazione. Le strade saranno invece illuminate, così come i luoghi in cui esiste una esigenza di sicurezza. Stesso discorso per il riscaldamento: abbassare di un grado e, soprattutto al Sud, ridurre le ore di accensione. Su questo c’è più tempo: le scorte reggono almeno fino a maggio, si va verso l’estate, ma ci si prepara alla situazione peggiore qualora Putin già la prossima settimana interrompesse le forniture. In ogni caso, come ha spiegato ieri il premier Mario Draghi alla Camera, per ridurre la dipendenza dal gas russo si punterà sulle rinnovabili. Senza escludere il nucleare “pulito” e ha ricordato in proposito il prototipo europeo di reattore a fusione in programma nel 2028. Tutto comunque sarà deciso d’intesa con l’Europa.

La sicurezza

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Perché Pechino non salverà Putin

giovedì, Marzo 10th, 2022

di Danilo Taino

Ok, l’economia russa sta implodendo, le sanzioni occidentali l’hanno costretta in un angolo. Ma — si dice — la Cina la salverà, invece di commerciare con l’Europa, Mosca commercerà con il vicino asiatico. A parte il fatto che la Cina non è poi così vicina al cuore della Russia, a parte il fatto che è impensabile che possa essere sostitutiva del business russo in Europa, c’è il fatto che Pechino non rischierà di andare contro le sanzioni americane ed europee e indebolire ulteriormente la sua capacità di attrarre investimenti, tecnologia e competenze: già, nel gigante asiatico, si vedono i segni di una certa difficoltà. La AmCham China, cioè la Camera di Commercio americana in Cina, ha pubblicato l’atteso sondaggio che ogni anno conduce tra i suoi associati. Il 60% delle imprese Usa con attività nel Paese asiatico ritiene che la Cina sia almeno uno dei tre più importanti mercati esteri in cui operare, il 22% il primo (Usa esclusi). Solo il 47%, però, è ottimista sulla possibilità che Pechino apra ulteriormente il Paese agli investimenti esteri nei prossimi tre anni: 12 mesi fa, gli ottimisti erano il 61%. Uno dei grandi problemi delle imprese Usa è la difficoltà ad assumere e a trattenere talenti non cinesi: un guaio per il 76%, contro il 37% di un anno prima.

Il 30% delle imprese ha esperienza di candidati qualificati per essere assunti che non vogliono emigrare in Cina: l’anno scorso erano il 18%. Il 46% ritiene che i business esteri siano meno benvenuti nel Paese rispetto al 2021, mentre il 21% ritiene che siano almeno un po’ più apprezzati. Per quel che riguarda gli investimenti in Cina, il 66% delle imprese Usa dice che li aumenterà, ma il 42% dice solo tra l’uno e il 10%: tra i fattori che spingono a una maggiore prudenza nell’investire, il 35% cita l’incertezza delle politiche di Pechino, il 13% le barriere all’ingresso e le scelte del governo che svantaggiano le aziende estere, l’11% la minore crescita attesa della Cina (il premier Li Keqiang punta a un più 5,5% del Pil quest’anno).

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Intervista a Zelensky: «Non ho paura per la vita: mi protegge la mia gente»

giovedì, Marzo 10th, 2022

di Cathrin Gilbert

Intervista, via WhatsApp, al presidente ucraino. Che sul fatto di essere l’obiettivo numero 1 del Cremlino dice: «Con l’Ucraina al tuo fianco, ti senti sicuro. Questo è un principio che molti in Occidente dovrebbero imparare. Credo che la minaccia nucleare russa sia un bluff. Una cosa è agire da criminale, un’altra scegliere il suicidio»

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Presidente Zelensky, secondo quanto riferisce l’esercito ucraino, le forze russe si preparano a lanciare l’assalto a Kiev. Tra i loro obiettivi principali c’è anche quello di far fuori lei. In quale modo si sta proteggendo?
«Vivo tra la mia gente, è la migliore protezione che ci sia. Quando la Russia preparava l’invasione, Putin non poteva immaginare che gli ucraini avrebbero difeso il loro Paese con tale determinazione. Non solo pochi individui, bensì la nazione intera. Il Cremlino non pensava certamente che questa, per noi, sarebbe stata la Grande guerra patriottica — proprio come quella che l’Unione sovietica combattè contro Hitler. I collaboratori di Putin non conoscono affatto l’Ucraina. Ma noi siamo così. Con l’Ucraina al tuo fianco, ti senti al sicuro. È un principio, questo, che servirà da lezione a molti in Occidente».

Per quale motivo pensa di essere diventato il nemico numero uno di Putin?

«È il suo modo di leggere la realtà. Quando i suoi consiglieri guardano uno Stato, non vedono i cittadini».

Che cosa intende dire?

«Vedono solo il capo di Stato, vedono i politici, gli imprenditori potenti. I russi sperano di riuscire a comprarseli tutti o di spaventarli tutti. Ma siccome sanno che questi metodi non hanno presa su di me, sono passati alle minacce. Non potrebbe essere più chiaro di così».

In quali condizioni sta vivendo in questo momento?

«Può facilmente immaginarlo. Dormo pochissimo, bevo una quantità impressionante di caffè, e sono costantemente impegnato in discussioni e trattative. Sto facendo molte cose indispensabili per assicurare la difesa e la salvezza dei miei connazionali».

Ha accettato di rispondere per iscritto alle nostre domande. Il suo ufficio stampa è raggiungibile solo tramite WhatsApp e ci ha chiesto di non provare a contattarlo telefonicamente. A quanto pare, per evitare di essere localizzati dai russi.

«La mia base è in Ucraina. Mi trovo a Kiev. Non è un segreto. I quaranta milioni dei miei concittadini lo sanno».

Gli Stati Uniti le hanno offerto un passaggio per uscire dal Paese. Ha mai preso in considerazione questa possibilità?
«No. Gli americani si sono sbagliati su di me. Io resto accanto al mio popolo».

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