Archive for Marzo, 2022

Dal Covid al Gas: la sbilenca minaccia russa non inquieta l’Italia

domenica, Marzo 20th, 2022

di Giulia Belardelli

Ogni giorno che passa, la guerra d’invasione della Russia in Ucraina diventa sempre più feroce. Di pari passo, aumenta l’acredine delle dichiarazioni russe contro l’Occidente, con accuse e minacce indirizzate esplicitamente all’Italia. A lanciarle è Alexei Paramonov, direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, che in una lunga intervista all’agenzia statale russa se la prende con le sanzioni e l’invio di armi all’Ucraina da parte di alcuni Paesi europei, tra cui appunto l’Italia. Che è chiamata in causa tramite un riferimento diretto al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, lo stesso che – attacca Paramonov – inviò a Mosca “una richiesta d’aiuto” durante la prima ondata della pandemia e che ora è diventato “uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano”.

Al ministero della Difesa e a quello degli Esteri derubricano a “propaganda” le parole del diplomatico russo, sottolineando come la stessa intervista contenga attacchi ad altri Paesi europei, dalla Francia alla Spagna fino ai Paesi Bassi (con l’eccezione notevole della Germania, che pure si è espressa a favore dell’invio di armi a Kiev). E di propaganda certamente si tratta, anche se questo non sminuisce la gravità delle minacce di Mosca. Minacce che riguardano apertamente il gas russo, la fonte energetica da cui Roma sta cercando progressivamente di smarcarsi, in un percorso che si annuncia allo stesso tempo complicato e necessario, e che richiederà comunque almeno tre anni di tempo. La sola prospettiva, tuttavia, è fumo negli occhi per il presidente russo Vladimir Putin, definito oggi dal premier britannico Boris Johnson come “uno spacciatore di strada, che negli ultimi anni ha alimentato una dipendenza nei Paesi occidentali dai suoi idrocarburi”. E che ora, come ogni spacciatore che si rispetti, non sopporta che il suo acquirente cerchi modi di disintossicarsi nel tempo.

Ecco dunque il memento di Paramonov: “Data la notevole dipendenza di Roma dagli idrocarburi russi, che raggiunge il 40-45%, abbandonare i meccanismi di trasporto energetico affidabili che si sono sviluppati in molti decenni avrebbe conseguenze estremamente negative per l’economia italiana e per tutti gli italiani”, sibila il diplomatico russo. “Le sanzioni non sono una nostra scelta. Non vorremmo che la logica della dichiarazione del ministro dell’economia francese Bruno Le Maire di ‘guerra finanziaria ed economica totale’ alla Russia trovasse seguito in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili”. Si tratta, evidentemente, di una pressione su un problema reale per l’Italia, che tuttavia sa, dal canto suo, che continuare a fornire gas regolarmente per la Russia significa incassare un miliardo di euro al giorno, un contributo non marginale per finanziare lo sforzo bellico.

Gas a parte, è il riferimento alla presunta ingratitudine italiana per la “missione umanitaria” russa durante il Covid a far indignare il mondo delle istituzioni e della politica, che si mobilita con messaggi di solidarietà al ministro Guerini. In una nota il presidente del Consiglio Mario Draghi esprime “piena solidarietà” al ministro della Difesa, sottolineando come “il paragone tra l’invasione dell’Ucraina e la crisi pandemica in Italia è particolarmente odioso e inaccettabile”. “Il ministro Guerini e le Forze Armate – aggiunge il premier – sono in prima linea per difendere la sicurezza e la libertà degli italiani. A loro va il più sentito ringraziamento del Governo e mio personale”. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio commenta su Twitter: “Le continue e ripetute provocazioni delle autorità russe al governo italiano, compresa quella a Lorenzo Guerini, non ci meravigliano più. Il governo russo, invece di trascorrere le giornate minacciando, fermi la guerra in Ucraina che sta causando la morte di civili innocenti”.

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Una domanda (a noi) sulla resistenza

domenica, Marzo 20th, 2022

di Ernesto Galli della Loggia

La resistenza ucraina non può vincere. Ma non può vincere militarmente. Politicamente invece essa ha già stravinto. Cosa sarebbe accaduto invece se gli ucraini non si fossero opposti all’invasione?

C he cosa sarebbe successo se invece di rispondere con le armi all’invasione russa gli ucraini non avessero mosso un dito e avessero lasciato che l’esercito di Putin occupasse tranquillamente Kiev determinando ovviamente la caduta, e magari anche la cattura, di Zelensky? È questa la domanda che bisogna porre a coloro che continuano a esprimere dubbi sull’opportunità e sul senso della resistenza del popolo di quel Paese agli invasori. Che bisogna porre a coloro che con sussiegoso disprezzo hanno parlato addirittura di «mistica della resistenza» di cui sarebbero affetti quegli sciocchi di ucraini.

Sulla risposta alla domanda posta all’inizio è difficile avere dubbi. Non resistere avrebbe voluto dire semplicemente la vittoria totale di Putin nel giro di 48 ore e quindi la sorte dell’Ucraina alla sua mercé. E a quel punto, molto probabilmente, non sarebbero seguite neppure le sanzioni da parte dell’Occidente (o al più finte sanzioni come quelle dopo la Crimea). Invece la resistenza in armi del popolo ucraino c’è stata, vasta e coraggiosa. Ed essa non solo ha già avuto l’effetto di determinare la sconfitta del piano russo (è davvero una cosa così trascurabile?) ma sta pure gettando le premesse per una durissima sconfitta politica dello stesso Putin, con il conseguente forte indebolimento della sua leadership e in prospettiva, chissà, la sua stessa caduta.

È stata la resistenza armata del popolo ucraino, infatti, con la sua stessa esistenza che ha mostrato al mondo sia il fallimento dei servizi d’intelligence sulle cui informazioni il Cremlino ha deciso tre settimane fa l’invasione credendo che si trattasse di una passeggiata, sia le carenze materiali (perfino la mancanza delle razioni alimentari!), il marasma organizzativo e strategico, lo scarso rendimento operativo e la scarsa combattività dell’organismo militare russo.

Lo sappiamo tutti che la resistenza ucraina non può vincere. Ma non può vincere militarmente. Politicamente invece essa ha già stravinto. Già oggi infatti essa ha messo Putin con le spalle al muro. Nella condizione cioè di non avere alternative: o tratta con colui che tre settimane fa voleva distruggere (ma se vuole concludere le trattative deve per forza rinunciare al suo progetto iniziale e cedere su questo o quel punto), oppure può andare avanti con la guerra. E vincere sì, alla fine, ma proprio per la presenza della resistenza sarà costretto a fare dell’Ucraina un mare di rovine abitate da un popolo che lo odia. Ma in un Paese da lui ridotto a un mare di rovine e di morti riuscirà mai a trovare un Quisling che accetti e sia in grado di governare a suo nome? E quanti soldati gli ci vorranno, dopo la cosiddetta vittoria, per presidiare un territorio grande circa due volte la Francia? Quanti soldati dovrà mettere in conto di perdere ogni notte, probabili vittime di un agguato dietro ogni portone, ad ogni angolo di strada? E allora chiediamoci: tutto ciò — questa vera e propria catastrofe politica — di che cosa sarà il frutto se non del fatto che c’è stata una resistenza armata? Del fatto che gli ucraini hanno imbracciato le armi, hanno chiesto le armi per combattere, e l’Occidente gliele ha date? Altro che le condizioni di successo «francamente improbabili» di cui in tanti si sono riempiti la bocca in questi giorni.

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I misteri intorno a Putin: sabotaggi, complotti e due super-falchi «spariti»

domenica, Marzo 20th, 2022

di Marco Imarisio

Sin dall’inizio della guerra non appaiono in pubblico il ministro della Difesa Shoigu e il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov. Alcuni ufficiali di alto grado dei servizi segreti sono stati licenziati. E si apre il fronte dei possibili «sabotaggi» interni

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La nebbia di guerra avvolge il Cremlino. E lo rende ancora di più un mistero all’interno di un enigma, tanto per parafrasare Winston Churchill e la sua celebre definizione della Russia. La festa allo stadio Luzniki per l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea sarà ricordata anche per la bizzarra interruzione del discorso di Vladimir Putin. «Guasto tecnico» ha detto Dmitrij Peskov, il portavoce del presidente. «Oppure sabotaggio» ha chiosato dal carcere il dissidente Aleksej Navalny. È quel che molti hanno pensato.

Alla luce delle tre pause innaturali fatte da Putin mentre parlava sul palco, l’ipotesi più probabile rimane quella di un guasto allo schermo del suggeritore. Ma non è stato l’unico problema di quello che doveva essere «L’evento», pianificato per dissolvere ogni dubbio sull’unità del Paese. Durante l’intervento della portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, è saltato il sonoro della diretta televisiva per almeno trenta secondi. Scena muta, solo immagini. Ce n’è abbastanza per non escludere un attacco hacker, tesi che riscuote un certo credito presso i siti indipendenti di informazione.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina

I tempi del conflitto
Putin ripete che «l’operazione militare speciale» procede secondo i piani. Ma qualcosa non sta andando come previsto. Come i tempi del conflitto. Il piano iniziale prevedeva una marcia trionfale tra le regioni russofone, salutata con favore dalla popolazione locale pronta a ribellarsi all’esercito «nazista» dell’Ucraina. Al massimo, un mese. Ormai ci siamo quasi. Ancora non si vede la fine.

Fin dai primi giorni, non appaiono in pubblico il ministro della Difesa Sergej Shoigu , il falco che sussurra all’orecchio del presidente, e il capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov. Chissà se è un caso. Il precedente del licenziamento di alcuni ufficiali di alto grado dell’Fsb , il servizio di sicurezza russo, accusati di aver sbagliato le previsioni, autorizza qualche sospetto. La guerra continua, ma sta cambiando.

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Ucraina Russia, news di oggi sulla guerra | Mariupol, bombe su una scuola: «400 rifugiati all’interno». La Cina: noi dal lato giusto della Storia

domenica, Marzo 20th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini

• La guerra è entrata nel 25esimo giorno: la resistenza ucraina ha imposto alla Russia uno stallo di fatto; Mosca sta reagendo rendendo il conflitto ancora più sanguinoso. E ieri ha utilizzato per la prima volta un missile ipersonico.
• Continua la battaglia a Mariupol, città-chiave nell’est del Paese: impossibile per i soccorritori arrivare al teatro bombardato dai russi, dove centinaia di persone potrebbero ancora trovarsi intrappolate nei sotterranei. Le autorità locali hanno riferito di «centinaia di persone deportate» e di «bombe su una scuola d’arte all’interno della quale si erano rifugiati in 400 tra donne, anziani e bambini». Arrivano le prime notizie di stupri di guerra.
• Ieri il governo di Mosca ha attaccato quello italiano a causa delle sanzioni: il premier italiano Mario Draghi ha definito l’attacco al ministro della Difesa Guerini «inaccettabile». Il commissario Ue Gentiloni al Corriere invita a «non prendere sul serio» le parole di Mosca.
• Continuano i misteri intorno alla figura di Putin: dopo i «guasti» durante il discorso allo stadio, ora c’è la «sparizione» di due dei «falchi» che lo circondano.

***

Ore 9.15 – Mosca: «Uccisi 100 soldati ucraini e mercenari stranieri, in un attacco»
Un attacco russo in una base nella regione di Zhytomyr, nell’Ucraina centrale, ha ucciso «oltre 100 fra soldati ucraini e mercenari stranieri», secondo Mosca.

«Un attacco con missili ad alta precisione aria-superficie è stato effettuato su un centro di addestramento delle forze speciali delle forze armate ucraine, dove erano basati i mercenari stranieri in Ucraina, vicino alla località popolata di Ovruch nella regione di Zhytomyr», ha detto il portavoce del ministero della difesa russo Igor Konashenkov. «Più di 100 membri delle forze speciali e mercenari stranieri sono stati uccisi».

Ore 9.10 – Zelensky limita l’attività di 11 partiti filo russi
Citando la legge marziale al momento in vigore nel Paese, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato che sarà limitata e posta sotto controllo l’attività di 11 partiti politici ucraini, alcuni dei quali avrebbero legami diretti con Mosca.

Fra i partiti posti sotto controllo c’è la Piattaforma d’opposizione – Per la Vita, uno dei maggiori partiti filo-russi rappresentato nel parlamento di Kiev.

Le restrizioni rimarranno in piedi finché durerà la legge marziale.

Ore 9.00 – La Russia sostiene di aver usato missili ipersonici, di nuovo
Per il secondo giorno consecutivo, Mosca afferma di aver utilizzato un sistema missilistico ipersonico contro obiettivi militari ucraini. Lo riferisce Interfax. Il missile ipersonico Kinzhal — come spiegato qui da Guido Olimpio — «è lanciabile da un caccia o da un bombardiere Tu23, ha una velocità dieci volte superiore a quella del suono ed un raggio d’azione di 2 mila chilometri. Può essere dotata anche di una carica nucleare, ma in questo caso si sono limitati ad una testata convenzionale. La caratteristica principale, oltre alla «rapidità», sta nella manovrabilità, così diventa molto più difficile intercettarlo. La contraerea – sempre che abbia i mezzi adeguati – ha tempi di reazione ridotti. Inoltre i sensori di cui è dotato l’ordigno assicurano una maggiore precisione». Le caratteristiche

Cos’è Kh-47M2 («Kinzhal») è un missile balistico ipersonico di fabbricazione russa Le date Sviluppo: 2010 Entrata in servizio: 2018 Il «Kinzhal» collocato sotto gli attacchi ventrali di un intercettore supersonico MiG-31K Vista dal lato Vista frontale Le prestazioni Altitudine massima:20.000 metri Velocità massima:Mach 10 (12.350 km/h) Gittata: 1.500-2.000 km Motore: razzo a combustibile solido Margine d’errore*: 1 metro *secondo la Difesa russa Lunghezza: 8 metri Diametro: 1 metro 22,69 metri Apertura alare13,46 m Fonti: ministero russo della Difesa, Center for strategic international studies, Missile defense project

Ore 8.30 – Londra: «La Russia continuerà a colpire le città, e i civili»
È «probabile» che la Russia «continuerà a utilizzare la sua considerevole potenza di fuoco per sostenere assalti su aree urbane, cercando di limitare le sue perdite — già considerevoli — e a costo di ulteriori vittime civili».

A scriverlo — nel consueto, atteso «intelligence update»: una bussola per tentare di capire che cosa si stia muovendo, sul campo, in Ucraina — è il ministero della Difesa britannico.

Secondo Londra, le forze russe stanno «continuando a circondare diverse città nell’Est del Paese», ma nel corso dell’ultima settimana «non hanno fatto che progressi limitati». Mosca ha però «aumentato i bombardamenti indiscriminati delle città», causando «una vasta distruzione e un ingente numero di morti tra i civili».

Ore 8.14 – «Colpita una scuola-rifugio, c’erano 400 persone al suo interno»
Il Consiglio municipale di Mariupol ha denunciato il bombardamento da parte delle forze russe di una scuola dove ieri erano rifugiate 400 persone. Le bombe sarebbero arrivate sull’edificio nella serata di ieri, l’edificio sarebbe stato distrutto, e sotto le macerie ci sarebbero centinaia di donne, anziani e bambini.

Le notizie sono state fornite dal Consiglio municipale della città su Telegram; non c’è modo di verificarle indipendentemente.

Da giorni Mariupol è oggetto di pesantissimi bombardamenti: in uno di essi è stato distrutto il teatro, nei sotterranei dei quali, secondo le autorità, si trovavano oltre mille civili: al momento le stesse autorità spiegano che è impossibile portare soccorsi nell’area colpita a causa dei violenti combattimenti nelle strade.

Secondo quanto riportato dai media locali, il 90 per cento degli edifici della città — compresi ospedali, centri commerciali, scuole, teatri — è stato distrutto o danneggiato; mancano aqua, cibo, elettricità, riscaldamento; almeno 2.357 civili sono stati uccisi (ma il numero potrebbe essere drammaticamente inferiore alla realtà).

Ore 8.00 – Dove sono i super-falchi intorno a Putin?
Sin dall’inizio della guerra, non appaiono in pubblico il inistro della Difesa, Shoigu, e il capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov. E alcuni alti ufficiali dei servizi russi sono stati «licenziati», o arrestati. Cosa si sta muovendo nel cerchio intorno a Putin? Marco Imarisio racconta i misteri che circondano il presidente russo, qui.

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L’equilibrismo di Dheli tra il petrolio russo e le relazioni militari con Washington

sabato, Marzo 19th, 2022

di Carlo Pizzati

CHENNAI – Gli equilibrismi dell’India nei confronti della guerra di Putin contro l’Ucraina stanno dando i loro frutti. Da un lato c’è il vice primo ministro russo, Alexander Novak, che offre al ministro del petrolio indiano Hardeep Puri il greggio sanzionato in Europa. Un affare che le compagnie pubbliche indiane non si sono lasciate sfuggire: hanno infatti prenotato 5 milioni di barili di petrolio a un prezzo imbattibile di circa 25 dollari l’uno. Dall’altro, l’ammiraglio John Aquilino, Comandante delle forze americane nell’Indo-Pacifico, promette che il sostegno militare all’India nelle schermaglie sull’Himalaya continuerà: “Le nostre relazioni militari sono al punto più alto nella storia”, ha dichiarato al Congresso.

Per ora, Delhi esce indenne dai suoi funambolismi geopolitici. Il premier Narendra Modi ha telefonato sia a Vladimir Putin che a Volodymyr Zelensky. Si è astenuta dal condannare l’invasione russa presso il Consiglio di Sicurezza Onu, ma ha promesso aiuti umanitari per l’Ucraina. Non ha criticato l’invasione, ma ha chiesto un’ambigua “cessazione delle violenze”. Cercando di far contente Russia e Stati Uniti, si è ritrovata ad astenersi all’Onu in compagnia di due nemici storici, la Cina e il Pakistan. “L’India sottolinea che l’azione umanitaria deve essere guidata dai principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza e non deve essere politicizzata. Ripetiamo i nostri appelli per un’immediata cessazione delle ostilità”, ha ribadito giovedì il Rappresentante permanente all’Onu T. S. Tirumurti. Questa guerra sta già causando bradisismi nelle regioni eurasiatiche più lontane, smuovendo stratificazioni, stimolando possibilità di ricomposizioni strategiche creative. Il lavoro di pianificazione fatto da Putin è lampante. A dicembre ha rinsaldato la storica relazione indo-russa con un sostanzioso pacchetto di accordi di forniture militari e commerciali, condito da un impegno di cooperazione militare e tecnologica per dieci anni. Il tutto sugellato dalla produzione di mezzo milione di kalashnikov in India e dalla collaborazione di Mosca nella costruzione della più grande centrale nucleare indiana.

Ma gli Stati Uniti lanciano segnali chiari di non volersi lasciar sfilare via un avvicinamento con l’India che continua a crescere da dieci anni e che si è consolidato nella collaborazione del Quadrilatero, fronte di contenimento all’espansionismo cinese, assieme Giappone e Australia. Però l’India fa anche parte del movimento multilaterale dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e della Shanghai Organization Cooperation (Russia, India e Cina).

Che sia quindi l’occasione per un avvicinamento tra Pechino e Delhi? In Asia le cose sono più complicate. Non è detto che le tensioni sul confine himalayano, dove gli scontri all’arma bianca nel giugno 2020 hanno causato 20 morti indiani e 38 cinesi, si possano allentare. Quando alle Olimpiadi di Pechino la Cina ha fatto sfilare come tedoforo un veterano della battaglia della valle di Galwan del 2020, l’India ha subito annunciato il boicottaggio ai Giochi. Ma il ministro degli esteri cinese Wang Yi sta facendo delle aperture: “Pechino e Delhi dovrebbero essere partner nell’interesse di un successo reciproco, non avversari. La sfida ai confini non deve disturbare la cooperazione bilaterale”.

Il timore che l’India possa essere risucchiata nel piano sino-russo delineato dal documento per la “ridistribuzione del potere” nel mondo, sugellato ai margini delle Olimpiadi il 4 febbraio scorso da Mosca e Pechino, spinge l’amministrazione Biden ad essere molto paziente con Delhi. C’è una chiara alleanza antioccidentale per una “nuova era del multipolarismo” che reclama democrazia nei rapporti internazionali (contro l’egemonia americana), ma vuole meno vera democrazia all’interno dei confini nazionali (cioè ognuno applica la sua interpretazione di cosa vuol dire democrazia, ovvero autocrazia a malapena camuffata).

Eppure, il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price ha reagito così alla “neutralità” indiana: “Condividiamo interessi e valori importanti con l’India. Sappiamo che ha una relazione con la Russia diversa dalla nostra. E, ovviamente, ci sta bene”. Washington non può rischiare di lasciar andare l’India verso la deriva del multipolarismo eurasiatico in salsa autocratica. E chiude un occhio. Gli ultimi affari con il petrolio russo glielo faranno riaprire? La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki ha dichiarato che la transazione “non viola le sanzioni americane”, ma Washington ha avvertito che “la storia si ricorderà quale parte l’India avrà scelto di sostenere in questa guerra e rimarrà iscritto negli annali”.

REP.IT

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Decreto energia, Andrea Orlando: “Abbiamo preso decisioni coraggiose”

sabato, Marzo 19th, 2022

“Oggi sono state fatte scelte coraggiose intervenendo sui costi dell’energia. Si è deciso di tassare chi ha avuto profitti ingiustificati per gli aumenti del costo del gas e del petrolio, per dare sollievo alle famiglie più in difficoltà, alle imprese più esposte, insieme alla riduzione delle accise, all’aumento della platea dei cittadini che avranno accesso al bonus per ridurre il costo della bolletta e ad altri contributi per i settori più colpiti. Siamo andati nella direzione dell’equità e della difesa della produzione nazionale. Abbiamo costruito inoltre le condizioni per dare piena accoglienza a tutti i cittadini dell’Ucraina che fuggono da quella tragedia, facendo quello che compete all’Italia, essere giusta e umana”, così il ministro del Lavoro Andrea Orlando commenta l’approvazione del decreto energia in Consiglio dei Ministri. 
Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev

LIBERO.IT

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Guerra in Ucraina, tre italiani su quattro riducono i consumi

sabato, Marzo 19th, 2022

di Nando Pagnoncelli

Per il 42% la propria situazione è destinata a peggiorare e il dato sale al 57% tra i meno abbienti. La prima scelta: limitare gli spostamenti in auto

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Dopo un 2021 caratterizzato da un complessivo miglioramento del clima economico, a seguito della significativa crescita del Pil, il mese di gennaio aveva fatto segnare un’inversione di tendenza causata dall’aumento dei costi per l’energia e dal ritorno dell’inflazione, un fenomeno dimenticato che aveva rappresentato un vero e proprio incubo negli anni scorsi. Con la guerra in Ucraina le preoccupazioni per le ripercussioni economiche (46%) sono più diffuse rispetto a quelle connesse al rischio di un coinvolgimento dell’Italia nel conflitto (35%) e ciò si è tradotto in un’impennata del pessimismo: il 42% si aspetta un peggioramento della situazione personale, laddove a dicembre i pessimisti rappresentavano meno di uno su quattro (23%). Come era lecito attendersi, si rileva una consistente maggiore inquietudine tra le persone di condizione medio bassa (48%) o bassa (57%). È molto concreto il timore che, dopo quanto avvenuto con la pandemia, si acuiscano ulteriormente le disparità tra i ceti più abbienti e quelli meno abbienti.

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Le scelte degli italiani al pensiero della guerra in Ucraina

Da sempre gli italiani mostrano una straordinaria capacità di adattamento alle situazioni critiche e anche in questa drammatica circostanza non si smentiscono: tre su quattro (75%) hanno già messo in atto (o intendono farlo a breve), cambiamenti nel loro stile di vita e di consumo. In particolare, il 30% intende limitare gli spostamenti in auto, il 19% farà scorte alimentari superiori a quelle abituali temendo che possano mancare prodotti di prima necessità, il 19% ridurrà il riscaldamento domestico di 2 o più gradi, il 15% rinvierà acquisti importanti che erano stati programmati, e il 10% farà la stessa cosa riguardo ad investimenti finanziari e un altro 10% posporrà i programmi di vacanza.

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Il discorso di Putin alla nazione, adunata allo stadio di Mosca

sabato, Marzo 19th, 2022

di Marco Imarisio

Il presidente allo stadio «Luzniki»: «Kiev stava organizzando da tempo spedizioni punitive e attacchi militari contro il Donbass. Questo è un genocidio. Fermare tutto ciò era l’unico obiettivo dell’operazione. Attueremo i nostri piani». Poi cita la Bibbia

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«Per puro caso, l’inizio dell’operazione speciale in Ucraina è stato il giorno del compleanno di…». L’unica novità è stata l’improvvisa interruzione del discorso di Vladimir Putin, tagliato dalla Tv di Stato russa mentre stava pronunciando questa frase, con stacco immediato su due cantanti che hanno ripreso a intonare inni patriottici per celebrare gli otto anni dell’annessione della Crimea, avvenuta nel 2014. Qualcosa di strano è accaduto. Lo dimostra anche l’intervento immediato di Dmitrij Peskov, il portavoce del presidente, che ha parlato di una “guasto tecnico”, ipotesi che non ha certo allontanato i sospetti su un possibile attacco hacker.

Quello andato in scena allo stadio Luzniki di Mosca, che tre anni fa ospitò la finale dei Mondiali di calcio, è stato il classico esempio di Puting, neologismo che fonde il nome del presidente alla parola meeting, inventato nel 2017 dai sostenitori di Alexis Navalny per definire gli eventi a favore del Cremlino. L’utilizzo di un’arena così ampia e di una scenografia così sfarzosa sembra già un segnale preciso dell’intenzione di andare avanti con la guerra. E nonostante sui canali Telegram della propaganda di governo fosse stato annunciato che Putin avrebbe fatto dichiarazioni importanti, l’attesa occidentale per eventuali novità è andata delusa.

Avanti così che va tutto bene, potrebbe essere il riassunto del discorso del presidente, che dal 2019 non appariva di persona a una manifestazione di tale portata. Putin è sembrato in buona forma. Al centro del palco con un look `made in Italy´, maglione a collo alto color crema e parka di colore blu di Loro Piana da un milione e mezzo di rubli ( circa 12 mila euro). Ha parlato a braccio. Per dire le solite cose e tessere l’elogio dei soldati russi impegnati in Ucraina, anche con annessa citazione delle parole di Gesù, forse l’unico inedito di giornata. «Non c’è amore più grande che dare la propria anima per gli amici» ha esordito, parafrasando un passo del Vangelo di Giovanni per parlare del sacrificio dei soldati al fronte. «I nostri ragazzi si proteggono l’un altro in battaglia, offrendo il loro corpo a protezione del compagno. Loro sono il simbolo del fatto che non siamo mai stati uniti come lo siamo oggi». Due giorni fa, nel discorso sui traditori della patria da schiacciare come moscerini.

Ma poi ha proseguito seguendo un canovaccio ormai abituale, quasi un riassunto delle puntate precedenti. «Kiev stava organizzando da tempo spedizioni punitive e attacchi militari contro il Donbass. Questo è davvero un genocidio. Fermare tutto ciò era l’unico obiettivo dell’operazione speciale. Abbiamo fatto risorgere la Crimea, che era un territorio abbandonato dagli ucraini. L’abbiamo fatto grazie ai suoi abitanti, che venivano umiliati di continuo e fanno parte del nostro popolo. Sono loro che hanno fatto la scelta giusta, ponendo un ostacolo al nazionalismo e al nazismo che invece continua ad essere presente nel Donbass, con operazioni punitive contro la popolazione. I nostri fratelli russi sono stati vittime anche di attacchi aerei. Questo è l’esempio di quello che noi chiamiamo genocidio. Evitarlo è l’obiettivo della nostra operazione militare, e vi assicuro che attueremo tutti i piani».

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Il dolore altrui, i nostri dilemmi

sabato, Marzo 19th, 2022

di Ferruccio de Bortoli

Il dolore degli altri, reso acuto e straziante da una guerra alle porte dell’Europa, scuote le coscienze individuali e solleva antiche paure che credevamo ormai sepolte nelle memorie familiari. Siamo solidali e generosi con il popolo ucraino, aggredito da Putin, ed è encomiabile lo slancio dell’accoglienza di fronte all’esodo di profughi più massiccio dalla fine della Seconda guerra mondiale. Anche da parte di chi, specie nell’Est Europa, aveva eretto, vantandosene, barriere di filo spinato per respingere disperati in fuga da altre tragedie o, in casa nostra, invocava blocchi navali, voltando lo sguardo altrove. Il dolore non ha latitudine né colore della pelle. E non esiste una graduatoria del valore delle vite. Anche se a perderle è qualcuno più vicino a noi, più simile a noi, parte irrinunciabile della nostra storia europea. Come ci comporteremo, d’ora in poi, con chi fugge da guerre e carestie (indotte anche dall’attuale conflitto) e approda lungo le nostre coste?

Ma c’è un’altra domanda che dobbiamo fare a noi stessi, confidando in un sussulto di sincerità. Quanto saremmo disposti a pagare, in termini di sacrifici, per difendere le libertà e i diritti di altri che mai come in questo momento, scopriamo essere fragili come i nostri? E basta il timore di rimanere al freddo, di rinunciare anche a un briciolo del nostro benessere, delle nostre comodità, per mettere in discussione la sacralità di quei principi e giustificare sempre il «sano realismo» delle convenienze? L’appeasament 2.0. Non avendole conquistate noi, quelle libertà, ma altre generazioni, non è fuori luogo avanzare il dubbio sul loro valore di scambio. Considerandole acquisite per sempre le abbiamo svalutate.

Essere consapevoli dei nostri limiti, e delle relative ambiguità, ci aiuta a capire meglio quanto quelle libertà siano essenziali e a difenderle da debolezze e paure. A proteggerci di fronte alle svolte improvvise, a choc inattesi. Ma anche a comprendere — ed è questo il punto — che i buoni sentimenti hanno un costo. Una solidarietà gratuita è solo apparente. Non ci si può illudere — come è avvenuto per esempio con le tante assenze al voto alla Camera sugli aiuti all’Ucraina — che si possa essere concretamente solidali senza mettere in discussione qualche posizione acquisita e accettare delle rinunce. Se per esempio si decide di investire di più per la difesa (leggi armi) è inevitabile che si tolga qualcosa ad altre attività civili, la sanità per esempio. A meno che non si sia intimamente convinti — e ne abbiamo il sospetto — che ci si possa indebitare spendendo senza limiti. Il vecchio dilemma (burro o cannoni) torna d’attualità. Far finta di niente è un modo di ingannare, oltre gli altri, molti dei quali sotto le bombe, anche noi stessi. E ancora: ogni pericolo più grande (la guerra) ne scaccia un altro (il Covid) ma non lo elimina d’incanto, anche se nella percezione collettiva è esattamente quello che sta accadendo. Così come un grave stato di necessità, come la dipendenza dal gas russo e l’esplosione dei costi dell’energia, non toglie drammaticità all’emergenza ambientale che pare di colpo dimenticata. E c’è da dubitare sulla nostra reale volontà di difendere l’ambiente se basta uno scossone ai mercati per rendere indispensabile ciò che avremmo voluto bandire per sempre (esempio il carbone). Senza alcuna discussione. La transizione energetica è più complessa e costosa di quanto non si pensi.

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Facciamo schifo

sabato, Marzo 19th, 2022

di Massimo Gramellini

Ogni giovedì sera mi sintonizzo con la piazza del bravissimo Formigli per assumere la mia dose settimanale di professor Orsini. Spiace per gli altri aspiranti al titolo, ma la vera star del Pacinarcisismo è lui, grazie alla faccia sofferta e a quel tono di voce tra l’assertivo e il piagnucoloso con cui ricostruisce le cause della guerra ucraina dai tempi di Gengis Khan. Stavolta il sociologo che ha smesso di collaborare con un giornale chiedendo scusa ai lettori che si erano abbonati solo per leggere lui (non gli fa certo difetto l’umiltà) ci ha spiegato che tra l’Occidente e Putin non c’è differenza.

Schifoso lo zar, schifosi noi: e tra schifosi ci si intende.

A condizione di sbarazzarsi di quel Zelensky che ostacola il lieto fine con la sua insopportabile ossessione per la libertà, resa impossibile dalla geografia. Orsini sembra posseduto da una sorta di timor panico nei confronti di Putin: lo nomina il meno possibile e quasi mai per parlare delle sue malefatte, che comunque non considera peggiori delle nostre. La sconfitta dell’invasore, che rallegra i poveri di spirito, è ciò che egli più teme, perché a quel punto, dice, Putin potrebbe arrabbiarsi sul serio. Quanto alla caduta del satrapo slavo, non fa parte delle opzioni di Orsini e forse neppure delle sue speranze.

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