Archive for Marzo, 2022

Guerra in Ucraina: stop all’export di grano tenero, mais e concime. Perché la sicurezza alimentare in Italia è a rischio

lunedì, Marzo 21st, 2022

di Michelangelo Borrillo e Milena Gabanelli

C’è una nave che fotografa la crisi agroalimentare che da fine febbraio sta vivendo mezza Europa, Italia compresa. Una nave che il 27 febbraio scorso avrebbe dovuto caricare nel porto d’Azov 30 mila quintali di grano tenero e che non è mai partita. A bordo c’era il carico acquistato dal pastificio Divella. Altre 90, di cui almeno una quindicina con destinazione finale Italia, sono ferme allo stretto di Kerch, che collega il Mar Nero al Mar d’Azov, la distesa di acqua che ora separa (in tempo di guerra) separa la Russia dall’Ucraina. Senza quelle navi il mercato internazionale dei prodotti alimentari ha già cambiato volto.

Il grano tenero

Se l’Ucraina è il granaio d’Europa, la Russia lo è del mondo. Per l’Italia le principali importazioni legate al mondo agroalimentare provenienti dai due Paesi sono grano tenero, mais, semi oleosi e fertilizzanti. Partiamo dal grano tenero (quello che serve per il pane e la pasticceria): da gennaio del 2021 fino al 23 febbraio 2022, ovvero il giorno precedente all’invasione dell’Ucraina, l’Italia ne ha importato 142 mila tonnellate dall’Ucraina e 116 mila dalla Russia. Secondo l’ufficio studi di Confagricoltura rappresentano circa il 5% del totale delle importazioni italiane di grano tenero. Le quantità che mancano fanno salire i prezzi.

Il riferimento in Italia per le contrattazioni dei prodotti agricoli è la Borsa Merci di Bologna: alla rilevazione dello scorso 18 marzo le quotazioni del grano tenero sono cresciute del 33% in un mese, sfondando per la prima volta nella storia in Italia quota 40 euro a quintale. L’esempio pratico di come il mercato specula su una merce che scarseggia lo fornisce proprio Vincenzo Divella, amministratore dell’omonimo gruppo alimentare che attende la nave non ancora partita: «Abbiamo rimpiazzato quel carico acquistando lo stesso quantitativo a Napoli e Manfredonia: si tratta di grano arrivato da Canada, Russia e Kazakistan prima della crisi. Ma comunque lo abbiamo pagato il 35% in più di quello che aspettavamo dal Mar d’Azov, e di conseguenza abbiamo dovuto aumentare il prezzo della farina per pasticceria di circa il 15%, ma fra 20 giorni dovremo aumentare ancora. Noi abbiamo sempre preferito rifornirci da Russia e Ucraina per via delle annose questioni sul glifosate canadese».

Il mais

Il secondo pilastro che sta venendo meno con il blocco dei mercati russo e ucraino è quello del mais, che rischia di non essere nemmeno seminato nel mese di aprile, e quindi la sua mancanza potrebbe prolungarsi a tutto il 2023. L’Ucraina è per l’Italia il secondo fornitore di mais (dopo l’Ungheria): nell’ultimo anno l’Italia ha importato 1,1 milioni di tonnellate dall’Ucraina (105 mila dalla Russia). Sul totale delle importazioni pesa per il 15%, e il rialzo dei prezzi è già stato del 41% in un mese. Il mais è fondamentale per la produzione di mangimi per gli animali. La conseguenza è l’incremento del costo della carne: secondo la Cia-Agricoltori Italiani, un chilogrammo di manzo al banco è passato dai 12 a quasi 15 euro, la lombata si aggira sui 25 euro, mentre una bistecca potrebbe arrivare costare a breve il 20% in più.

I fertilizzantiIl terzo mercato andato in tilt è quello dei fertilizzanti. Forse quello su cui fa più affidamento Putin visto che lo ha citato come leva principale dell’inflazione alimentare globale. La Russia – stando ai dati di Confagricoltura – produce il 15% dell’intera produzione mondiale di fertilizzanti. E le vendite all’estero di nitrato di ammonio sono già state bloccate fino ad aprile, proprio nella fase fondamentale delle coltivazioni. Sempre nell’ultimo anno l’Italia ne ha importato dall’Ucraina per 47 milioni di euro (il 6% sul totale) con un aumento del 600% rispetto al 2020, e dalla Russia per 61 milioni di euro(7% sul totale) con una diminuzione dell’11%.

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La nuova difesa e i vecchi pacifismi

lunedì, Marzo 21st, 2022

di Angelo Panebianco

I fondamentalisti contestano l’idea che l’equilibrio dipenda da rapporti di forza fra gli Stati e rifiutano perfino la difesa

Comunque si concluda la guerra di aggressione in Ucraina, l’Europa si avvia verso il riarmo (anche l’Italia si è impegnata a incrementare le spese militari). La difesa europea cessa di essere l’idea un po’ velleitaria di un tempo, sta per diventare un fatto. Quasi certamente ciò alimenterà in Europa forme di protesta che si diranno ispirate al pacifismo e che avranno di mira i nuovi «guerrafondai». Come tali verranno bollati i fautori della costruzione della gamba europea della Nato, della necessità di creare un forte potere deterrente al fine di «contenere» la Russia, di frustrarne aggressività e ambizioni imperiali. I segnali si sono già manifestati: dalla cosiddetta «equidistanza» (né… né) alla opposizione di alcuni — pochi ma forse non del tutto isolati nella pubblica opinione — all’invio di armi ai
resistenti ucraini.

Poiché avremo a che fare a lungo con queste cose, sarà bene cercare di chiarirsi le idee. Per cominciare occorre distinguere il desiderio di pace, che è una aspirazione delle persone dotate di senno, dal pacifismo che invece è un’ideologia. Il desiderio di pace è sempre stato presente nella storia umana.Tolti i fanatici e gli esaltati nonché tutti quelli che, a vario titolo, guadagnano (gloria o soldi) dai conflitti armati, gli altri esseri umani hanno sempre avuto orrore della guerra, hanno sperato di vivere in pace.

Ma se la pace è una aspirazione diffusa e perenne, il pacifismo è un’invenzione recente. È uno dei frutti dell’Illuminismo la concezione che il pacifismo ha fatto propria: la pace non più intesa solo come una condizione nella quale le armi tacciono (la cosiddetta «pace negativa») ma come l’espressione di un’organizzazione sociale e politica che dalla pace trae alimento e anche, in una certa misura, legittimità. La diffusione del pacifismo in Europa sarà incentivata dalla contestuale azione di due fattori: la democratizzazione delle società europee che darà voce a tanti che in precedenza erano solo vittime silenziose e inermi delle avventure belliche e l’industrializzazione della guerra che è la causa principale delle grandi carneficine della Prima e della Seconda guerra mondiale.

Possiamo distinguere due forme di pacifismo, ispirate, ciascuna, a un diverso ideale di società: il pacifismo pragmatico e il pacifismo assoluto o fondamentalista.

Il pacifismo pragmatico è proprio delle società aperte o libere. Esse preferiscono la pace alla guerra perché la pace favorisce insieme benessere e libertà individuale. La guerra mette a rischio entrambe e ne mina quindi i fondamenti. Ma poiché nella politica internazionale la forza pesa più del diritto, anche le società libere, per sopravvivere, devono contare sulla forza, i principi liberali devono venire a patti con le regole della politica di potenza. Senza la sconfitta di Hitler prima e senza la capacità degli Stati Uniti, durante la Guerra fredda, di contrastare, con la propria forza politica e militare, l’Unione Sovietica, una potenza totalitaria, la società libera occidentale sarebbe già finita da un pezzo. Checché ne pensino i nostalgici del comunismo, la Nato non è il «braccio militare dell’imperialismo yankee». È un’alleanza difensiva. Non se ne fa parte per aggredire altri Stati ma per difendersi dalle aggressioni altrui.

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Il ricatto sulla missione di aiuto della Russia sul Covid con la minaccia di svelare gli accordi

lunedì, Marzo 21st, 2022

di Fiorenza Sarzanini

Nel corso del 2020 Conte sente Putin e autorizza la missione. Gli obiettivi dei tre scienziati a capo della delegazione: accesso ai dati sanitari, intese commerciali su farmaci e Sputnik

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Militari russi pronti a sanificare la residenza per anziani Honegger ad Albino, in provincia di Bergamo, il 28 marzo 2020 (LaPresse)

Cartelle cliniche con i dati sanitari dei pazienti, accordi commerciali per farmaci e strumentazione, ma soprattutto un patto di ferro per la realizzazione dello Sputnik, il vaccino anti-Covid. C’è tutto questo dietro l’avvertimento all’Italia e l’attacco al ministro della Difesa Lorenzo Guerini di Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri che ha minacciato «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca. Il timore della diplomazia e dell’intelligence è che la ritorsione si realizzi rivelando che cosa davvero accadde a partire dal marzo 2020, dopo l’arrivo di una delegazione di russi nel nostro Paese. La versione ufficiale parlava di aiuti per affrontare l’emergenza pandemica. In realtà la missione degli 007 aveva ben altri scopi.

Al telefono con Putin

È la sera di 22 marzo 2020, domenica, quando all’aeroporto militare di Pratica di Mare, alle porte di Roma, atterrano tredici quadrireattori Ilyushin decollati da Mosca. Ad attenderli c’è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l’accordo per la missione è stato preso il giorno precedente con una telefonata tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin. Il livello dei rapporti tra Italia e Russia in quel momento è all’apice. Nel luglio precedente Putin è stato ricevuto con tutti gli onori a Villa Madama per una cena che ha unito imprenditori e politici, con 5 Stelle e Lega a farla da padrone. Quella sera, quando ha inizio la missione «Dalla Russia con amore», l’Italia ha 80.539 positivi da Coronavirus e 8.165 decessi. La zona peggiore è quella di Bergamo con 7.458 contagiati. Ma a preoccupare è soprattutto la carenza di ventilatori e mascherine. Ne servono milioni al giorno ma l’Italia non ne produce e quindi la ricerca all’estero è spasmodica. Ecco perché, almeno inizialmente, la missione russa viene accolta con entusiasmo.

Militari e scienziati

Sin da subito qualcosa però non torna. Ufficialmente si tratta di aiuti sanitari ma nella lista dei 104 nomi ci sono solo 28 medici e quattro infermieri. Gli altri sono militari. A guidare la spedizione è il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo. Nel suo curriculum c’è la collaborazione con aziende che producono e riparano armi per la protezione chimica, radioattiva e biologica. Con lui ci sono Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi lavorano al Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 ha affidato la supervisione del contrasto all’epidemia. Qual è il vero ruolo di questi scienziati in Italia? E quali sono i compiti affidati ai militari? Ma soprattutto, quanti sono gli uomini del GRU, il servizio informazioni delle forze armate russe?

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Ucraina Russia, le news di oggi sulla guerra | Bombe a Kiev su un centro commerciale, Mariupol respinge l’ultimatum: battaglia finale

lunedì, Marzo 21st, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini

Le notizie sulla guerra, minuto per minuto, di lunedì 21 marzo: oggi colloquio telefonico tra Biden, Draghi, Macron, Scholz, Johnson. Perdite di ammoniaca nell’impianto di Sumy

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• La guerra è al 26esimo giorno e stiamo vivendo ore decisive per Mariupol. Respinto l’ultimatum dei russi per un cessate il fuoco: «La resa non è un’opzione». Nella città le autorità locali hanno riferito di «centinaia di persone deportate», si moltiplicano le notizie sugli stupri di guerra.
• A Kiev, racconta qui sotto il nostro inviato Lorenzo Cremonesi, un centro commerciale è stato bombardato nella notte: almeno 7 morti. Fuga di ammoniaca da un impianto a Sumy, altra città sotto attacco.
• Proseguono gli sforzi della diplomazia. Oggi colloquio telefonico tra Biden, Draghi, Macron, Scholz, Johnson. La Svizzera si propone per ospitare i negoziati
• Ieri Mosca è tornata a usare missili ipersonici. Gli sfollati, in Ucraina, sono 10 milioni.
• Zelensky ha parlato ieri a Israele, paragonando la situazione dell’Ucraina alla storia di Israele, e i russi ai nazisti: un confronto che ha creato scandalo, in Israele.
• Perché la Russia ha minacciato l’Italia, sabato? La risposta potrebbe essere in un «ricatto» risalente alla prima fase della pandemia di Covid.


***

Ore 7.45 – Il ricatto di Mosca sulla missione anti Covid
(Fiorenza Sarzanini) Cosa c’è dietro l’avvertimento all’Italia e l’attaco al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sferrato sabato da Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri, che ha minacciato «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca?

Il timore della diplomazia e dell’intelligence è che la ritorsione si realizzi rivelando che cosa davvero accadde a partire dal marzo 2020, dopo l’arrivo di una delegazione di russi nel nostro Paese. La versione ufficiale parlava di aiuti per affrontare l’emergenza pandemica. In realtà la missione degli 007 aveva ben altri scopi (qui l’articolo completo).

Ore 7.20 – I missili sul centro commerciale di Kiev, raccontati da Lorenzo Cremonesi
(Dal nostro inviato a Kiev Lorenzo Cremonesi) Sette morti, e il bilancio di sangue è destinato a crescere. Le conseguenze dei bombardamenti russi sulla capitale dell’Ucraina, nelle ultime ore, si rivelano particolarmente gravi.

I razzi ieri sera hanno colpito alcune abitazioni e un grande centro commerciale a Podil, il quartiere di nord ovest già bombardato più volte negli ultimi giorni. Podil si trova ad un pugno di chilometri dalla linea del fronte dove sono attestate le avanguardie russe.

Ieri sera abbiamo sentito una forte serie di esplosioni, più intense del solito, il terreno e le finestre hanno tramato anche nel centro. Le sirene hanno suonato più volte. Durante la notte l’intera capitale è paralizzata dal coprifuoco. «Sento le sirene dei pompieri. Mi sa che questa volta ci sono danni importanti», ci diceva un nostro collaboratore che vive non lontano da Podil, ma non poteva verificare di persona. Solo questa mattina sono arrivate le prime immagini. Gli incendi sono ancora attivi.

Sappiamo da giorni che la frustrazione di Putin, alimentata dallo stallo in cui si trovano le sue truppe di terra grazie alla resistenza ucraina, sta scatenando le artiglierie e i tiri di missili contro i centri urbani.

Il rifiuto di Mariupol di capitolare all’ultimatum russo butterà benzina sul fuoco. Intanto Kiev resiste e rafforza le difese. La rappresaglia russa è destinata a intensificarsi.

Ore 7.00 – Ma perché Mariupol?
Perché la Russia sta colpendo — con tutta la ferocia possibile: bombardati ospedali, teatri, scuole, la città «è rasa al suolo» — Mariupol? E se la conquistasse, Putin potrebbe fermare l’offensiva, e sedersi davvero al tavolo negoziale? Fabrizio Dragosei prova a rispondere, in questo articolo.

5.19 – La Svizzera vuole ospitare i colloqui Kiev-Mosca
Il presidente Ignazio Cassis ha detto che spera che «le pistole tacciano presto» e che la Svizzera è pronta a mediare o a ospitare negoziati tra Ucraina e Russia. Cassis visiterà oggi il confine tra Polonia e Ucraina.

4.30 – Perdite di ammoniaca nell’impianto di Sumy
Perdite di ammoniaca in un impianto chimico a Sumy, città dell’est Ucraina assediata dalle truppe russe, hanno contaminato l’area nel raggio di 5 chilometri: a segnalarlo è il governatore Dmytro Zhyvytskyy, la perdita è stata segnalata alle 4.30 ora locale nell’impianto Sumykhimprom. A causarla, ha detto il governatore, un attacco aereo russo. L’impianto è nella periferia est della città, 263 mila abitanti, bombardata nelle scorse settimane dai russi. Le autorità hanno suggerito ai cittadini di Sumy di respirare con bende di garza imbevute di acido citrico.

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Russia, l’economista Robin Brooks terrorizza l’Occidente: “Putin, guadagno enorme grazie alle sanzioni”

domenica, Marzo 20th, 2022

E se sulle sanzioni Europa, Usa e Occidente avessero sbagliato tutto? Sono davvero in grado di mettere in ginocchio la Russia e Vladimir Putin? Sono davvero l’arma migliore per combattere la guerra in Ucraina senza sparare? 

Domande che si pone Robin Brooks, capo economista dell’IIF Institute of International Finance, con un passato in Goldman Sachs e nel Fondo Monteario Internazionale. Mister Brooks, come spiega Il Tempo, mostra un grafico che mostra il current account surplus della Russia, ossia l’avanzo di conto che indica come una nazione sia prestatore netto nei confronti del mondo.
A febbraio 2022, da che sono iniziate le sanzioni per la guerra, ecco impennarsi la colonna del grafico: quasi il doppio del miglior risultato del 20227. Cosa significa, lo spiega sempre l’economista: “Le condizioni finanziarie della Russia si stanno alleggerendo e il morso delle nostre sanzioni sta svanendo, perché le esportazioni di energia della Russia generano costantemente afflussi di valuta forte, quindi, anche se abbiamo bloccato le riserve valutarie, la Russia ne sta generando di nuove. Un boicottaggio energetico russo fermerebbe questo”.

Quando chiedono a Brooks se non si devono aspettare i dati di marzo, poiché plausibilmente più attendibili, ecco che risponde: “Sicuro. Ma questo significa anche aspettare un mese, mentre la guerra in Ucraina continua. Sappiamo intuitivamente cosa sta succedendo. Le esportazioni di energia diminuiranno leggermente a causa dell’autosanzione delle società occidentali. Ma anche le importazioni stanno crollando a causa della recessione. Quindi il current account surplus sarà enorme”. E insomma, il sospetto serpeggia: contro Putin stiamo sbagliando tutto?

LIBERO.IT

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Lotta al Covid: ora è allarme Omicron 2

domenica, Marzo 20th, 2022

Grazia Longo

ROMA. L’imperativo categorico di virologi ed esperti è non abbassare la guardia. Proprio in concomitanza con la fine della fase di emergenza, il 31 marzo, si scopre che la variante Omicron 2 ha un tasso di contagiosità elevatissimo. Fenomeno che, unito all’allentamento delle misure restrittive e al fatto che 4,5 milioni di italiani non sono vaccinati e altri 7 milioni non hanno fatto la terza dose, non fa sperare in nulla di buono. Anzi, in molti sono già pronti a scommettere che ci sarà bisogno di nuove misure di contenimento, perché l’allerta Omicron 2 è davvero alta.

Il presidente della Fondazione Gimbe, il dottor Nino Cartabellotta, ipotizza per la fine del mese una risalita della curva dei contagi «fino a 120-150 mila casi al giorno. Nelle ultime due settimane Omicron 2 è salita al 44% e purtroppo anche per chi è vaccinato la copertura declina velocemente, dopo 3 mesi. Il vaccino tutela così dalla malattia grave ma non dal contagio, per cui anche se immunizzati si è protetti dal 40 al 65%». Al momento, le regioni in cui Omicron 2 è più diffusa sono quelle del Centro-Sud, «ma presto potrebbe estendersi al Centro-Nord, con conseguenze anche sull’ospedalizzazione perché quando salgono i numeri dei malati, lievitano inevitabilmente anche i ricoveri. Basti pensare che questi ultimi il 12 marzo scorso erano 8.234 e ora sono 8.319. Pochi numeri di differenza ma che danno il senso del trend».

È in allarme anche il professor Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi: «I contagi continueranno a salire e tra una decina di giorni dovremo valutare gli effetti anche sulla mortalità. L’elevata contagiosità di Omicron 2 va di pari passo all’allentamento delle misure restrittive. Mi rendo conto che si tratta di scelte politiche, adottate un po’ da tutti gli Stati, perché la gente non ce la fa più a vivere nell’emergenza, ma non siamo ancora pronti per la fase del “liberi tutti”». L’input del professore è quello di «tenere ancora alta l’attenzione: è come quando apriamo il rubinetto dell’acqua calda, non possiamo aprirlo tutto in un colpo perché altrimenti rischiamo di scottarci. E con il Covid è la stessa cosa: non possiamo pensare di poterlo archiviare di botto». Per questo motivo è prevedibile ipotizzare «una nuova fase di restrizioni. Dobbiamo essere pronti a modificare di nuovo le abitudini, è possibile che in futuro ci siano oscillazioni di nuove restrizioni». Pregliasco punta, infine, il dito contro chi non vuole sottoporsi alla terza dose: «Molti sono convinti che ne bastino due, ma non è così. Occorre fare la dose booster. Tra l’altro c’è anche il rischio di contrarre un secondo contagio. Il 5% degli italiani si ammala di Covid due volte: si stanno riscontrando molti casi di giovani non vaccinati che prima hanno avuto la variante Delta e ora la Omicron. Per fortuna al momento la situazione nelle terapie intensive è relativamente tranquilla e i ricoveri sono stabili».

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La guerra santa del dittatore e le anime perse del Belpaese

domenica, Marzo 20th, 2022

MASSIMO GIANNINI

«Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna: Zi, zi, zi, vive, vive, vive…». Come ai funerali di Alekos Panagulis ad Atene, raccontati da Oriana Fallaci in “Un uomo”, alla parata di regime organizzata allo Sport Center Luzhniki di Mosca campeggiano sinistre altre Z, che al contrario di vita richiamano morte, e tra la folla festante aleggia un’altra grande menzogna del Potere, che la Russia «sta fermando il genocidio nazista nel Donbass». Tra le bandiere al vento della Federazione e le note delle rock-band preferite, Putin celebra la definitiva metamorfosi: in quello stadio-simbolo il cinico interprete dell’esperimento autoritario post-sovietico lascia il campo al Grande Dittatore post-moderno, che arringa le masse in parka Loro Piana da 12 mila euro.

Mentre i suoi soldati sparano missili ipersonici sui palazzi delle città ucraine e gli “Omon” in tenuta antisommossa pestano manifestanti per le strade delle città russe, lo Zar Vladi ormai lancia a viso aperto la sua Guerra Santa. Non gli bastava la dottrina del Patriarca Kirill, che soffia sulle braci mai spente dell’anima russa gridando “per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass e nel Donbass oggi c’è il rifiuto dei cosiddetti valori offerti da chi rivendica il potere mondiale”, dal “consumismo eccessivo” alla “libertà che si traduce nel permesso di organizzare parate gay”. Ora, per magnificare le gesta eroiche dei suoi militi che «combattono spalla a spalla», Putin attinge direttamente alle Sacre Scritture: «Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per gli amici».

Citazione sacrilega, certo, come denunciano i nostri teologi. Impugna il Vangelo di Giovanni, per giustificare i massacri di Irpin o di Mariupol. Ma tutto si tiene, nel delirio bellicista e iconoclasta del Piccolo Padre di San Pietroburgo. I versetti dell’Evangelista più caro ai cattolici e il santo venerato dagli ortodossi Fedor Fedorovic Usakov, comandante di Caterina la Grande che «non perse mai una battaglia». Il progetto neo-zarista che attraverso la riconquista dell’Ucraina e delle repubbliche ex Urss deve riportare la Madre Russia a ritornare impero. E il rigetto metafisico dell’Occidente e del «liberalismo decadente e obsoleto» che rappresenta, minaccia per la risorgente Pax Russica e per la nascente Union Sacreé delle autocrazie (già ora cassaforte del 30 per cento del Pil mondiale). I micidiali Kinzhal lanciati sui civili inermi a Mykolaiv e i feroci anatemi contro i «traditori della patria» che mangiano foie gras a Miami. Le grottesche vendette economiche annunciate dalla Komsomolskaja Pravda, che proclama «abbiamo l’80 per cento del mercato mondiale delle terre rare e abbiamo i motori dei razzi Roscosmos: possiamo bloccarli, così Elon Musk dovrà usare scope volanti per il suo Space X». E le truci minacce all’Italia formulate dal portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, che ci rinfaccia gli aiuti al tempo del Covid e ipotizza «conseguenze irreversibili» ai danni del nostro Paese.

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Putin, un tramonto tragico e cupo

domenica, Marzo 20th, 2022

Marco Follini

Caro direttore, è quasi sempre il tramonto che dà un senso e una coloritura alla lunga giornata di un uomo politico. Che la spiega, la illustra, qualche volta perfino riesce ad illuminarla. Altre volte invece un tramonto troppo lungo la conduce inesorabilmente verso la cupezza della notte. Infatti, è proprio il modo in cui si conclude un’esperienza pubblica, si esce di scena, si cede il passo alle figure e agli eventi che popoleranno il giorno dopo, è proprio quel modo per l’appunto che assolve e nobilita il potere. Si prenda il caso di Putin. La sua serata, dopo un giorno durato vent’anni e più di potere autocratico, ne svela il peggio. Il tratto dispotico, lo spirito predatorio, l’animo ferino. Ma anche qualcosa di più: e cioè l’incapacità di contemplare l’idea che la Russia, e il mondo, gli possano sopravvivere. Fa paura, tutto questo. Ma a sua volta svela la paura del dittatore. Che somiglia molto alla sua oscura consapevolezza che il tempo non milita più dalla sua parte.

Nella tragedia ucraina c’è anche questo. La sfida tra una novità che reclama di essere riconosciuta e un declino che pretende di sovvertire il suo stesso destino. Le democrazie sono tali perché in esse, di regola, il potere conosce stagioni brevi e destini che non durano mai più di tanto. Mentre le dittature inseguono il mito della longevità dei loro capi, salvo trovarsi poi a fare i conti con il declino, fisico e spirituale, dei condottieri di una volta. I quali, giunti per così dire alla fine di loro stessi, esibiscono solo la maschera grottesca di quello che furono non riuscendo mai a contemplare quello che sarà. Ne discende una lezione anche per noi. Ed è che la longevità non è quasi mai un merito, un segno di talento. Semmai proprio quel coriaceo istinto che induce a resistere più a lungo che si può, inchiavardati al potere o a quel che ne resta, è il segno di un limite -anche politico. E quasi di un appannamento delle ragioni della democrazia. Un parlamentare conservatore inglese degli anni sessanta, Enoch Powell, osservò una volta che tutte le carriere politiche, prima o poi, finiscono per così dire a coda di topo, lasciandosi dietro una scia di declino. Come se il destino di un leader fosse inesorabilmente quello della sua consumazione. O almeno dell’inevitabile delusione dei suoi seguaci. E’ un’osservazione meno banale di come appare. Soprattutto, fa tutt’uno con l’idea stessa di democrazia. Cioè di un potere fragile, transitorio, declinante per sua stessa natura. E semmai forte solo di questo.

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Moldavia con il fiato sospeso

domenica, Marzo 20th, 2022

Francesca Mannocchi

Superato il confine tra l’Ucraina e la Moldavia, c’è un paese di piccole case, ognuna il suo orto. Il recinto di legno. Una piccola chiesa. Per arrivarci solo degli autobus, una stazione lungo la strada e l’insegna che porta il nome del luogo: Palanca.

Oggi, lungo la strada ci sono le tende della Croce Rossa, le pile di coperte termiche, le buste con il cibo, le sacche piene di giacche invernali. Sono le donazioni arrivate per far fronte all’emergenza delle migliaia di profughi ucraini che da un mese attraversano il confine in cerca di riparo. Qualche centinaio di metri dopo il confine un campo diventato spazio d’accoglienza. Ci sono le organizzazioni umanitarie, le agenzie delle Nazioni Unite. I volontari moldavi che cucinano pasti caldi per i nuovi arrivati. Una tenda con le prese di corrente e i telefoni, per chi ha bisogno di rimettersi in contatto con la propria famiglia, o almeno provarci. I giochi per bambini. E poi i pullman in fila, sul vetro di fronte la scritta «rifugiati», è nera e spicca sui fogli azzurri e gialli a raffigurare la bandiera ucraina. Sono in attesa dell’arrivo delle auto dal confine, dei profughi a piedi, di riempire ogni posto prima di partire alla volta della capitale, Chisinau. E da lì accompagnare le persone nei centri di accoglienza o alla stazione. Qualcuno resta, nel palazzetto dello sport e nel centro congressi Moldexpo adibiti a dormitori, qualcuno lascia il paese, diretto in Romania, Germania, Italia. A Palanca posti per dormire non ce ne sono, così le Nazioni Unite hanno allestito un piccolo campo, qualche decina di tende riscaldate per chi valica il confine quando ormai è troppo tardi per spostarsi.

L’accoglienza, a Palanca, è diffusa. C’è la sacrestia della piccola chiesa, o le case degli abitanti del paese, che non hanno avuto esitazione nell’aprire le loro porte, e donare una stanza alle famiglie che cercavano riparo. Famiglie, in verità, è una parola impropria, perché gli uomini dall’Ucraina non possono scappare. Lo impone la mobilitazione voluta dal presidente Zelenskyy, che ha chiamato alle armi i cittadini. Così gli uomini tra i diciotto e i sessant’anni non possono lasciare il paese. Accompagnano mogli, madri e figli al confine. Le lasciano lì, con qualche bagaglio e un po’ di soldi, gli uomini tornano a combattere o ad addestrarsi in attesa della chiamata per il fronte, le donne si fanno carico del resto, degli anziani e dei più piccoli. Ecco perché, dicono gli operatori umanitari, la prima cosa che fanno le donne quando arrivano a Palanca, è fingere di stare male, entrare nelle cliniche mobili delle organizzazioni e piangere, concedendosi il lusso delle lacrime che fino a quel momento si erano negate per tenere insieme tutto. Lasciati fuori gli anziani e i loro acciacchi, i bambini e le loro infanzie violate, lasciati gli uomini dall’altra parte del confine, una volta a Palanca è chiaro che la scelta è irreversibile. C’è chi resta, chi va. Chi combatte e chi prova a sopravvivere. Chi è in Ucraina, suo malgrado chiamato alla guerra, e chi è diventato un rifugiato, suo malgrado chiamato all’esilio.

Da quando è iniziata l’invasione russa, secondo i dati dell’Agenzia per i rifugiati dell’Onu, 3 milioni e duecentomila persone hanno lasciato l’Ucraina. La maggior parte in Polonia – due milioni- ma tantissimi, quasi 350 mila in Moldavia, al confine Sud-Occidentale. Un fardello gigantesco per un Paese piccolissimo, di circa 3 milioni di residenti, e soprattutto uno dei Paesi più poveri e vulnerabili d’Europa, che non è membro né della Nato né dell’Unione Europea.

Quando è iniziata la guerra e gli ucraini hanno cominciato ad ammassarsi al confine, la Presidente moldava Maia Sandu ha annunciato che tutti i valichi sarebbero rimasti non solo aperti ma avrebbero operato a capacità maggiore: «Aiuteremo tutti quelli che ne hanno bisogno» ha detto. E così ha fatto, mettendo a disposizione tutte le risorse che ha e invitando i cittadini a fare lo stesso. I giovani moldavi al campo di Palanca sono lì venti ore al giorno. Non vogliono essere pagati. Sono lì per i «fratelli ucraini» dicono tutti. È un atto di generosità, il loro. Ma anche il timore che questa guerra sia il fantasma del futuro e che loro possano essere i prossimi ad essere invasi. Lo pensano con forza da quando, durante un briefing televisivo sull’invasione russa a fine febbraio, il presidente bielorusso Aleksandr G. Lukashenko, ha suggerito, di fronte a una mappa, che anche la Moldavia avrebbe potuto essere attaccata – dopo la conquista di Odessa – dalle truppe russe in Transnistria.

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Ecco i missili ipersonici Kinzhal caricati sui caccia russi: cosa sono e come funzionano

domenica, Marzo 20th, 2022

La Russia afferma di aver utilizzato missili ipersonici Kinzhal in Ucraina. A riferirlo è il ministero della Difesa citato dalla Tass, che ha anche annunciato di aver distrutto nella notte tre sistemi missilistici di difesa aerea S-300 in dotazione alle truppe ucraine. Distrutti anche – attraverso l’utilizzo del sistema missilistico costiero Bastion – centri ucraini di radio e di intelligence della regione di Odessa. Kinzkhal è una delle sei armi di «prossima generazione» citate da Putin nel discorso del 1 marzo 2018: ha una gittata dichiarata di 1.500-2.000 km con un carico utile nucleare o convenzionale di 480 kg. E’ lungo 8 metri, con un diametro di uno e un peso di lancio di circa 4.300 chilogrammi. Dopo il lancio, il Kinzhal accelera rapidamente fino a Mach 4 e può raggiungere velocità fino a Mach 10 (12.350 km/h). Questa velocità, combinata con la traiettoria di volo irregolare del missile e l’elevata manovrabilità, può complicarne l’intercettazione

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