Professor Margelletti l’ipotesi della neutralità dell’Ucraina potrebbe davvero essere risolvente? «Si
tratta di un’ipotesi tutta da discutere. Intanto perché bisogna capire a
che tipo di neutralità si aspira. Perché c’éuna grande differenza fra
uno Stato armato fino ai denti che difende la propria autonomia ed
estraneità rispetto ai conflitti, e uno Stato neutrale in quanto
schiavo. Non dimentichiamo che Svezia, Finlandia e Svizzera hanno
investito negli anni moltissimo al capitolo difesa, perché neutralità
significa potersi difendere. E poi siamo sicuri che la Russia apprezzerà
uno Stato che farà a tutti gli effetti parte dell’alveo occidentale che
farà business con l’Ue e l’America e non con loro? Al momento i russi
tacciono. Ma evocando una condizione di neutralità bisogna capire bene
che tipo di neutralità».
Intanto l’armata rossa continua ad avanzare, facendo strage di civili. Ora nel mirino c’è Odessa, città simbolo. «Sì,
ma è escluso che si possa pensare di invadere Odessa utilizzando
soltanto le forze provenienti dal mare. Prima i russi devono cingere
d’assedio il fronte opposto della città con i carri armati».
Che pensa dei nuovi massicci aiuti decisi da Biden? «Questi
aiuti saranno determinanti per mantenere un’Ucraina forte però i russi
hanno già detto che sono contrari al fatto che gli americani continuino a
dare armi a Zelensky e questo aspetto farà parte di un accordo
diplomatico fra di loro».
E sul fronte degli incontri e della diplomazia? «Certamente
il fatto che i premier di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia abbiano
voluto incontrare Zelensky a Kiev ì, sotto le bombe, è stata una grande
manifestazione di sostegno e di solidarietà . E posso dirle anche che
proprio i Paesi Baltici più vicini territorialmente stanno cominciando a
pensare che la No-Fly zone andrebbe concessa».
La Nato che farà a questo punto? «Non la
concederà. A meno che non si arrivi da parte russa all’uso di armi
chimiche o altre armi di distruzione di massa. L’alternativa come
diciamo ormai da oltre tre settimane è la terza guerra mondiale».
Parla il segretario generale:
«Dobbiamo adattare l’alleanza atlantica al mondo che cambia e diventa
più competitivo. La Russia e la Cina agiscono insieme»
dalla nostra corrispondente BRUXELLES — «O si crede nella
democrazia e nella libertà oppure no. Io credo nei valori democratici e
la Nato li protegge. La Russia no, li viola. È la differenza tra
democrazia e autocrazia». Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, risponde alle domande del Corriere al termine della riunione dei ministri della Difesa della Nato. E spiega così perché lo slogan «né con la Nato né con la Russia» per lui non sia comprensibile.
Ha detto che siamo in un momento decisivo per la sicurezza europea. Cosa intende? «Ci troviamo di fronte a una nuova realtà, la Russia sta contestando
i principi al cuore della nostra sicurezza: il diritto di ogni nazione
di scegliere il proprio percorso e il diritto della Nato di difendere i
propri alleati. Mosca è disposta a usare la forza per ottenere i suoi obiettivi:
ha invaso l’Ucraina, una nazione indipendente e pacifica. E cerca di
influenzare la Nato chiedendo di ritirare tutte le nostre forze dai
Paesi che si sono uniti all’Alleanza dopo il 1997. Abbiamo 30 membri, di
cui 14 hanno aderito dopo quella data. Dunque la Russia pretende per
questi Paesi una sorta di membership di seconda classe, per cui non
avremmo il diritto di proteggerli come facciamo con l’Italia o qualsiasi
altro Paese alleato. Questa è la nuova realtà».
Per quanto tempo l’Ucraina può resistere all’attacco russo? Per la Polonia serve una missione di pace della Nato. «Il presidente Putin ha totalmente sottostimato la forza e il
coraggio dell’esercito ucraino, dei cittadini e della leadership
politica. La Nato per anni ha fornito supporto agli ucraini, mettendo
a disposizione equipaggiamento militare e addestrando migliaia di
truppe che ora sono in prima linea. Non voglio speculare sui prossimi
sviluppi, ma gli alleati proseguiranno con il loro sostegno,
continueremo a imporre costi pesantissimi con le sanzioni e rafforzeremo
la nostra presenza a Est tra i Paesi dell’Alleanza per prevenire
un’escalation. Sosteniamo gli sforzi per la pace, i negoziati tra
Ucraina e Russia, ma non abbiamo intenzione di dispiegare truppe Nato in
Ucraina perché la Nato non è parte del conflitto».
Ieri Mosca ha chiesto agli Usa di non fornire più armi a Kiev. E il presidente Zelensky di chiudere lo spazio aereo. «L’Ucraina è una nazione sovrana e indipendente, con un governo
eletto democraticamente, ha il diritto di autodifendersi. Noi aiutiamo
l’Ucraina nel difendere il suo diritto. E gli alleati lo hanno
confermato anche alla riunione dei ministri della Difesa: continueremo
con il nostro sostegno. Forniamo sistemi di difesa antiaerea e
antimissile, ma una no-fly zone implica attaccare o abbattere aerei russi, perché la no-fly zone non è qualcosa che si dichiara ma che si impone e questo porterebbe a una guerra tra Nato e Russia con ancora maggiore distruzione».
Il presidente russo ha attaccato il
«nemico interno» con parole che hanno destato ovunque impressione,
ricordando le «purghe» staliniane: «L’Occidente usa i nostri traditori
per distruggere la Russia. Li sputeremo come moscerini finiti in gola»
Che paura. Quasi come il discorso con il quale annunciò l’inizio della guerra. Questa volta, Vladimir Putin ha attaccato il «nemico interno»,
la definizione è sua, invitando il popolo russo a fare pulizia al suo
interno. Con parole che hanno destato ovunque impressione, anche in
Russia, dove il suo incontro con i membri del governo non sempre viene
trasmesso in diretta. Mercoledì invece è stato così. Il presidente voleva mandare un messaggio. E lo ha fatto, in un modo che rende impossibile non evocare le purghe di staliniana memoria.
«Non voglio giudicare i nostri connazionali con la villa a Miami o
nella riviera francese, e che magari non riescono a vivere senza
ostriche, foie gras o le cosiddette libertà di genere». Fino a qui
poteva sembrare un semplice ultimatum alla folta tribù degli oligarchi,categoria già poco amata in patria,
che non sanno più come prendere le distanze in modo più o meno diretto
da quello che sta accadendo. Ma il continuo riferimento alla società
russa ha fatto anche sorgere l’impressione che si tratti di una minaccia estesa alle molte persone del mondo culturale che in questi giorni hanno deciso di andarsene, e ai semplici cittadini che stanno cercando un modo per fuggire dal loro Paese, non importa se in treno, in auto o in aereo.
«L’Occidente sta cercando di mandare in pezzi la nostra società
speculando sulle perdite russe in combattimento e sulle conseguenze
socioeconomiche delle sanzioni, nella speranza di provocare così un
ammutinamento della popolazione. E so che sta usando la cosiddetta
quinta colonna, i nostri traditori, per raggiungere il suo obiettivo finale, che è la distruzione della Russia». È la prima volta che il Cremlino riconosce l’esistenza di un dissenso strisciante nella società russa.
di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini, Paolo Foschi, Redazione Online
Le notizie minuto per minuto sulla
guerra di giovedì 17 marzo. Bombe su Kiev e Mariupol. Zelensky:
«Negoziati difficili». Biden definisce Putin «criminale di guerra»:
rabbia del Cremlino. Chiesta una riunione d’emergenza del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite
• Nuovi bombardamenti nella notte su Kiev. I russi hanno inoltre lanciato un attacco aereo a Mariupol sul teatro e sul centro sportivo Neptun, utilizzati come rifugio per donne incinte e madri con bimbi piccoli. • Biden ha attaccato Putin definendolo per la prima volta un «criminale di guerra». Rabbia del Cremlino. Il presidente Usa ha lanciato un pacchetto di altri 800 milioni di dollari in aiuti militari all’Ucraina. • Il Financial Times ha anticipato una bozza del piano di pace, in 15 punti, che include la rinuncia dell’Ucraina alla Nato e
la promessa di non ospitare basi militari straniere o armi, in cambio
di protezione da Usa, Gb e Turchia. Per Kiev però quelle pubblicate sono
«solo le richieste russe» • «Il nostro Paese vive l’11 settembre da tre settimane», ha detto ieri il presidente ucraino Zelensky accolto da una standing ovation al Congresso Usa, ribadendo la richiesta di una «no-fly zone». • I membri occidentali del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno chiesto una riunione di emergenza per oggi pomeriggio. Al centro della discussione, il peggioramento della situazione umanitaria in Ucraina.
***
Ore 8.15 – «L’invasione si è bloccata», secondo i britannici L’invasione russa dell’Ucraina «si è ampiamente bloccata su tutti i
fronti», e «le forze russe hanno fatto progressi minimi sul terreno, nel
mare e nello spazio aereo negli ultimi giorni, continuando a registrare
pesanti perdite». A segnalarlo è l’intelligence britannica, nel suo
ultimo aggiornamento sulla guerra in Ucraina.
«La resistenza ucraina è ancora solida e ben coordinata», proseguono
le fonti britanniche, evidenziando che «la maggior parte del territorio
ucraino, comprese tutte le grandi città, resta sotto il controllo
ucraino».
Ore 8.00 – Le nuove accuse della Russia all’Occidente Dopo il violentissimo discorso di Putin di ieri (che
ha accusato l’Occidente di voler «usare i nostri traditori» per
«cancellare la Russia: ma li sputeremo dalla bocca come moscerini»),
oggi a parlare è Dmitry Medvedev, numero due del Consiglio di sicurezza
russo. Le sue parole sono altrettanto dure: «L’Occidente», ha detto, «ha
agito in modo disgustoso, criminale e immorale» nei confronti della
Russia. I toni dello scontro tra Mosca e l’Occidente — mentre la Russia, a causa delle sanzioni, è ormai sull’orlo del default —continuano a inasprirsi.
Ore 7.45 – Le madri che partoriscono nei bunker, in Ucraina Nascere di sette mesi, dopo una fuga dalla guerra e dalle bombe. A
più di 500 chilometri da casa. Marta Serafini, inviata a Leopoli,
racconta la storia di Victoria e Valeria, 800 grammi l’una e 1.200
grammi l’altra — e delle loro madri. «Sono arrivata a Lviv (Leopoli,
ndr) il primo marzo, dopo un viaggio in treno di 75 ore senza cibo e
senza acqua», racconta Irina. «Per fortuna con me c’era mio padre,
settantenne. Il mio compagno invece è rimasto a Kiev, a combattere. Poi
appena sono arrivata qui ho messo al mondo le mie bambine». Qui l’articolo completo, qui sotto un’immagine dal servizio.
Ore 7.30 – Le misure del governo italiano sui carburanti Il governo italiano prepara per domani, venerdì 18 marzo, un novo
decreto per frenare la corsa dei prezzi dei beni energetici, cresciuti
dopo l’invasione russa in Ucraina. Il provvedimento conterrà un taglio
alle accise che gravano su benzina e gasolio di 15 centesimi. Qui tutte le misure, nell’articolo firmato da Andrea Ducci ed Enrico Marro.
Ore 7.15 – Le parole di Stoltenberg al Corriere: «Nessuna no-fly zone, diamo più armi a Kiev e ci rafforziamo a Est» «O si crede nella democrazia e nella libertà oppure no. Io credo
nei valori democratici e la Nato li protegge. La Russia no, li viola. È
la differenza tra democrazia e autocrazia». Il segretario generale della
Nato, Jens Stoltenberg, risponde alle domande del Corriere
al termine della riunione dei ministri della Difesa della Nato;
ribadisce il no alla no-fly zone ma anche il sostegno concreto alla
resistenza ucraina. Qui l’intervista completa, di Francesca Basso.
Ore 7.10 – A che punto siamo con i colloqui? I colloqui di pace tra Ucraina e Russia continuano — nonostante, sul
campo, le truppe di Mosca continuino a bombardare le città ucraine. «I
negoziati sono abbastanza difficili», ha ribadito poco fa alla Nbc il
presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Altro che partecipazione massiccia. Alla fine il voto online del Movimento 5 Stelle
ha fornito come risultato l’ennesimo flop. È rimasto deluso chi si
aspettava un bagno di democrazia: in realtà è arrivata una doccia gelata
per Giuseppe Conte, che non è riuscito a fare da
calamita e a produrre un’affluenza dignitosa nella consultazione online.
Nella giornata di ieri su SkyVote gli iscritti si sono
espressi sulla proposta di modifica dello statuto e sulla contestuale
revoca della deliberazione assembleare del 17 febbraio 2021, ma il
responso è stato un buco nell’acqua.
Il tonfo dei 5 Stelle
Come
riportato sul sito ufficiale del M5S, ad aver preso parte alla
votazione sono stati solamente 34.040 iscritti. Pertanto non è stato
raggiunto il quorum costitutivo e di conseguenza si
procederà con l’assemblea in seconda convocazione: tutti gli iscritti
abilitati potranno votare dalle ore 8 alle ore 22 di oggi, venerdì 11
marzo. Di certo questo rappresenta un nuovo capitombolo per i grillini,
che avevano riposto buone speranze su un ritorno alla partecipazione
online dopo la guida presa da Conte.
Doccia gelata per Conte
È
il caso di ribadirlo: l’ex premier non sta riuscendo nell’effetto
salvifico, in quel processo che ha come obiettivo la rinascita del
Movimento 5 Stelle sia nell’azione politica sia nel consenso degli
elettori. Gli animi non possono che essere turbati e toccati da questa
ennesima figuraccia: se non si è riusciti a raggiungere il quorum in una
questione interna, come si può pensare di incassare una quantità di
voti tale da essere determinanti nello scenario politico?
A mettere il dito nella piaga è Lorenzo Borré,
legale dei tre attivisti napoletani che hanno presentato il ricorso
contro il nuovo statuto del Movimento e l’elezione di Conte alla guida
del M5S: “Quella che molti commentatori politici hanno ritenuto
una sfida al Tribunale di Napoli evidentemente non è piaciuta alla
stragrande maggioranza degli associati, i quali probabilmente non
credono che la democrazia si affermi con petizioni antidemocratiche,
quali quelle che riservano ad uno solo di loro la possibilità di guidare
il partito”.
Un’ulteriore sconfitta è arrivata proprio nei giorni scorsi: martedì il tribunale di Napoli ha rigettato l’istanza avanzata dal M5S
per la revoca dell’ordinanza di sospensione dello statuto e della
successiva elezione del presidente grillino. I vertici restano congelati
e così l’operato rischia di ingolfarsi ancora di più, con una battaglia
intestina di tutto rilievo. E Borrè, pur ritenendo che le modifiche
verranno approvate dalla base pentastellata, si pone un interrogativo: “Considerati i vizi che le minano e ne predicono l’annullamento, mi domando: che senso ha tutto questo?”.
Nel mezzo di una guerra, la Bce gioca a Risiko. Uno spostamento delle
pedine, sulla mappa della politica monetaria, che non promette nulla di
buono per l’Italia. Perché lì, a Francoforte, sta suonando la ritirata
dagli aiuti. Forte e chiara. È il prevalere dell’aggressività rispetto
alla cautela, è la vittoria dei falchi decisi ad affrontare a muso duro,
costi quel costi, l’idra dell’inflazione. Vincono loro con la decisione
di mandare sul binario morto il vecchio Qe di Mario Draghi già nel
terzo trimestre, in anticipo rispetto alla tabella di marcia, se i dati
in arrivo confermeranno lo scenario di tensione sui prezzi al consumo.
Il «se» è solo una quinta di cartone: tutto appare già scritto,
preordinato fin dall’intenzione di tagliare gli acquisti di titoli dai
40 miliardi ad aprile, ai 30 di maggio, fino ai 20 miliardi di giugno.
Poi, il nulla o quasi, visto che il Pepp (il pacchetto di aiuti contro
la pandemia da 1.850 miliardi di euro) arriverà a fine corsa questo
mese. Così, si apre un’autostrada verso la stretta sui tassi.
Vistosa
spilla con i colori della bandiera ucraina appuntata al bavero della
giacca e faccia sempre più tirata, Chistine Lagarde si è presentata ieri
in conferenza stampa per spiegare che «vi sono state molte discussioni,
molte proposte diverse, ma alla fine c’è stata la determinazione di
supportare la proposta del capoeconomista Philip Lane circa le decisioni
annunciate. Serve un approccio bilanciato per rispettare il mandato di
stabilità dei prezzi». L’«approccio bilanciato» è quello che in pochi
minuti ha fatto schizzare di 24 punti base il rendimento dei Btp
decennali, all’1,92%, lo spread verso il Bund tedesco a quota 163 e dato
un’altra picconata alle Borse (156 i miliardi di capitalizzazione
bruciati dai listini europei), a cominciare da quella di Milano (-4,2%
).
Una doccia gelata su chi si aspettava, stante la situazione, la
messa in campo di strumenti adatti per affrontare l’emergenza. Nessuno
aveva previsto un orientamento così restrittivo; nessuno pensava di
dover fare i conti con il possibile remake del film horror girato nel
2011 dall’allora capo della Bce, Jean-Claude Trichet. Allora, furono
piazzati due rialzi dei tassi ravvicinati per combattere il carovita, la
pagliuzza. La trave, non vista, fu la crisi del debito sovrano in
arrivo sul primo binario, accentuatasi a causa di quelle mosse
dissennate.
Adesso si rischia di ripetere lo stesso errore pretendendo di governare l’ingovernabile – uno choc dal lato dell’offerta – con una strategia che trascinerà probabilmente in recessione l’eurozona, anche se Francoforte spera ancora di chiudere l’anno con una crescita oscillante fra il 3,7% (scenario ottimistico) e il 2,3% (scenario grave). «Il conflitto Russia-Ucraina avrà un impatto materiale sull’attività economica e sull’inflazione», ha detto la Lagarde.
Versailles (Parigi). Quaranta minuti di colloquio all’Eliseo, per
fare il punto prima del Consiglio Ue informale di Versailles. Un faccia a
faccia nel quale Macron e Draghi concordano una comune strategia di
approccio sul delicato tema di come finanziare le due priorità del
momento: il rafforzamento della capacità di difesa europea e la
riduzione dell’indipendenza energetica dell’Ue. Parigi e Roma, infatti,
sono d’accordo sulla necessità di dar vita a un vero e proprio «Recovery
di guerra», mentre la Germania e i Paesi nordici si muovono con grande
prudenza sull’emissione di nuovo debito comune europeo.
Ma
l’incontro serve anche per affrontare il delicato tema della sicurezza,
per evitare che l’Italia sia esclusa dai consorzi Ue che riuniscono le
aziende che progettano e costruiscono le risorse militari comuni.
Investire per accelerare la costituzione di un esercito comune europeo,
infatti, significa anche iniziare a ragionare sulle relative forniture
militari.
Da un punto di vista strettamente diplomatico, invece,
il vertice all’Eliseo può essere visto come l’uscita da un periodo in
cui la diplomazia italiana si è mossa con un certo affanno, rimanendo
fuori da alcuni degli appuntamenti chiave delle ultime settimane.
Dopo
l’incontro con Macron, il premier italiano si presenta a Versailles e
nel doorstep a favore di telecamere spiega che «Italia e Francia sono
allineate» sia nelle sanzioni da imporre a Mosca che «nel sostegno per i
nostri Paesi» che «queste sanzioni necessariamente comporteranno».
D’altra
parte, spiega l’ex numero uno della Bce, la risposta al dramma della
guerra e delle conseguenze economiche e sociali che comporta «non può
che essere europea». Così come lo è stata la risposta alla pandemia
prima e all’aggressione di Mosca nei confronti di Kiev dopo.
L’economia
europea, spiega Draghi, va infatti incontro a «un rallentamento». «Non
solo – spiega – nel campo energetico, ma anche in quello agro-alimentare
e delle materie prime, quelle che riguardano la produzione di acciaio,
di carta, di ceramica».
L’incontro di Antalya dei Ministri degli Esteri russo e
ucraino era destinato a un nulla di fatto. L’ucraino Dmytro Kuleba
negoziava la pace, a costo di dolorose concessioni territoriali. Il suo
Presidente le aveva ventilate. Il russo Sergei Lavrov chiedeva la resa.
Il suo Presidente non gli consente altro. Non c’era punto d’incontro.
Vladimir Putin sta perdendo la sua guerra. Non ha alcuna intenzione di
accettare la disfatta. Ha cacciato se stesso e il suo Paese in un vicolo
cieco. Il rischio è che per uscirne alzi ancora la posta. L’invasione
dell’Ucraina aveva due obiettivi strategici: un governo fantoccio
filo-russo a Kiev; una zona d’influenza russa fino ai confini della
Nato, sull’intero spazio ex-sovietico (dopo si vedrà….). L’offensiva
militare non ha conseguito il primo; il secondo si è allontanato. La
guerra ha invece provocato un disastro umanitario e un esodo di
rifugiati che garantiscono a Mosca la profonda ostilità ucraina per anni
a venire. Il costo economico elevato per la Russia non farà che
aumentare man mano che matura l’impatto delle sanzioni. Sul piano
politico ed economico la guerra di Putin è già persa.
Su quello militare? L’invasione russa ha guadagnato territorio, quasi
il 20% dell’Ucraina, ma non ha avuto la meglio sulla resistenza delle
forze ucraine. I russi faticano a impadronirsi delle città sotto
assedio. Ricorrono alla potenza di fuoco. Per entrare dovrebbero
affrontare una guerriglia urbana che temono – la sanno letale dalle loro
stesse eroiche memorie di Stalingrado e Leningrado dove fermarono il
Terzo Reich. Gli ucraini sono allo stremo ma col morale alto; i russi,
molti di leva, sono spesso spaesati e alle prese con la logistica,
vecchio tallone d’Achille. Le artiglierie hanno munizioni ma il
carburante scarseggia.
Per vincere Vladimir Putin ha tre opzioni. La prima è di riversare nella guerra ancor più risorse militari fino a schiacciare l’Ucraina sotto il peso della macchina da guerra russa. E, se le armi convenzionali non bastassero? Prima il Cremlino ha evocato lo spettro dell’atomica, adesso la propaganda russa – echeggiata a Lavrov – favoleggia inesistenti laboratori batteriologici del Pentagono in Ucraina. Intimidazione? Il solo menzionare armi di distruzione di massa è irresponsabile. Da un regime che, in tempo di pace, ha rischiato di avvelenare col novichok la popolazione di Salisbury ed ha acconsentito all’uso di armi chimiche in Siria c’è da temere il peggio. La seconda è l’allargamento del conflitto. Impantanato in Ucraina, crivellato dalle sanzioni, Putin sente erodersi la fragile popolarità della guerra. Il mito dell’Ucraina che minacciava la sicurezza della Russia con un’ipotetica candidatura alla Nato è merce rapidamente deperibile quando le famiglie russe cominciano a contare i caduti. Se la Nato scende in campo il Presidente russo può contare su un’impennata nazionale che faccia quadrato intorno al Cremlino. Uno scenario di terza guerra mondiale chiama in causa la Cina. In un confronto militare con la Nato la Russia non può vincere ma può sempre pareggiare grazie al ricatto nucleare. Saggiamente, Usa, Nato e Ue non abboccano all’amo.
«Non abbiamo attaccato l’Ucraina». La diplomazia muore ad
Antalya, sotto gli occhi esterrefatti dei padroni di casa turchi che
avevano sperato che il faccia a faccia tra i ministri degli Esteri
dell’Ucraina e della Russia portasse almeno a un cessate-il-fuoco
umanitario. Ma Sergey Lavrov distrugge subito le speranza: «Non siamo
qui per questo, gli ucraini conoscono le nostre richieste». Il suo
avversario ucraino Dmytro Kuleba conferma che i russi «da noi vogliono
soltanto la resa», e ammette di non aver contato troppo sull’incontro,
perché Lavrov «è venuto a parlare, non a decidere». Una conferma di
quello che si sapeva già: la diplomazia russa è in mano a un solo uomo,
che non è Sergey Lavrov, il quale ormai da anni si accontenta del ruolo
di un portavoce della propaganda di Vladimir Putin.
Ucraina, l’accusa di Lavrov: “L’ospedale pediatrico di Mariupol era la base del battaglione Azov”
E ad ascoltare la conferenza stampa del ministro russo viene il dubbio che la visita in Turchia gli sia servita soprattutto per raccontare la propaganda russa. A cominciare dalla clamorosa negazione: la Russia «non ha attaccato l’Ucraina», ma ha solo reagito a una «minaccia alla sicurezza» che sarebbe venuta da Kiev. Una dichiarazione che contraddice la richiesta di resa: se non c’è attacco non si può parlare nemmeno delle condizioni alle quali fermarlo. Ma tutto questo non imbarazza Lavrov. Negare l’evidenza, un metodo collaudato. E poi, numerose domande sul bombardamento della maternità di Mariupol: il diplomatico russo sostiene che la clinica non ospitava più pazienti, sostituite dai «battaglioni nazionalisti» ucraini che avrebbero occupato l’edificio per farsi colpire dall’artiglieria russa e creare un caso umanitario. E le foto delle donne ferite sono ovviamente un fake, come sostengono le ambasciate russe in giro per il mondo, che twittano coordinate gli attacchi della propaganda ufficiale.
Una storia identica a quella raccontata in Siria, e ancora prima in Donbass e in Cecenia, più di vent’anni fa. I russi non colpiscono mai obiettivi civili, nemmeno per errore, sono sempre false accuse del nemico, oppure trappole dei perfidi avversari che usano la popolazione come scudo umano. Chissà perché, allora, i militari russi ricascano in questi tranelli decennio dopo decennio, e perché dopo il loro passaggio non restano che macerie. Ma l’importante sostenere senza esitazione la propria tesi, per quanto assurda possa apparire. Lavrov conduce un negoziato, non parla all’opinione pubblica internazionale, si rivolge a un pubblico interno alla Russia e soprattutto a uno telespettatore privilegiato, unico destinatario del suo show propagandistico. È lui che esige sempre dagli interlocutori occidentali di vedere riconosciute le sue ragioni, che li sottopone a lezioni interminabili di storia secondo i manuali del Cremlino, che ha reso impossibile un negoziato già da quando, nel 2014, Angela Merkel sospirò esasperata che «Putin vive nel suo mondo».
Putin: “L’aumento dei prezzi di petrolio e gas non dipende dalla Russia”
Ed è da quel mondo magico che arrivano i pipistrelli e gli uccelli che – racconta un altolocato ufficiale del ministero della Difesa russo in prima serata al tg della tv di Stato – avrebbero dovuto volare in Russia dai laboratori segreti americani situati in territorio ucraino. Animali contaminati con un virus geneticamente modificato in modo da contagiare «esclusivamente gli slavi». Una teoria razziale che finora abitava nei bassifondi cospirazionisti dei blog su Internet e che ora viene riversata nei cervelli degli spettatori russi, molti ancora memori della propaganda sovietica che, all’epoca delle Olimpiadi di Mosca nel 1980, terrorizzava i bambini per non farli avvicinare ai turisti stranieri, che avrebbero offerto loro caramelle leccate da malati tubercolotici.