di Alessandro De Angelis
Professor Galli della Loggia, questa è un’intervista sul
cosiddetto “realismo”. Quelli che dicono “a che serve prolungare la
carneficina”, anche mandando armi all’Ucraina, meglio trattare con
Putin. È semplicemente una riedizione dello spirito di Monaco o qualcosa
di più complesso?
Diamo un nome alle cose. La carneficina
si può chiamare anche resistenza. A che serve la resistenza? A logorare
le forze del nemico, cosa che mi pare stia accadendo. Se i russi non
sono lì a dettare le condizioni è perché c’è stata la carneficina. E
combattere implica anche che si possa morire, ma vale per entrambe le
parti. Sappiamo poco dei numeri della carneficina dei russi che però
pesa eccome, perché Putin non può sopportare più di tanto i morti, senza
che qualcosa inizi a scricchiolare, come trapela a proposito di segnali
di insofferenza interni anche nell’organismo militare.
Sempre lì si torna, alla resistenza come presupposto della trattativa.
Qui c’è un punto veramente bislacco su questo “trattiamo”, senza che
peraltro Putin sembri averne molte intenzioni. Essendo gli ucraini
quelli che resistono sono loro i padroni della trattativa. Sono loro che
bisogna ascoltare prima di avviare qualunque trattativa. Si può
immaginare che qualcuno tratti a nome loro, i quali peraltro è da giorni
che con i russi trattano, con i risultati che vediamo? In verità
l’idea, per come è formulata, sottintende una cosa loschissima: noi
trattiamo con Putin per ridurre il nostro aiuto alla resistenza. Così
gli ucraini, indeboliti, sono in qualche modo costretti a cedere e noi
facciamo bella figura.
Ci vede anche un eccesso di “politicismo”, anche molto
italiano, neanche fosse una crisi di governo? “Mandiamo la Merkel”,
“apriamo il tavolo”, che poi non si capisce perché dovrebbe riuscire la
Merkel dove non ce l’hanno fatta Scholz e Macron.
Non è un eccesso di politicismo, sono pure corbellerie. Perché la
Merkel dovrebbe accettare, col rischio di andare a sbattere contro un
muro e giocarsi immagine e storia personale? E poi perché dovrebbe
riuscire dove altri hanno fallito, peraltro senza rappresentare più
neanche la Germania? Perché sa il russo? E perché mai il cancelliere
socialdemocratico in carica dovrebbe mandare lei, la sua ex principale
avversaria politica, perché dovrebbe regalare un eventuale successo alla
Cdu? Lei capisce: parole in libertà.
Lei ha detto una cosa importante: sono gli ucraini i titolari
del proprio destino. Quanto impatta la cultura del benessere, intesa
come predisposizione a una lettura materialistica del conflitto, nel
sentirci noi padroni del loro? Voglio dire: l’altra sera da Lilli Gruber
era ospite un tennista ucraino, che è stato numero 31 del mondo, non ha
mai preso una pistola in mano e si è arruolato, pur non sapendo sparare
in nome della libertà, bene non negoziabile.
Questo esempio che lei fa riguarda innanzitutto il tema della
coesione e della cultura nazionale. Il tennista va lì anche perché, se
non impugna le armi, quando torna a impugnare una racchetta su un campo
ucraino deve fuggire sotto una valanga di fischi. È il sentirsi nazione,
comunità di destino. Poi c’è il tema della cultura della virilità: gli
uomini combattono, le donne stanno a casa o mettono in salvo i bambini,
una cultura che contraddice un secolo dei nostri discorsi sul gender.
Per noi, che concepiamo solo il diritto di vivere è inconcepibile il
dovere di combattere e del coraggio fisico, anche rischiando di farsi
ammazzare. E qui l’elemento fondamentale è la religione: se credi in Dio
muori più facilmente. Se togli la trascendenza divina dalla cultura
diffusa di una società anche per gli atei rischiare di morire diventa
più difficile perché i valori sono un universo complesso nel quale in
qualche modo si tengono tutti assieme: la libertà non si mangia, è
qualcosa di trascendente e il martirio ha un coté religioso. Tutta la
storia culturale degli ultimi due secoli viene messa alla prova.
Domanda vasta: quanti punti di Pil siamo disposti a
sacrificare per la libertà, percependo la loro libertà come la nostra,
al netto della retorica del siamo tutti ucraini? Resistenza o bollette?
Bella domanda. A giudicare dal discorso che abbiamo fatto, direi
pochissimi punti. Viviamo in una cultura politica dominata dall’economia
e ad essa subalterna. I valori forti, ideologici – libertà, democrazia –
sono stati cancellati mentre la delega a difenderli è stata assegnata
al mondo anglosassone. Una cosa come l’Ucraina implica una riconversione
brutale che ci trova impreparati totalmente.
Insomma professore, trent’anni dopo l’89 e l’illusione della
“fine della storia” si ripropone il tema di un nuovo ordine mondiale.