Archive for Marzo, 2022

Salvini contestato in Polonia da un sindaco: condanni Putin. Lui: io qui contro la guerra

mercoledì, Marzo 9th, 2022

Antonio Bravetti

Sbeffeggiato a una decina di chilometri dal confine ucraino da un sindaco polacco di destra. Finisce male la missione umanitaria di Matteo Salvini in Polonia. «Io non la ricevo- si è sentito dire dal primo cittadino di Przemyśl, dove arrivano i treni da Leopoli carichi di profughi- venga al confine a vedere cosa sta facendo il suo amico Putin e lo condanni». Wojciech Bakun, esponente del partito populista Kukiz’ 15, euroscettico e conservatore, non è uno di sinistra. Davanti a telecamere e taccuini, ha lestamente tirato fuori dal giaccone mimetico un regalo per l’ospite italiano: una maglietta con l’immagine di Vladimir Putin e la scritta “Armata russa”.

Il segretario della Lega, spaesato davanti alla reprimenda in polacco, ovviamente non ha gradito. Bianca, con l’immagine del presidente russo in nero, la maglietta è la stessa con cui Salvini posava sorridente davanti al Cremlino. Erano i tempi in cui mercanteggiava sui social: «Cedo due Mattarella per mezzo Putin». I polacchi hanno dimostrato di non avere memoria corta. «Salvini eviti pagliacciate e torni a casa», lo attaccava intanto dall’Italia Matteo Renzi. È stato il sindaco a invitare Salvini, precisava lo staff in serata, e lui «ha accettato per educazione e garbo istituzionale». Mal gliene incolse.

In Polonia il segretario delle Lega è arrivato con “Ripartiamo”, una onlus la cui «mission è organizzare eventi, spettacoli e manifestazioni culturali che rappresentino occasioni di arricchimento per l’intera comunità; sviluppare il dialogo e il confronto tra tutti i cittadini attorno ai valori dell’amicizia e della solidarietà». Fa parte di View Point Strategy, «agenzia internazionale di comunicazione», fondata nel 2015 da Francesca Immacolata Chaouqui, finita sette anni fa nello scandalo di Vatileaks 2.

«Sogno una marcia della pace in Ucraina- diceva Salvini la settimana scorsa- un’invasione pacifica per frapporsi fra il popolo e le bombe». Spiegava di aver contattato Caritas e Sant’Egidio per la pianificazione del viaggio. «Mai sentito», ribattevano loro. Per organizzare la due giorni polacca spuntano allora Ripartiamo e la View Point Strategy, «specializzata nella creazione di strategie di comunicazione». E così lunedì il segretario della Lega vola a Varsavia. «Non sarà diffuso alcun programma né verranno forniti altri dettagli», spiegava il suo staff. Basso profilo. È durato poco. Poi, tutto documentato e diffuso. Foto, video, social. Tranne l’incidente di Przemyśl. «Non ci interessa la polemica della sinistra italiana o polacca, siamo qui per aiutare chi scappa dalla guerra». È il Salvini pacifista, nuovo look. Il lifting non cancella però l’accordo con Russia Unita di Putin. Sottoscritto il 6 marzo 2017, mai disdetto, tre giorni fa si sarebbe rinnovato automaticamente per altri cinque anni. «Non è mai entrato in vigore- precisano dalla Lega- e comunque era sottoscritto dalla Lega Nord. Oggi siamo Lega Salvini premier, un altro soggetto».

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L’offerta di Zelensky ai russi: “Compromesso sul Donbass”. E la Cina spinge per l’intesa

mercoledì, Marzo 9th, 2022

Francesca Sforza

Saranno due giorni fondamentali, in cui l’evolversi della situazione sul territorio ucraino determinerà la qualità del negoziato previsto – e per adesso confermato – l’11 marzo ad Antalya, sulla costa turca, sotto la mediazione del presidente Erdogan. Ieri per la prima volta, è uscita fuori la parola “compromesso” ed è stato Zelensky a pronunciarla, nel corso di un’intervista alla rete televisiva statunitense Abc: «Sono pronto al dialogo, non alla resa – ha detto -. Penso che riguardo ai territori temporaneamente occupati (Crimea) e alle repubbliche non riconosciute (Donetsk e Luhansk), che non sono sostenuti da nessuno tranne che dalla Russia, possiamo discutere e trovare un compromesso su come queste aree continueranno ad esistere». A proposito dell’ingresso della Nato, Zelensky ha detto che al momento non ci sono le condizioni: «La Nato non è pronta ad accettare l’Ucraina, e noi non siamo un Paese che ha voglia di chiedere le cose in ginocchio».

Se queste sono le aperture che Zelensky è disposto a mettere sul tavolo, le probabilità di un accordo aumentano, anche se il portavoce del governo turco ieri ha registrato da Mosca la consueta intransigenza: «Le condizioni della Russia sono molto dure da far accettare, ma la diplomazia serve proprio a questo, a trovare una soluzione là dove non sembra ce ne possa essere una». Che il clima non sia ancora ideale per una trattativa si evince alle dichiarazioni del ministro degli Esteri ucraino Kuleba, che a proposito dei colloqui di Antalya ha dichiarato alla tv ucraina di essere pronto a un incontro con il suo omologo «sempre che il signor Lavrov sia dell’umore giusto per una discussione seria e sostanziale». E ha aggiunto: «Gli dirò: “Signor Lavrov, ritengo di avere un incontro con un complice e un co-organizzatore del crimine di aggressione contro l’Ucraina, ma se puoi fermare o almeno tentare di fermare questo crimine, parliamo seriamente, da diplomatici, altrimenti, se continui con la stessa assurda propaganda diffusa ultimamente, ti dirò la verità che meriti di sentire”».

A distendere i toni è intervenuta ieri anche la diplomazia vaticana, che si è messa in contatto, tramite il cardinale Parolin, con il ministro degli Esteri russo Lavrov. «Le parti hanno espresso la speranza che il prossimo round di colloqui tra Mosca e Kiev abbia luogo presto e che venga raggiunto un accordo su questioni chiave», con l’obiettivo di cessare le ostilità, hanno affermato fonti russe. L’entourage del ministro Lavrov ha spiegato che il ministro ha informato il cardinale Parolin «delle motivazioni russe in merito alle cause e agli obiettivi dell’operazione militare speciale condotta in Ucraina». Il cardinale ha espresso la profonda preoccupazione di papa Francesco per la guerra in corso in Ucraina e ha ribadito quanto affermato domenica scorsa dal papa all’Angelus. In particolare, ha ripetuto la sua richiesta di porre fine agli attacchi armati, di rendere sicuri i corridoi umanitari per i civili e i soccorritori e di negoziare invece della violenza armata. La Santa Sede – ha concluso Parolin – «è pronta fare tutto il possibile per mettersi al servizio di questa pace».

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Guerra Russia-Ucraina e chip: transizione ecologica a rischio

mercoledì, Marzo 9th, 2022

di Milena Gabanelli e Massimo Sideri

Pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (qui le ultime notizie in diretta), la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva ottenuto l’approvazione del cosiddetto «Chip Act»: un investimento tra i 43 e i 45 miliardi di euro per la produzione di semiconduttori in Europa. «Si tratta di 15 miliardi di investimenti pubblici e privati aggiuntivi entro il 2030, oltre ai 30 miliardi già previsti da Next Generation Eu, da Horizon Europe e dai bilanci nazionali», aveva spiegato la von der Leyen. «L’Eu Chip Act cambierà le regole del gioco», aveva concluso con toni euforici. Ma in pochi giorni le priorità del mondo – e non solo dei Paesi europei – sono cambiate. Con l’aggressione di Putin all’Ucraina è scoppiata una guerra «in Europa». I mercati sono stati investiti dall’incertezza. Si profila la crisi energetica, vista la nostra dipendenza dal gas russo, e l’aumento dell’inflazione. Dunque: ha ancora senso spendere tanto denaro pubblico per dei chip? Vediamo.

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Perché l’Occidente è arrivato impreparato all’invasione di Putin?

mercoledì, Marzo 9th, 2022

di Federico Rampini

L’Occidente è assediato già al proprio interno: questa sindrome autodistruttiva affiora anche dietro il pacifismo ipocrita che recita: «Né Nato né Russia»

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Perché Vladimir Putin ha deciso che questo è il momento giusto per scatenare una guerra nel cuore d’Europa? Che cosa unisce la sua visione all’analisi del mondo che fa Xi Jinping? E come mai l’Occidente è arrivato impreparato a una sfida tremenda? Un filo rosso unisce le risposte a questi interrogativi: è la caduta di autostima delle democrazie liberali, assediate dal proprio interno prima ancora che da formidabili avversari esterni. Dietro la nostra sottovalutazione delle minacce di Putin negli anni passati, e ora dietro il pacifismo ipocrita «né con la Russia né con la Nato», affiora questo problema più generale, che ha contribuito a far precipitare l’aggressione contro l’Ucraina. È la smobilitazione ideologica dell’Occidente: da tempo concentrato nel processare se stesso, criminalizzare la propria storia, colpevolizzarsi per gli orrori dell’imperialismo. Solo il proprio, s’intende: gli imperialismi russo o cinese non contano. Se tutto il male del mondo è riconducibile a noi, perché avremmo dovuto vigilare su chi ci vuole mettere in ginocchio? Per quale ragione avremmo dovuto irrobustire le difese sui confini orientali della Nato, se l’unico militarismo ad avere disseminato il pianeta di sofferenze è il nostro?

Questa sindrome auto-distruttiva è acuta in America. L’attentato alla democrazia americana è stato ben visibile nella presidenza filo-putiniana di Trump. Ancora qualche giorno fa, prima che arrivassero sui nostri schermi le immagini atroci di bombe e di morte in Ucraina , l’ex presidente repubblicano era intento a definire «Putin un genio, Biden un incapace». Ora il partito repubblicano corregge il tiro e la sua corrente filo-russa è in imbarazzo, ma per troppo tempo questa destra ha descritto l’America come una democrazia truccata, dove gli altri vincono solo grazie ai brogli elettorali. Sul fronte opposto, il disprezzo per la liberaldemocrazia americana è speculare e simmetrico. Il movimento radicale dell’anti-razzismo, Black Lives Matter, da anni denuncia gli Stati Uniti come l’Impero del Male. Le sue analisi e i suoi slogan vengono regolarmente ripresi dalla propaganda russa e cinese. I talkshow in lingua inglese di RT (Russian Tv) e Radio Sputnik, i due maggiori organi di propaganda putiniana, pullulavano di ospiti della sinistra radicale americana: attivisti di Black Lives Matter e docenti vetero-marxisti con cattedra nei campus universitari dove domina il pensiero politically correct.

L’unico genocidio del quale si parla nelle scuole americane non è quello che Putin vorrebbe compiere contro il popolo ucraino, secondo Zelenski: è quello che la sola razza bianca ha perpetrato ai danni dei nativi. Il razzismo, secondo la Critical Race Theory insegnata nelle scuole pubbliche, è una colpa collettiva che soltanto i bianchi devono ammettere ed espiare. Tra la destra eversiva che diede o giustificò l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021, e la sinistra sovversiva che ha predicato l’odio contro le forze dell’ordine, l’America era troppo dilaniata dalle proprie guerre di religione, per avvistare un assalto esterno ormai imminente.

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I droni turchi Bayraktar: l’arma decisiva dell’esercito ucraino

mercoledì, Marzo 9th, 2022

di Andrea Nicastro

Leggeri, economici e manovrabili da lontano, i bombardieri comprati da Ankara hanno inflitto pesanti perdite all’esercito di Mosca

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DAL NOSTRO INVIATO
DNIPRO Bayraktar. Imparate questo nome. Se vi fosse più semplice potete anche memorizzarne solo la sigla: BT2. Ma, nelle guerre contemporanee, bisogna sapere cos’è, come in Vietnam il kalashnikov Ak47 o in Afghanistan lo Stinger. Il kalashnikov era il mitra che Mosca davano ai viet per combattere gli yankee, gli Stinger erano i missili che Washington dava ai mujaheddin per abbattere gli elicotteri russi. I Bayraktar BT2 sono i droni che l’Ucraina si è comprata dalla Turchia per difendersi dall’invasione di Putin.

I droni che vorrebbe qualcuno gli regalasse per continuare a difendersi. Se sono vere anche solo la metà delle perdite che Kiev dice di aver inflitto ai russi (12mila soldati uccisi), l’arma decisiva è stata spesso il drone turco capace di scavalcare le linee e colpire le parti meno protette del fronte nemico: i camion della logistica, i trasporta truppe, le cisterne di carburante, le comunicazioni. Il drone turco brilla nelle guerre a basso contenuto tecnologico.

Qualche analista sostiene che le continue violazioni dei cessate-il-fuoco da parte dei reparti russi durante i corridoi umanitari dipenda dal fatto che i soldati sul terreno non hanno fatto a tempo a ricevere le indicazioni del comando che ha concordato la tregua. Perché? I Bayraktar distruggono i centri di comunicazione.

Il BT2 è un drone bombardiere. Il suo «operatore» è al riparo, distante abbastanza dal fronte, ma comunque sempre lì, nel fango della guerra. È agile, economico e comunque sempre letale. Un suo missile ha ucciso 53 etiopi in un unico colpo appena 4 mesi fa. Proprio perché non è tante cose, il Bayraktar è (fonte Reuter s) probabilmente il drone più venduto al mondo.

Il BT2 sta frenando l’avanzata russa in Ucraina. È lungo 6 metri e mezzo e ha un’apertura alare del doppio. Rispetto ai concorrenti statunitensi, israeliani e cinesi pesa molto meno (600 chili, armamento escluso) e soprattutto costa meno della metà: 10 milioni di dollari. Il Bayraktar fa, in piccolo, il lavoro che farebbe un cacciabombardiere da 200 milioni, solo che si nasconde in cantina in caso di bombardamento, si trasporta con un camioncino e non ha bisogno di aeroporti. «Invece dei vecchi Mig sovietici, fateci avere centinaia di BT2, distruggeremo i russi» avrebbero detto gli ucraini a chi offriva loro aiuto.

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A che punto è la guerra nelle città ucraine?

mercoledì, Marzo 9th, 2022

di Andrea Marinelli e gli inviati Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini

I tre fronti dell’armata russa. L’esercito di Mosca è 8 volte quello ucraino, sue le perdite maggiori. Ovunque i corridoi umanitari, aperti a parole, sono chiusi con il fuoco Nella parte Ovest del Paese, fondamentale per i rifornimenti d’armi, Mosca opera soltanto per via aerea, ma non ha il controllo dei cieli

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LaPresse

L’Armata russa procede lentamente su tre fronti . Da Nord scende verso Kiev, dove si combatte nei sobborghi. Gli uomini di Putin avanzano da Nordest, dalla zona di Chernhiv, pesantemente bombardata ma in controllo ucraino, e da Nord, dalla Bielorussia, la rotta in cui si è formato il convoglio di 60 chilometri che mostra la potenza moscovita ma ne lascia anche trasparire i problemi logistici.
A Est, i russi assediano Kharkiv, che resiste nonostante i missili: qui è stato ucciso il generale russo Vitaly Gerasimov, che guidava le truppe di Mosca.
A Sud i russi guadagnano posizioni più rapidamente. Le truppe partite dalla Crimea si muovono verso Ovest, dove controllano l’area di Kherson e puntano Mykolayiv, ma anche verso Nord, dove hanno il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia, e verso Est: qui, conquistata Melitopol, assediano Mariupol, sul Mar d’Azov, che aprirebbe un passaggio fra la Crimea e il Donbass.
Ovunque si contano decine di vittime civili, almeno 474 secondo l’Onu, ovunque i corridoi umanitari, aperti a parole, vengono chiusi con il fuoco. Le bombe russe hanno colpito anche il porto di Odessa, nel Sudovest. In tutta la parte occidentale del Paese — fondamentale per garantire i rifornimenti di armi— l’attività russa è però soltanto aerea.

I russi non hanno il controllo dei cieli
, ma hanno incrementato la presenza. Colpiscono gli aeroporti militari per prevenire le consegne di jet, e le strutture per la comunicazione. Lo Stato maggiore avrebbe impiegato tutte le forze dispiegate, ma l’umore dei circa 190 mila soldati sarebbe molto basso. I generali del Cremlino stanno correggendo l’approccio, imparando dagli errori commessi sul campo.
Il Pentagono conferma i ritardi russi, è sorpreso da errori e perdite — per gli ucraini le vittime russe sono 11 mila, per l’intelligence Usa sarebbero fra i 2 e i 4 mila – notano evidenti carenze di coordinamento, ma avvertono: Putin ha una macchina da guerra poderosa, capace di travolgere l’avversario. Perdite e problemi logistici ci sono, ma sono amplificati dalla propaganda di Kiev e occidentale.

Nessuno si aspettava una resistenza così tenace
, considerato il rapporto fra le forze in campo: l’esercito moscovita è otto volte più grande di quello ucraino. I difensori subiscono l’artiglieria e i bombardamenti russi, ma sono più motivati e sfruttano la conoscenza del territorio per contrattaccare: si organizzano in unità leggere che colpiscono le colonne russe e si disperdono, sfiancando gli uomini di Putin.
Gli ucraini usano missili anticarro americani e droni turchi, si affidano a cavalli di frisia per frenare l’avanzata e anche a mezzi meno convenzionali: blocchi stradali artigianali fatti con autobus e tram, molotov e trattori, con cui i contadini ucraini trainano le prede belliche: i mezzi abbandonati dai russi.

KIEV Triplice avanzata verso la capitale, battaglia urbana alle porte
Il morale dei soldati ucraini e dei volontari impegnati a difendere la capitale rimane molto alto a due settimane dall’inizio della battaglia. Le loro forze speciali riportarono un’importante vittoria già il primo giorno, quando riuscirono a mettere fuori gioco gran parte delle truppe d’élite russe che provavano a catturare l’aeroporto di Hostamel, a 40 km da Kiev, da cui intendevano lanciare il blitz letale al cuore dell’Ucraina. Da allora il grande corpo d’armata arrivato dalla Bielorussia ha mostrato di non essere all’altezza. Mancano benzina e cibo per i soldati. I droni e i commando ucraini hanno causato gravi danni alla testa di ponte russa, che da almeno 5 giorni resta impantanata a 30 km dai quartieri a nord della città. Ma sarebbe un errore sottovalutare l’enorme riserva di uomini e mezzi agli ordini di Putin. Dal Pentagono dicono che l’esercito russo è quasi intatto. Kiev viene progressivamente circondata da tre direzioni. Da Nord la grande colonna è attestata a Hostamel e sta scendendo sul lato Ovest per cercare di congiungersi alle colonne che dalla Crimea hanno preso Zaporizhzhia e ora marciano su Dnipro. Una terza colonna avanza dal Donbass, ha superato Sumy e ora sta raggiungendo Kiev. Ben presto quindi i difensori di Kiev dovranno disperdere le loro forze. Ma la battaglia urbana sarà difficilissima. (L.Cr.)

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Le sanzioni utili ma non bastano

martedì, Marzo 8th, 2022

Carlo Cottarelli

In questo articolo do il mio parere sull’efficacia e sull’opportunità delle sanzioni economiche introdotte dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Userò la forma di rapide risposte a rapide domande. Credo infatti che sia meglio spezzettare la questione in varie parti piuttosto che rispondere alla semplice domanda “le sanzioni funzioneranno?”. Cominciamo.

Le sanzioni sono sufficientemente ampie? Sono ampie, anche se non tanto quanto quelle imposte all’Iran in passato (nel momento di massima estensione di queste ultime). Il divieto di fare operazioni finanziarie con le banche russe copre il 70 per cento di queste ultime (in termini di attivo bancario). L’esclusione dal sistema di pagamenti Swift copre il 30 per cento delle stesse (essendo escluse la prima e la terza banca russa). Il blocco delle riserve della banca centrale colpisce il 50 per cento delle riserve russe. Le misure personali (contro politici e oligarchi) sono estese, anche se l’Europa ha deciso di colpite una lista più lunga di quella degli Usa. Non si è arrivati a bloccare gli acquisti di idrocarburi e altre materie prime russe (che fanno arrivare 1,5 miliardi al giorno alla Russia), per evitare di fare troppo male a noi stessi. Non è una mancanza irrilevante. Quanto aggirabili sono le sanzioni? Un significativo grado di “aggiramento” è prevedibile. Da un lato la Russia si era già preparata prima dell’attacco all’Ucraina, per esempio riducendo le proprie riserve valutarie detenute in Occidente. Dall’altro il numero dei Paesi che non partecipa alle sanzioni resta elevato. Se per alcune sanzioni si è unita persino la Svizzera, restano fuori molti paesi, la Cina essendo l’esclusione più rilevante sia in termini di commercio estero russo, sia di transazioni finanziarie (e non dimentichiamoci dei paesi che sono paradisi fiscali dove stanno una buona parte dei soldi degli oligarchi).

Quanto penalizzeranno l’economia russa? Nonostante i sopracitati limiti, l’effetto sull’economia russa non sarà trascurabile, soprattutto nel breve periodo e soprattutto per un’economia che comunque non andava molto bene (con un tasso di crescita nel quinquennio pre-Covid di solo lo 0,5 per cento l’anno). Non per caso il rublo è caduto del 20 per cento rispetto al dollaro, con effetti negativi sull’inflazione futura. Reindirizzare i rapporti commerciali verso altri paesi non è qualcosa che può essere fatto senza costi. Anche nel lungo periodo l’effetto si farà sentire, ma molto dipende dal ruolo della Cina e degli altri Paesi emergenti. E’ l’effetto della globalizzazione: nel 1999 i Paesi avanzati rappresentavano l’80 per cento per Pil mondiale; vent’anni dopo sono scesi al 59 per cento.

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Trattare la pace tocca all’Europa

martedì, Marzo 8th, 2022

Massimo Cacciari

E’ un nudo dato di fatto in questa guerra chi sia l’aggressore e chi l’aggredito e dunque chi debba essere difeso e chi respinto. Altrettanto è un fatto che la banale rappresentazione di un fatto non spiega nulla e non dà alcuna soluzione. Tantomeno offre un aiuto efficace a chi subisce la violenza. Lasciamo perdere questioni di principio su guerre giuste e ingiuste. Le democrazie occidentali negli ultimi decenni, per non risalire troppo indietro nel tempo, hanno fornito ampia prova di quanto vaghe siano le loro idee a proposito. Restiamo alla tragedia oggi in atto, che ha cause remotissime e che nessuno o quasi sembra aver voglia oggi di ricordare. Fingiamo pure che l’Unione europea abbia svolto l’azione diplomatica e politica necessaria per cercare di disinnescarla nel corso dell’ultimo decennio in cui il conflitto tra Ucraina e Russia è sempre rimasto aperto. Raccontiamoci pure che in questa tragedia l’Europa non abbia dato la stessa prova di assenza di ogni politica estera e di sicurezza che di fronte a quelle medio-orientali. Fingiamo che il fatto dell’aggressione russa assolva tutti per precedenti errori e copra ogni peccato di omissione. Che fare? Questo è il tragico interrogativo di ora.

Sostenere la resistenza della nazione ucraina, certo. Con ogni mezzo, anche militare, anche con armi? Se si sostiene una parte in una guerra è logico che ciò avvenga. Non sta qui il problema. Il problema è sempre in quale prospettiva. La guerra è politica nella sua forma estrema, non semplicemente “far fuoco”. Ogni azione militare ha una sua logica o è destinata al fallimento. Dietro ogni cannone, ahimè, diceva un tale, ci sono idee. Allora, dietro alle armi che oggi vogliamo fornire alla resistenza ucraina c’è l’idea di farla durare il più a lungo possibile? C’è l’idea che essa possa vincere sul campo le armate russe (per questo l’URSS armava il Vietnam)? C’è l’idea di infliggere una sconfitta di portata epocale all’impero russo? Ammesso, e naturalmente non concesso, che simili follie alberghino nella mente di qualche stratega, saremmo allora disposti a vedere protrarsi nel tempo indefinitamente massacri e devastazioni? È interesse assoluto dell’Ucraina e deve essere il nostro che si ponga immediatamente fine alla guerra; per questo obbiettivo va utilizzato ogni mezzo, sanzioni o invio di armi che sia. Questo deve essere dichiarato e risultare chiaro allo stesso avversario.

Ciò significa che l’Europa deve saper offrire un tavolo per un accordo solidissimo tra Ucraina e Russia e dunque comprendere bene quali siano le richieste irrinunciabili di entrambe le parti. Già la chiara, forte espressione di questa esigenza da parte europea, con la presentazione di una delegazione a trattare di altissimo livello, presieduta magari da Angela Merkel, potrebbe portare al cessate il fuoco e alla possibilità di immediati ed efficaci interventi umanitari. Il passo successivo, il progressivo ritiro militare russo, potrebbe avvenire sulla base di un primo accordo in cui, a fronte del pieno riconoscimento da parte russa dell’integrità e sovranità dell’Ucraina, l’Occidente decide di allentare via via le pesantissime sanzioni. A questo punto si affronterebbe la questione decisiva della “collocazione” geo-politica dell’Ucraina. E se davvero si tratta, non si può trattare che con la Russia (a meno che non si tiri avanti con la guerra in attesa di una utopistica defenestrazione di Putin – ma ancora non lo si è capito che su certe questioni di ordine storico i grandi Paesi seguono nei secoli la stessa linea di condotta?). Europa e Usa sapranno agire con realismo? L’Ucraina, a maggior ragione dopo questa guerra, si muove verso Occidente per la forza delle cose. Accelerazioni sono pericolose quanto inutili. Così è accaduto anche con la Finlandia dopo la Seconda Guerra. Bisogna che questo inevitabile “movimento” avvenga sotto il segno economico e politico, non militare. L’Ucraina potrà, sostenuta da massicci interventi europei per la sua ricostruzione e il suo sviluppo, anche firmare un trattato di neutralità e riconoscere la sovranità russa sulla Crimea. Inaccettabile ovviamente ogni pura e semplice smilitarizzazione dell’Ucraina, ma possibile un accordo che escluda l’istallazione di armi strategiche e missili sul suo territorio (ci ricordiamo Cuba?). Altrettanto inaccettabile una messa fuori legge imposta da Mosca di partiti e movimenti di estrema destra, ma pienamente possibile un impegno costituzionalmente sancito per la difesa delle minoranze russe (senza un impegno contro tali movimenti e per questa difesa come sarebbe d’altra parte possibile il passo successivo, e cioè l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, con tempi e modalità che sarebbero oggetto di trattativa esclusivamente tra Ucraina e Ue?). L’alternativa? La guerra permanente inframezzata di armistizi o, peggio, l’occupazione russa.

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Oligarchi russi, Draghi spinge su altre sanzioni occidentali “tutti i paesi insieme”, ma il Regno Unito di Boris Johnson resta il paradiso-Londongrad

martedì, Marzo 8th, 2022

Jacopo Iacoboni

Parlando a Bruxelles accanto alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Mario Draghi ha espresso il suo invito lasciando da parte per un momento l’italiano e mettendosi a parlare in inglese. In tutto il weekend appena trascorso, Palazzo Chigi ha impresso un deciso cambio di passo sulle sanzioni agli oligarchi, che è stato raccontato tappa per tappa su La Stampa, e sta portando il governo Draghi ad assumere un ruolo trainante sulle sanzioni ai cleptocrati legati al Cremlino.

Draghi ha riferito una cosa e fatto anche una promessa, «nei giorni scorsi il Comitato per la Sicurezza Finanziaria del Ministero dell’Economia ha approvato importanti provvedimenti di congelamento di beni nei confronti di oligarchi russi, che sono stati prontamente eseguiti e continueranno ad essere eseguiti nei prossimi giorni», e inviato: «Mi piacerebbe davvero che misure simili o analoghe venissero prese da tutti i nostri Paesi». Poi ha spiegato come tecnicamente sia possibile individuare almeno una parte delle ricchezze detenute dalla cleptocrazia legata al Cremlino, in Italia: «La Banca d’Italia – ha spiegato il premier – ha chiesto agli istituti di credito di comunicare le misure di congelamento applicate, e di fornire dettagli sui soggetti coinvolti e sul valore e la natura dei beni. Ringrazio il ministro dell’Economia, la Banca d’Italia, la Guardia di Finanza per l’eccellente lavoro fatto finora. E ora – conclude usando ancora una volta l’inglese, perché tutti capiscano – dobbiamo agire tutti noi, con rapidità, su questo punto».

I passaggi sono chiari: la spinta da Palazzo Chigi, il coinvolgimento di tutti gli uffici, l’ordine alle banche di fornire i dati, i controlli incrociati della Finanza, laddove (come accade spesso) beni e asset siano schermati dietro nomi di familiari, o shell companies offshore. E qui le parole del premier nascono da un problema effettivo. Se si esclude la Francia (che per prima ha sequestrato lo yacht del capo di Rosneft Igor Sechin, ma si è fermata per ora lì), e in misura minore la Germania (che ha bloccato, attraverso le autorità portuali di Amburgo, lo yacht di Alisher Usmanov – quello di Putin, “Graceful”, s’era mosso per tempo da Amburgo, per rifugiarsi a Kaliningrad), c’è in particolare un paese molto importante dell’occidente, il Regno Unito, che sta facendo poco o niente agli oligarchi: il Regno Unito di Boris Johnson.

Il primo ministro britannico stamattina ha ammesso che Putin sta intensificando l’aggressione in Ucraina, ma ha avvertito sul fatto che nel Regno Unito non ci deve essere una «caccia alle streghe» contro i cittadini russi mossa da pregiudizi anti-Mosca. BoJo è intervenuto per assicurare l’onorificenza di lord a Evgheny Lebedev (il figlio dell’oligarca Alexander) quando i servizi segreti pensavano che li rappresentasse una minaccia alla sicurezza nazionale? RIsposta di Johnson: «Questo è semplicemente non corretto. E ragionare così significa seguire l’agenda di Putin». «È russofobia», ha detto anche Johnson, secondo quanto riportato dal Sunday Times domenica 6 marzo. Il fatto è che le sanzioni Uk (per esempio ai fratelli Rotenberg e Sechin) sanzionano soggetti già sanzionati dal 2014: sono fumo negli occhi. Mentre altri restano totalmente fuori. Per esempio i banchieri Mikhail Fridman e Petr Aven (Alpha Group), E ovviamente Roman Abramovich, al quale è stato dato tutto il tempo di vendere (sottocosto) il Chelsea, dichiarando che darà i proventi alle vittime della guerra in Ucraina, ma senza subire sanzioni. Abramovich ha anche la cittadinanza portoghese (quindi di un paese Ue), e Lisbona ha appena aperto una inchiesta su presunta corruzione, nell’assegnazione di questa cittadinanza.

Fridman e Aven sono stati inseriti nella lista delle sanzioni dell’UE lunedì scorso, eppure non sono soggetti a sanzioni britanniche. Fridman è descritto dall’Ue come «un importante finanziatore russo e facilitatore (enabler) della cerchia ristretta di Putin». Aven come «uno dei più stretti oligarchi di Vladimir Putin, amico personale particolarmente intimo dell’amministratore delegato di Rosneft, Igor Sechin. Aven è uno dei circa 50 ricchi uomini d’affari russi che si incontrano regolarmente con Vladimir Putin al Cremlino». Niente su di loro, a Londongrad. Fridman, patrimonio di 11 miliardi di sterline, possiede in Uk Athlone House, una villa da 65 milioni di sterline a Highgate, a nord di Londra. Aven, patrimonio 5,5 miliardi di dollari, ha Ingliston House, vicino a Virginia Water, su 8,5 acri di terreno in una tenuta con accanto campo da golf di Wentworth (Aven è un collezionista con opere che vanno da Larionov a Goncharova e Kandinsky, per dirne solo alcuni). Non erano asset difficili da trovare. Non tutto è nascostissimo offshore. Ma Boris Johnson non li ha trovati.

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Donna Ucraina, un 8 marzo dedicato a loro

martedì, Marzo 8th, 2022

ANNALISA CUZZOCREA

Questo otto marzo è per Amelia, che sogna di stare su un grande palcoscenico e quando le dicono «prova qui, in questo rifugio antiaereo di Kyev», prende fiato dentro al suo maglione con le stelle iridescenti e canta la canzone di Frozen, quella che conoscono le bambine di tutto il mondo. Per Maria, la madre di Kirill, morto a Mariupol per un colpo di mortaio, mentre corre con la maglietta insanguinata dietro al compagno con in braccio un fagotto di 18 mesi verso un ospedale che non può salvarlo. Per Anastasiia Lena, ex miss Ucraina, che ha imparato a usare il fucile perché vuole difendere il suo popolo. Per quella donna senza nome – e con un volto bellissimo – uccisa sulla strada a Irpin, mentre lasciava la sua casa e tutto quel che aveva con il marito e i due figli. Per Sofia Kudrin, 13 anni, arrivata ferita a Roma dopo aver perso tutta la sua famiglia: anche la sorella Polina, 10 anni, e il fratello Semyon, 5. E per la violinista Vera Lytovchenko, che suona per gli sfollati in un rifugio di Kharkiv.

Per Pisecka Julia Volodymyriva, che ha messo il figlio di 11 anni sul treno da Zaporizhia a Bratislava scrivendogli sulla mano con un pennarello indelebile il numero di telefono dei parenti in Slovacchia: deve restare a casa con la madre inferma, affida il suo bambino a un futuro che non può più controllare. Abbiamo deciso di dedicare questo 8 marzo alle donne che in Ucraina lottano, cercano riparo, cibo, respiro.

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