Archive for Settembre, 2022

Dalla gloria all’unità: i quattro regali che ci ha lasciato la regina Elisabetta

martedì, Settembre 20th, 2022

di Beppe Severgnini

Unità e attenzione globale: ora la Gran Bretagna è al centro della scena, in modo prepotente

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Che i britannici fossero i fuoriclasse delle cerimonie, si sapeva. Nessuna nazione al mondo sa mescolare passato e presente con altrettanta eleganza. Meno evidente — ma forse più importante — è capire cosa lo spettacolare, commovente funerale di Elisabetta abbia lasciato ai sudditi. E anche a noi, in fondo. Quattro regali, tutti importanti.

Il primo regalo riguarda l’attenzione globale che si è concentrata sul Regno Unito. Che siano tre o quattro i miliardi di persone che ieri hanno visto le immagini da Londra, poco importa: restano numeri strabilianti. Come è strabiliante la folla di reali, capi di Stato e di governo giunta nella capitale britannica: da tempo non si vedeva nulla del genere sul pianeta. La Gran Bretagna è tornata al centro della scena, in modo prepotente. Certo, è un episodio; ma intanto è accaduto.

Questo ritorno è importante perché il rischio di marginalizzazione era — e resta — evidente. Dopo la decisione improvvisa di lasciare l’Unione Europea, nel 2016, il Regno Unito ha faticato. I negoziati con Bruxelles sono stati lunghi e tortuosi, l’economia e la società ne hanno sofferto, due primi ministri sono caduti lungo il percorso. Uno di loro, Boris Johnson, con i suoi comportamenti ha ferito l’autostima britannica. Ora il Paese è tornato al centro della scena. Nuovo re, nuova prima ministra, nuovo governo: una palingenesi nel segno di Elisabetta.

Il secondo regalo della sovrana scomparsa al Regno Unito è aver contribuito alla sua unità. Il suono delle cornamuse, e la scelta di Balmoral come ultima residenza terrena, hanno commosso e riavvicinato Inghilterra e Scozia, che da tempo dava segni di inquietudine. Impossibile dire cosa riserva il futuro, ma l’indipendenza sembra oggi più lontana.

Il terzo regalo è destinato a tutto il mondo civile. I riti, le coreografie, le divise, le medaglie e i colori visti nell’abbazia di Westminster e per le strade di Londra grondavano storia. Una storia imperiale. Negli anni in cui si abbattono statue e molti considerano il colonialismo il male assoluto, le esequie di ieri hanno riportato il senso del tempo e delle proporzioni. I contestatori stanno buoni sui social, poco ascoltati.

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Cambiamento climatico e ambiente, ecco cosa non funziona nei programmi dei partiti

martedì, Settembre 20th, 2022

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Il clima si ribella, e punisce violentemente la nostra indolenza. L’estate è stata una delle più terribili: senza pioggia e senza ghiaccio sulle montagne il livello dei fiumi si è più che dimezzato. Per la prima volta nella storia in Germania è stata fermata la navigazione sul fiume Reno, in Italia il mare è entrato per 40 km nel Po e l’acqua salata ha compromesso definitivamente 30 mila ettari di terreno. Mentre la produzione agricola nazionale ha perso quasi il 30% e in alcuni territori il 70% a causa della siccità e delle temperature a lungo troppo elevate. Il processo di tropicalizzazione sta accelerando accompagnato dai nubifragi: sempre più frequenti, estremi, e tragici. Effetto del riscaldamento climatico. Contrastarlo è una priorità per tutti i governi.

Gli obiettivi sono definiti dall’Accordo di Parigi del dicembre 2015 e dagli impegni con la Ue del luglio 2021: l’aumento della temperatura deve restare sotto 1,5° C rispetto al periodo preindustriale, questo comporta l’impegno a ridurre entro il 2030 di almeno il 55% le emissioni di CO2 equivalente rispetto al 1990 (per arrivare alla neutralità climatica nel 2050). Oggi l’Europa le ha ridotte del 27% (media dei 27 Paesi), l’Italia è a meno 20% (fonte Eurostat maggio 2022).

L’indice di valutazione

Quindi con quali azioni concrete i maggiori partiti intendono rispettare questi impegni? Una valutazione è stata fatta da un panel formato da 20 esperti fra i più qualificati studiosi del clima, politiche ambientali, energetiche, ed economiche. Hanno esaminato i programmi depositati al Viminale dalle forze politiche che si presentano alle elezioni del 25 settembre, e lo hanno fatto sulla base di 10 criteri oggettivi.

Flourish logo

A Flourish chart Il risultato è sintetizzato in un «indice di impegno climatico» attribuibile alle varie forze politiche che va da 0 a 10, dove 0 indica le posizioni negazioniste e 10 l’obiettivo raggiunto (il documento integrale è pubblicato qui). Vediamo allora come si posizionano le forze politiche in campo rispetto all’obiettivo da raggiungere considerando i punti principali del loro programma.Qui per ragioni di spazio prendiamo in considerazione i partiti maggiori, mentre nelle grafiche in pagina c’è la valutazione di tutti i partiti.

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Draghi a New York: «Basta esitazioni sulle autocrazie, è in gioco il nostro futuro»

martedì, Settembre 20th, 2022

Al presidente del Consiglio il premio “Statista dell’anno” a New York

CorriereTv

«La questione di come tratteremo le autocrazie definirà la nostra capacità di dare forma al nostrio futuro comune per molti anni a venire». Lo ha sottolineato Mario Draghi nel discorso pronunciato durante la serata di gala a New York della ‘Appeal of Conscience Foundation’, che ha conferito al premier il ‘World Statesman Award’ 2022

«La soluzione sta in una combinazione di franchezza, coerenza e impegno – ha proseguito Draghi – Dobbiamo essere chiari ed espliciti sui valori fondanti delle nostre società. Mi riferisco alla nostra fede nella democrazia e nello Stato di diritto, al nostro rispetto dei diritti umani, al nostro impegno per la solidarietà globale».

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Draghi premiato come statista dell’anno da stato Kissinger: «Basta esitazioni contro le autocrazie»

martedì, Settembre 20th, 2022

dalla nostra inviata a New York Monica Guerzoni

Il premier uscente riceve il riconoscimento World Statesman Award della fondazione americana Appeal of Conscience presieduta dal rabbino Arthur Schneier

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I complimenti di Joe Biden arrivano su carta intestata della Casa Bianca: «Mi congratulo con il mio amico Mario Draghi per la vittoria del premio World Statesman Award per il suo lavoro nel portare avanti i diritti umani nel mondo».

Biden ringrazia Draghi per la sua leadership

Al dinner annuale della fondazione americana Appeal of Conscience presieduta dal rabbino Arthur Schneier il premier italiano uscente è l’ospite d’onore e Biden lo loda con enfasi: «Mario Draghi è stato una voce potente nel promuovere tolleranza e giustizia, lo ringrazio per la sua leadership». A consegnare il premio allo «statista dell’anno» è l’ex segretario di Stato Henry Kissinger, politico e politologo che ha attraversato e raccontato un secolo di storia, americana e mondiale. Celebre il traumatico confronto a Washington con Aldo Moro nel 1974, quando Kissinger provò a convincere lo statista italiano a rinunciare al progetto di un «compromesso storico» tra Dc e Pci. È passato quasi mezzo secolo.

Un quasi centenario Kissinger consegna il premio

L’ex segretario di Stato, che sta per compiere cento anni, arriva in carrozzina all’hotel Pierre, assiste in silenzio dalla tv a circuito chiuso alla prima parte della serata nella stessa stanza dove sono riuniti i giornalisti italiani, quindi entra nel salone delle feste e si siede alla destra di Draghi per lodarne «capacità, coraggio e visione». Il premier ringrazia in inglese Kissinger, il cardinale Pietro Parolin e il rabbino Schneier, ripercorre le tappe principali della sua carriera alla luce dell’«importanza del dialogo», quindi parla dei rischio di «una nuova era di polarizzazione» con l’invasione russa dell’Ucraina: «La questione di come ci relazioniamo con le autocrazie definirà il nostro futuro per molti anni a venire. Servono franchezza, coerenza e impegno comune». È il cuore dell’intervento di Draghi, applaudito in sala anche da John Elkann.

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II camaleonte che si mimetizza con tutti i colori dell’arcobaleno

lunedì, Settembre 19th, 2022

Luigi Mascheroni

II camaleonte che si mimetizza con tutti i colori dell'arcobaleno

Moderato come sanno esserlo gli uomini di destra costretti a farsi passare per politici di sinistra; manager del più bel capitalismo lombardo riallineatosi al progressismo green, da amministratore delegato della Pirelli ai monopattini elettrici, perché anche i pneumatici Cinturato a volte slittano a sinistra; e sindaco-modello di qualsiasi idea prêt-à-porter: oggi va lo smoking dell’altissima borghesia milanese alla Prima della Scala domani la T-shirt del compagno sexy Che Guevara, Hasta Victoria’s Secret siempre, Beppe Sala brianzolo di Varedo, mobili, Made in Italy, meneghin e il sogno di conquistare Milano, dal contado alla metropoli andata senza rimpianti né ritorni ha 64 anni, segno zodiacale Bocconi, ascendente Camaleonte. Dagli abiti grisaglia, nuance Bicocca, alle inguardabili calze arcobaleno, ha sempre dato prova di una straordinaria capacità di mimetizzarsi. Con chi vince.

Naso grosso e cervello fino, e una discreta passione per la vela, Cécco Bèppe Sala sa fiutare il vento come pochi, e seguirlo meglio di chiunque altro. Tutte le cordate giuste in Pirelli fino a diventare il braccio destro di Marco Tronchetti Provera; poi la scelta nel momento opportuno di prendere il largo, e una cospicua buonuscita, per passare alla pubblica amministrazione; grande salto a Direttore generale del Comune di Milano come braccio armato di Letizia Moratti nell’epoca d’oro della Casa delle Libertà, quando di fatto diventa l’uomo della donna di Berlusconi; una pausa di vera gloria manageriale universale «Expo un attimo a fare un giro…» per ritrovarsi due volte, senza avversari, sindaco progressista della città più conservatrice d’Italia, al netto della cerchia dei Cap 20121, 20122 e 20123 dove Sala ha il 95% dei consensi. Quadrilatero, bike sharing, Ddl Zan, Ztl e giacche di visone Black-Glama a pelo corto.

Occhio lungo nel rivendere come nuovissimo il già visto e campione nell’intestarsi le intuizioni delle giunte Albertini e Moratti, Beppe Sala è l’uomo giusto al posto sbagliato per la destra e l’uomo sbagliato al posto giusto per la sinistra. Ed ecco perché lo votano tutti. Democristianamente è il sindaco perfetto nel sublimare le due anime della città: la Milano borghese élitaria e produttiva di banche e di potere e la Milano operaia e popolare filo-immigrazionista, tutta piste ciclabili e orgoglio gay. Finanza bianca, estremismo verde, bandiera rossa e famiglie arcobaleno: è l’esibizionismo ideologico necessario per accreditarti in un mondo che non è il tuo. Intelligente, furbo, determinato: destra e sinistra fanno tutte il tifo per lui.

«Sì, ma adesso: che cazzo ce ne facciamo di due stadi?!».

San Siro, san Bernardo, santo subito, Sankt Moritz, sanatorie e sandali francesi.

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“Dalla sinistra fake news a livelli mai visti: loro i veri anti europeisti. Sono pronta a governare, non esistono pregiudizi dall’amministrazione Usa”

lunedì, Settembre 19th, 2022

Augusto Minzolini

"Dalla sinistra fake news a livelli mai visti: loro i veri anti europeisti. Sono pronta a governare, non esistono pregiudizi dall'amministrazione Usa"

Ad una settimana dal voto trovi una Giorgia Meloni pronta ad essere la prima donna Presidente del Consiglio del nostro Paese. Se dalle urne uscirà un centrodestra vincente, con Fratelli d’Italia primo partito della coalizione, non ha dubbi. E tutte le sue parole, i suoi ragionamenti puntano a dimostrare l’epilogo annunciato dai sondaggi. Non ci sono né ostacoli (se non la prudenza d’obbligo), né riserve: il centrodestra è atlantista e non c’è un pregiudizio di Washington nei suoi confronti; gli «anti-europeisti» sono quelli che vogliono un’Europa di serie A e una di serie B ed è un errore spingere Orbán verso Putin. Ma la cosa che più l’ha colpita di questa campagna elettorale è il tweet in cui Letta tentava di spiegarle cosa significhi essere donna o l’invidia delle donne di sinistra di fronte all’eventualità che una donna di destra arrivi a Palazzo Chigi: «Loro si sono sempre accontentate di qualche strapuntino concesso dal leader uomo di turno». Infine non parlatele di governo di «larghe intese» anche nel caso in cui dalle urne non uscisse una maggioranza. Lo boccia senza appello: «Sarebbe esiziale per il Paese». Insomma, il giudizio più appropriato della Meloni di oggi è quello che ha dato Silvio Berlusconi su TikTok: «Determinata».

Presidente Meloni, l’ultima polemica di questa strana campagna elettorale è stata innescata dal rapporto degli 007 Usa sui presunti finanziamenti di Putin a partiti e uomini politici di 20 Paesi. Al di là della stravaganza che ci sono state accuse e contro accuse senza che fosse stato fatto un nome, mi ha colpito l’uscita di un ex ambasciatore americano alla Nato che tira in ballo il suo partito, azzardando un ragionamento paradossale: visto che Fratelli d’Italia è cresciuto molto nei sondaggi non può non aver avuto un aiuto da Mosca. A parte l’assurdo, è un avvertimento al governo che verrà a non discostarsi dalla politica tenuta finora sull’Ucraina, le sanzioni e la Russia? O l’attuale amministrazione di Washington ha qualche pregiudizio per i suoi buoni rapporti con Trump?

«Guardi, mi lasci dire innanzitutto che in questa campagna elettorale la disinformazione della sinistra ha raggiunto livelli mai visti. I fatti smentiscono sistematicamente le fake news del Pd e dicono che Fdi e il centrodestra hanno sempre votato in Parlamento per sostenere l’Ucraina con ogni mezzo, sanzioni e invio di armi compresi. E che il collocamento occidentale e il rispetto degli impegni assunti in sede di Alleanza Atlantica sono scritti chiaramente nel programma comune del centrodestra. Sulle parole dell’ambasciatore Volker non c’è molto altro da aggiungere, se non il fatto che è stato lui stesso a chiarire che Fratelli d’Italia non ha nessun legame con la Russia. Sono altri a dover spiegare il loro posizionamento internazionale. E penso al segretario del Pd Letta, che si è alleato con i nostalgici dell’Urss che hanno votato contro l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato e che scrivono nero su bianco nel loro programma che va interrotto subito l’invio di armi in Ucraina. Sono convinta che non ci sia alcun pregiudizio dell’attuale amministrazione Usa nei confronti di un possibile governo di centrodestra, e mi pare che il Dipartimento di Stato americano abbia più volte dichiarato che lavorerà con qualsiasi governo. Italia e Stati Uniti sono storici alleati e i rapporti tra Roma e Washington prescindono, da sempre, dal colore politico dei rispettivi governi».

Altra questione che ha animato questa coda di campagna elettorale è l’atteggiamento tenuto da voi e dalla Lega al Parlamento europeo sul caso Orbán. Berlusconi ha avvertito che Forza Italia non farà mai parte di un governo anti-europeista. Ma c’è davvero questo rischio?

«No, e devo dirle che mi sono sinceramente stancata di doverlo ribadire in continuazione. Non sono i conservatori europei, che ho l’onore di presiedere, a voler distruggere l’Europa. I veri anti-europeisti sono coloro che, in un momento nel quale siamo sotto attacco e la Ue dovrebbe essere più unita e forte che mai, sostengono che ci sia un’Europa di serie A e una di serie B e che stanno facendo di tutto per spingere l’Ungheria nelle braccia di Putin. È un enorme favore al Cremlino spingere Budapest fuori dalla Ue e addirittura dalla Nato. E non siamo i soli a dirlo, ma lo ha ribadito anche il Dipartimento di Stato Usa, che ha stigmatizzato quanto accaduto nel Parlamento europeo. Noi dobbiamo lavorare esattamente nella direzione opposta: avvicinare tra loro le Nazioni europee invece che allontanarle e dividerle, magari usando la questione dello Stato di diritto come clava ideologica per colpire chi non è considerato allineato. Noi vogliamo un’Europa diversa e capace di recuperare i principi dei padri fondatori: rispetto dei popoli, sussidiarietà e collaborazione sui grandi temi».

I sondaggi accreditano il centrodestra di un vantaggio quasi incolmabile. C’è qualche fattore che potrebbe mettere in discussione questa previsione? Si aspetta qualche colpo di mano come è avvenuto nelle ultime amministrative?

«Guai a dare la partita già per vinta. I sondaggi indicano che il centrodestra è avanti, ma l’ultima parola spetta solo e soltanto agli italiani e ciò che conta saranno i voti veri nelle urne. Anzi, è proprio questo il momento di assicurare il massimo sforzo, perché se si fa passare il messaggio che il risultato è scontato c’è il rischio che poi le persone pensino che andare a votare sia superfluo. La sinistra le proverà tutte, per questo abbiamo davanti giorni decisivi e bisogna fare il massimo. Colgo l’occasione per lanciare un appello a tutti gli indecisi: andate a votare, bastano cinque minuti per decidere il futuro dei prossimi cinque anni. Non è vero che tutti i partiti sono uguali e che tanto non cambierà mai nulla. Abbiamo l’occasione di mandare a casa la sinistra che ha governato per dieci anni senza mai aver vinto le elezioni e dare all’Italia un governo forte e coeso di centrodestra. E su questo ogni voto a Fdi è una garanzia».

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Da Trento a Caserta, dilaga la violenza: raffica di raid contro la Meloni

lunedì, Settembre 19th, 2022

Francesca Galici

A una settimana dal voto, Giorgia Meloni ha deciso di denunciare i continui e ripetuti assalti subiti in questa campagna elettorale, sia durante i suoi comizi che durate le legittime manifestazioni di strada e piazza nei gazebo da parte degli attivisti. Fratelli d’Italia è il partito che più di altri sta subendo la furia rossa antidemocratica in questa campagna elettorale, con azioni che di volta in volta hanno il tiro sempre più alto. Fortunatamente, si devono ringraziare gli attivisti di FdI che finora non hanno mai ceduto alle provocazioni, non hanno mai reagito agli insulti e alle minacce dei centri sociali e degli antagonisti, il cui unico obiettivo pare sia quello di scatenare l’incidente per poi addossare le responsabilità a Fratelli d’Italia. Un gioco sporco al quale il partito di Giorgia Meloni non è disposto a prestare il fianco ma che ora che i toni si stanno surriscaldando si sta facendo realmente pericoloso.

Tradendo il principio democratico secondo il quale tutti devono essere liberi di esprimere la propria opinione, quelli che si fregiano di un patentino di democrazia hanno preso l’abitudine a infiltrarsi nei comizi di Giorgia Meloni per disturbare e creare ingerenze con il comizio, impedendo di fatto la libera espressione del pensiero. A Trento, lo scorso 10 settembre un gruppetto di studenti rossi vicini ai centri sociali ha urlato contro Giorgia Meloni frasi come “buffona” e “fascista“, solo dirne alcune. Un manipolo di disturbatori davanti ai quali la leader di Fratelli d’Italia ha fatto spallucce con tanto di “non me ne può fregar de meno” detto al microfono della manifestazione. Stessa situazione anche a Genova e a Milano, dove la polizia è riuscita a isolare un altro gruppetto sparuto di antagonisti alimentati dai centri sociali, che ripetono sempre la stessa solfa contro la leader di Fratelli d’Italia.Caos al comizio della Meloni. Ora indaga pure la Digos

Per non dimenticare Cagliari dove, oltre ai quattro gatti dei centri social che hanno creato qualche disordine, immediatamente sedato dalla polizia, tentando anche qui di disturbare il comizio di Giorgia Meloni al suono dei soliti slogan, un contestatore è riuscito addirittura a raggiungere il palco. Il sangue freddo di Giorgia Meloni, che ha cercato il dialogo con quell’individuo, ha fatto sì che la situazione si mantenesse tranquilla ma resta il fatto grave che quel ragazzo ha raggiunto il punto più sensibile. Che dire, poi, di quanto accaduto quest’oggi a Matera e a Caserta, i due episodi che hanno fatto perdere definitivamente la pazienza alla leader di Fratelli d’Italia. Addirittura, qui una ragazza è riuscita a intrufolarsi e a urlare “puttana” all’indirizzo di Giorgia Meloni, mentre altri appendevano cartelli satirici.

“Da queste parti non si faccia vedere”. La minaccia di Di Maio alla Meloni

Va sottolineato che questo genere di situazioni si è verificato solo durante i comizi dei leader di centrodestra: mai gli attivisti di centrodestra si sono presentati ai comizi della sinistra per protestare e insultare. Questo soprattutto perché nella coalizione non si sono avvelenati i pozzi, non si sono alzati i toni contro gli avversari e non sono state mosse minacce velate, come quella di Luigi Di Maio che ha consigliato a Giorgia Meloni di non farsi vedere a Napoli. Inoltre, va anche fatto notare che finora mai gli attivisti hanno reagito, nonostante gli assalti incappucciati ai banchetti. Ma ora la misura è colma e la leader di Fratelli d’Italia ha alzato la voce per evitare che l’ultima settimana, in un clima già così esagitato, la situazione possa degenerare.

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I veleni incrociati di una destra divisa

lunedì, Settembre 19th, 2022

Alessandro de Angelis

L’estate della legittimazione di Giorgia Meloni – armi all’Ucraina e ammiccamento a Draghi per comprare presentabilità occidentale – si è già spenta nell’autunno ungherese di Orban. Innanzitutto nella sua difesa in base all’assunto che ciò che è eletto dal popolo è sempre giusto, anche se nega lo Stato di diritto. Ma anche nella sua fascinazione, con la dirompente proposta di approfondire il rapporto tra diritto italiano e diritto europeo che, tradotto, significa, in coerenza con i disegni di legge già presentatati in questa legislatura, sancire la preminenza del secondo sul primo. È un modello che da un lato riduce l’accettazione dell’Occidente a una dimensione esclusivamente militare, dall’altro produce uno slittamento politico-valoriale sul terreno della costruzione europea come l’abbiamo conosciuta finora. Insomma, anche il sottile velo dell’ipocrisia si è squarciato, rivelando che nessun photoshop riesce ad occultare i veri contorni dell’identità. E, al tempo stesso, scoperchiando le profonde linee di frattura del centrodestra – ardito chiamarla coalizione – sui fondamentali, non sui dettagli. Questa impostazione che, come si è visto nel voto al Parlamento europeo, rappresenta un humus condiviso con Salvini, è però foriera di tensioni con Silvio Berlusconi che, nonostante abbia abdicato da tempo al ruolo di contrappeso moderato, non può permettersi (lo ha dichiarato) di far parte di un governo che non abbia l’europeismo nel Dna. Ma se la grande madre Ungheria può rappresentare un idem sentire tra i due campioni del sovranismo nostrano, il pratone di Pontida è l’altra linea di faglia del possibile governo (che verrà?). Il film di una Lega cattiva e di una Lega buona, pronta a commissariare i cattivi dopo il voto (speranza della Meloni), è già finito nell’atto di sottomissione dei governatori che firmano l’agenda di Salvini. Un giuramento di fedeltà, non proprio un annuncio di sfida, davanti a un popolo che li accuserebbe di tradimento. «La Lega sono io», è il messaggio del leader leghista, interno (ai suoi), ed esterno (alla Meloni). Quel messaggio e quella plateale prova di forza di un partito che si mostra del tutto salvinizzato, detti in prosa, significano: Viminale. Parola che reca in sé, per la leader di Fdi, lo spettro del Conte 1, cioè di una complicata coabitazione.

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Guerini: “Con la destra isolati in Europa. Chi frena sulle armi aiuta Putin”

lunedì, Settembre 19th, 2022

Carlo Bertini

ROMA. «Con la destra al governo, l’Italia rischia l’isolamento in Europa e un default dei conti come avvenne nel 2011 con Berlusconi». È perentorio Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e leader di una delle aree più influenti del Pd. «Chi frena sugli aiuti all’Ucraina, non vuole la pace, ma la vittoria di Putin, questo è evidente».

Meloni difende Orban e rivendica le alleanze sovraniste: se fosse premier, l’Italia potrebbe essere messa ai margini della Nato? C’è questo rischio?
«Le scelte fondamentali fin qui sostenute dall’Italia ne hanno rafforzato la credibilità grazie a principi solidi e impegni concreti: difesa del fianco Est, rafforzando la difesa collettiva in Lettonia, Polonia, Ungheria, Bulgaria e Mediterraneo orientale, aiuto all’Ucraina, consolidamento degli interessi nel Mediterraneo allargato, rafforzamento delle partnership con i Paesi europei più propensi a costruire una forte difesa europea nella Nato. Incrinare l’insieme dei principi politici che sono alla base di questo sforzo collettivo può farci scivolare indietro e perdere terreno. Ed è un rischio che non si può correre: sarebbe andare contro l’interesse del nostro Paese».

Visti gli sviluppi sul terreno, la strategia di Europa e Nato è sperare nella vittoria dell’Ucraina o nella pace?
«È avere consapevolezza che una pace vera e giusta non può essere confusa con la resa dell’Ucraina. Per questo stiamo sostenendo Kiev, e continueremo a farlo fino a quando sarà necessario, per difendersi da un’aggressione sanguinaria e ingiustificata. Chi dice che non bisogna aiutare l’Ucraina per fermare la guerra in realtà non vuole la pace, ma la vittoria di Putin in spregio a tutti i principi del diritto internazionale e della convivenza tra i popoli».

Sull’invio di altre armi, la destra è divisa, ma anche voi. Se lei presenterà un decreto in Parlamento, la vostra coalizione con Verdi e sinistra si spaccherà, giusto?
«Il governo sta attuando gli indirizzi del Parlamento espressi a larghissima maggioranza. E continuerà a farlo. Anche nelle prossime settimane».

In questa ultima settimana di campagna elettorale, voi state dicendo che è cambiato il vento e la vittoria della destra non è più scontata. Perché? Cosa è cambiato?
«Nei tantissimi incontri di campagna elettorale a cui partecipo, anche ieri a Monza, vedo la denuncia dei rischi di una destra che ci allontana dall’Europa, che è una minaccia per i diritti per i quali ci siamo battuti. E consapevolezza che la vera alternativa a tutto ciò sia il Pd. Con i suoi valori e le sue proposte. È questo il voto utile. E questa consapevolezza sta crescendo».

Ma nella vostra campagna sembrate inseguire gli avversari. No alla flat tax, no al blocco navale contro i migranti. Perché non riuscite a imporre la vostra agenda di proposte?
«Noi parliamo di difesa della sanità pubblica. Di diminuire le tasse sul lavoro per dare una mensilità all’anno in più. Di impegnarci per la dignità del lavoro. Diciamo no alla Flat tax non per “inseguire la destra” ma perché è il contrario dell’equità e del principio secondo cui chi ha di più paghi di più e chi ha meno paghi meno. E sappiamo che se vince la destra, questo principio sarà messo in discussione da idee come queste che, oltre a scassare i conti, sono profondamente ingiuste e tradiscono lo spirito della progressività scolpito nella nostra Costituzione».

Chi sarebbe il vostro premier se doveste vincere?
«Capisco la domanda, lei mi vuole far partecipare al gioco del tirare la giacchetta a Draghi e non ci sto. Ma voglio sottolineare che il Pd, a partire da Letta, è stata l’unica forza leale fino in fondo con il presidente del Consiglio. E, anche ora, la più rispettosa a non strumentalizzarne il nome».

Quale sarebbe il vero pericolo per l’Italia se governerà la destra? Temete una deriva antidemocratica?
«Sarebbe il nostro isolamento in Europa, come si è visto al Parlamento europeo in questi giorni. Lascerebbero il Paese in ginocchio, come nel 2011 quando ci portarono sull’orlo del default. Le loro ricette non sono cambiate. E neanche gli chef».

Voi progressisti divisi in tre blocchi e voi del Pd sedotti e abbandonati dai Cinque stelle. Dove avete sbagliato?
«Il Pd si è dedicato alla costruzione di un’alleanza larga tra forze diverse per cultura politica ma che hanno governato insieme per rispondere alle esigenze del nostro Paese. E lo hanno fatto insieme, da Italia Viva ai Cinque stelle. Dopodiché, i fatti derivanti dalle loro scelte hanno fatto venire meno questa prospettiva. E il Pd è stato chiaro e unito su questo punto: chi si è assunto la responsabilità di far cadere Draghi, una figura autorevole e riconosciuta in tutto il mondo, non può essere un alleato per le elezioni. Punto».

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Viktor Orban cerca l’aiuto di Giorgia, il voto dell’Italia sarà decisivo per bloccare la maxi-stangata

lunedì, Settembre 19th, 2022

MArco Bresolin

DALL’INVIATO A BRUXELLES. La trattativa con Bruxelles per scongiurare il taglio dei fondi è già partita ed entrerà nel vivo nelle prossime 6-8 settimane, ma Viktor Orban è consapevole che potrebbe non andare a buon fine. Per questo sa che la vera partita potrebbe giocarsi tra la metà di novembre e quella di dicembre: per vincerla avrà bisogno del sostegno di alcuni governi amici e il posizionamento del prossimo esecutivo italiano rischia di rivelarsi determinante. Roma potrebbe aiutarlo a costruire quella minoranza di blocco necessaria per respingere il tentativo della Commissione di chiudere il rubinetto dei fondi di coesione. E i segnali ricevuti giovedì con il voto degli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia vanno proprio nella direzione auspicata dal premier ungherese.

L’ultima mossa di Bruxelles preoccupa seriamente Orban. Soltanto tre giorni fa aveva definito «una noiosa barzelletta» il report del Parlamento europeo, che lo accusa di aver trasformato l’Ungheria in una «autocrazia elettorale». Si tratta di una critica durissima, perché secondo la maggioranza degli eurodeputati l’Ungheria non può più essere definita una democrazia. In realtà questa contrapposizione è pane per i denti del leader che siede da più tempo al tavolo del Consiglio europeo e che si è sempre nutrito dello scontro con le istituzioni Ue. Ieri, però, la reazione del suo governo è stata decisamente diversa. Il taglio dei fondi proposto dalla Commissione non è un affondo ideologico, ma una misura concreta dagli effetti tangibili. Vale 7,5 miliardi, che corrispondono al 5% del Pil annuale ungherese: un colpo capace di mettere in ginocchio l’economia del Paese. Per questo Orban è convinto che il provvedimento vada fermato a tutti i costi: cercando un compromesso con Bruxelles oppure, qualora questo non bastasse, aggrappandosi ai governi pronti a sostenerlo.

Per cercare di dirimere le controversie sullo Stato di diritto con Polonia e Ungheria, l’Unione europea aveva sin qui utilizzato l’arma dell’articolo 7. Una procedura che può portare persino alla perdita del diritto di voto in Consiglio, ma che si è rivelata inefficace. Per far scattare la maxi-sanzione è necessario un via libera all’unanimità e i due Paesi si sono sempre coperti a vicenda, disinnescando ogni possibile provvedimento nei loro confronti. Ma con il nuovo meccanismo di condizionalità le cose sono cambiate: per approvare il taglio dei finanziamenti del bilancio Ue non è necessario raggiungere l’unanimità in Consiglio, basta la maggioranza qualificata. Per far diventare immediatamente esecutiva la proposta della Commissione è sufficiente che almeno 15 Stati membri rappresentanti il 65% della popolazione diano il via libera. Per Orban diventa dunque fondamentale costruire una cosiddetta minoranza di blocco, che si forma riunendo almeno quattro Stati che rappresentino più del 35% della popolazione europea.

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