DOMENICO QUIRICO
E adesso? Adesso dopo il discorso di Putin? Il tempo trattiene il
fiato. Pare che null’altro, avanzate controffensive vittoriose missili a
pioggia riti sempre più scaduti dell’Onu, getti un’ombra sotto quella
trasparente e irreale della Grande Minaccia. È come se una enorme cometa
medioevale stesse insieme con il sole nel cielo luminoso di autunno.
Tutto potrebbe disgregarsi. E tutto è possibile. Una inesplicabile
pazzia addenta il cervello della povera umanità. Eppure da duecento
giorni è l’eterna scena della umanità che si prolunga: gli sgherri della
forza, la vittima e il solito terzo, noi, lo spettatore che difende la
vittima fino a un certo punto, fa il conto dei danni di quell’aiuto e
spera, senza dirlo, che la realtà lo cavi dai guai così, per miracolo.
Il discorso di Putin dà il nome alle cose, disocculta il non detto:
la Bomba non è più silenzio, una disgrazia di cui è meglio tacere, una
insoluta possibilità che appartiene alle ipotesi possibili. Lo stesso
Putin, lo sconfitto, l’umiliato, il deriso per la sua potenza di
cartapesta e il suo esercito di generali imbelli e soldati predoni,
corrode dall’interno esplicitamente i nostri tenaci luoghi comuni.
Produce senso, guardate che non sto bluffando. Con l’avvio della
mobilitazione generale dei russi e la clausola atomica che scatterebbe
al momento in cui gli ucraini, come annunciano e ripetono con l’orgoglio
di chi in questo momento avanza, metteranno piede in Russia, che non è
più la annessa Crimea ma anche il Donbass. Siamo entrati tutti, anche
noi europei, i sostenitori dell’Ucraina, negli eventi possibili, la
guerra atomica, a cui non si aveva, finora, il coraggio di dare parola e
storia.
Già li sento, i sicuri di sé, gli analisti infallibili della
vittoria strasicura, li sento aggrapparsi al fuscello: ma via! È la
mossa disperata di un cadavere vivente, il blaterale al vuoto di uno
sconfitto. Non oserebbe, non oserà! Già: ma siete sicuri di avere il
coraggio di andare a vedere il colore della sua Carta?
Lo sconfitto Putin rovescia il senso della guerra che ha
criminalmente voluto, ora non parliamo più dello stesso oggetto.
L’assurdità di una guerra atomica che si fa possibile determina una
condotta paradossale. Essa consiste nel persuadere l’avversario che si
ha la volontà di preferire il nulla all’essere e di far saltare in aria
il pianeta mediante un suicidio collettivo. La oscillazione tra il nulla
e l’essere, tra la morte e la sopravvivenza, tra il suicidio e la vita
non è più affare degli ucraini sventurati e dei russi. Diventa di ognuno
di noi. La Storia forse ieri è finita come è finita la preistoria,
forse siamo entrati nella post Storia di cui è arduo e forse inutile
prevedere la lunghezza e gli esiti.
Allora militarmente parlando. Gli ucraini e i loro alleati, gli
Stati Uniti, devono porsi la domanda finora rinviata accuratamente: se
avanziamo nel Donbass e cerchiamo di sbarcare in Crimea che cosa
succederà? Chi avrà il coraggio di superare la linea tracciata su questa
prepotenza nel 2014 e ieri sapendo che la deterrenza non è più
deterrenza ma un’arma normale, utilizzabile, possibile? Finora nel
giudicare questa guerra gli elementi erano semplici a meno che non si
fosse partigiani o in malafede: la giustizia delle vittime, gli ucraini,
il torto dell’aggressore, la Russia. Putin che non riusciva a vincere
doveva complicare il quadro, drammatizzarlo fino a sconvolgerlo. Deve
imporre la domanda che non è più possiamo vincere e punire l’aggressore,
ora è: possiamo sopravvivere alla vittoria? O meglio esisterà ancora
qualcosa che assomigli alla vittoria, dopo?
C’è un leader che ha già dovuto affrontare questa domanda tremenda
attraversando la valle scura della prima Guerra fredda, Kruscev per la
crisi di Cuba. Sapeva che se avesse tentato di portare a fondo la sua
sfida Kennedy avrebbe usato la Bomba, lo disse: non bluffo. Tornò
indietro. Ma allora il vertice del regime sovietico, una dittatura come
quella putiniana ma meno primitiva, era di tipo collegiale, falchi e
colombe si scontrarono e prevalse la ragione. Le navi russe con i
missili tornarono indietro.
Oggi l’autocrazia putiniana non è di tipo collegiale, è personale,
shakespiriana nella sua solitudine. Dopo che è scoppiata la guerra
abbiamo volontariamente rinunciato a cercare di capire cosa succedeva a
Mosca, abbiamo fatto scendere il buio: è il regno del Male assoluto, la
Gorgone che non bisogna guardare, solo distruggerla. In fondo che
sappiamo di Putin, di perché ha agito a febbraio, di quali erano, fin
dall’inizio i sui obiettivi, di come li ha adattati alle nostre reazioni
e agli imprevisti che ogni guerra crea nel suo cammino?