Archive for Ottobre, 2022

Trovata la quadra sui ministeri: Tajani agli Esteri, Urso alla Difesa e Rasi alla Salute

lunedì, Ottobre 10th, 2022

Pasquale Napolitano

Il governo Meloni prende forma con l’incastro nelle caselle chiave. Si delinea la squadra dei ministri all’indomani del vertice di Arcore tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. E l’intesa sulle presidenze delle Camere sembra in dirittura d’arrivo. La presidenza del Senato dovrebbe andare a Fratelli d’Italia con Ignazio La Russa mentre la Lega conquisterebbe il vertice di Montecitorio con Riccardo Molinari. Forza Italia rinuncia. Ma incassa il ministero degli Esteri con Antonio Tajani e due ministeri di peso con portafoglio, uno dei quali dovrebbe andare a Licia Ronzulli. Sarebbe questo l’accordo vidimato dai tre leader al vertice di Arcore. Meloni, Salvini e Berlusconi si rivedranno nelle prossime ore (tra martedì e mercoledì) per andare al Quirinale con un pacchetto già pronto. Alla Farnesina la trattativa è chiusa con il via libera al coordinatore nazionale di Fi. Alla Difesa il meloniano Adolfo Urso è il favorito. La terza casella su cui sarebbe stata trovato l’accordo è il ministero della Salute: Guido Rasi, ex direttore dell’Ema, è in pole. Restano le due opzioni di partito: Guido Bertolaso e Alberto Zangrillo. Chiusa la partita anche sul ministero della Giustizia: Carlo Nordio andrà sulla poltrona di via Arenula.

Il ministero dell’Economia resta il vero nodo da sciogliere. Tant’è che l’ex ministro Giulio Tremonti ci tiene a sottolineare: «Non ho proposto il nome di Mario Canzio» precisa al Giornale. Il nome dell’ex ragioniere generale dello Stato è tra le opzioni che il centrodestra sta sondando in queste ore. Sul nome di Tremonti per la guida del ministero dell’Economia non ci sarebbero veti o vecchie ruggini ma semplicemente non figura tra i nomi proposti da Fdi. Al netto delle opzioni già in campo Fabio Panetta e Dario Scannapieco, l’alternativa potrebbe essere un profilo politico: il leghista Giancarlo Giorgetti.

Per il ministero del Lavoro Meloni punta su un tecnico di area: si fa il nome di Maurizio Leo, responsabile dei dossier economici di Fdi. Al Viminale arriva Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Matteo Salvini. La Lega prova l’ultimo pressing per piazzare Nicola Molteni. Assalto destinato a fallire. Per il ministero della Transizione ecologica la scelta ricade su Antonio D’Amato, l’ex numero uno di Confindustria. In passato vicino a Silvio Berlusconi. Ma pare che il suo sponsor sia stato Guido Crosetto. L’ossatura del Meloni 1, quindi, è definita.

Rating 3.00 out of 5

“Ritorno al Senato dopo i torti subìti ma senza rivalse. Tra partiti alleati non possono esserci veti verso qualcuno”

lunedì, Ottobre 10th, 2022

Augusto Minzolini

Presidente, il prossimo 13 ottobre è una data fatidica. Lei torna in Senato dopo che un vero e proprio complotto messo in atto dalle toghe politicizzate aveva portato alla sua decadenza da senatore nove anni fa. Ora molti ammettono ciò che era chiaro anche allora, cioè che inchieste e sentenze spesso sono state utilizzate nel nostro Paese come armi contro gli avversari politici. Un momento di giustizia, ma anche una bella rivincita personale…

«No, mi scusi, direttore, devo fermarla. Capisco lo spirito della sua domanda, ma le assicuro che non ho alcuno spirito di rivalsa. So di avere subìto dei torti, ma mi hanno ampiamente risarcito gli italiani con l’affetto e il consenso che non hanno mai smesso di dimostrarmi. Il problema giustizia esiste ed è grave, ma non è una questione personale. Quando una parte della magistratura, alcune cellule militanti al suo interno usano dei loro poteri per condizionare la politica, per stravolgere la volontà degli elettori, è la democrazia ad essere in pericolo. E questo è un problema che tutti dovrebbero sentire come proprio, anche i miei avversari politici più irriducibili. Spero comunque che quella stagione possa essere finalmente alle spalle. Quando parlo di necessità di una riforma della giustizia lo faccio con assoluta serenità: nessuna riforma contro la magistratura, anzi una riforma che valorizzi la professionalità e la correttezza istituzionale dei tanti magistrati per bene che esistono nell’ordinamento giudiziario».

Cosa le fece più male all’epoca e cosa la fa più felice oggi?

«La cosa che mi fece più male è certamente il fatto che per colpire me venne fatto pagare un prezzo altissimo anche ai miei familiari, alle aziende che avevo fondato, ai miei amici, ai miei collaboratori. La vita di molte di queste persone è stata addirittura rovinata. La cosa che mi fa felice oggi è semplicemente quella per cui gli italiani, per la prima volta dal 2008, hanno potuto decidere da chi essere governati. E naturalmente hanno scelto il centrodestra, assegnando a Forza Italia un ruolo determinante».

Il successo della Meloni è nei fatti, ma anche Forza Italia non si può lamentare. Oggi possiamo dirlo: nessuno si aspettava un risultato del genere tenendo conto dei sondaggi delle settimane precedenti. Ora Forza Italia è determinante nei numeri sia alla Camera, sia al Senato. Come utilizzerà la forza che le hanno dato gli elettori e la sua posizione centrale?

«In verità io non avevo dubbi: percepivo un clima favorevole non solo nei confronti del centrodestra ma, all’interno del centrodestra, verso una forza moderata, centrista, liberale, europeista, responsabile nel linguaggio e nei contenuti come Forza Italia. Ovviamente è importante che Forza Italia sia determinante sul piano dei numeri, ma ancora più determinante è la nostra funzione politica. L’Europa si attende molto da noi, e ci considera i garanti del prossimo Governo. Inoltre come sezione italiana del Partito Popolare Europeo abbiamo da un lato una grande responsabilità, dall’altro possiamo essere molto utili al nostro Paese, perché il Ppe esprime i vertici dell’Unione Europea. Essere determinanti non significa ovviamente assumere un atteggiamento ricattatorio: non è nel nostro stile e non ce n’è bisogno perché i rapporti con gli alleati sono improntati a grande correttezza politica e cordialità personale. Non a caso il centrodestra che io ho fondato oltre 28 anni fa è sempre rimasto unito e governa molte Regioni italiane, alcune delle quali, le più grandi, da oltre 25 anni. Ma soprattutto, il centrodestra è unito nel cuore degli italiani».

Siamo alla vigilia della nascita del nuovo governo di centrodestra. Lei ne ha guidati diversi e, se la memoria non mi inganna, è stato l’unico Premier a restare a Palazzo Chigi per cinque anni, cioè per un’intera legislatura. Quali sono le condizioni che possono permettere al prossimo esecutivo di durare e quali consigli si sente di dare alla Meloni?

«Come mi è capitato di dire spesso in questi giorni, Giorgia non ha bisogno dei miei consigli. Ha la determinazione e la lucidità necessarie per guidare il Paese in un momento così difficile. Noi naturalmente saremo al suo fianco, io personalmente sarò al suo fianco quando sarà utile farlo nell’interesse del Paese».

Rating 3.00 out of 5

Condono, il sogno leghista: la destra punta alla pace fiscale

lunedì, Ottobre 10th, 2022

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. «Pace fiscale!», scrive Matteo Salvini su Facebook. «Pace fiscale, che non vuol dire condono», dice Antonio Tajani. «Pace fiscale, saldo e stralcio», prometteva il programma del centrodestra. Fra dire e il fare c’è di mezzo un mare di imposte non riscosse. Mille miliardi di euro, secondo la stima fatta più volte dall’Agenzia delle Entrate. Mancano pochi giorni all’arrivo del nuovo governo, e nei palazzi non si parla d’altro. Il primo cruccio di Giorgia Meloni sarà reperire nuovi fondi contro il caro energia e la legge di Bilancio del 2023. Da dove prenderli? Margini per fare deficit non ce ne sono, o quasi. I tassi di interesse e l’aumento dei rendimenti dei titoli pubblici lo sconsigliano. Nelle molte chiacchierate di questi giorni Mario Draghi ha fatto presente al prossimo premier che ogni azzardo in questo senso rischia di essere un rimedio peggiore dell’austerità. Tagliare la spesa si può, ma vai a spiegare in Campania che vuoi abolire il reddito di cittadinanza o a chi sta ristrutturando casa che dovrà fare a meno del superbonus. Entrambe le misure verranno ridimensionate, ma non abbastanza da garantire il necessario. Dunque non resta che il coniglio nel cilindro: far pagare le tasse a prezzo di sconto a chi finora non l’ha fatto. Di più: tentare una spinta all’economia fiaccata dalla guerra di Putin con un condono vecchia maniera. Nessuno dei leader ammetterebbe pubblicamente l’intenzione, ma fra gli addetti ai lavori della maggioranza c’è chi l’ipotesi l’accarezza eccome, soprattutto nella Lega.

Partiamo da qui, perché è la strada più facile da imboccare e allo stesso tempo più difficile da percorrere. Per capire il perché occorre citare una noiosa sentenza della Corte di Giustizia europea di quattordici anni fa, per l’esattezza del 17 luglio 2008. Una sentenza che prese a ceffoni un condono dell’Iva voluto dal governo Berlusconi. Detta in estrema sintesi, in quella sentenza c’è scritto che si può scontare, prorogare, rateizzare le imposte sulle persone fisiche, persino quelle sulle società. L’Iva – che è ormai un’imposta comunitaria – invece no. Ebbene, poiché un qualunque condono fiscale costringe a far emergere un imponibile non versato, quella sentenza lo rende inefficiente. Per spiegarla chiara: nel momento in cui un commerciante che non abbia dichiarato cento euro lo volesse fare grazie ad una sanatoria, non ne avrebbe la convenienza: su quei cento sarebbe in ogni caso costretto a pagare 22 euro di imposta evasa.

Per questa ragione negli ultimi anni sono fiorite soluzioni meno invasive e definite da accezioni meno maleducate: rottamazione, pace fiscale, saldo e stralcio. A questa soluzione ha ceduto anche Draghi, seppur per importi minori e al prezzo di una dura trattativa dentro alla maggioranza di larghe intese. Fu un colpo di spugna per multe, bolli e altre tasse non pagate fra il 2000 e il 2010, fino a un limite di cinquemila euro e solo per chi avesse un reddito inferiore ai trentamila euro l’anno. Era marzo 2021. L’ex banchiere centrale – sfidando i benpensanti – lo ammise candidamente: «Quello che abbiamo fatto in effetti è un condono, ma di multe di oltre dieci anni fa e contenuto nell’importo». Secondo le ipotesi che circolano nel centrodestra, il nuovo condono – pardon, pace fiscale – dovrebbe riguardare le cartelle di importo inferiore ai tremila euro e sanabili con il venti per cento del dovuto, a rate e senza interessi. Se la soluzione sarà questa, i funzionari della Commissione europea chiuderanno probabilmente entrambi gli occhi, nonostante le stime paurose sull’evasione italiana che oscilla tra gli ottanta e i cento miliardi di euro l’anno.

C’è da segnalare un paio di però. Il primo: la gran parte degli economisti sottolineano che questo tipo di misure alimentano l’indisciplina del contribuente. Lo Stato ottiene un euro in più non pagato, ma con buona probabilità l’evasore sarà indotto a replicare con l’euro successivo. Il secondo: il gettito garantito da questo tipo di operazioni è sempre molto più basso di quel che viene propagandato. Il forzista Tajani ad esempio sostiene (Ansa del 3 ottobre) che un’operazione di pace fiscale potrebbe garantire un incasso «fra i quaranta e i cinquanta miliardi». Basti qui citare una stima dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano: le operazioni variamente definite e approvate dai governi in carica dal 2016 (il solo Renzi ne fece due) avrebbero dovuto fruttare 53 miliardi di euro. Ne sono stati incassati meno della metà. A meno di scegliere la strada di un vero e proprio condono (con le controindicazioni di cui sopra, ovvero al prezzo di uno scontro con le istituzioni comunitarie), il gettito garantito da queste operazioni è residuale. Due, tre miliardi di euro nelle ipotesi più hard.

Rating 3.00 out of 5

Il Pantheon di Giorgia: la strategia per far prevalere i nazionalismi di destra in Ue

lunedì, Ottobre 10th, 2022

Ilario Lombardo

ROMA. L’album di famiglia di Giorgia Meloni dice dove potrebbe essere l’Italia tra qualche mese. Al centro di una nuova internazionale sovranista, con tutto il peso di un Paese fondatore dell’Ue e membro del G7.

La sfilata dei leader mondiali presenti sul palco di Vox a Madrid, o con un videomessaggio inviato per omaggiare i post-franchisti di Santiago Abascal, è una festa di reduci e di irriducibili. Di leader decaduti, incriminati, imprigionati, accusati di golpe, oppure in ascesa o ancora in sella al potere, che in nome di Dio, Patria e famiglia sognano la disfatta globale della sinistra, della cultura dei diritti liberali, della tutela delle diversità. La rivalsa nera, con gradazioni più o meno conservatrici, e dunque più o meno populiste, è il trionfo della volontà nazionalista. Meloni è la chiave, oggi, per aprire la porta che conduce al paradiso del sovranismo. Dopo Donald Trump nessun’altra democrazia occidentale aveva avuto una guida di questo colore. Meloni è a un passo da Palazzo Chigi, da dove gestirà il governo di destra di uno dei sette Paesi che compongono il club dei grandi, la porta di ingresso del Mediterraneo, il prezzo pregiato della collezione europea.

«L’Europa dei patrioti», la chiama Meloni. Ed è più di uno slogan: è un progetto, confermato dalla strategia che hanno in testa gli uomini di maggiore fiducia della leader, e dai testi di legge presentati da Fratelli d’Italia nel corso dell’ultima legislatura, proposte che prevedono la supremazia del diritto nazionale su quello comunitario. Meloni sa che per raggiungere questo obiettivo, per destrutturare e ristrutturare gli equilibri in Europa, dando più forza alle Nazioni (il termine che, assieme a Patria, preferisce a Stati e Paesi) e sottraendone a Bruxelles, deve saldare un’alleanza che sia numericamente valida. E vuole farlo in vista del 2024, quando le elezioni europee rappresenteranno l’occasione per ribaltare l’egemonia di popolari e socialisti.

È un dejà vu. Il laboratorio Italia aveva già ospitato un esperimento simile. Sullo slancio del governo gialloverde, nel voto per l’Europarlamento del 2019, Matteo Salvini volò fino al 34 per cento, ma poté poco perché non aveva alleati, e nel gruppo di appartenenza europeo – i populisti di estrema destra di Identità e Democrazia – non c’erano capi di Stato o di governo in grado di incidere sui rapporti di forza. Un errore che Meloni ha sempre tenuto a mente, sin dal giorno in cui ha deciso di far accasare Fdi tra i Conservatori, di cui lei è diventata leader, ben prima di salire al 26 per cento di consenso e di vincere le elezioni.

Bisogna scegliersi i giusti «compagni di viaggio», ha detto ieri. E allora andiamoli a vedere alcuni di questi compagni di viaggio, ospitati nel Pantheon degli ultranazionalisti spagnoli del muscoloso Abascal. C’è il polacco Mateusz Morawiecki, capo di un governo che è sotto processo in Europa per aver degradato lo stato di diritto, sulle libertà delle donne e della magistratura. Meloni lo cita nel suo breve intervento come modello di successo assieme al governo della Repubblica ceca. Non fa lo stesso con Viktor Orbàn, l’autocrate di Budapest che pure è presente nell’album di Vox, forse giocando sul fatto che il premier ungherese è stato, fino alla sua espulsione, esponente dei popolari europei. Trump non ha bisogno di presentazioni. L’ex presidente americano è stato ed è ancora il punto di riferimento della destra globale, in corsa per rivincere le primarie repubblicane. Nella prima fase della rivoluzione sovranista, quando arrivò alla Casa Bianca, il suo principale consigliere, Steve Bannon, venne in Italia a organizzare il quartier generale del populismo europeo. «Bannon sta creando una rete dei movimenti che condividono la difesa di valori come identità nazionale, famiglia e tradizione. Noi ne vogliamo essere parte». Sono parole di Meloni, datate 25 settembre del 2019. Tre anni prima del voto che l’ha incoronata. Bannon scelse Meloni come punto di riferimento italiano quando era poco sopra il 5%. Una scommessa che ha rivendicato alla viglia delle elezioni, definendo la presidente di Fdi la «Margaret Thatcher italiana».

Si vedrà se il governo la renderà una conservatrice alla Tatcher o se deraglierà più verso la figura di una caudilla sudamericana. Intanto il Movimento di Bannon è ancora in piedi. Acciaccato, magari, ma in vita. Per entrare di diritto nel club di Vox serve una provata ostilità verso i gay e la cultura Lgbt. Tra i promossi a pieni voti c’è una altro repubblicano Usa, Ted Cruz, antiabortista e teorico di un’immigrazione confessionale, secondo la quale gli Usa dovrebbero essere una terra promessa solo per i cristiani. L’ossessione etnica, razziale, religiosa e sessuofoba, assieme a un mix di armi facili e ricette ultraliberiste, è una costante tra gli amici della Patria e di Meloni. In Sudamerica ha il volto di Jeanine Áñez, ex conduttrice televisiva, presidente ad interim della Bolivia nei giorni dell’esilio forzato di Evo Morales: è stata arrestata con l’accusa di golpe e condannata lo scorso giugno a dieci anni di carcere. Considerata una nemica degli indios, entrò nel palazzo presidenziale agitando una Bibbia sopra la testa e urlando: «La Bibbia è tornata al governo».

Rating 3.00 out of 5

Governo fragile prima di nascere

lunedì, Ottobre 10th, 2022

ALESSANDRO DE AGNELIS

Tanto valeva concedersi qualche giorno di baldoria, se l’idea di mettersi subito al lavoro, per dare l’idea di una classe dirigente operosa rispetto al paese, si sta già rovesciando nell’opposto: due settimane di stillicidio sui “nomi” in cui, in attesa del governo che verrà, fa notizia soprattutto “il governo dei rifiuti”, inteso come i tanti “no” collezionati all’Economia, ovvero il “ministero della credibilità” (da conquistare).

Avanti così altri quindici giorni, il rischio è di un qualcosa che nasce già consumato. Come, in fondo, si è già consumata la timida intenzione di concedere una Camera all’opposizione. Non banale: come fai a dire che è fascista una che ripristina un’antica consuetudine istituzionale? Discussione già derubricata a classica spartizione: i presidenti di Camera e Senato – ovvero il facente funzione di Mattarella in caso di impedimento – sono diventate caselle compensative per gli esclusi dal piatto ricco di governo. E quindi la Camera va alla Lega, mentre al Senato va Ignazio La Russa, che al governo c’è già stato. Nei panni del “guardiano”, così Giorgia Meloni si sente più tranquilla a palazzo Madama dove ha solo una decina di senatori di maggioranza.

Al fondo di questa sgrammaticatura istituzionale, della ridda degli spifferi sulle inquietudini del premier in pectore, delle smentite e dell’irritazione verso i suoi perché troppo ciarlieri, dell’assenza di un clima complessivo che dia il senso di un “nuovo inizio”, c’è la sensazione che Giorgia Meloni si muova in modo innaturale e senza un’idea precisa tra “sovranismo” e “realismo”, tra palco e realtà. Ecco che si trattiene, davanti alle improvvide dichiarazioni del ministro francese Boone, quando avrebbe potuto appiccare un fuoco pirotecnico in difesa della “sovranità” nazionale, lasciandosi coprire per intensità da Mattarella. Too passive. Ma poi, di rosso vestita, alla corrida “sovranista” di Vox promette che “faremo come in Polonia”, paese che, come negazione dello Stato di diritto, non ha nulla da invidiare a Orban. Too aggressive.

Rating 3.00 out of 5

Infortuni sul lavoro: storie e volti dietro i numeri

lunedì, Ottobre 10th, 2022

Giusi Fasano

Ieri era la giornata nazionale per ricordare le vittime degli incidenti sul lavoro. L’opera di sensibilizzazione di Andrea Lanari e degli altri testimonial della sicurezza in un paese dove abbiamo un ferito al minuto

Andrea Lanari dice che quel giorno stava centrando una lamiera in uno stampo. La pressa «si abbassò di colpo e mi tranciò le mani», racconta. Era il 4 giugno 2012. Le sue mani sono finite nel conteggio spaventoso degli infortuni sul lavoro di quell’anno. Un numero fra centinaia di migliaia di altri. Un numero della statistica nera che valeva allora e vale ancora oggi: a parte i morti (l’anno scorso 1221) nel nostro Paese abbiamo un ferito ogni minuto quando va bene, negli annus horribilis siamo arrivati a un ferito ogni 50 secondi. A volte cose di poco conto, più spesso invalidità gravi e permanenti.

Ieri era la giornata nazionale per ricordare le vittime degli incidenti sul lavoro. Sempre troppe e per un giorno — almeno uno – non soltanto cifre di questa o quella statistica ma anche storie, facce, vite. L’Anmil (Associazione nazionale dei lavoratori mutilati e invalidi del lavoro) ha organizzato ovunque incontri, riflessioni, testimonianze. E Andrea era uno di quei testimoni, sul palco allestito nello stabilimento Claber di Fiume Veneto, vicino Pordenone. Dopo l’incidente lui decise che raccontare di sé, mostrare le sue nuove mani dall’anima d’acciaio, doveva diventare una missione. Perché tutti capissero, ascoltandolo, che la sicurezza sul lavoro vale molto più dei soldi e del tempo risparmiati per evitarla.

Le sue giornate, oggi, sono dedicate al mestiere di «testimonial formatore per la salute e la sicurezza sul lavoro», una figura professionale voluta dall’Anmil e già in azione soltanto nelle Marche, nel Lazio e in Abruzzo (sono operativi circa 300 persone). Andrea, marchigiano di Castelfidardo, arriva sul palco di un evento, davanti agli studenti di una scuola, o di fronte ai lavoratori di un’azienda, e comincia a parlare del suo 4 giugno 2012. La sicurezza che mancava, zero formazione, la pressa, le mani, il sangue, la corsa in ospedale, il risveglio dopo la doppia amputazione… A volte si ferma. Pausa. Ricaccia indietro le lacrime arrivate sull’orlo degli occhi e riprende.

Rating 3.00 out of 5

Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | Esplosioni nel centro di Kiev, raid a Zaporizhzhia

lunedì, Ottobre 10th, 2022

di Lorenzo Cremonesi e Marta Serafini

Le notizie di lunedì 10 ottobre, in diretta. Putin accusa: «I servizi di Kiev responsabili dell’attacco al ponte di Kerch». Il sindaco della capitale: due esplosioni. I russi avanzano su Bakhmut. Attacco missilistico su Dnipro

desc img
Foto di Matti Maasikas, ambasciatore Ue in Ucraina

• La guerra in Ucraina è arrivata al 229esimo giorno.
• Dopo aver rivendicato l’esplosione del ponte, Kiev ora sostiene che l’esplosione sul ponte di Crimea sia «una manifestazione del conflitto» tra le forze di sicurezza russe.
• Il presidente Vladimir Putin dice: «L’attacco al ponte di Kerch è un atto terroristico dell’Ucraina»

Ore 08:19 – Razzo vicino al monumento di un eroe nazionale ucraino

Un razzo lanciato dalle forze armate russe è caduto questa mattina vicino al monumento dell’eroe nazionale della rivoluzione ucraina Hrushevsky nel centro di Kiev. Lo scrive sul suo canale di Telegram il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Anton Gerashchenko, alto consigliere del ministro degli Interni. Anche il deputato ucraino Oleksiy Goncharenko denuncia che è stato un razzo lanciato dai russi a causare esplosioni. E su Twitter parla di macchine che bruciano, vetri delle finestre rotti e morti. «Le macchine stanno bruciando e le finestre delle case sono andate in frantumi. Ci sono morti», ha twittato questa mattina.

Ore 08:16 – Quattro morti a Sloviansk

Quattro persone sono morte e due sono rimaste ferite in seguito a un attacco russo sulla città ucraina di Sloviansk. Lo riporta Unian citando Vadym Lyakh, il capo dell’amministrazione della città.

Ore 08:12 – Attacco missilistico su Dnipro

Attacco missilistico russo sulla città di Dnipro, nel centro dell’Ocraina. Secondo quanto riferiscono fonti locali citate da Unian si è verificata un’esplosione.

Ore 08:02 – «Morti e feriti negli attacchi a Kiev»

Lo hanno riferito le squadre di soccorso accorse nella zona di Kiev colpita dai missili questa mattina, secondo quanto riportato dai media ucraini. L’ultimo attacco russo contro la capitale ucraina era stato condotto il 26 giugno scorso.

Ore 07:37 – I russi avanzano verso Bakhmut

I russi si sono avvicinati alla città di Bakhmut, snodo strategico nell’Est dell’Ucraina. Nell’ultima settimana le truppe dell’esercito invasore sono avanzate di 2 chilometri. Lo riferisce il bollettino quotidiano dell’intelligence britannica sull’andamento della guerra.

Ore 07:33 – Missili sul centro di Kiev

Almeno due missili sono stati lanciati sulla capitale questa mattina. Le esplosioni e il suono delle sirene dopo mesi di relativa calma. Il sindaco di Kiev Vitalii Klitchko ha detto che a essere stata colpita è una zona del centro. La sua dichiarazione tramite il suo account Telegram ufficiale subito dopo le 8.30 ora locale: «Diverse esplosioni nel distretto di Shevchenkiv, nel centro della capitale» che comprende la Città Vecchia e diversi edifici governativi. Lo riporta il Guardian, mentre l’Associated Press ha riferito che a Kiev sono state udite diverse forti esplosioni. il Kiev Independent parla di almeno quattro deflagrazioni. Alte colonne di fumo sono state viste nel centro della città.

Ore 06:44 – Altro raid russo a Zaporizhzhia, colpito un condominio

Un edificio di diversi piani è stato distrutto nel centro di Zaporizhzhia a seguito di un nuovo attacco missilistico russo. Lo riferisce il capo dell’amministrazione militare della città, Oleksandr Starukh, su Telegram. «Il terrore del nemico continua. A seguito dell’attacco missilistico nel centro di Zaporizhzhia, un edificio residenziale a più piani è stato distrutto. Ci sono vittime», ha scritto Starukh. I soccorritori, i medici e tutti i servizi competenti sono attualmente al lavoro sul luogo della tragedia. Almeno 14 vittime, intanto, sono state confermate dopo i bombardamenti russi sempre a Zaporizhzhia nel fine settimana. L’ultimo bilancio delle vittime segue i ripetuti attacchi alla città negli ultimi giorni e porta il numero totale delle persone uccise nell’ultima settimana a 43, secondo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

Ore 05:30 – Trump attacca Biden, a un passo dalla Terza Guerra mondiale

«Il pianeta potrebbe essere a un passo dalla Terza Guerra mondiale». Lo ha detto l’ex presidente Donald Trump, nel corso di un comizio a Mesa, in Arizona. Trump ha attaccato l’amministrazione Biden per non essere riuscita a evitare l’invasione russa dell’Ucraina e la tensione che ne è derivata. «Noi – ha detto – dobbiamo chiedere subito negoziati di pace per mettere fine alla guerra in Ucraina o ci ritroveremo con la Terza guerra mondiale, e non ce ne sarà più una come questa». «Non avremmo avuto una guerra del genere – ha aggiunto – se non avessimo avuto gente stupida che non aveva idea di cosa stesse succedendo».

Rating 3.00 out of 5

L’eruzione dello Stromboli. La protezione civile: «Non uscite di casa»

lunedì, Ottobre 10th, 2022

di Lara Sirignano

Il vulcano dell’isola di Stromboli è tornato a farsi sentire. La Regione Sicilia ha dato alla popolazione tutte le indicazioni in caso di esplosioni

desc img

Sono ore di paura a Stromboli dove, da questa mattina, il vulcano è tornato a farsi sentire. Una eruzione con un imponente colata lavica, che ha percorso la sciara del fuoco ed è finita in mare, e un fumo denso tengono in ansia i residenti dell’isola e i turisti ancora presenti. Il sindaco di Lipari, Riccardo Gullo, ha diramato una ordinanza raccomandando alla popolazione di non uscire di casa e di non stare davanti alle finestre delle abitazioni. Qualche ora fa è parzialmente crollata la terrazza craterica e il flusso piroclastico, generato dal crollo, ha prodotto un terremoto durato 3 minuti e registrato da tutta la rete sismica.

L’impatto sull’acqua della lava incandescente ha provocato uno tsunami di 2 centimetri e si è registrato un incremento dell’attività di spattering, accompagnato da valori del tremore vulcanico su livelli alti.

I consigli della Protezione civile

In serata il dipartimento della Protezione civile ha disposto il passaggio di allerta dal livello giallo all’arancione, una decisione che comporta il potenziamento del sistema di monitoraggio del vulcano. «Persiste una situazione di potenziale disequilibrio dello Stromboli», dice una nota che invita la popolazione «a tenersi informata e ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dalle autorità locali». Allerta massima anche a Ginostra dove i 40 residenti e i turisti, per lo più stranieri, hanno creato una chat per mantenersi in contatto. Il sindaco li ha invitati a uscire solo con la mascherina perché il vento, che soffia verso Nord-Est, sta sospingendo sulla frazione di Stromboli una fitta pioggia di cenere.

Rating 3.00 out of 5

Cina, Xi Jinping come Mao: i pieni poteri e gli errori che condizionano il mondo

lunedì, Ottobre 10th, 2022

di Milena Gabanelli e Danilo Taino

Nei decenni scorsi, si era affermata l’idea che i politici e i burocrati cinesi fossero straordinariamente bravi. Se l’economia andava male, la rimettevano in carreggiata; se c’erano proteste popolari – e ce n’erano a migliaia ogni anno – le risolvevano con bastone e carota; se servivano case per l’urbanizzazione, le costruivano; gli ospedali per affrontare la pandemia sorgevano in una settimana. E nel mondo Pechino si presentava come una potenza responsabile e un centro di stabilità. Oggi è cambiato tutto.

Nessun limite di mandato

Il 16 ottobre, si aprirà a Pechino il XX Congresso del Pcc, il più rilevante da 40 anni. Durante l’assise, 2.300 delegati dovranno discutere e decidere molte cose ma, soprattutto, se il compagno Xi potrà rimanere leader del Partito per il terzo mandato quinquennale consecutivo. Sarebbe la prima volta dalla fine degli anni 70 che il segretario può continuare a guidare il Partito, e automaticamente lo Stato, dopo un decennio al comando. Fino al 2018, la Costituzione cinese lo vietava: due mandati, non uno di più. Ma quell’anno Xi l’ha fatta emendare e ora non ci sono più limiti costituzionali, quindi potrebbe rimanere al potere a vita. In teoria. In pratica, ogni cinque anni Xi deve convincere l’establishment comunista a riconfermargli il mandato. Le probabilità che venga rinominato sono quasi una certezza.

Epurati tutti gli avversari

Nei dieci anni di leadership – segretario del Partito, presidente della Repubblica Popolare Cinese, capo dell’Esercito di Liberazione Popolare – Xi Jinping ha immensamente rafforzato il proprio potere personale. Attraverso migliaia di epurazioni condotte dietro la politica di lotta alla corruzione, ha eliminato gli avversari più temibili. Già prima di essere eletto, nel 2012, il suo rivale diretto, Bo Xilai, è stato arrestato accusato di corruzione e altri crimini, il che gli ha spianato la strada verso il potere. Subito dopo la nomina alla guida della Cina, Xi ha lanciato una serie di campagne di «pulizia» che hanno portato in prigione o all’espulsione dal Pcc migliaia di membri, in alcuni casi avversari per il potere, in altri funzionari di alto livello, in altri ancora semplici iscritti (il Partito ha circa 97 milioni di militanti). Un modo per assicurarsi, attraverso punizioni e promozioni, la lealtà a ogni livello della gerarchia. Nella sola prima metà di quest’anno, sono stati puniti 21 quadri di partito di livello ministeriale nelle province, e 1.237 a livello di distretto e di dipartimento. Punizioni intese a rafforzare la sua posizione in vista del Congresso. In settembre, il viceministro per la Sicurezza Sun Lijun è stato condannato a morte (pena sospesa) perché «sleale» a Xi. L’ex ministro della Giustizia Fu Zhenghua ha seguito la stessa sorte. E’ lo stesso Fu Zhenghua che nel 2014 ebbe un ruolo centrale nell’epurazione dell’ex ministro della Sicurezza Zhou Yongkang.

La gestione della pandemia

Nel preambolo della Costituzione è stato inserito il «Pensiero di Xi Jinping» (sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era) al fianco del Pensiero di Mao Zedong.

Xi arriva dunque al Congresso con una concentrazione di potere nelle sue mani senza precedenti negli scorsi 40 anni. Sul piano dei risultati, però, arriva al Congresso con ben poco da mostrare, a partire dalla disastrosa gestione della pandemiaAll’inizio, fra dicembre 2019 e i primi giorni del 2020, ha cercato di spazzare sotto al tappeto il problema e ha fatto silenziare chi avvertiva del pericolo, ritardando la risposta da dare, in Cina e nel resto del mondo. Poi, con la politica dello zero Covid (cioè soppressione con ogni mezzo di qualsiasi focolaio) ha imposto lockdown che continuano tuttora anche quando si presentano pochi casi di coronavirus. In settembre, forme di restrizione hanno colpito decine di città – a cominciare da Chengdu, 21 milioni di abitanti – le quali, messe assieme, producono un terzo del Pil cinese. In estate, era stata messa in lockdown Shanghai a diverse riprese. Gli esperti gli hanno consigliato di abbandonare questa politica in quanto irrealizzabile, ma «l’imperatore» non può ammettere di aver sbagliato. Così, mentre il resto del mondo cerca una normalità, la Cina resta chiusa e l’economia rallenta.

Rating 3.00 out of 5

Senza il tetto europeo al gas Italia a crescita zero nel 2023. Confindustria suona la sveglia

domenica, Ottobre 9th, 2022

Luigi Frasca

Allarme crescita zero nel 2023. Pesa lo schock energetico che «abbatte le prospettive di crescita» e pesano le ipotesi sulla questione gas. Il Paese si trova davanti ad un bivio: un eventuale stop delle forniture dalla Russia, che sarebbe un macigno sul Pil, o l’approvazione a ottobre del tanto atteso price cap europeo, che al contrario farebbe salire il prodotto e l’occupazione. È la fotografia scattata dal rapporto sullo stato di salute dell’economia italiana del Centro studi di Confindustria, presentato ieri a viale dell’Astronomia. L’impatto sulla crescita degli effetti economici della guerra in Ucraina si inizierà a quindi a sentire già prima della fine dell’anno, con un III trimestre in frenata e poi in discesa tra il IV trimestre del 2022 (-0,6%) e il I del 2023 (-0,3%). Dal II trimestre del 2023, la dinamica tornerebbe positiva, anche se in misura molto contenuta: +0,2% in media a trimestre con un profilo coerente con una variazione complessivamente nulla nell’anno. Ma «si tratterebbe di un mero recupero dei livelli di attività perduti nei sei mesi precedenti: l’economia italiana sarebbe sostanzialmente in stagnazione», avverte Confindustria. La crescita, quindi, sarebbe nulla.

Rallentano i consumi, nel 2023 sarebbero ancora del 3% sotto ai livelli del 2019, frenano gli investimenti delle imprese, soprattutto nell’edilizia, sale il tasso di disoccupazione, atteso all’8,1% nel 2022 e all’8,7% nel 2023. A questo si aggiunge uno scenario internazionale per i futuri due anni caratterizzato da forte incertezza, con le tensioni tra Ue e Russia che gettano ombre fosche sulla tenuta delle economie italiane ed europee. Se le tensioni dovessero inasprirsi e portare ad uno stop delle forniture il prezzo del gas salirebbe nel IV trimestre ad un prezzo di 330 euro/mwh fino alla fine del 2023. Il che significherebbe svalutazione dell’euro sul dollaro, un aumento dei tassi ufficiali di politica monetaria e di quello interbancario, un peggioramento del clima di incertezza globale. Tradotto: -1,5% di Pil tra 2022 e 2023 e in 294mila occupati in meno nel biennio.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.