Archive for Ottobre, 2022

Montagna, stagione sugli sci in bilico. Costi per aprire troppo alti, valanga di bollette

domenica, Ottobre 9th, 2022

È quello della Panarotta in Trentino il primo comprensorio sciistico italiano ad aver annunciato che quest’inverno non metterà in moto gli impianti di risalita. Tanti altri stanno cercando di capire quali soluzioni trovare ma soprattutto come poter sopravvivere al caro-energia. Amministratori delegati, contabili e ragionieri stanno passando giornate intere con calcolatrici e «fogli excel» in mano per salvare una stagione invernale che ancor prima di iniziare si preannuncia difficile, costosa e soprattutto incerta causa l’esplosione dei costi dell’energia elettrica. Tutta la filiera della montagna è in apprensione, decine di migliaia di posti di lavoro a rischio. Causa il caro-energia c’è chi pensa a chiudere gli impianti in alcuni giorni della settimana o aprire a giorni alterni, altri pensano ad una apertura ad orari (solo mattina o con la «pausa pranzo»), altri ancora potrebbero decidere di aprire solo nel fine settimana. Nei comprensori più grandi c’è l’ipotesi di aprire solo alcuni impianti, quelli che vengono più frequentati. Verso lo stop allo sci notturno, alternativa che negli anni aveva riscosso successo. In tutto questo c’è l’altra incognita: quanta neve arriverà a novembre? L’uso dei cannoni per produrre la neve avrà un suo costo in un contesto dove umidità dell’aria e basse temperature giocheranno un ruolo importante. I costi sono esplosi, dai pernottamenti alla ristorazione, dai materiali fino agli skipass. Sono stati i giornalieri, gli stagionali o le tessere plurigiornaliere a subire i rincari maggiori, dal 6 fino al 12-13% con una media attestatasi sul 10%.

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Il Covid non è finito, la politica si sbrighi

domenica, Ottobre 9th, 2022

Eugenia Tognotti

Che la fine della pandemia arrivasse gradualmente e in modo non uniforme era scontato. A confermarcelo, l’impennata autunnale di Covid-19 che si avvicina, stando all’ultimo report settimanale del ministero della Salute e dell’Iss, con dati aggiornati al 6 ottobre.

Del resto, l’inquietante tambureggiare, da parecchi giorni, dei numeri in crescita dei casi di infezione e dei decessi da virus Sars-CoV-2 aveva già anticipato ciò di cui si sta ora dando conto con numeri e grafici: un aumento dell’incidenza, da 241 a 383 per 100.000 abitanti. Rispetto alla settimana precedente, 14-27 settembre, tende a un incremento l’indice Rt (1,18), calcolato sui casi sintomatici e che è al di sopra della fatidica soglia epidemica, come sappiamo ormai, fin troppo bene, ammaestrati dalle lezioni apprese da Covid teacher in un biennio abbondante di emergenza pandemica. Non lampeggiano – su quello che potremmo indicare come il “cruscotto” dell’impatto sul sistema sanitario – le spie dei tassi di occupazione dei posti letto, in lieve aumento però nei reparti di terapia intensiva e in modo più accentuato nei reparti di area medica. Nel bollettino epidemiologico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia spicca, col suo colore rosso scuro, nella carta della Regione europea, in controtendenza rispetto al calo dei casi settimanali registrati a livello globale.

In termini assoluti, il maggior numero di nuovi casi sono registrati in Germania, Francia e Federazione Russa, ma per gli incrementi proporzionali – 59 per cento – è ai primi posti (preceduta dall’Austria e dal piccolo Stato di Guernsey). Nonostante l’opinione diffusa anche in Italia che la pandemia sia alle nostre spalle, si continua a morire, i tassi di trasmissibilità sono in crescita e l’incidenza è in aumento in vaste aree del Paese (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Pa Trento, Pa di Bolzano).

Ci troviamo oggi, naturalmente, in una situazione molto diversa, e per diverse ragioni, rispetto a quando è comparso improvvisamente sulla scena – nel 2020 – l’allora sconosciuto Sars- Cov-2 , di cui ora sappiamo (quasi) tutto. Disponiamo di vaccini aggiornati alle nuove varianti del virus e di un armamentario di farmaci antivirali e strategie terapeutiche per controllarlo. Ora però – aspettando la formazione del governo e un ministro della Salute in grado di decidere di concerto con gli organismi tecnico – scientifici del Ssn – siamo in presenza di un “vuoto” di potere, mentre s’impongono scelte politiche, naturalmente diverse da quelle della prima drammatica fase di Covid-19 . Ma, intanto, quel che è certo – guardando al trend dell’indice Rt – è che il virus non seguirà le tappe istituzionali canoniche fino al giuramento dei nuovi ministri, mentre sarebbe importante mettere subito in campo un piano articolato che comprenda le misure e le precauzioni già collaudate. Oltre, naturalmente, alla rimozione delle ben note criticità sul piano del compimento dei cicli di vaccinazione e dell’aumento della copertura delle dosi booster, piuttosto bassa, (con particolare attenzione alle categorie individuate, a suo tempo, dalle disposizioni ministeriali).

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Attorno al buco nero a 100 mila km al secondo

domenica, Ottobre 9th, 2022

LUIGI GRASSIA

Utilizzando il radiotelescopio cileno Alma alcuni astronomi, fra cui gli italiani Nicola Marchili dell’Istituto nazionale di astrofisica e Ciriaco Goddi dell’Università di Cagliari, hanno individuato per la prima volta una gigantesca bolla di gas incandescente (non una stella, qualcosa di diverso) in orbita attorno al Sagittarius A, cioè al buco nero supermassiccio che occupa il centro della nostra galassia. Questo nuovo oggetto è sorprendente anche perché ruota attorno al buco nero della Via Lattea e al suo disco di accrescimento a una distanza molto piccola su scala astronomica, inferiore all’orbita del pianeta Mercurio attorno al Sole: E dal momento che Sagittarius A è un buco nero di massa mostruosa, equivalente a tre milioni di stelle come il Sole, l’oggetto individuato deve ruotargli attorno a una velocità pazzesca per non caderci dentro; gli astronomi hanno calcolato che tale velocità è addirittura di centomila chilometri al secondo, cioè un terzo della velocità della luce. La notizia è stata pubblicata dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

Individuare quest’oggetto non è stato facile, perché il buco nero in quanto tale è invisibile, ma attorno a sé ha un disco di materia caldissima e luminosissima che gli spiraleggia attorno prima di essere inghiottita per sempre; e sullo sfondo di questa materia, che emette intensissime radiazioni elettromagnetiche, è molto complicato distinguere i segnali mandati individualmente dalla bolla di gas incandescente. Nell’illustrazione in apertura di articolo si vede la “fotografia”  (più precisamente, un’immagine costruita sintetizzando varie rilevazioni) del disco di accrescimento del buco nero Sagittarius A, e attorno è stata disegnata la palla di fuoco appena scoperta, con l’orbita tratteggiata. 

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La fuga dei medici di famiglia, 100 mila torinesi sono senza medico di famiglia

domenica, Ottobre 9th, 2022

TORINO. «Dequalificazione della figura professionale», «prospettive future ulteriormente peggiorative», «condizioni di lavoro impossibili», «stanchezza e svilimento», «default della medicina territoriale».

Questa volta a lasciare non è un medico a fine carriera, alle soglie della pensione, ma una giovane dottoressa. Sua la lettera, inviata agli assistiti, in cui annuncia con rincrescimento la decisione, scusandosi per i disagi che inevitabilmente arrecherà. «Credo sia stata persa una grande occasione di riforma e rinnovamento delle cure primarie e di qualità di assistenza», scrive la dottoressa Giulia Basso.

Una scelta personale ma non isolata, nel senso che non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima. Un altro vuoto da coprire, un altro buco nella rete già smagliata dei medici di famiglia. Di questi parliamo: di un universo in fibrillazione, né più né meno di quanto accade tra i medici ospedalieri. I pediatri, a cortese richiesta, vi risponderanno altrettanto.

Medici in fuga, quindi, ai vari livelli. Medici che in tutti i casi non nascondono l’amarezza, come precisa la dottoressa, «nell’abbandonare un lavoro in cui ho creduto e investito molto». Seconda considerazione: il fenomeno, particolarmente accentuato ed evidente nelle aree montane, comincia ad interessare anche i centri più grandi. E la stessa Torino. «È un problema che riguarda tutta Italia, il Piemonte paga il prezzo di avere un territorio particolarmente montuoso, con una miriade di piccoli comuni – spiegava pochi giorni fa l’assessore alla Sanità Luigi Icardi – In questo caso, più che i medici, mancano gli incentivi a lavorare nelle zone disagiate». Gli incentivi e molto altro, par di capire, considerato che anche nel capoluogo aumentano i posti vacanti e quindi il sovraccarico dei dottori ancora in linea.

Emblematici i dati forniti dall’Ordine dei Medici di Torino. In Piemonte, tra il 2017 e il 2022, sono andati in pensione circa novecento medici di medicina generale – ricordava Guido Giustetto, il presidente – Si stima che altri 1700 andranno in pensione tra il 2023 e il 2032, con la punta più alta nel 2023/24: il numero di medici in formazione è largamente insufficiente a rimpiazzare i pensionati». E quelli che, come abbiamo visto, lasciano a inizio corsa.

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Siamo tutti ucraini ma per la pace serve una via

domenica, Ottobre 9th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Siamo tutti ucraini. Consapevoli che la loro guerra è anche la nostra guerra, perché nasce dalla difesa dei principi di libertà e di autodeterminazione dei popoli sui quali questa parte di mondo si è fondata e forgiata nelle tragedie dell’era moderna. Siamo tutti europei. Coscienti che il macellaio di Mosca è la causa di questa mostruosa ecatombe di bambini, di donne, di uomini inermi e innocenti. Che il Grande Dittatore del Cremlino, comunque finisca il conflitto, dovrà rispondere a un Tribunale penale internazionale per i crimini contro l’umanità perpetrati a Bucha a Irpin a Kherson. Siamo tutti occidentali. Convinti che la Russia è ormai una minaccia globale, al di là dell’invasione in Ucraina. Che è giusto e legittimo sostenere anche militarmente la resistenza di quella nazione, tornata suo malgrado terra di mezzo tra Est e Ovest. Che ha ragione Sanna Marin, quando al vertice di Praga, a chi le chiede qual è la soluzione, risponde semplicemente «ce n’è una sola, il ritiro di Putin».

Ci rassicura, tutto questo. Stare dalla parte giusta della Storia. Sapere esattamente qual è il nostro posto su questa Terra. Quali sono i nemici che dobbiamo combattere e gli amici di cui ci dobbiamo fidare. Peccato però che il sorriso sicuro della premier finlandese disarma i cronisti ma non il Tiranno. E peccato che dopo i ripetuti accenni del Cremlino sul possibile ricorso agli armamenti nucleari tattici, adesso persino Joe Biden non può più escludere «un Armageddon atomico», per la prima volta dalla crisi dei missili a Cuba del 1962. Di fronte a tutto questo orrore, a questa drammatica escalation che va ormai ben oltre l’ubriacatura propagandistica dei generali al fronte o la sbornia geostrategica da salotto televisivo.

A questa cinica assuefazione del pensiero e del linguaggio davanti alla morte presente e futura, abbiamo un dovere etico e politico: quello di fermarci. Per respirare, per ragionare.

Dove può portarci questa spirale, a noi che per Costituzione ripudiamo la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali? E fino a che punto consideriamo possibile e utile spingerci, per supportare ormai non più solo la difesa, ma anche l’offesa di un Paese in armi? Non sono interrogativi leciti: sono necessari. Soprattutto alla luce dei fatti di queste ultime ore. Il primo, di venerdì scorso: l’attentato a Darya “Dugina”, figlia dell’ideologo del putinismo Aleksandr Dugin uccisa il 20 agosto alla periferia di Mosca, sarebbe opera dei servizi ucraini. Il secondo, di ieri: l’esplosione che ha distrutto il ponte di Kerch, raccordo tra Russia e Crimea e monumento-simbolo dell’occupazione del 2014, porterebbe la firma degli stessi ucraini. Che, giusto il giorno dopo la festa dei 70 anni dell’autocrate di San Pietroburgo, gli recapitano la rivendicazione con una pennellata di macabra ironia intinta nel mito di Marilyn Monroe: «Buon Compleanno, presidente Putin». Non pago, il consigliere ucraino Mykhailo Podolyak aggiunge: «E questo è solo l’inizio».

A’ la guerre comme à la guerre. Provateci voi, dentro un incubo iniziato il 24 febbraio, a guidare uno Stato sovrano asserragliati in un sottoscala, mentre l’Orso post-sovietico ti aggredisce e ti sbrana, i missili e le bombe distruggono le tue città, i soldati di Dvornikov massacrano la tua gente, i ceceni di Kadyrov stuprano e sgozzano le tue mogli e i tuoi figli. L’atroce mattanza russa sui civili ucraini dura ormai da nove mesi: al confronto, una carica di dinamite sotto l’auto della figlia di un simil-Rasputin convinto che il suo capo sia la reincarnazione di Pietro il Grande, o un camion bomba su un’infrastruttura che suggella un’altra Anschluss illegittima, sono una puntura di spillo. C’è poco da recriminare e da biasimare: è la guerra, stupido, e non ci puoi fare niente. Ma è davvero così? O non è forse il momento che le cancellerie euro-atlantiche aprano un confronto serio con Zelensky, non per accusarlo o isolarlo, ma almeno per capire qual è la sua strategia, e qual è per lui il confine tra protezione e aggressione.

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Chi (non) fa funzionare lo Stato

domenica, Ottobre 9th, 2022

di Sabino Cassese

I «numeri due e tre» sono spesso il fattore di successo di una compagine di governo. Ma sono rimasti prigionieri della grammatica giuridica, ma non di un diritto «prospettico», bensì di un diritto fondato sul precedente e sul «combinato disposto»

Da qualche giorno i vincitori delle elezioni politiche hanno spostato la loro attenzione dalle trattative sulla composizione del governo alla caccia dei collaboratori ministeriali, gli staff, i «gabinetti». Una ricerca importante ma difficile: importante perché i «numeri due e tre» sono spesso il fattore di successo di una compagine di governo; difficile perché alla guida dell’esecutivo va una forza politica che ha avuto scarsa consuetudine con il potere.

È naturale che questo «head hunting» cominci dai due grandi corpi che sono stati tradizionalmente i «vivai di grandi commessi dello Stato» (traduco così l’espressione francese); non a caso sono tra i pochi che recano nella loro denominazione la parola Stato: Consiglio di Stato e Ragioneria generale dello Stato. Questi hanno una lunga vita (il primo nasce prima dell’Unità d’Italia, nel 1831; il secondo subito dopo, nel 1869); sono per legge o per tradizione preposti a funzioni fondamentali (governano la macchina delle leggi e quella della spesa); hanno, in modi diversi, terminali operativi nelle amministrazioni pubbliche, che consentono loro di «avere il polso» della gestione pubblica; a partire dalla Repubblica, hanno rimpiazzato nel ruolo di guida degli apparati il ministero dell’Interno, che in precedenza era legato da un cordone ombelicale con il presidente del Consiglio dei ministri, tanto che la presidenza del Consiglio fino al 1961 ha avuto sede presso il ministero dell’Interno.

Nei libri di storia delle istituzioni si ricorda il rispetto che Mussolini aveva per il Ragioniere generale Vito De Bellis, l’influenza esercitata dal Presidente di sezione del Consiglio di Stato Franco Piga, quale capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio nel governo Rumor, l’importante ruolo svolto dal Ragioniere generale Vincenzo Milazzo quale capo di gabinetto di Giulio Andreotti.

Ma anche i guardiani dello Stato invecchiano e non riescono più a stare al passo con i tempi. Anche persone singolarmente molto capaci non sempre si dimostrano all’altezza dei compiti richiesti ai grandi corpi dello Stato. Questo è accaduto per diversi motivi. Perché, mentre svolgevano la loro funzione di custodi dello Stato, non si sono accorti che lo Stato mutava, e sono quindi divenuti i custodi dello Stato di ieri, rivelandosi una forza frenante. O perché non hanno saputo cogliere i mutamenti intervenuti nei rapporti Stato-società, ed hanno continuato a dire le loro messe in latino. O perché non sono riusciti a impadronirsi delle innovazioni tecnologiche che investivano gli apparati pubblici. O, infine, perché non hanno saputo valorizzare le forze vive, che pure esistono nella macchina pubblica, mentre è stata da loro considerata solo come un soggetto passivo, di cui assumere il comando o da tenere sotto controllo.

I consiglieri di Stato nei gabinetti ministeriali, hanno continuato a svolgere il compito di redattori di leggi nella maniera in cui scrivono sentenze, in modo casistico, pieno di riferimenti ad altre leggi, oscuro, senza ascoltare la parola delle molte scuole di linguisti che hanno dedicato tanta attenzione all’ordine, alla chiarezza, alla intellegibilità delle leggi. Hanno sempre proceduto per addizioni, senza fare attenzione ai labirintici percorsi che disegnavano per le amministrazioni e i cittadini, con più attenzione per il passato (il precedente) che per il futuro. Non si sono preoccupati di sviluppare nel proprio interno un corpo di legisti. Come primi amministratori, hanno supplito alle carenze delle burocrazie, ma non si sono preoccupati di dotarle di capacità gestionali, spinti da un generale orientamento vincolistico a porre limiti «ex ante» piuttosto che a prevedere controlli «ex post», sui risultati. Sono rimasti prigionieri della grammatica giuridica, ma non di un diritto «prospettico», bensì di un diritto fondato sul precedente e sul «combinato disposto». Nel frattempo, il «Conseil d’État» francese, che è stato il modello di quello italiano, ha invece ispirato, disegnato, organizzato la codificazione del diritto francese, un’opera che coinvolge ormai più della metà delle leggi di quel Paese, rendendo così la vita facile a cittadini e amministratori.

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Berlusconi si offende, Salvini insiste sul Viminale e Meloni fa la Sfinge. Rese dei conti tra i partiti al gran ballo del governo

domenica, Ottobre 9th, 2022

di Roberto Gressi

Dalle presidenze delle Camere alla scelta di ministri e sottosegretari passando per le commissioni. Centinaia di posti (sui quali ci si azzuffa)

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Accidenti se ce n’è di roba. Ministri, viceministri, sottosegretari, presidente di Montecitorio e Palazzo Madama, commissioni, centinaia di nomine. E c’è anche un reparto briciole, per le opposizioni, comun que ambite: vicepresidenti delle Camere, Copasir, Vigilanza Rai, Giunta per le immunità. Ce n’è per tutti, verrebbe da dire, invece si azzuffano, diamine se si azzuffano. Il totoministri impazza, tante ipotesi legittime. G iorgia Meloni, dopo i primi abboccamenti e in attesa che Sergio Mattarella la chiami, ha per ora pensieri sistemici, contro i passi falsi in partenza. Tre su tutti: l’effetto «dopo tutto quello che ho fatto per te», l’effetto classe dei ripetenti e l’effetto tenaglia. Il primo è il più facile da dribblare.

La linea

Giorgia ha fatto sapere ai suoi che chi si mette ad elemosinare alla sua porta sarà l’ultimo a portare a casa qualcosa, anzi non avrà proprio niente. Gli altri due sono più insidiosi da evitare, perché vengono dall’ingordigia degli alleati. Ci sono i ripetenti in attesa di un risarcimento, perché sono tanti anni che stanno nella stessa classe e vogliono passare all’università del governo, anche se rischiano di zavorrarlo. E poi, più politico, c’è il rischio tenaglia, perché Lega e Forza Italia pretendono quattro dicasteri ciascuno. Se quattro più quattro fa otto farebbe quasi mezzo governo, che se non rispondesse alla premier ma a logiche di partito, quasi di partito unico, riproporrebbe il sogno frustrato dal risultato elettorale: chiudere Giorgia Meloni sui due lati e insegnarle come si sta al mondo.

La prova dei posti

Ma è anche tempo di regolamento dei conti interni, dove alla prova dei posti da occupare vacilla all’ombra di Silvio Berlusconi l’alleanza preelettorale tra Licia Ronzulli e Antonio Tajani, e con Matteo Salvini che, forte del tracollo elettorale, vuole mettere nell’angolo Giancarlo Giorgetti prima che sia troppo tardi e, ancora, con i un po’ meno potenti ma sempre potenti capi delle correnti Pd che si apprestano a candidarsi a quel che resta del potere, non fosse per le donne che magari stavolta non sono disposte ad accontentarsi del premio di consolazione dei capigruppo della ridotta pattuglia di Camera e Senato.

Il volto della Sfinge

Salvini lo sa che la pace in via Bellerio è effimera, anche se ha saccheggiato più parlamentari di quanto dicano i suoi voti. Umberto Bossi che ha aperto ad alta voce il fronte del Nord preoccupa meno dei silenzi di Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, e con Attilio Fontana alle prese con quel mastino di Letizia Moratti. Dalle parti del Veneto di ministri ne vogliono due, e si sussurra: «Qui quando la faccia ce la mette Matteo dobbiamo accontentarci del 13 per cento, mentre quando c’è da votare per Luca arriviamo al 76». È già abbastanza per capire che se il Capitano non mette nel tascapane ministeri di peso la vita si fa dura. Pare che lui sia andato in visita con questa argomentazione: «Giorgia, al Viminale devi mettermi, io solo quello so fare». In risposta, il volto della Sfinge, al confronto di quello della premier in pectore, sarebbe sembrato un libro aperto. Non ce lo vuole, lì. Ci manca solo che venga nel governo a farle lo stesso giochetto che ha fatto con Luigi Di Maio buonanima. E poi è ancora sotto inchiesta per Open Arms, roba da far più che storcere il naso al Quirinale.

La vignetta

Il compito di fare una sintesi se lo è preso Osho, con una vignetta. Si vede Meloni che si rivolge a Salvini con sguardo materno: «Voi annà all’Agricoltura, che giochi un po’ con le ruspe?». Giorgetti invece. Pare che Matteo lo voglia fuori dal governo, al massimo presidente della Camera, che tanto sarebbe arduo piazzare Roberto Calderoli al Senato, che lì Giorgia ci vuole Ignazio La Russa, per tenere a bada Palazzo Madama, dove i cambi di casacca potrebbero creare problemi. E poi Giulia Bongiorno, che però cavolo potrebbe prendere un ministero più importante del suo Capitano, e se andasse alla Giustizia dovrebbe perderla pure come avvocata personale. E poi forse un posto per Edoardo Rixi, mentre i fedelissimi Stefano Bolognini e Alessandro Morelli sono difficili da far digerire.

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I paletti di Meloni sul governo: ancora duello su Ronzulli. E sulla Giustizia Berlusconi gioca la carta Casellati

domenica, Ottobre 9th, 2022

di Marco Cremonesi e Paola Di Caro

Il braccio di ferro nel centrodestra per il nuovo esecutivo. La leader di FdI insiste sulla necessità che al Senato venga eletto La Russa. La Lega vuole Molinari a guidare la Camera

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Ufficialmente si sono visti perché tutti e tre, per ragioni personali e lavorative, erano a Milano. Un incontro di un’ora e mezza comunque interlocutorio, in attesa di quello decisivo che si terrà martedì o mercoledì, prima delle votazioni per i presidenti delle Camere che iniziano giovedì. Ufficiosamente, il vertice tra Meloni, Berlusconi e Salvini ieri ad Arcore è stato un appuntamento necessario, visto che le distanze fra gli alleati erano tante, i dissidi forti e la premier in pectore aveva un messaggio molto chiaro da mandare.

«Se e quando il capo dello Stato mi conferirà l’incarico, io un minuto dopo sarò pronta a presentare la mia squadra di governo. Non perderò più tempo in trattative, liti, tira e molla per i posti, perché il Paese è in difficoltà e non ci perdonerebbe, dobbiamo dare prova di serietà. La prima, è che non accetterò di fare un governo al ribasso, con nomi non all’altezza. Non farò mai cose che non mi piacciono».

Un avvertimento in piena regola, in un vertice significativo anche nelle presenze: Meloni con Lollobrigida e La Russa, Salvini con Calderoli e Berlusconi con Barachini. Nulla di casuale, pensano in FdI: il leader della Lega voleva che Calderoli fosse presente alla discussione sulle presidenze delle Camere, aspirando a Palazzo Madama, il Cavaliere ha protetto Licia Ronzulli, sulla quale è in atto un durissimo braccio di ferro con la futura premier.

Attorno a questi nomi è in parte girato il vertice. Meloni ha insistito sulla necessità che al Senato venga eletto il suo Ignazio La Russa: come da precedenti proprio dei governi di centrodestra (Berlusconi con Pera e con Schifani), premier e seconda carica dello Stato possono appartenere allo stesso partito. Alla Lega spetterebbe invece la presidenza della Camera (per Molinari), sulla base di uno schema che Meloni ha in mente: 5 ministeri a FI e 5 a Salvini, che però avendo un numero maggiore di parlamentari potrà guidare anche un ramo del Parlamento.

In verità, dalla Lega filtra un certo malumore sia perché andrebbe a costituirsi «una filiera» di FdI potentissima ai vertici — con premier, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e presidente del Senato — sia perché Meloni starebbe adottando «il metodo Draghi» nella formazione del governo. Ovvero «vuole decidere lei chi nominare dei nostri esponenti e dove». E questo perché, è emerso al vertice, la leader ha raccolto le richieste degli alleati ma non ha dato assicurazioni sulla destinazione di ciascuno. E si tiene qualche carta coperta: all’Economia, ministero chiave, punta ancora su un tecnico e ne avrebbe tre da cui aspetta risposte ad horas. Ma se il responso fosse non soddisfacente, pensa a Giorgetti come responsabile del Mef. E quello diventerebbe il ministero di peso della Lega, con una serie di conseguenze anche sul ruolo di Salvini, che non ha comunque avanzato per sé alcuna richiesta specifica.

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F1, Gp Giappone a Suzuka: la gara in diretta. Bandiera rossa per la pioggia con Verstappen 1°. Incidente Sainz

domenica, Ottobre 9th, 2022

di Daniele Sparisci

Gara sotto la pioggia. Max Verstappen può laurearsi campione per la seconda volta, la Ferrari punta a rimandare la festa

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Ore 08:38 – Con gara dimezzata Verstappen non vincerebbe il titolo

Deve guadagnare 8 punti su Leclerc e 6 su Perez, ma in caso di gara accorciata non ci riuscirebbe comunque anche in caso di vittoria. Il conto alla rovescia indica 90 minuti alla fine della corsa.

Ore 08:31 – Anche Norris duro con la direzione di gara

«Ma che c… Come è potuto succedere?Abbiamo perso una vita in una situazione simile anni fa. Rischiamo la vita in condizioni così. Vogliamo correre, ma tutto questo è stato inaccettabile».

Ore 08:23 – Gasly sotto investigazione, andava a 250 km/h con la bandiera rossa

I commissari hanno aperto un’indagine su Gasly per eccesso di velocità in regime di bandiera rossa. Il francese per raggiungere il gruppo dietro alla safety car ha toccato punte di 250 km/h.

Ore 08:20 – Si rischia un’altra Spa 2021

L’anno scorso la partenza del Gp del Belgio fu rimandata più volte per pioggia e scarsa visibilità. Finì con due giri dietro alla safety car che omologarono la vittoria di Verstappen fra feroci polemiche. Oggi le regole sono cambiate e una corsa così corta non sarebbe valida.

Ore 08:15 – Il padre di Jules Bianchi: «Nessun rispetto per i piloti»

Philippe Bianchi, papà del pilota francese morto per le conseguenze del terribile schianto del Gp del Giappone 2014, è durissimo contro la Federazione sulla storia del trattore in pista: «Nessun rispetto per i piloti, nessun rispetto la memoria di Jules».

Ore 08:09 – Sainz 2: «Perché rischiare una partenza così?

«In queste condizioni non si vede, mi preoccupano gli incidenti, come in passato. Neanche dietro la safety car si vede niente, perché rischiare? Per questo noi piloti siamo sorpresi che questo succeda ancora».

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Ore 08:02 – Sainz: «Non si vedeva niente, ero nelle mani di dio»

La gara dello spagnolo è finita dopo pochi metri, è stato vittima dell’acquaplaning: «Non si vedeva nulla, erano condizioni quasi impossibili. La mia uscita a muro? Sono cose che succedono in queste condizioni, la verità è che non vedevo niente. Sono andato in acquaplaning e testacoda, ero fermo a metà pista e sapevo che non mi vedevano: ero nelle mani di Dio».

Ore 07:53 – La spiegazione della Fia sul trattore

«La safety car era stata mandata in pista e la gara neutralizzata. La macchina numero 10 (Gasly ndr) che aveva subito un danno e ha fatto il pit-stop in regime di safety car, stava guidando ad alta velocità per raggiungere il gruppo. Le condizioni sono peggiorate e la bandiera rossa è stata esposta prima che (Gasly ndr) passasse nel luogo dell’incidente del giro precedente». Insomma la bandiera rossa era già stata esposta e il francese avrebbe dovuto transitare più piano, secondo la Fia.

Ore 07:50 – Slitta la ripartenza

Troppa acqua in pista non si partirà alle 7.50, la direzione di gara posticipa il via.

Ore 07:46 – Ripartiranno così (top 10)

Verstappen, Leclerc, Perez, Ocon, Hamilton, Alonso, Russell, Ricciardo, Tsunoda e Schumacher.

Ore 07:36 – La gara riparte alle 7.50

Sarà una partenza dietro alla safety car, alle 7.50 riprenderà la gara.

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“Ecco chi muove i fili del sistema (in)visibile padrone dei nostri destini”

sabato, Ottobre 8th, 2022

Andrea Indini

"Ecco chi muove i fili del sistema (in)visibile padrone dei nostri destini"

“Perché non siamo padroni del mondo”. Per Marcello Foa non è una domanda. Sa che è così. D’altra parte ce lo aveva già spiegato anni fa dando alle stampe il suo – al tempo avveniristico, oggi possiamo dire predittivo – Gli stregoni della notizia. Il punto è che per l’ex presidente Rai, firma storica del nostro Giornale ed ex responsabile del Giornale.it, la vita di ognuno di noi è profondamente condizionata da fattori che sono al contempo visibili e invisibili e che vanno identificati, se si vuole capire davvero il malessere che colpisce le società occidentali. Foa lo fa con coraggio e autorevolezza nel suo ultimo libro Il sistema (in)visibile (Guerini e Associati). “Pensavamo di essere padroni del nostro destino – si legge – mentre altri, in luoghi che nemmeno immaginavamo e che non necessariamente coincidevano con governi e parlamenti, decidevano per noi”.

Marcello, qual è oggi lo stato di salute della democrazia?

“Non è positivo. In tutti i Paesi occidentali c’è uno scollamento tra la volontà popolare espressa col voto e la reale capacità di riforma dei governi.”

Dove nasce questo scollamento?

“Da un fatto storico, noi vincemmo la guerra contro il comunismo sovietico anche perché esisteva una coerenza tra i nostri valori, una società a benessere diffuso con un capitalismo bilanciato anche da istanze sociali e la propaganda. Chiunque poteva osservarci e dire: ‘Gli occidentali vivono bene’. Dall’altra parte, invece, il paradiso dei lavoratori era un incubo fatto di oppressione e sussistenza. Questo confronto è stato decisivo per conquistare i cuori e le menti dei cittadini che vivevano oltre il muro di Berlino. Quando, però, è caduto il Muro, è caduta anche la coerenza tra i tre punti citati.”

Cosa è successo dopo?

“Sono cambiati gli obiettivi strategici. La globalizzazione non è solo un fenomeno economico, ma anche sociale, culturale, politico, istituzionale. Tende a uniformare mercati, popolazioni, culture e attua meccanismi per cui armonia ed equilibrio non sono più indispensabili. Anzi, diventano un impedimento. Il nuovo paradigma crea un paradosso: omologa disomologando. E troppo in fretta. Questo ha generato squilibri che paghiamo oggi; tra l’altro anche spostando i centri decisionali fuori dagli Stati ma pretendendo che la volontà del popolo sia ancora sovrana.”

Perché non capiamo più la nostra società?

“Perché nessuno spiega davvero le regole del gioco. La società è determinata da condizionamenti impliciti istituzionali, economici, sociali, psicologici, mediatici e ultimamente anche digitali che non vengono dichiarati né illustrati in modo esaustivo ma di cui i cittadini sentono gli effetti. Ci sono tante polemiche ma il quadro complessivo resta offuscato..”

Da qui il titolo del libro Il sistema (in)visibile?

“Certo collegando i condizionamenti espliciti a quelli impliciti il puzzle si compone e la nostra caotica realtà diventa comprensibile”.

A dividersi il potere sono i monopoli. La democrazia può conviverci?

“Fino a vent’anni fa il liberalismo e il capitalismo avevano una virtù: evitare l’eccesso di concentrazione di potere, anche economico, nel presupposto che la parità di opportunità fosse un requisito fondamentale affinché l’economia di mercato espletasse le sue innegabili virtù. Questo principio è caduto e oggi, senza ammetterlo, si incoraggia la creazione di oligopoli. Poche grandi aziende dominano singoli mercati.”

Non stai esagerando?

“Purtroppo no. Alla fine del 2021, la capitalizzazione di Apple era superiore al Pil di tutti i Paesi del mondo eccetto Stati Uniti, Cina, Germania e Giappone, mentre Microsoft era più ricca del 92% dei Paesi al mondo. Quando ci troviamo di fronte a queste realtà si genera uno squilibrio inaccettabile.”

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