Archive for Febbraio, 2023

Il Pnrr e la sfida degli investimenti

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

Stefano Lepri

Il governo Meloni si era guadagnato credibilità in Europa con una legge di bilancio prudente. Rischia di giocarsela se non saprà condurre bene la trattativa, ora finalmente avviata, sulle nuove regole di bilancio, ovvero sul Patto di stabilità. Non dovrà dare l’impressione che di regole ne voglia il meno possibile. Non era stata una buona mossa, l’altroieri, saggiare per prima cosa se il ritorno in vigore del Patto potesse essere rinviato dal 2024 al 2025. Ora ci si muove con obiettivi all’apparenza più ragionevoli, quanto adattare le regole alla situazione di ciascun Paese, in quale modo aprire spazio agli investimenti. Occorre al più presto formulare proposte costruttive sulle quali cercare alleanze tra gli ormai 20 Stati dell’euro. Guai se il governo italiano darà l’impressione di cercare cavilli perché le regole siano il più possibile lasche o impossibili da applicare; facendo sospettare che dopo l’inevitabile rifiuto si metterà a strillare contro l’Europa cattiva a uso di propaganda interna. Purtroppo molti italiani, e non soltanto nell’attuale maggioranza di governo, attribuiscono all’austerità imposta dal Patto la fiacca prestazione dell’economia nell’ultimo decennio. È un errore di visuale connesso all’importanza spropositata che ha qui la spesa pubblica nel perpetuare il consenso ai partiti politici e ai gruppi di interesse.

Una austerità pesante come quella adottata dopo la crisi del 2011 oggi è rigettata anche da chi allora la propugnava. Eppure il Portogallo, a cui la «Troika» impose sacrifici più duri di quelli del governo Monti, se ne è riavuto bene; a differenza dell’Italia supera i livelli di benessere pre-crisi. Perfino la Grecia, alla quale fu somministrata una dose feroce, oggi se la cava circa come noi. Le colpe del ristagno dell’economia italiana stanno tutte dentro i nostri confini. E la nostra insofferenza per le regole non è condivisa da nessun altro governo. Va cambiato il vecchio Patto, ora sospeso, che per un verso stabiliva obiettivi ardui da raggiungere, per un altro li ha immersi in una procedura affidata un po’ ad astrusi calcoli econometrici, un po’ a clausole discrezionali. La bozza di riforma avanzata mesi fa dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni è in alcuni punti poco chiara, non entusiasma, ma al nostro Paese può giovare, come ha ben spiegato ieri la Banca d’Italia. Alla Germania piace pochissimo, ma ieri, con una svolta interessante, il ministro delle Finanze Christian Lindner l’ha accettata come canovaccio per la discussione.

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Guerra in Ucraina, jet e navi nucleari russe infiammano il Baltico: “Offensiva già iniziata”

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

Monica Perosino

La temuta e annunciata offensiva russa di primavera è già iniziata. Per ora segue il ritmo della guerra di logoramento, che consuma risorse materiali, umane e psichiche costringendo l’avversario al collasso. Una tattica che Mosca conosce molto bene e di cui ha lunga esperienza. Ma all’attrito basta una scintilla, o un errore, perché si trasformi in repentina escalation.

Il rapporto annuale dell’intelligence norvegese, ieri ha confermato quello che già ad aprile denunciava la Difesa lituana, ma con un dettaglio decisamente più allarmante: non solo la Russia ha a disposizione testate nucleari, ma «ha iniziato a dispiegare navi con armi nucleari tattiche nel Mar Baltico» per la prima volta da 30 anni, come durante la Guerra Fredda. Gli 007 norvegesi osservano che «la parte fondamentale del potenziale nucleare si trova nei sottomarini e nelle navi della Flotta del Nord». Il report aggiunge che «non si prevedono cambiamenti significativi nella dottrina nucleare russa nei prossimi anni». Tutto questo mentre è emerso che due aerei da combattimento F-35 olandesi sono stati lanciati per identificare e intercettare tre caccia russi che volavano vicino al confine della Polonia con l’exclave di Kaliningrad, un incontro ravvicinato pericolossissimo data la situazione.
Ucraina – Russia, le news sulla guerra di oggi 15 febbraio in diretta

È proprio su Kaliningrad che gli occhi continuano ad essere puntati: se volesse lanciare un attacco nucleare, Mosca non dovrebbe neanche scomodare la flotta, vista la densità di missili Iskander schierati nell’oblast incastonato tra Polonia e Lituania.

Mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede i caccia agli alleati occidentali, secondo fonti del Financial Times i russi starebbero ammassando aerei da combattimento ed elicotteri al confine con l’Ucraina per sostenere una nuova offensiva di terra, nel giorno in cui a Bruxelles la Nato ospita una nuova di riunione del Gruppo di contatto per l’Ucraina, dove sono rappresentati 54 Paesi. Da lì, al termine del meeting, il capo del Pentagono Lloyd Austin non ha confermato l’informazione: «Al momento non vediamo Mosca ammassare i suoi aerei per un massiccio attacco aereo, al momento non lo vediamo. Sappiamo che la Russia ha un numero considerevole di aerei nel suo inventario e molte capacità rimaste». Gli alleati dell’Ucraina riuniti a Bruxelles hanno promesso più armi e munizioni. «Si tratta di fornire tutte le capacità che abbiamo promesso. Si tratta di integrare questi sistemi», ha detto ancora Austin, aggiungendo che anche Kiev potrebbe lanciare la propria offensiva in primavera. E ora il vero punto nodale è il tempo: chi lancerà per primo un’offensiva in grado di spostare a proprio vantaggio la linea del fronte?

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a inizio giornata aveva detto: «Non vediamo segni che il presidente Putin si stia preparando per la pace. Quello che vediamo è il contrario. Si sta preparando per nuove offensive e nuovi attacchi. Quindi è ancora più importante che alleati e partner della Nato forniscano maggiore sostegno all’Ucraina». E aveva sottolineato che «il tipo di supporto che stiamo fornendo all’Ucraina è cambiato e si è evoluto nel tempo e continuerà a cambiare ed evolversi man mano che questa guerra si sviluppa».

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Il molto che resta da fare

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

di Sabino Cassese

Si tratta di un programma per più generazioni, quindi è bene festeggiare i tre quarti di secolo di vita della Costituzione italiana, ma anche rinfocolare il patriottismo costituzionale nazionale

«Ce nto anni di esperienza hanno mostrato il limitato valore di tutte le formule di Carte costituzionali, di trattati internazionali, di codici. Non è possibile che un foglio di carta sbarri la via alle passioni umane, agli interessi, nonché alle aberrazioni o alle follie. Se dietro ogni garanzia costituzionale non c’è una forza vigile, non ci sono cuori caldi, la Carta sarà travolta dal fatto», così scriveva, il 2 gennaio 1948, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana italiana, il grande giurista e storico delle relazioni tra Stato e Chiesa Arturo Carlo Jemolo.

È quindi bene non solo festeggiare i tre quarti di secolo di vita della Costituzione italiana, ma anche rinfocolare il patriottismo costituzionale nazionale. Se una nazione è una storia comune e un’anima, come scriveva lo storico del cristianesimo francese Ernesto Renan nel 1882, quest’anima è oggi scritta nella Costituzione. In questa sono registrati la reazione del popolo italiano al regime illiberale fascista, ideali ed esperienze appartenenti alle culture liberale, popolare e socialista, nonché quelle che Piero Calamandrei, nel 1955, chiamava «le grandi voci lontane di Beccaria, Cavour, Pisacane, Mazzini».

La Costituzione è un programma per più generazioni, scritto attingendo ai principi racchiusi nell’«officina di idee» del secondo dopoguerra: la «Rivista trimestrale di diritto pubblico» dedicò il primo fascicolo del 2018 a censire gli «ideali costituenti». Questo non deve però far dimenticare i punti deboli del testo e della sua storia.

Parlando, il 4 marzo 1947, alla Costituente, sul progetto di Costituzione, Piero Calamandrei, favorevole a una Repubblica presidenziale, «o almeno a un governo presidenziale», aggiungeva: «di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto di Costituzione non c’è quasi nulla». Più tardi, nel 1995, un altro dei protagonisti della storia costituzionale, Massimo Severo Giannini, riassumeva così il suo giudizio sulla Costituzione: «splendida per la prima parte, banale per la seconda (struttura dello Stato) che è una cattiva applicazione di un modello (lo Stato parlamentare) già noto e ampiamente criticato». Infatti, per quarant’anni, cioè per più di metà della vita della Costituzione repubblicana, si è cercato, senza riuscirci, di modificare la seconda parte.

Il secondo punto debole consiste nella «lentissima fondazione dello Stato repubblicano» (sono ancora parole di Giannini). Fu necessario un decennio per istituire la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura. Dovette passare più di un decennio per la parificazione dei diritti delle donne negli uffici pubblici. Molte altre norme vennero ancora più tardi e furono spesso scritte con la tecnica del rinvio a leggi future. Le regioni cominciarono la loro vita 22 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nel 1970, ma bisognò aspettare il 1972 e il 1977 per il trasferimento delle funzioni statali, poi completato e arricchito nel 1998 e nel 2001. Quindi, se è vero che non tutto il fascismo è stato fascista, è anche vero che non tutta l’Italia repubblicana è stata liberale e antifascista: basta pensare alla censura cinematografica e all’uso della polizia per schedare gli orientamenti politici dei cittadini.

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Il Ppe prende le distanze da Berlusconi: «Respingiamo le frasi su Kiev». Meloni: «Sulla politica estera non si cambia»

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

di Monica Guerzoni

L’ex premier precisa: «Sono sempre stato dalla parte dell’Ucraina e della pace»

Il Ppe prende le distanze da Berlusconi: «Respingiamo le frasi su Kiev». Meloni: «Sulla politica estera non si cambia»

Soddisfatta com’è per il risultato delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio, Giorgia Meloni non sembra avere troppa fretta di toccare gli equilibri tra i partiti della coalizione. Il centrodestra ha vinto la prima importante sfida dopo le Politiche del 25 settembre, il governo ha superato un test elettorale molto atteso e la presidente del Consiglio blinda l’impostazione dei primi quattro mesi: «Il governo è ancora più forte, io penso che l’assetto della maggioranza non abbia bisogno di alcuna modifica». Il che non vuol dire che niente debba cambiare, come in genere avviene dopo una prova elettorale importante, ma che qualunque aggiustamento verrà fatto con gradualità e prudenza.

Avanti a destra, senza dimenticarsi di volgere lo sguardo al centro. La scelta di Palazzo Chigi di revocare la costituzione di parte civile nel processo Ruby Ter è stata letta in Parlamento come un modo di andare incontro a Silvio Berlusconi, nella speranza che moderi le esternazioni ed eviti di innescare altri incidenti diplomatici. Ma nell’entourage dell’ex premier sono convinti che la coalizione resterà «plurale», perché Forza Italia ha tenuto i suoi voti «con risultati inattesi» e nessuno, tantomeno la premier, chiederà al fondatore di fare un passo indietro. «Ne ho già fatti tanti — si è sfogato con i suoi il padre nobile del centrodestra —. Il voto ha confermato gli equilibri della maggioranza, per cui resteremo centrali e non saremo mai subalterni». Per dirla con Maurizio Gasparri, con l’8,5% nel Lazio e il 7,2% in Lombardia Forza Italia resta «decisiva per l’equilibrio e la vittoria del centrodestra».

Lunedì sera, nel chiamare la premier per i complimenti di rito, Berlusconi ha voluto chiarire lo scivolone di domenica. Le critiche a Zelensky sono «opinioni personali» ha detto il leader azzurro e ha promesso che FI continuerà a sostenere l’Ucraina. Concetti che ieri, dopo la presa di distanza del Ppe («respingiamo le frasi su Kiev»), Berlusconi è stato costretto a scolpire in una nota: «Sono sempre stato e sto dalla parte dell’Ucraina e della pace. La mia speranza è che si possa trovare presto una soluzione diplomatica a questa guerra molto pericolosa per tutti». Lo strappo dell’alleato sembrava aver messo a rischio la visita della presidente nella capitale del Paese aggredito da Putin, ma ora Meloni si dice sicura che la missione si farà nei tempi previsti: «Certo che vado a Kiev. La linea del governo non cambia, soprattutto in politica estera».

Qualcosa però sta già cambiando in politica interna, da prima delle Regionali. La premier intende tenere sempre più separato il governo dal partito, un doppio binario che si è visto nei giorni delle polemiche furibonde sul caso Cospito. «I toni alti sui banchi di Camera e Senato servono a far crescere il consenso per FdI, senza danneggiare il governo», è la lettura della ministra Daniela Santanché.

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Auto elettriche, a benzina e diesel: cosa cambia dal 2035? Ci sono incentivi?

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

di Rita Querzè e Andrea Rinaldi

Auto elettriche, a benzina e diesel: cosa cambia dal 2035? Ci sono incentivi?

1. Cosa ha stabilito il Parlamento europeo?
Dal 2035 non potranno più essere immatricolate auto con motore endotermico. Quindi diesel o benzina. Ma anche le ibride. Potranno essere immatricolate solo auto a emissioni zero allo scarico. La decisione spiana la strada all’auto elettrica. Ma si sta lavorando anche su idrogeno e biocarburanti. Questi ultimi soprattutto nell’ottica di un impiego per mezzi pesanti.

L’industria

2. Quali tipi di auto sono immatricolate oggi in Italia?
A gennaio sono state immatricolate il 26,7% di automobili mild hybrid, il 26,5% a benzina, il 19% con motore diesel, il 10% ibride, il 4,7% ibride plug-in e il 2,5% elettriche «pure».

3. Qual è la differenza tra auto elettriche, mild hybrid, ibride e ibride plug-in?
L’auto elettrica è alimentata da batterie ricaricabili che muovono il motore. La mild hybrid prevede che il motore tradizionale sia supportato da un piccolo elettrico. La vettura plug-in hybrid consente di ricaricare il veicolo alle colonnine di ricarica, non possibile invece nelle auto full hybrid in cui l’accumulatore si ricarica in decelerazione e frenata.

4. Agli italiani piacciono le auto elettriche?
A gennaio le immatricolazioni complessive sono aumentate del 19% rispetto allo stesso mese del 2022 ma quelle di auto elettriche sono diminuite. L’Italia è ultima in Europa per le immatricolazioni di auto elettriche in rapporto alla popolazione. In Norvegia a gennaio erano elettriche l’85% delle auto vendute. Il 21% in Austria, il 18 in Svizzera, il 13% in Germania e il 10% circa in Germania e Regno Unito, il 5,9% in Spagna. E, infine, il 2,5% in Italia.

5. Quali sono i modelli di auto elettriche più venduti in Italia? E quali sono prodotte nel nostro Paese?
Nell’ordine, Fiat 500E (in Italia), Smart Fortwo, Renault twingo, Tesla model Y, Volkswagen Id.3.

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È boom di auto elettriche, ma ora gli ambientalisti le combattono

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

Federico Rampini

Lo stop dell’Unione europea alle auto a benzina e diesel dal 2035 sancisce un’evoluzione già in corso sui mercati: le vendite di auto elettriche avanzano a gran velocità, in alcune parti del mondo sono già un quarto del totale. Ma la conversione del nostro parco auto si scontra con la resistenza occidentale a scavare sotto terra per estrarre le materie prime necessarie ai veicoli elettrici.

E in California un autorevole manifesto ambientalista fa scalpore perché dichiara guerra anche all’auto elettrica: troppo inquinante, non è una soluzione. Il decesso annunciato per l’auto a benzina o diesel riceve l’approvazione formale dell’Europarlamento, ma la direzione di marcia è già evidente per molti consumatori. Nel 2022 per la prima volta le auto elettriche hanno superato la soglia del 10% del totale globale. Ne sono state vendute 7,8 milioni, con un aumento del 68% in un solo anno. La media mondiale nasconde delle punte molto più avanzate. All’avanguardia ci sono Cina e Germania.

Sul mercato tedesco le autovetture elettriche hanno già raggiunto il 25% della produzione l’anno scorso, su quello cinese quasi il 20% delle nuove immatricolazioni sono totalmente elettriche. Tutti questi dati escludono le ibride che farebbero salire le percentuali ancora più in alto. La media europea è 20% come quella cinese. Gli Stati Uniti restano più indietro (6% di auto elettriche sul totale venduto nel 2022) pur avendo un campione mondiale come Tesla, tuttora il numero uno per le vendite di auto elettriche sul pianeta.

Ma l’Inflation Reduction Act varato da Joe Biden contiene incentivi fiscali talmente generosi per i veicoli elettrici, che si prevede un balzo di vendite anche in America (il nome dell’Inflation Reduction Act può ingannare, in realtà si tratta del Green Deal di Biden, generoso di sussidi per le tecnologie verdi e la transizione sostenibile).

Un altro segnale significativo che viene dal mercato è questo: le vetture elettriche si avvicinano a gran velocità ai prezzi di quelle a benzina o diesel. Il calo dei prezzi di listino deriva sia dalle agevolazioni fiscali, sia dai risparmi sui costi di produzione che si realizzano quando aumentano i volumi sfornati dalle fabbriche. A proposito di fabbriche, però, un’altra notizia americana accende un faro sulle nostre contraddizioni (nostre in quanto occidentali). La Ford annuncia la costruzione nel Michigan di una nuova fabbrica per produrre batterie per le sue auto elettriche, con un investimento di 3,5 miliardi di dollari e l’assunzione di 2.500 dipendenti. Però produrrà sotto licenza della Catl, il numero uno cinese nelle batterie elettriche. La nostra dipendenza dalla Cina in questo settore non fa che aumentare.

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Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l’intelligenza artificiale

martedì, Febbraio 14th, 2023

di  Peppe Aquaro

Non parla ma agisce

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

Se quel braccio meccanico, e un po’ artista, conoscesse il linguaggio dell’uomo, probabilmente si rivolgerebbe alla statua, chiedendole: «Perché non parli?». Oggi, infatti, per essere Michelangelo e scolpirsi il proprio Mosè non servono genio e sregolatezza. È sufficiente lui, «Robotor», una nuova generazione di robot messa a punto da due apuani doc: sì, di casa a Carrara, dove si estrae da secoli il marmo migliore per abbellire chiese, palazzi e musei. Ci sono passati Michelangelo (appunto), Canova, Botero e più recentemente Jeff Koons e Maurizio Cattelan. Ma sarà vera arte, farsi fare una fresatura da un braccio meccanico intorno a un blocco di due metri? «Certo che lo è», rispondono insieme i due apuani, Giacomo Massari, 39 anni, e Filippo Tincolini, 46enne, cofondatori di TorArt, un laboratorio di scultura frequentato da chi sa lavorare il marmo e da esperti di software.

La Dea in trono, che sembra vera

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

«Uniamo tecniche tradizionali di scultura alla tecnologia della stampa in 3D e della robotica», spiegano i due soci. Tra le loro riproduzioni, ricordiamo, per esempio, la statua della Persefone Gaia, la cui copia perfetta è esposta al Mart, il Museo nazionale archeologico di Taranto (la vera casa del capolavoro magnogreco del 480 a. C., il cui originale è però conservato a Berlino, all’Altes Museum).

Tutta una questione di braccio

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

Ma il cambio di passo vero e proprio di TorArt è «Robotor» (dove «Tor» ritorna costantemente: «È la sintesi di Torano, frazione di Carrara, dove è collocata una delle nostre due sedi», racconta Massari), un braccio antropomorfo a sei assi, che lavora la pietra grazie a un software di programmazione, «Or-Os», che, partendo da un file 3D dell’opera da riprodurre e dopo aver selezionato il tipo di forma da eseguire riesce a convertire il modello in una serie di passaggi-utensili in base alla tempistica e al risultato che si vuole ottenere.

Solo dieci giorni per una scultura

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

«Braccio e software fanno tutto da soli: intanto, è possibile anche allontanarsi dal luogo di lavoro e ritornare quando Robotor ha concluso il tutto», aggiunge Massari. I tempi di lavorazione? «Dipende da che cosa si vuole realizzare: per una scultura alta due metri possono bastare anche dieci giorni. Che è poca roba, rispetto ai mesi o agli anni impiegati dai grandi artisti rinascimentali. Per non parlare dei vantaggi fisici degli scultori, i quali non sono più costretti a sollevare carichi pesanti o a lavorare in situazioni pericolose per la salute», osservano i fondatori di TorArt.

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L’Europa evita la recessione. Il Pil crescerà dello 0,9%

martedì, Febbraio 14th, 2023

Rodolfo Parietti

Come la pancia di Mimmo Craig in un vecchio Carosello, la recessione non c’è più. Dissolto il brutto sogno che l’aveva agitata nei mesi dell’impazzimento dei prezzi energetici, l’Europa si scopre meno vulnerabile e forse più forte perfino delle sue lacerazioni interne. Così almeno raccontano le previsioni d’inverno della Commissione Ue, dove si attende una crescita per quest’anno dello 0,9% nell’area dell’euro e dello 0,8% nell’Unione, rispetto allo 0,6% e allo 0,5% rispettivamente dell’outlook precedente. Quanto al 2024, il Pil di Eurolandia dovrebbe espandersi dell’1,5% e dell’1,6% quello dell’Ue.

L’Italia resta nel solco della media nel ‘23% (+0,8%, meglio del +0,2% della Germania), ma un po’ al di sotto l’anno prossimo (+1%). «La crescita si è contratta marginalmente nell’ultimo trimestre del 2022, ma si prevede che quest’anno si riprenda gradualmente e che si eviti una recessione tecnica per il 2023», è il commento del commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Il patrimonio di solidità accumulato dopo il periodo post-pandemico non verrà insomma dilapidato grazie ai due pilastri indicati dall’ex premier: la domanda privata e i progetti di investimento pubblico inclusi nel Piano di ripresa e resilienza. Il rispetto della tabella di marcia del Pnrr dovrebbe essere la condizione per garantire la tenuta congiunturale anche nel 2024, al pari dell’attenta gestione dei conti pubblici. Da questo punto di vista, Gentiloni non si aspetta sorprese sgradite: «Io credo che il governo abbia dimostrato anche con l’ultima manovra di avere attenzione agli equilibri di bilancio, questo è fondamentale per un paese ad alto debito». A maggior ragione se, come anticipato dallo stesso commissario, a fine dicembre terminerà «ragionevolmente» la clausola di salvaguardia che sospende il Patto di stabilità. Arrivando ieri all’Eurogruppo, il vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha spiegato che Bruxelles presenterà la propria proposta legislativa sulla riforma del Patto «dopo il Consiglio europeo di marzo. Abbiamo bisogno della carota e del bastone». A Roma potrebbe essere riservato soprattutto il bastone. L’elevato indebitamento potrebbe infatti far finire l’Italia nell’elenco dei Paesi considerati «a rischio» e perciò assoggettati a una severa sorveglianza della finanza pubblica tale da impedire qualsivoglia margine di manovra.

La futura crescita economica italiana sarà quindi condizionata sia dai paletti del nuovo Patto, sia (e ciò vale per tutti) dall’andamento dei prezzi energetici e da quanto la Bce stringerà le maglie monetarie. Grazie a un inverno più mite del previsto che ha preservato le scorte, il prezzo del metano è crollato dai picchi di quasi 340 euro al megawattora della scorsa estate agli attuali 50 circa contribuendo a evitare un avvitamento del ciclo congiunturale. La situazione potrebbe però cambiare. La Commissione europea avverte infatti che «non si può escludere una potenziale inversione di tale calo dei prezzi, visto il protrarsi delle tensioni geopolitiche».

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Sinistra senza idee tra opa e piagnistei

martedì, Febbraio 14th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Opa, accozzaglia, fuffa, lagna, piagnisteo. In uno dei giorni più neri della sua storia, con almeno un milione e mezzo di suoi elettori che hanno scelto di non prendere la tessera elettorale e andare a votare, “perché tanto a che serve”, il centrosinistra si scambia messaggi affettuosi di questo tenore. Trasformando la sempre temuta analisi della sconfitta nell’ennesima guerra gli uni contro gli altri, come se servisse a qualcosa, come se finora li avesse portati da qualche parte.

A leggere in fila le dichiarazioni di ieri di Enrico Letta, Giuseppe Conte, Carlo Calenda, il rischio è che quegli elettori preda del disincanto democratico, della disillusione rispetto a un gesto – quello del voto – un tempo consueto e ormai sempre più spento, la tessera elettorale decidano di lasciarla sepolta nel cassettino della scrivania all’angolo per molto tempo ancora. Perché non c’è niente di peggio – quando il tuo elettorato ha urlato: smettila di litigare! – che continuare a farlo. Un riflesso condizionato, un istinto distruttivo. Ci fosse uno psichiatra specializzato in ex campi progressisti, toccherebbe chiamarlo di corsa e pregarlo di intervenire. Detto che sbagliano tutti, e non da ieri, c’è come sempre chi sbaglia più forte. E quindi per quanto veder riapparire Enrico Letta dopo mesi di nascondigli solo per dire “il Pd ha tenuto” appaia – nella condizione in cui si trova il Partito democratico – abbastanza lunare, c’è un fatto da tener presente. Se il Pd ha perso meno di Movimento 5 stelle e Terzo polo è perché è l’unico che, dopo le elezioni politiche più disastrose della sua storia, ha deciso di tirare una linea e ricominciare daccapo. È in mezzo al guado, diviso tra due proposte molto diverse, senza una guida, frastagliato, preda di opachi potentati locali, incapace di mostrare una visione di mondo coerente e alternativa a quella della destra di governo, talmente elusivo sui temi che più dovrebbero stargli a cuore da rischiare l’evanescenza, ma ci sta faticosamente provando. Anche se nella scelta dei candidati per il Lazio e la Lombardia ha combinato un pasticcio dopo l’altro: si è fatto anticipare dal terzo polo su D’Amato, è arrivato tardissimo su Majorino. Come al solito, ha detto di volere alleanze che non è stato capace di costruire. E non solo per colpa dei rifiuti altrui.

E qui veniamo a Terzo polo e M5s che scontano un inevitabile scarso radicamento sul territorio, ma anche i continui peccati di hybris dei suoi leader. In questa gara che la destra ha giocato per vincere, confermando la sua presa sulla Lombardia e strappando il Lazio a un centrosinistra incapace anche solo di replicare l’alleanza che lo ha retto per oltre un anno, il centrosinistra ha giocato solo per misurarsi. Come alle politiche, ma con un’aggravante: avevano la prova matematica che non avrebbe funzionato. Non con candidati che per quanto volenterosi non sono certo figure in grado di ribaltare pronostici. E quindi è venuto il momento in cui Conte, Calenda e Renzi, impegnati a disprezzarsi più di quanto disprezzino alcune misure terribili di questo governo, dicano quel che vogliono fare dei loro voti e del loro consenso. Cosa vogliono costruire? Se la risposta per il Terzo polo è il grande centro, in bocca al lupo, che non esista è stato provato tante di quelle volte che servirebbe un libro per riepilogarle. Se la risposta per Conte è superare il Pd, coraggio, facile, ma dopo che ci fai, con quei voti? Come lo difendi il reddito di cittadinanza, come lotti contro l’autonomia differenziata, come fermi le trivelle? Mettiamo da parte il conflitto in Ucraina, per un attimo, perché lì parte un dibattito violento e manicheo che non va da nessuna parte.

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Pd, Bonaccini scuote gli alleati: “Uniamoci per vincere”

martedì, Febbraio 14th, 2023

Carlo Bertini

«Andiamo divisi senza uno straccio di prospettiva nazionale e questo pesa, l’astensione ha penalizzato noi, la gente non aveva spinte per andare alle urne». Al comitato di Alessio D’Amato, al Portonaccio, periferia della Capitale, le analisi sono impietose e puntano il dito contro Giuseppe Conte e Carlo Calenda, ma tra i bersagli c’è pure Enrico Letta. Dentro il grande capannone, giornalisti e telecamere. Nessuno del Pd. E già questo è un fatto.

«Non li ho vo-lu-ti io», scandisce il candidato governatore sconfitto dalla destra, «con un congresso dem in corso ho preferito concentrarmi sui temi del territorio». Un modo elegante per dire che, «se non c’è una proposta politica nazionale che fa da traino, non vai da nessuna parte», la mette giù piatta un dirigente romano. Ma il Pd tiene non crolla, sta sul 20% nelle due regioni. Ma non basta.

«Le due Opa di Conte e Calenda sono state bloccate, ma questo non può consolarci», dice Andrea Orlando. Pierfrancesco Majorino, candidato in Lombardia, se la prende con lo stato maggiore, «nel momento di maggiore difficoltà non abbiamo avuto una leadership nazionale».

Ed è questo il motivo per cui Enrico Letta tira fuori la testa da sotto l’acqua che inonda il Nazareno: «Siamo il primo partito di opposizione. Con il vento contro, il Pd ottiene un risultato significativo e respinge la sfida di M5S e Terzo Polo», dice il segretario uscente, sapendo che gli viene intestata la botta di queste elezioni. E per questo determinato a rimarcare di aver respinto l’assedio di Conte e Calenda e di aver tenuto a galla il partito sul piano dei numeri nelle due regioni, malgrado le previsioni nere.

Il congresso che ha creato una vacatio di leadership esiziale e l’ostilità dei possibili alleati, tutti contro il Pd: sono le motivazioni di questa sconfitta, ma poi ci sono gli sguardi rivolti in avanti e qui le cose cambiano. L’obiettivo si sposta sul congresso dem, cui tutti ormai guardano.

A indicare una via di uscita da questa tragedia politica è Stefano Bonaccini, quando sostiene che «le opposizioni si devono trovare su lotte comuni: su lavoro, scuola e sanità pubbliche, 5 Stelle e Terzo Polo sono pronti a impegnarsi con noi in Parlamento e nel Paese?», chiede il candidato segretario.

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