Archive for Febbraio, 2023

Premier nascosta all’ombra di Draghi

lunedì, Febbraio 20th, 2023

Alessandro De Angelis

Solo per stare agli ultimi tempi: le accise. E poi il “caso Donzelli” diventato il “caso Delmastro”, quindi il “caso Nordio”, ministro dimezzato dalla procura, quindi il “caso Meloni”, in quanto premier che antepone la copertura dei suoi al senso delle istituzioni. E poi la reazione scomposta al mancato invito a cena con Zelensky, vissuto come un colpo mortale in termini di peso politico. E un Consiglio europeo piuttosto deludente, gestito, per compensare la figuraccia, con la retorica dei «risultati storici raggiunti». Già smontata dai numeri degli sbarchi (raddoppiati), anche se la verità è nascosta dai cantori dell’”aiutiamoli a casa loro”. E poi il superbonus e la lite delle comari con Forza Italia. E ancora: il caso Berlusconi, mina esplosa sulla credibilità del governo e anche sul percorso, in vista del 2024, di alleanza dei Conservatori col Ppe. E poi le dimissioni di Augusta Montaruli (anche in questo caso: Giorgia Meloni non poteva permettersi, essendo già condannata in secondo grado, di non metterla al governo?).

Ci si è messa anche l’influenza per la premier, e non è la prima volta che, quando la corrente diventa troppo forte, si verifica un’eclissi da cedimento di anticorpi. E menomale che ci sono le opposizioni a ricordare che la “donna sola al comando” non corre rischi. Si comprende perché il viaggio a Kiev rappresenti un diversivo straordinario e venga vissuto da Giorgia Meloni, anche qui con una certa enfasi, come un momento spartiacque e incancellabile, da sfruttare al massimo nel messaggio, in sintonia col mood europeo di questa settimana: mostrare che c’è un ruolo internazionale del governo ed è saldamente nelle sue mani, nonostante le intemerate filo-russe dei suoi alleati, come controcanto rispetto all’incertezza complessiva della vicenda italiana. La “donna sola” che va a Kiev è in piena “sindrome polacca”: l’idea politica di fondo, in un quadro di freddezza con Francia e Germania, è coniugare, guardando alla Polonia, atlantismo spinto e imprintig conservatore. Con la differenza che loro non hanno il problema del debito pubblico dunque possono assumere una postura più antagonista rispetto all’Europa, mentre l’Italia sovranista, in materia, si è allineata.

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Superbonus, Zangrillo: “Intervento necessario, a rischio i conti del Paese”

lunedì, Febbraio 20th, 2023

CLAUDIA LUISE

«Un atto di responsabilità». Si può riassumere così l’opinione del ministro della Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, sulla scelta del governo di rivedere il Superbonus. Zangrillo, fedelissimo di Forza Italia, prova a smorzare le polemiche sulla spaccatura interna al centrodestra tra il pragmatismo di Giorgetti, che ha deciso lo stop, e i molti parlamentari convinti che così si rischiano di tradire le promesse politiche alle famiglie. Senatore, al secondo mandato dopo essere stato alla Camera nella scorsa legislatura, è coordinatore piemontese di Forza Italia, ha 61 anni e una carriera da manager d’azienda di oltre trent’anni che lo ha portato a contatto proprio con quel mondo produttivo che ora si trova spiazzato e chiede di rivedere la decisione. Zangrillo ne approfitta anche per attaccare Manfred Weber e sottolineare gli «intenti pacifici» di Berlusconi.

Fermando la cessione dei crediti del Superbonus non si rischia di creare un grave problema alle famiglie che hanno iniziato i lavori?
«Quel provvedimento, per come è stato impostato dal governo Conte, stava rischiando di mettere in serio pericolo i conti del Paese. Per metterli al sicuro e rimediare agli errori dell’ex premier 5 Stelle, che ha fatto la frittata e ora sta provando a rigirarla in modo spudorato, era quindi più che mai necessario un intervento urgente. Siamo stati costretti a farlo: non c’erano altre scelte e siamo quindi intervenuti subito. In modo altrettanto responsabile, il governo ora aprirà un confronto per migliorare l’intervento».

Forza Italia ha sempre detto di essere favorevole a questa misura, perché ora bisogna cambiare?
«Non ci nascondiamo nell’affermare che Forza Italia era favorevole al Superbonus. Ricordo però che già Draghi, nel luglio scorso, aveva sollevato forti dubbi sugli effetti scellerati della cessione dei crediti di impresa così come pensata dal governo grillino. Draghi ha tentato di porvi rimedio, ma non ne ha avuto il tempo e ci abbiamo dovuto pensare noi, nell’esclusivo interesse del Paese. Lo stesso interesse che ora perseguiamo, convinti che ci siano gli spazi per dare a imprese e famiglie le risposte che attendono».

Il Piemonte è stata la prima Regione di grandi dimensioni ad autorizzare l’acquisto di crediti, non si rischia di danneggiare anche un vostro governatore bloccando la possibilità?
«Il problema non è il mio Piemonte, per quanto questa regione mi stia a cuore. Il governo deve avere uno sguardo d’insieme e guardare all’intero Paese. È quello che abbiamo fatto per rimediare agli errori del governo Conte e mettere al riparo da gravi pericoli i conti dello Stato. È chiaro che ora dovremo farlo anche per salvaguardare quelli delle Regioni, nessuna esclusa, perché pure in questo caso l’acquisto dei crediti può trasformarsi in debito e generare una spirale economica molto preoccupante».

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Orlando: “Bonaccini sbaglia, nel Pd più rispetto agli avversari che ai compagni di partito”

lunedì, Febbraio 20th, 2023

Carlo Bertini

Il “superbonus” andava superato, ma non come ha fatto Giorgia Meloni perché il decreto del governo «produce un trauma, penalizza solo i meno abbienti». Andrea Orlando, Pd, ex ministro, critica la scelta sul “110%”. E sul Pd risponde a Bonaccini che parla del vecchio gruppo dirigente schierato con Schlein: «Sono amareggiato, così si fanno liste di proscrizione».

Anche lei, da ministro, ammise che il superbonus andava superato. Non era inevitabile intervenire?
«Che fosse necessaria un’uscita graduale nessuno lo discute. Il problema è come lo si fa. Questa uscita non è graduale, penalizza solo chi non ha le disponibilità finanziarie per anticipare le spese. Dicono che i ceti abbienti si sono rifatti le case con la fiscalità generale: ma loro potranno continuare a farlo anticipando i soldi (e usufruendo poi delle detrazioni, ndr), sono gli altri che verranno tagliati fuori. Così si creano sperequazioni, si dà un forte colpo alle imprese che rischiano di trovarsi in situazioni difficili. Si produce un trauma, non una via d’uscita».

La destra dà la colpa a voi, di fatto. Meloni dice: «E’ stato scritto male, ora tocca a noi risolvere».
«Mi sembra una ricostruzione fantasiosa, dopo il governo “Conte II” c’è stato un esecutivo di cui facevano parte anche due delle tre forze di questa maggioranza. Mi pare una tecnica consolidata: c’è sempre la ricerca di un responsabile, di un capro espiatorio».

Lo scontro sul superbonus, come quello con i benzinai, nasce anche dalla linea di ‘austerità’ adotta dalla premier, finora è stata molto “draghiana” sui conti pubblici.
«Penso che in verità ci siano elementi di discontinuità col governo Draghi, a mio avviso negativi. Lo scorso esecutivo teneva conto delle compatibilità che l’Ue indicava, ma lavorava per non ridurre la spesa sociale e agiva in difesa del tessuto produttivo europeo e italiano. La Meloni, invece, è passata dalla propaganda anti-europea a una posizione di subalternità. Il fatto è che le alleanze della Meloni portano al gruppo di Visegrad, contrario ad una più forte solidarietà europea, mentre con Francia e Germania è in difficoltà. Si appoggia solo sull’atlantismo, in assenza di una strategia europea. Ma non basterà per fare gli interessi del nostro Paese».

Lei ha criticato i giudizi positivi su Meloni di Bonaccini e Letta. Il presidente dell’Emilia Romagna, su La Stampa, dice: sono polemiche per qualche voto alle primarie.
«Bonaccini sbaglia! Sono molto stupito di quei giudizi. Da mesi critichiamo la manovra di bilancio proponendo un impianto totalmente alternativo, diciamo che la Meloni è più capo partito che premier… Sono posizioni dell’attuale gruppo dirigente, di cui non faccio parte. Con questo gli elogi c’entrano poco e depotenziano anche le nostre battaglie. Tanto più mentre c’è un tentativo di delegittimazione del ruolo delle opposizioni, e del Pd in particolare, che alcuni di noi stanno pagando sulla propria pelle».

A proposito del gruppo dirigente. A Bonaccini viene rinfacciato il passato sostegno a Renzi, lui replica dicendo che chi ha guidato il partito in questi anni – compreso lei – è con Schlein. E’ qui che si gioca la sfida tra i due?
«Credo che chi si candida alla segreteria Pd dovrebbe far capire cosa vuole fare, piuttosto che imbarcarsi in queste ricostruzioni. E comunque bisognerebbe avere almeno rispetto per la verità, se non verso i propri compagni di partito per i quali si mostra meno “fair play” che verso la Meloni.

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La guerra di Putin fa saltare gli ultimi tabù, anche Germania e Giappone si riarmano

lunedì, Febbraio 20th, 2023

Lucia Annunziata

Ricorderemo, probabilmente, questa 59ª edizione della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, come quella dei “proiettili”. Oggetti di grandezza trascurabile per questo appuntamento, finito ieri, che ogni anno riunisce qualche centinaio di capi di Stato e di governo, leader politici, industriali e alti ranghi militari fianco a fianco con gli analisti dei più importanti think tank, per discutere degli assetti globali. Per molti anni scorsi questo incontro chiamato anche la Davos della sicurezza, ha ruotato sulle sfide geopolitiche. Possibilmente ripetendo ogni due frasi che se ne parlava per «mantenere la pace e aumentare la cooperazione» globale.
Ancora l’anno passato, il 2022, nella 58esima edizione tenutasi fra il 18 e il 20 di febbraio, finendo quattro giorni prima che in Ucraina entrassero i carri armati Russi, un presidente Zelensky in giacca, cravatta e camicia bianca, dovette fare un lungo intervento per “conquistare” la platea, chiedendogli di stare al fianco dell’Ucraina in caso di invasione, e proponendo delle sanzioni preventive nei confronti di Mosca. Venne rassicurato e applaudito, ma anche preso con qualche incredulità.
Quest’anno, il nuovo incontro di un Occidente immerso da un anno in una guerra sempre più vasta, l’umore è stato decisamente diverso. Non invitati la Russia (lo scorso anno fu invece Mosca a decidere di non andare) e l’Iran, la guerra ha stravolto ogni sorta di “tecnicismo” in cui spesso l’appuntamento si ancorava. E stavolta la conferenza è scesa giù giù dai massimi sistemi fino ai proiettili, o meglio alla loro scarsità. Dettaglio che da solo racconta il cambio avvenuto nel nostro mondo, a cominciare dall’Europa.
Ieri, domenica, il tema delle munizioni è stato posto a conclusione dell’ultima giornata, dal capo della diplomazia Eu, quel Joseph Borrell, che conosciamo come voce, in tutte le circostanze, di ogni possibile invito alle negoziazioni. Il diplomatico stavolta è stato invece molto allarmato, e molto netto: «Ci troviamo in urgente modalità di guerra. Questa carenza di munizioni deve essere risolta velocemente; in poche settimane(di tempo, nda)». Sennò «la guerra sarà finita» – e non con una vittoria, intendeva. Borrell ha anche dato una spiegazione per la carenza di munizioni: «Succede perché abbiamo dimenticato le guerre classiche».

Che le scorte di munizioni si stiano rapidamente esaurendo è un fatto. L’Ucraina sta sparando, secondo stime di esperti, circa 7mila proiettili al giorno, un terzo in più del volume dei russi. Il Segretario della Nato Jens Stoltenberg ha alzato l’allarme su questa scarsità. «L’attuale tasso di consumo per le munizioni dell’Ucraina è molte volte superiore ai nostro attuale tasso di produzione».
L’importanza della questione è tale che Borrell ha suggerito di adottare il modello usato dalla Ue per il vaccino anti Covid. Ha anticipato che alla riunione di oggi, lunedì, dei ministri degli esteri porterà la proposta di utilizzare a questo scopo 3,6 miliardi dei fondi Europei, già stanzianti per iniziative diplomatiche: «Dobbiamo usare quello che gli Stati membri già hanno».
L’urgenza del suo discorso non è occasionale. «Per gli aiuti militari deve esser fatto molto di più e molto più velocemente. Dobbiamo aumentare e accelerare il nostro piano di appoggio all’Ucraina. Oggi occorrono 10 mesi all’esercito europeo per comprare un proiettile di 155mm, quasi un anno; e quasi 3 anni per comprare un missile aria – aria. È un percorso che non funziona con il tipo di situazione di guerra in cui viviamo».
La conclusione è un passo avanti decisivo per la creazione di un bilancio militare comune: «La difesa rimane un settore di competenza di ciascun Stato» ricorda Borrell, «ma se i vari stati faranno un aumento ciascuno per sé, aumenteremo i duplicati e non chiuderemo mai i buchi nella rete». Finora, conclude, «abbiamo perso troppo tempo per prendere decisioni fondamentali, tipo inviare i carriarmati». «La guerra in Ucraina può agire come un risveglio e un incentivo contro i tabù, aumentando la operatività della difesa di tutta l’Europa».  Consapevole delle implicazioni di questo invito, il diplomatico, ha precisato che il suo scopo non è la militarizzazione dell’Europa, ma sostenere che l’Europa debba «assumersi le proprie responsabilità, in modo da diventare un potente e affidabile partner degli Usa».

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Superbonus, i cambi possibili (ma a ostacoli) per sbloccare crediti e sconto in fattura

lunedì, Febbraio 20th, 2023

di Andrea Ducci

Il vertice tra governo, banche e imprese sul Superbonus

Lo scenario più probabile è che l’incontro di oggi a Palazzo Chigi non risolverà il problema dei 15 miliardi che le imprese lamentano di avere «incagliati» nei cassetti fiscali. Una corposa delegazione del governo, capeggiata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano, riceverà prima i vertici di Abi, Cdp e Sace, poi quelli delle associazioni di categoria (a partire da Ance e Confindustria), cercando di rassicurare tutti gli interlocutori. Per una soluzione occorrerà però ancora tempo.
Allo studio ci sono due ipotesi.
La prima, la cartolarizzazione, è uno strumento di mercato, ma i tecnici del Tesoro sono più che scettici.
La seconda prevedel’intervento delle banche attraverso la compensazione dei crediti d’imposta con gli F24 delle tasse raccolte per i clienti.
Prima di qualsiasi decisione il governo aspetta il parere definitivo (atteso per mercoledì) di Eurostat, per sapere quale criterio vale per il calcolo degli sconti fiscali ai fini dei conti pubblici. La premura del governo è evitare che gli effetti di una nuova norma sblocca crediti vadano calcolati nel disavanzo del 2023, pregiudicando così qualsiasi intervento di finanza pubblica per il resto dell’anno.

Leggi anche:Superbonus, Meloni: «Dovevamo difendere i conti, ma eviteremo il tracollo delle aziende»

Come funziona il super ecobonus senza cessioni

I bonus per gli interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico ci sono ancora, ma il decreto approvato dal governo giovedì scorso elimina la possibilità di cessione dei crediti fiscali e dello sconto in fattura. Il provvedimento è già in vigore e stabilisce, tra l’altro, che per i vari incentivi esistenti, a partire dal Superbonus, non sarà più possibile la cessione a Regioni ed enti locali. Alimentando così l’allarme delle imprese che confidavano di vedersi sbloccare una parte dei 15 miliardi di euro di crediti incagliati. Una norma del decreto interviene però sulla responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari, l’intento è cercare di rimettere in moto il circuito degli intermediari finanziari. I bonus, insomma, non vengono cancellati ma per il futuro saranno molto meno «attraenti». Resta infatti solo la detrazione nella dichiarazione dei redditi.

Leggi anche: Cottarelli: «Superbonus era un’esagerazione, lo stop del governo è giusto»

Compensazione con versamenti dell’F24

U na soluzione è già stata prospettata al governo. L’Ance e l’Abi hanno presentato all’esecutivo una proposta che prevede la possibilità per le banche di utilizzare, a compensazione dei crediti, i versamenti F24 delle imposte fatte dai clienti. L’operazione consentirebbe alle banche di ampliare i margini di manovra rispetto agli acquisti di crediti di imposta bloccati nei cassetti fiscali delle imprese, che, come noto, non trovano più acquirenti. Uno stallo che secondo l’Associazione presieduta da Federica Brancaccio ha generato un’emergenza liquidità, con 15 miliardi incagliati. Resta il problema che qualsiasi norma per sbloccare quella liquidità deve superare i criteri di contabilità di Eurostat sui conti pubblici, altrimenti si tratta di deficit da conteggiare sul 2023.

Vedi anche:Superbonus e altri bonus edilizi: come sono aumentati i costi per lo Stato

Cartolarizzare con i bond sul mercato

L’ idea di una cartolarizzazione evoca i primi anni 2000, quando l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti predispose una maxi operazione di securitization per convertire gli immobili degli enti pubblici in strumenti finanziari più facili da collocare sui mercati. A distanza di un ventennio la soluzione di una cartolarizzazione per sbloccare 15 miliardi di crediti incagliati delle imprese, rendendoli liquidi, è prefigurata dal capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti. In prima battuta i crediti fiscali delle imprese sono ceduti a una società veicolo, poi è previsto che la stessa società veicolo reperisca le risorse per l’acquisto dei crediti di imposta. La modalità per finanziarsi sono sia l’emissione di titoli asset-backed, sia l’apertura di credito dal sistema bancario. Molti i dubbi del Mef in merito.

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Alleati ma anche nemici

lunedì, Febbraio 20th, 2023

di Francesco Verderami

I governi formati sulla base di alleanze sono sottoposti a tensioni provocate da una dialettica interna che però da fisiologica sta diventando patologica

La storia politica italiana è scandita da governi di coalizione, che fisiologicamente sono sottoposti a tensioni provocate dalla dialettica interna. L’idea che le differenze possano essere superate con l’elaborazione di un programma comune, non regge. Non accade nemmeno in Germania, dove pure i partiti — prima di votare la fiducia al Cancelliere — impiegano a volte mesi per redigere un accordo minuzioso sui provvedimenti. Il motivo è che gli eventi si incaricano di mutare la realtà, imponendo spesso l’adozione di scelte non previste. Insomma, le liti tra forze alleate sono scontate. Per certi versi rappresentano un elemento di vitalità della democrazia, sono una palestra che allena alla ricerca della mediazione. Il fatto è che negli ultimi tre decenni la dialettica da fisiologica è diventata patologica.

La battaglia contro il nemico interno — magari per mancanza di avversari esterni — ha piegato il naturale confronto alla ferrea logica della competizione, trasformando le legislature in una campagna elettorale permanente. Anche in assenza di elezioni. Nel periodo del «bipolarismo muscolare» tra Polo e Ulivo, i veri antagonisti di Silvio Berlusconi sono stati Gianfranco Fini, Umberto Bossi e Pierferdinando Casini, così come Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti e Clemente Mastella lo sono stati per Romano Prodi. È dall’interno che i governi del Cavaliere e del Professore hanno subito il maggiore processo di logoramento.

Questi meccanismi sono diventati una vera e propria forma di costume nel Palazzo, che mina la credibilità della politica agli occhi dell’opinione pubblica. Nonostante ciò, nella cosiddetta Terza Repubblica si continua a riproporre lo stesso stilema del passato. Il bradisismo permanente nelle coalizioni di governo si manifesta anche adesso. Non è in discussione il confronto. Tanto meno può passare la tesi che non si debba disturbare il manovratore. Il punto è che — oltre un certo limite — i cittadini non riescono a capire dove finiscano le legittime istanze e dove inizino le faide, che rendono difficoltosa la collaborazione, alimentano le diffidenze, consumano credibilità. E diventano un alibi per chi deve assumersi la responsabilità della mediazione e chi ambisce ad ottenere un risultato dalla mediazione.

L’attuale governo è frutto del responso elettorale, che chiude la parentesi del gabinetto tecnico ma ne prende in carico le questioni rimaste aperte. È su questi presupposti che il centrodestra è arrivato a palazzo Chigi. Ritenere che le elezioni abbiano cancellato i problemi del Paese e perciò sia mutata l’agenda delle «cose che si devono fare e che vanno fatte», significherebbe non fare i conti con il principio di realtà. E infatti Giorgia Meloni si è mossa di conseguenza: ha ribadito l’impegno italiano al fianco degli alleati occidentali nella guerra in Ucraina; ha varato una Finanziaria su cui l’Europa non ha espresso obiezioni; sta usando il bisturi sul Reddito di cittadinanza e sul Superbonus, che Mario Draghi non aveva potuto affondare perché una parte della sua larga maggioranza glielo aveva impedito.

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Zelensky, l’intervista: «Grato all’Italia per la scelta di mandarci armi. Berlusconi? Meloni è forte e terrà compatto il suo governo a sostegno di Kiev»

lunedì, Febbraio 20th, 2023

di Lorenzo Cremonesi

Volodymyr Zelensky ci ha ricevuti nel suo ufficio nel centro della capitale ucraina nell’imminenza dell’arrivo della premier a Kiev. «Le dichiarazioni di Berlusconi su Putin? Se gli piace la Vodka anche noi gliene mandiamo. Noi ne abbiamo di ottima qualità in Ucraina»

Zelensky, l’intervista: «Grato all’Italia per la scelta di mandarci armi. Berlusconi? Meloni è forte e terrà compatto il suo governo a sostegno di Kiev»
Volodymyr Zelensky, 45 anni, durante l’intervista di oggi

dal nostro inviato
KIEV — «Con Giorgia Meloni ci siamo appena visti a Bruxelles e sono felice di accoglierla in Ucraina. L’attendevamo da tempo a Kiev. Sin dall’inizio della guerra l’Italia del governo di Mario Draghi aveva scelto di sostenerci, un passo importante con un ruolo decisivo del vostro Paese per accettare l’Ucraina quale pieno membro dell’Unione Europea. E oggi la cosa procede bene. Infatti, con Giorgia avevo avuto alcune lunghe telefonate molto cordiali subito dopo la sua nomina a premier e avevo notato che si muoveva nel senso della continuità», spiega al Corriere della Sera Volodymyr Zelensky, che per quasi un’ora e mezza ci ha ricevuti insieme ai colleghi di Repubblica e del Sole 24 Ore nel suo ufficio presidenziale nel centro della capitale ucraina nell’imminenza dell’arrivo della premier italiana.

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Lorenzo Cremonesi durante l’intervista nell’ufficio presidenziale di Kiev

Durante l’incontro hanno suonato le sirene degli allarmi aerei, si è deciso di non scendere nei rifugi, la guerra continua: Mosca sta intensificando le offensive in vista del primo anniversario dell’invasione il 24 febbraio. «Sono molto grato all’Italia per la scelta di mandarci armi sia per la difesa antiaerea che per le artiglierie, le decisioni di principio sono state prese: noi si aveva insistito particolarmente di avere armi per garantire la difesa delle nostre infrastrutture energetiche», prosegue. «Non so con precisione quando arriveranno quelle armi. Noi, comunque, ci attendiamo la piena cooperazione dell’Europa e siamo certi che ne diventeremo membri, anche perché noi stiamo ripulendoci dai nostri oligarchi e dalla corruzione interna. Dopo la guerra, potremmo anche scoprire che ci sono più oligarchi in Italia che non in Ucraina. Sto facendo passare leggi speciali contro gli oligarchi locali».

Presidente, come lei ha detto la premier Meloni ha espresso forte sostegno per la causa ucraina. Ma due suoi stretti alleati, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, non nascondono le loro simpatie filo-Putin. Teme che l’Italia potrebbe ad un certo punto abbandonare il fronte europeo contro la Russia?
«Per noi è fondamentale non perdere il sostegno italiano e di nessun altro Paese, che abbiamo coltivato con grande sforzo contro l’intensa campagna di disinformazione diffusa dal Cremlino negli ultimi anni. Credo che parte della nostra debolezza sia dovuta al lavoro della propaganda russa. Ecco il motivo per cui io di persona dal primo giorno dell’invasione ho creato un sistema di comunicazione continua per fornire la vera versione dei fatti. Abbiamo visto dall’invasione russa della Crimea e del Donbass (nel 2014, ndr) che l’arrivo dei carri armati è preceduto dalla campagna delle false notizie. Noi riteniamo che sia centrale mantenere il sostegno italiano per garantire quello degli altri Paesi e ciò vale anche per la compattezza dell’Europa, dove l’Italia ha un ruolo trainante in campo economico, sociale e politico. Sono comunque fiducioso: Giorgia è una donna forte che può tenere compatto il suo governo».

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Guerra in Ucraina: perché l’Unione europea è in trappola

lunedì, Febbraio 20th, 2023

di Francesco Battistini e Milena Gabanelli

A un anno dall’inizio della guerra la dipendenza Ue dalle fonti energetiche russe, scrive la Commissione europea, è passata dal 36% del totale al 9,7%. Le sanzioni, da una stima Eurostat, hanno pesato sulla crescita del Pil europeo con un calo del 2,5% . E molti colossi che hanno dovuto smantellare i loro investimenti in Russia – Ikea, Volkswagen, Lego, Netflix TikTok, Samsung, Visa, MasterCard, Bp – stanno ora studiando i futuri rientri su quei mercati. Intanto la Ue ha già speso 30 miliardi in aiuti economici e finanziari, altri 18 sono stati stanziati per il 2023, a cui vanno aggiunti quelli dei singoli Paesi membri.

Nel 2022 l’Estonia ha donato a Kiev l’1% del Pil, una cifra enorme, e in quella direzione sono andate anche la Polonia, la Lituania, la Slovacchia, la Svezia e la Repubblica Ceca. Hanno donato molto anche la Germania e la Francia, meno Italia, Spagna e Belgio, mentre in coda troviamo Romania, Cipro, Slovenia e Irlanda. Sta di fatto che per la prima volta l’Europa ha superato gli Stati Uniti, il tradizionale supporter finanziario di Kiev.

La tenuta dell’Unione

Nel suo primo viaggio in Europa, Volodymyr Zelensky s’è presentato nelle capitali con la lista della spesa. Di ciascun Paese dell’Ue, il presidente ucraino conosce le armi disponibili nei depositi. E a tutti ha espresso richieste molto precise. «Sapeva esattamente di che cos’avesse bisogno e che cosa chiedere», ha commentato un diplomatico tedesco. Anche i governi europei sanno bene di che cos’ha bisogno l’Ucraina, e quali sono i timori dei Paesi più prossimi ai confini con la Russia. Infatti la Finlandia e la Svezia hanno chiesto di corsa l’ingresso nella Nato. Polonia e Romania sono state sfiorate e colpite da missili. Mentre Estonia, Lettonia e Lituania sono impaurite dall’espansionismo russo. Sono molti i fattori che possono trascinare in guerra l’intero continente. E mandare in pezzi un’Unione europea che, di fronte a Mosca, ha interessi e problemi diversi.

Quali armi dai Paesi membri

Almeno a parole, il sostegno a Zelensky e all’Ucraina non è mai stato un tema che dividesse l’Ue, ad esclusione dell’Ungheria: Viktor Orbán chiede di smettere di fornire armi e vuole interrompere le sanzioni a Mosca

Le ragioni di questo incondizionato sostegno, anche militare, sono la difesa del principio di sovranità territoriale d’un Paese che non è nell’Ue, ma sta comunque in Europa, e l’obbligo di rassicurare chi è più prossimo al confine russo. Il rischio per tutto il continente è quello di rimanere senza difese per sé. «Avevamo dimenticato la guerra dal nostro orizzonte intellettuale – dice il responsabile europeo degli Esteri, Josep Borrell – e la prova di questo è il nostro bassissimo livello di scorte militari e la scarsa capacità della nostra industria della difesa per rifornirle». Dai dati dell’International Institute for Strategic Studies la disponibilità di Germania, Francia e Italia messe insieme non arriva a 4mila carri armati moderni. All’Ucraina la Francia manderà alcuni dei suoi carri leggeri Amx-10, la Germania 14 carri Leopard e sistemi antimissile; l’Italia non si è pronunciata su cosa invierà. L’Olanda ha dato l’ok alla fornitura di qualche F-16. La Slovacchia ha scelto di inviare i suoi vecchi aerei Mig-29 sovietici. Varsavia, che avverte una minaccia diretta, consegnerà subito i carri armati Leopard richiesti, per quanto non siano quelli d’ultima generazione, e cannoni antiaerei. La Spagna «contribuirà» con pezzi di ricambio, e insieme al Portogallo con 7 Leopard. I Paesi Baltici sistemi di difesa Stinger, 4 elicotteri, droni e munizioni. La premier estone Kaja Kallas dice: «Io non ho jet da dare, ma se li avessi li darei» e ripete che siamo addirittura in ritardo, perché la Russia s’è ormai convertita totalmente a un’economia di guerra e ha organizzato un’industria bellica dove si lavora h24 con tre turni quotidiani

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Per salvare la Scala serve competenza. Non basta il jazz

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Milena Gabanelli

Caro Direttore, sabato scorso leggendo il Foglio mi ha attratto un titolo: “Paolo Conte non profani la Scala, firmato da Piero Maranghi, direttore del canale Sky Classica. “Oddio i fanatici della Scala – ho pensato – che appena gliela tocchi ti fulminano!”. Ma poi leggendo la lettera, e a seguire le risposte e i commenti che ha suscitato (Sgarbi sul Foglio e Merlo su Repubblica) vorrei fare alcune considerazioni. Scrive Sgarbi che in passato sono già stati ospiti della Scala artisti del pop e del jazz, e quindi perché non andrebbe bene il grande Paolo Conte? Per essere precisi: Bobby McFerrin alla Scala ha diretto la Filarmonica, Stefano Bollani ha suonato Ravel, diretto da Riccardo Chailly; Milva ha cantato Berio. Ci sono stati anche due balletti: l’Altra metà del cielo (musica di Vasco Rossi che non era neppure presente), e il Pink Floyd Ballet, con la coreografia del maestro Roland Petit.
Dunque il tema posto da Maranghi non è chi porti alla Scala, ma il cosa. E dire “vogliamo Paolo Conte perché è bravo” significa ben altro, ovvero: non vogliamo più che alla Scala si ascoltino solo opere, sinfonie, balletti, quartetti, ma anche cantautori, rapper, musical, cabaret ecc. Porre questo tema non credo sia da reazionari (come scrive Merlo su Repubblica), e tantomeno di distinzione fra musica alta e musica bassa.

È il caso di ricordare che la Scala rappresenta un simbolo di unicità universalmente riconosciuto. Non un tempio inviolabile, ma un simbolo che ha saputo adeguarsi ai costumi del pubblico ed è stato capace anche di dettarli, con coerenza e caparbietà, anche in periodi bui della nostra storia. E allora qual è l’utilità di smontare le fondamenta di questa istituzione? Forse perché non riesce più a stare in piedi con le proprie gambe, nonostante i corposi finanziamenti e sponsorizzazioni? Se è così il problema sta nella gestione, non all’altezza del suo compito. Infatti occorre guardare alla classe dirigente del Paese e alla politica culturale: siamo certi che, una volta avviato il “liberi tutti”, esistano freni alle pressioni e richieste di coloro che aspirano a quel palcoscenico e dei loro padrini?

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Panetta cita Battisti per frenare i rialzi della Bce: “Non si corre a fari spenti nella notte”

venerdì, Febbraio 17th, 2023

dalla nostra corrispondente Tonia Mastrobuoni

Berlino – «Non dobbiamo guidare come un pazzo a fari spenti della notte». Forse mai Lucio Battisti avrebbe immaginato di finire in un discorso di un banchiere centrale. In onore dell’ottantesimo anniversario dalla nascita del grande cantautore italiano, Fabio Panetta ha scelto “Emozioni” per sottolineare che la Bce, se trascinata dall’impazienza dei falchi, rischia di andare dolorosamente a sbattere.

Nel discorso di ieri del membro del board della Banca centrale europea – a un evento del Centre for European Reform a Londra – si coglie un’intenzione molto chiara: ribilanciare una discussione che sembra tenere poco conto degli sviluppi dell’ultimo anno, dei ripetuti rialzi di interesse e di un quadro economico talmente incerto da rendere pericolose le previsioni che si spingano su un orizzonte di molti mesi. Tanto più in un quadro di ripresa fragile che potrebbe essere compromessa da una stretta troppo feroce.

Una posizione condivisa dal Parlamento europeo, che ha votato ieri una risoluzione a stragrande maggioranza in cui chiede un «aggiustamento più equilibrato e graduale, dato l’elevato livello di incertezza».
Sulle sgrammaticature di alcuni suoi colleghi, Panetta è stato ieri esplicito: «La Bce non dovrebbe vincolare in modo incondizionato la sua politica monetaria futura».

Invece è quello che i falchi nord ed est europei portano avanti da tempo, anche spaventati da una situazione interna allarmante, di inflazione al 15 o al 20%, come nel caso dei baltici. E in tanti – dall’olandese Knot al tedesco Nagel – hanno espresso la granitica certezza che si continuerà a stringere sul costo del denaro ben oltre marzo, quando è già previsto un altro rialzo di 50 punti. Una pressione che sembra aver condizionato le parole, di recente molto dure, della presidente della Bce Christine Lagarde.

Oltre a Panetta, anche da altri membri del board si coglie – a microfoni spenti – un certo malumore per i colleghi che prevedono aumenti dei tassi per mesi e mesi. Primo, perché «i governatori dovrebbero sempre ricordarsi che fanno parte di un consiglio direttivo che parla sempre a tutta l’eurozona». Insomma, «non dovrebbero solo parlare al loro Paese», sottolinea una fonte autorevole. In secondo luogo, perché si può dissentire sulla traiettoria dell’inflazione e sulle condizioni monetarie, che secondo Panetta «stanno diventando più restrittive», mentre il governatore della Bundesbank Nagel è convinto del contrario, ossia che «non stiamo entrando in territorio restrittivo».

Ma sul metodo è bene che i guardiani dell’euro convergano, anzitutto per non perdere credibilità agli occhi dei mercati. E Panetta ridimensione il rischio che le rivendicazioni contrattuali in atto in molti Paesi alimentino ulteriormente l’inflazione. È giusto compensare i salari per l’aumento dei prezzi, secondo il banchiere centrale italiano.

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