Archive for Marzo, 2023

Regioni a statuto speciale, ecco i privilegi: perché sono a spese di tutti noi

lunedì, Marzo 27th, 2023

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Si narra che il cancelliere tedesco abbia chiesto a Prodi: «Fammi avere la cittadinanza di Bolzano, così potrò passare una vecchiaia prosperosa». A dire il vero l’idea non dispiace a nessuno, anzi: il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata si ispira grossomodo proprio alle Regioni a statuto speciale. Se il decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2023 avrà anche il via libera dal Parlamento, diventerà legge, come annunciato, entro l’inizio del 2024. Allora per cominciare vediamo perché in Italia abbiamo 5 Regioni a statuto speciale.

Cosa hanno in comune

L’origine risale all’art.116 della Costituzione del 1948. I commi 1 e 2 sanciscono che «Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale». Le ragioni della scelta hanno radici diverse: la forte spinta indipendentista in Sicilia; le rivendicazioni austriache in Trentino-Alto Adige; la prevalenza del dialetto francese in Valle d’Aosta; la complessità linguistica e l’influenza dell’allora regime comunista jugoslavo in Friuli-Venezia Giulia; la povertà secolare in Sardegna.

Invece il Ddl Calderoli si rifà al comma 3 nato dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, che conferisce alle Regioni a statuto ordinario (Rso) la possibilità di vedersi attribuite «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in 23 materie tra cui istruzione, salute, ambiente, internalizzazione delle imprese, tutela e sicurezza del lavoro e produzione di energia. La norma nasce su iniziativa del governo D’Alema alle prese con le rivendicazioni di autonomia della Lega Nord e diventa legge sotto il governo Berlusconi. In cosa consiste la similitudine fra le Regioni a statuo speciale e il Ddl Calderoli? Nel principio che ogni Regione possa negoziare con lo Stato i settori che intende gestire in proprio trattenendo i tributi equivalenti (qui art. 2 e 5). Entriamo allora nel vivo del meccanismo che regola le Regioni a statuto speciale con l’analisi di Massimo Bordignon, Federico Neri, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi per l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani della Cattolica (qui).

Quanto trattengono le Regioni a statuto speciale

Il punto sostanziale è quello di trattenere per sé la gran parte delle imposte: la Valle d’Aosta si tiene il 100% di Irpef, Ires (imposta per le società), Iva e accise sui carburanti; le Province autonome di Trento e Bolzano il 90% e l’80% di Iva; il Friuli-Venezia Giulia il 59% e il 30% delle accise; la Sicilia il 71% dell’Irpef, il 100% dell’Ires e il 36% di Iva; e la Sardegna il 70% su tutto e il 90% di Iva. Con questi soldi si pagano: sanità, assistenza sociale, trasporti e viabilità locali (che però si pagano in proprio anche Regioni come Lombardia, Toscana e Lazio), manutenzione del territorio, infrastrutture per l’attrazione turistica. La Valle d’Aosta e le due province del Trentino si finanziano anche l’istruzione, ovvero gli stipendi degli insegnanti.

Cosa paga lo Stato

Lo Stato paga tutto il resto: le spese per la giustizia (procure e tribunali), le forze dell’ordine, le infrastrutture di carattere nazionale (come la rete ferroviaria, i trafori, pezzi di autostrada, a partire da quella del Brennero), i servizi Inps, oltre alla macchina politica e amministrativa statale. Tutte spese che sono finanziate dalla fiscalità generale, alle quali queste regioni non partecipano, o lo fanno in piccola parte.

Costi a Roma, vantaggi alle Regioni

A conti fatti, come mostrano i dati dei Conti Pubblici Territoriali, lo Stato in media spende all’anno per ogni cittadino italiano che vive nelle Regioni a statuto ordinario 10.737 euro, tanto quanto spende per un cittadino valdostano (10.708), per un abitante del Friuli-Venezia Giulia 12.170, per un trentino 9.343, un altoatesino 9.222, un sardo 9.666, e per un siciliano 8.214.

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Banche e Borse a picco, tutti contro Lagarde: leader Ue infuriati con la Bce

sabato, Marzo 25th, 2023

Christine Lagarde finisce sotto accusa da parte di diversi leader presenti al Consiglio europeo. La numero uno della Bce e la sua politica monetaria, fatta di una grande rigidità nell’alzare i tassi di interesse per contrastare l’inflazione, è stata pesantemente critica da Italia, Spagna, Portogallo e Grecia nel giorno nero delle Borse e del crollo dei titoli delle banche europee. “Sono stati sottolineati gli effetti sull’economia dei ripetuti interventi sul costo del denaro. Un’esortazione ‘diplomatica’ a correggere la traiettoria dei tassi” la ricostruzione di Repubblica sul momento difficile dell’economia dell’Ue. Le difficoltà di Deutsche Bank si sono allargate a macchia d’olio e anche i paesi del nord Europa, Germania compresa, hanno infilzato Lagarde sulla tenuta del sistema bancario, chiedendo garanzie sulla solidità e sui rischi incombenti, cercando di sventare un’altra crisi come quella del 2008. “Lagarde ha confermato che la necessità di puntare verso l’alto il tasso di sconto deriva dal dovere statutario di tenere sotto controllo l’inflazione. L’obiettivo è riportarla al 2%. Ha quindi ribadito che non ci saranno altri aumenti automatici. Che si terrà conto della situazione e soprattutto di quel che accadrà sui mercati. Finché, quindi, si registrerà una tensione, la Bce non agirà con nuove decisioni lungo la linea tracciata. Poi ha voluto rassicurare i governi sulla solidità del sistema bancario ‘Il settore bancario della zona euro è resiliente perché ha posizioni solide in termini di capitale e liquidità’” il resto del riferimento del quotidiano al discorso di Lagarde al Consiglio, in cui ha assicurato che la Bce sarebbe pronta ad iniettare liquidità nella banche in caso di necessità. Da entrambi i fronti in ballo sono tutte mosse volte a rasserenare i mercati.

IL TEMPO

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Mossa di Berlusconi: rivoluzione Forza Italia

sabato, Marzo 25th, 2023

Fabrizio De Feo

Le fibrillazioni e le tensioni che da alcuni giorni covavano sotto la cenere ed erano ormai venute alla luce, almeno a livello giornalistico nelle ultime ore, fanno scattare la reazione di Silvio Berlusconi. Sono passate da poco le 20 quando un comunicato sancisce un «rimpasto» della squadra di governo del partito con la sostituzione di Alessandro Cattaneo come capogruppo alla Camera e l’arrivo al suo posto di Paolo Barelli, uomo vicino ad Antonio Tajani, già presidente dei deputati nella scorsa legislatura. In Lombardia, invece, Alessandro Sorte va a sostituire Licia Ronzulli.

«Al fine di arrivare pronti alle prossime elezioni europee – si legge – con una squadra coesa e radicata su tutto il territorio nazionale, ho ritenuto di nominare al fianco del ministro Anna Maria Bernini, Alessandro Cattaneo quale vice coordinatore nazionale di Forza Italia con la delega alla organizzazione territoriale del partito». Diverse indiscrezioni avevano messo nel mirino i due capigruppo, Licia Ronzulli al Senato e Cattaneo alla Camera. In sostanza emergeva l’inasprirsi di uno scontro tra l’ala più battagliera e l’ala più governista, con quest’ultima decisa a provare a convincere Silvio Berlusconi a procedere a un cambio di almeno uno dei vertici dei gruppi, per riequilibrare la bilancia del potere interno. Paola Di Caro sul Corriere ieri aveva a scritto che alla Camera era partita una raccolta firme con l’obiettivo di chiedere la sostituzione di Cattaneo a Montecitorio. Voci smentite da chi è più vicino ai due presidenti e da diversi parlamentari, anche se nessuno aveva nascosto le difficoltà di rapporto tra le diverse anime degli azzurri in questa fase. Cattaneo inoltre aveva dovuto governare richieste impossibili da accontentare, visto che a disposizione di Forza Italia ci sono tra i 2 e 3 posti da presidente di Bicamerale e 3-4 da vicepresidente. Numeri insufficienti a soddisfare le richieste dei tanti pretendenti. Così come qualche strascico avevano lasciato le nomine nella giunte della Lombardia e Lazio, considerate strategiche per la gestione del potere in chiave futura. Dichiarazioni ufficiali comunque non ce n’erano sono state, se non quella di Flavio Tosi che a Un giorno da Pecora aveva chiarito che non c’è alcuna raccolta firme. «In Forza Italia in questo momento c’è solo una normale dialettica interna. Non è vero che c’è una raccolta firme. Ci affidiamo alle decisioni di Berlusconi». Il restyling del partito va a toccare anche la mappa del potere sui territori, Lombardia in primis. «Congiuntamente, per dare pieno supporto al lavoro che dovrà svolgere, ho nominato sette nuovi coordinatori regionali. Per la Basilicata Maria Elisabetta Casellati; per l’Emilia Romagna Rosaria Tassinari; per la Lombardia Alessandro Sorte; per il Molise Claudio Lotito; per la Sicilia Marcello Caruso; per la Toscana Marco Stella; per il Veneto Flavio Tosi.

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Maternità surrogata, il 65% è contro: ma c’è il sì al riconoscimento dei figli

sabato, Marzo 25th, 2023

di Nando Pagnoncelli

Il sondaggio di Pagnoncelli: il 47% degli italiani è per le adozioni da parte di coppie gay

Maternità surrogata, il 65% è contro: ma c’è il sì al riconoscimento dei figli

Nelle ultime settimane il tema dell’omogenitorialità ha fatto irruzione nel dibattito radicalizzando le posizioni di leader e partiti. Si tratta di un tema che investe la sfera etica rispetto alla quale le opinioni dei cittadini sono solitamente meno influenzate dall’orientamento politico. Basti pensare alle prese di posizione sul divorzio, sull’aborto, sulla procreazione assistita, sul fine vita: ebbene, su questi e su altri temi i risultati dei referendum e le ricerche sociali hanno dimostrato che una quota rilevante di cittadini si esprime diversamente dalle prese di posizione del partito a cui si sentono più vicini.

La maternità surrogata, vietata in Italia e nella stragrande maggioranza dei Paesi, suscita reazioni diverse a seconda che avvenga a fronte di un corrispettivo in denaro o meno. Nel primo caso, infatti, prevale nettamente la contrarietà (due italiani su tre, il 65,4%), i favorevoli sono il 19,7%, gli altri non rispondono. Nel secondo i contrari, pur prevalendo, diminuiscono al 40,3%, i favorevoli salgono al 34,6, mentre il 25,1% non si pronuncia.

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I giudizi

Il sondaggio odierno evidenzia che il 45% degli italiani si dichiara favorevole al fatto che i figli nati a seguito di maternità surrogata nei Paesi in cui questa pratica è consentita, vengano registrati nei comuni di residenza della coppia dopo il loro rientro in Italia, perché ritengono che sia un dovere dello Stato concedere anche a questi figli gli stessi diritti di tutti gli altri. Viceversa, uno su quattro (26%) è contrario perché registrarli significherebbe dare il via libera alla maternità surrogata anche in Italia e il 29% non prende posizione. La contrarietà prevale solo tra gli elettori di FdI (49%) e della Lega (41%), tra i quali però si registra una minoranza numericamente molto rilevante di favorevoli, rispettivamente il 28% e il 37%. Dunque, pur in presenza di una prevalente riprovazione per la maternità surrogata, la maggioranza relativa ritiene opportuno riconoscere i diritti dei bambini nati altrove ricorrendo a questa pratica.

Anche la possibilità di adottare un figlio da parte delle coppie omosessuali vede prevalere i favorevoli (47%) sui contrari (32%). Peraltro, gli atteggiamenti di apertura sono in aumento di 5 punti rispetto al 2021. Si conferma un atteggiamento di maggiore contrarietà tra gli elettori di FdI (58%) e Lega (48%), pur in presenza di una quota pari al 30% e al 39% di favorevoli.

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Pd, nodo capigruppo: Bonaccini lancia l’ultimatum a Schlein

sabato, Marzo 25th, 2023

Carlo Bertini

ROMA. «Cari amici e compagni, se la proposta sui nuovi capigruppo sarà un prendere o lasciare, credo non ci siano le condizioni per un nostro ingresso nella segreteria del partito». È in questi termini che oggi Stefano Bonaccini, nel summit via zoom dei parlamentari che lo sostengono, parlerà ai suoi «perché nuora intenda», come si usa dire. Ovvero, a meno che Elly Schlein non gli telefoni prima per cercare un’intesa, il governatore le lancerà una sorta di ultimatum: o si segue un metodo condiviso nelle scelte cruciali, attribuendo a chi ha vinto il congresso tra gli iscritti del Pd uno dei due capigruppo, oppure si rompe il meccanismo, ricercato dopo le primarie dalla neo leader, di una gestione comune del Pd per evitare traumi e scissioni.

Ma non basta: l’area che fa capo al governatore sconfitto minaccia di andare ad una conta sui capigruppo a voto segreto. Che potrebbe finire male (dati i numeri in equilibrio tra le due truppe), con conseguenze disastrose per la segretaria al suo esordio. Intenzionata malgrado tutto a indicare come nuovi capigruppo Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera: figure di primo piano del suo giro stretto. Una delle quali, Braga, vicinissima a Dario Franceschini, il più influente tra i big che hanno sponsorizzato il nuovo corso. Motivo questo di scontento della sinistra che fa capo a Orlando e Provenzano, che rischia di restare senza rappresentanza nei due rami del Parlamento pur avendo sostenuto Schlein. «Non voglio essere coinvolto in nulla», va ripetendo Provenzano nei capannelli alla Camera, pur essendo tra i papabili al ruolo. Mentre l’ex ministro del Lavoro dice che sarebbe più giusto lasciare alla minoranza di Bonaccini uno dei capigruppo e che la soluzione più semplice sarebbe confermare Debora Serracchiani. La capogruppo attuale, se davvero si arrivasse ad una conta potrebbe rimettere il suo nome nell’urna del gruppo alla Camera, mentre al Senato potrebbero concorrere Graziano Delrio, Enrico Borghi o Alessandro Alfieri.

Ma Schlein, sulla base del principio che Bonaccini ha preferito il ruolo superpartes di presidente del partito a quello più organico di vicesegretario, ritiene giusto assegnare a due figure della maggioranza a suo favore entrambe le cariche apicali in Parlamento. Tanto che giorni fa ha chiesto a Bonaccini di sondare il terreno tra i suoi. E il responso consegnatole dopo una rapida verifica degli sherpa nei gruppi è stato che «il sondaggio ha dato esito negativo, non sui due nomi proposti, ma sul metodo del prendere o lasciare». Tradotto, se decidi da sola, noi non ci sentiamo più vincolati a nulla. Tradotto ancora più chiaro da uno del suo staff, «avere Stefano capo dell’opposizione con le mani libere dovrebbe preoccuparla, quindi da qui a martedì magari tratterà…».

Del resto l’appello a soluzioni non imposte lo fa anche Lorenzo Guerini, leader della corrente riformista e cattolica del Pd, convinto che «sarebbe utile arrivare a scelte condivise sui capigruppo, perché il risultato congressuale è complesso e va interpretato bene, quindi meglio per tutti lavorare in una direzione unitaria». Un modo diplomatico per dire che se al primo giro di boa, Schlein procederà con forzature a senso unico, allora sarà difficile parlare di gestione condivisa di tutte le scelte future.

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Ormai è il debito il vero sovrano

sabato, Marzo 25th, 2023

Massimo Cacciari

Può aiutarci una riflessione non costretta nei tempi della cronaca a decifrare il senso della “grande trasformazione” in corso nei rapporti economici, negli equilibri geopolitici, negli assetti istituzionali? In politica l’arte della tattica e della strategia è sempre fondamentale, ma temo sia alla fine inefficace se non comprende in che contesto epocale si colloca, così come storia e scienza politica diventano un pallido pensiero se non si coniugano a prassi, a volontà, a invenzione di nuovi mezzi per aggredire e risolvere i problemi. La crisi del 2007-2008 sembra ripetersi. Dunque, pure le crisi finanziarie sembrano aver perduto la periodicità di un tempo per risolversi anch’esse in perenne emergenza. Gli interventi degli Stati attraverso i diversi organismi cui hanno dato vita si sono rivelati di un’efficacia incomparabile rispetto al passato, riuscendo a isolare le zone rosse ed evitare che scoppi la pandemia. Sarà così anche ora probabilmente. Ma a che prezzo? Gli Stati pompano risorse immense all’interno del sistema economico-finanziario e più sono politicamente potenti più ne pompano, alla faccia delle retoriche liberiste su interventi, aiuti pubblici e sacralità delle “leggi di mercato”.

Ma questo può avvenire soltanto attraverso la crescita del debito. Ancora una volta, gli Stati più forti possono gonfiarlo senza temere, almeno a breve-medio periodo, contraccolpi catastrofici. A quelli più deboli queste pratiche risultano proibite. La disparità che si viene a creare è sistemica. Lo Stato debitore, più è debole più finisce col dipendere dal creditore. Il meccanismo del debito diventa il vero sovrano. Chi è in debito – debito significa de-habere, non avere – non ha alcun reale potere, alcuna autonomia rispetto alle decisioni dei mercati che ne posseggono i titoli. Esso deve accettare le regole imposte dal creditore, eseguire le politiche che a questi sembreranno utili. Laddove anche il debito privato è alle stelle cumulandosi con quello pubblico la situazione è analoga per il singolo cittadino. La sua condizione è quella di chi è in costante debito nei confronti di un sistema perfettamente anonimo, di cui non conosce gli attori e di cui ignora le finalità. Non può che aspettarne gli ordini e obbedire. E così sostanzialmente dovrà fare lo Stato debole.

Con la differenza che uno Stato disporrà sempre dei mezzi, se lo vuole, per cercare di scaricare sul privato il costo del proprio debito, soprattutto là dove quello privato sia, come in Italia, di gran lunga inferiore a quello pubblico e forse il più basso in Europa. L’inflazione serve anche a questo, tuttavia il ricorso da parte di un singolo Stato a tale classico mezzo per ridurre il costo del debito può risultare oggi bloccato da autorità e poteri sovranazionali. Non così quell’altro, più ancora efficace, che consiste nel fare a pezzi ogni residuo di Welfare, ridurre l’incidenza della spesa sociale, in termini reali, sul complesso degli investimenti pubblici. Il sistema che offre credito e garantisce il debito indirizza la politica di investimenti, stabilisce le priorità, controlla la realizzazione dei piani.

Ciò produce disuguaglianze sempre più intollerabili e moltiplica i motivi di protesta. Una società politica “indebitata” potrà sempre meno rispondere alle domande della società civile, che non rientrano negli interessi del creditore. La contraddizione si aggrava naturalmente quando ai motivi della crisi finanziaria se ne aggiungono altri derivanti dai conflitti geopolitici intrinseci alla globalizzazione. Si tratta, allora, di dirottare investimenti colossali per il rinnovo dei sistemi di sicurezza e di difesa. Il creditore benedice tali scelte, poiché il sistema economico-militare è un elemento cardine del processo produttivo e dell’aumento dei profitti. D’altra parte, è ben noto a chi studia le fondamentali regolarità della prassi politica che in momenti di tensione sociale la “struttura” di uno Stato regge tanto meglio quando più chiaramente individua un avversario o un nemico all’esterno. Il conflitto geopolitico può benissimo funzionare in questo schema: obbliga a investire nei settori più remunerativi del capitalismo attuale e, a un tempo, “struttura” all’interno il sistema socio-politico.

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Torna l’ora legale, sveglia un’ora prima: quando scatta, gli effetti sul fisico e come affrontarla

sabato, Marzo 25th, 2023

Sarà una domenica all’insegna della sveglia anticipata: torna infatti l’ora legale, nella notte tra sabato 25 e domenica 26 marzo. Alle due del mattino di domenica scatterà lo spostamento delle lancette degli orologi, che dovranno essere regolati un’ora avanti, e conseguentemente si dormirà un’ora di meno. Si tornerà all’ora solare domenica 29 ottobre. Un’ora di sonno in meno, dunque, ma un’ora di luce in più la sera: domenica, ad esempio, il sole tramonterà “astronomicamente” attorno alle 18.30, ma grazie all’ora legale gli orologi segneranno le 19.30. Ora di luce in più che comporterà tra l’altro notevoli risparmi energetici. Quasi tutti i paesi industrializzati si sono dati una regola: nell’emisfero boreale il regime di ora legale inizia l’ultima domenica di marzo, mentre nell’emisfero sud (australe) la stessa data ne sancisce il termine. Dalla scelta dei paesi industrializzati si discosta il Giappone che segue, nell’alternarsi delle stagioni, sempre e comunque l’ora solare. Disinteressati all’adozione dell’ora legale la maggior parte dei paesi dell’Africa e dell’Asia. In ogni caso, lo spostamento di un’ora comporterà solo qualche giorno di adattamento al nuovo “fuso orario”, con il classico effetto “jet leg” che per i primi tempi potrebbe creare qualche problema con il rapporto sonno-veglia. Mentre domenica come ogni anno ci si dovrà industriare a modificare l’orario di tutti gli orologi di casa e in auto, anche se ormai nell’era digitale tutti i dispositivi (telefonini, tablet e quant’altro) si aggiornano automaticamente, avendo già memorizzato il calendario con il cambiamento d’orario.
Gli effetti sul fisico e come affrontarla
Via via che l’inverno cede il passo alla primavera le giornate si allungano e la mente corre alla bella stagione. E questo anche grazie al consueto spostamento in avanti delle lancette degli orologi, come faremo tra sabato e domenica, alle 2 di notte, quando entrerà in vigore l’ora legale, che serve proprio a sfruttare al massimo la luce solare risparmiando sul consumo energetico. Tuttavia, il repentino cambio di orario può avere delle conseguenze sul nostro benessere psico-fisico. Assosalute (Associazione nazionale di farmaci di automedicazione, che fa parte di Federchimica) ha raccolto sul suo portale alcuni suggerimenti per affrontare al meglio il cambio d’ora. I disturbi associati al cambio d’orario – Se è vero che il cambio dell’ora porta con se’ giornate più lunghe con innegabili benefici, è altrettanto vero che diverse persone risentono del passaggio dall’ora solare a quella legale tanto da lamentare i medesimi sintomi che si hanno in caso jet-lag. Questi piccoli disturbi passeggeri – alterazioni del sonno, stanchezza e difficoltà di concentrazione, stress e irritabilità – dipendono dalla reazione del nostro corpo alla differenza tra l’orologio interno, il cosiddetto ritmo circadiano, e l’orario esterno. Il ritmo circadiano regola, infatti, il ciclo sonno-veglia e molti parametri vitali che hanno andamento periodico: fame, rigenerazione cellulare, temperatura corporea. Anche la sola perdita di un’ora di sonno altera, quindi, per qualche giorno i ritmi dell’organismo. Ma ci sono coloro che ne risentono più di altri. Sono soprattutto i “gufi”, i tiratardi, e le “allodole”, i mattinieri, a soffrire il cambio dell’ora: ad andare in tilt e’ il loro equilibrio sonno-veglia. Per cui, anche cambiamenti minimi dei ritmi quotidiani possono causare stress e generare stanchezza, sonnolenza diurna, emicrania, perdita dell’appetito, riduzione dell’attenzione e alterazione dell’umore. Attenzione allo stress quindi.
Come è nata l’idea
Domenica mattina alle due, puntuale come ogni anno nell’ultima domenica di marzo, torna l’ora legale. Una storia lunga, che risale addirittura al ‘700. All’inizio, infatti, l’idea venne a Benjamin Franklin (1706-1790) per motivi di risparmio energetico (con l’ora legale si guadagna un’ora di luce la sera, con conseguente minor consumo di candele), ma nessuno gli presto’ particolare attenzione in un’epoca in cui l’industrializzazione era ancora agli albori. Andò meglio al britannico William Willet: siamo agli inizi del Novecento e l’industrializzazione del paese fece si’ che nel 1916 la Camera dei Comuni diede il via libera all’ora legale che si chiamava British Summer Time.

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Pnrr, Italia alla stanga: l’allarme di Mattarella sul piano di investimenti ancora in ritardo

sabato, Marzo 25th, 2023

Ugo Magri

ROMA. Sul piano di riforme concordato in Europa «è il momento di mettersi alla stanga», esorta Sergio Mattarella con un appello vigoroso che si indirizza a tutti senza eccezioni, ma certamente interpella in primo luogo il governo. I ritardi nell’attuazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) stanno mettendo in serio pericolo le prossime rate del finanziamento Ue. Sono in ballo 19 miliardi della terza tranche e 16 della quarta che, continuando a passo di lumaca, l’Italia non riuscirà a incassare con conseguenze di vaste proporzioni.

Quando si insediò, Giorgia Meloni fu lesta a incolparne il predecessore Mario Draghi del quale era all’opposizione; ma quattro mesi dopo, stando alla relazione semestrale appena presentata dalla Corte dei conti, i progressi non fanno ben sperare. Sono in corso contatti con Bruxelles per chiedere altro tempo e, soprattutto, per strappare una revisione degli obiettivi del Pnrr che vengono considerati in alcuni casi troppo ambiziosi da mettere in pratica, in altri da rivedere alla luce della crisi energetica. Il capo dello Stato è al corrente delle fitte negoziazioni che vedono protagonisti il commissario Ue Paolo Gentiloni e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto; certamente tifa per il buon esito; avverte tuttavia il bisogno di dare una sveglia generale rilanciando le parole che Alcide De Gasperi, grande statista democristiano del dopoguerra, pronunciò quando si trattava di ricostruire l’Italia dalle macerie: «È il momento di mettersi alla stanga», oggi si direbbe di dare il massimo per raggiungere gli obiettivi.

Non è l’unico richiamo che Mattarella ha lanciato ieri a Firenze, intervenendo alla Conferenza nazionale delle Camere di commercio. Con molto garbo il presidente ricorda l’esistenza di una questione meridionale irrisolta che, lascia sottinteso, non potrebbe essere sacrificata sull’altare dell’egoismo territoriale. Oltre alle note diseguaglianze sociali, segnala, c’è quella «fondamentale» tra Nord e Sud. l progresso dovrà riguardare in futuro «tutto il Paese», senza trascurare le aree interne «con il loro potenziale sottosviluppato di crescita», ribadisce Mattarella.

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Il David in mutande

sabato, Marzo 25th, 2023

di Massimo Gramellini

Ormai è appurato che in America i fessi hanno un serio problema con le statue. Mentre i fessi progressisti le fanno abbattere, quelli reazionari fanno licenziare la preside che ha osato tenere una lezione d’arte sul David di Michelangelo. Siamo a Tallahassee, nella Florida di Ron deSantis, la versione «light» di Donald Trump, ma sarebbe potuto succedere in qualsiasi altro Stato dell’Unione, eccetto forse in quello di New York, in California e in qualche altro. Ad accendersi di sacro sdegno sono stati i genitori dei ragazzi. Immaginate la scena: gli studenti tornano a casa e mostrano ai loro cari l’immagine del capolavoro rinascimentale come se l’avessero appena trovata su Onlyfans. L’occhio di mamma e papà non indugia sull’armonia delle forme, ma va a cascare proprio là, dove si aspetterebbe di trovare delle mutande di marmo, magari sponsorizzate. Le chat dei genitori prendono fuoco: si chiede e si ottiene la testa della professoressa reproba, per propaganda e smercio di materiale pornografico.

Come passa (male) il tempo. Cinque secoli fa Firenze ospitò un dibattito sul luogo più adatto a ospitare il David di Michelangelo a cui parteciparono, tra gli altri, Botticelli e Leonardo. Cinque secoli dopo, in Florida, si caccia da scuola chi lo mostra. Certo, quella era una élite di statura mondiale mentre costoro sono degli ignoranti. È proprio questo il problema: hanno censurato il David perché li disturba, ma li disturba perché non sanno che è il David.

CORRIERE.IT

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Le crisi bancarie e la teoria dello scarafaggio: quanti ne sono nascosti?

sabato, Marzo 25th, 2023

di Federico Rampini

Wall Street riscopre la teoria dello scarafaggio a proposito delle crisi bancarie. Non stupisce che questa metafora sia così popolare a New York, dove i bacherozzi contendono ai ratti il dominio del territorio. La teoria è questa. Quando appare uno scarafaggio nel lavandino della tua cucina o sul pavimento del bagno, e t’ingegni per ucciderlo, anche se riesci ad assassinare l’intruso non devi farti illusioni, l’animale non appartiene a una specie solitaria. Aspettati di veder apparire presto qualche suo fratello, figlio, cugino. Il primo scarafaggio è l’avanguardia di un’invasione, di solito, perché queste blatte vivono in famiglie, tribù, colonie. La teoria dello scarafaggio è stata usata per diversi tipi di crisi, in particolare i crac bancari. Anche le banche malate sono spesso parte di un gregge, non casi isolati. Il 2008 funzionò così. Il 2023 rischia di ripetere lo stesso schema?

Così è partito il crollo di Deutsche bank

La teoria dello scarafaggio non significa che il mondo sia sul punto di soccombere sotto un’invasione di questi coleotteri. Però invita ad accogliere con qualche scetticismo e circospezione le affermazioni troppo rassicuranti. Una fra tutte: «Qui da noi non può succedere». È un film che abbiamo già visto. Nel 2008 gli europei cominciarono col dire che la crisi era tutta americana, legata agli eccessi di un certo tipo di capitalismo finanziario. Poi l’Eurozona s’infilò nel tunnel di una turbolenza perfino più lunga e dolorosa di quella americana.

Nel 2023 all’inizio molti hanno detto: la Silicon Valley Bank è legata alla bolla tecnologica, è una storia tutta californiana. Poi è fallita una banca di New York. A quel punto si è sentito dire: i soliti americani… «però l’Europa è molto più sana e solida, non c’è nulla da temere sul vecchio continente». Ben presto è andato per aria il Credit Suisse, costringendo la banca centrale elvetica a prestare 100 miliardi di liquidità e l’Ubs a intervenire con un’acquisizione d’emergenza. «Ma la Svizzera non è dentro l’Eurozona», qualcuno ha rilevato, per rassicurare sull’impossibilità del contagio. In realtà i criteri di sicurezza per i capitali e le riserve bancarie in Svizzera riflettono gli standard della Bce. Comunque lo scarafaggio svizzero potrebbe avere un cugino tedesco, è la Deutsche Bank quella che oggi fa tremare i mercati. Già sento le nuove rassicurazioni, del tipo: la Deutsche Bank è sempre stata una «pecora nera», molto controversa da anni.


La cantilena è sempre la stessa: «Qui da noi non può succedere». Si capisce che le autorità bancarie e gli organi di vigilanza debbano usare questo tipo di linguaggio. Ci mancherebbe solo che seminassero dubbi e quindi diventassero loro stessi degli agitatori di panico. Però intanto gli scarafaggi continuano a sbucare dal lavandino. E viene anche il legittimo sospetto che le autorità di vigilanza usino un linguaggio rassicurante per coprire le loro stesse colpe: la Federal Reserve, ad esempio, aveva messo sotto ispezione da un anno la Silicon Valley Bank per evidenti irregolarità. A che cosa servono questi controlli, se la banca affonda lo stesso?

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