Archive for Marzo, 2023

Torino, costruito un occhio sano dai suoi non vedenti: cieco torna a vedere

sabato, Marzo 25th, 2023

Un eccezionale intervento, eseguito all’ospedale Molinette di Torino, ha parzialmente ridato la vista a un paziente di 83 anni, che era affetto da totale cecità a causa di due diverse patologie.

I medici hanno effettuato un autotrapianto di cornea, allargato a sclera e congiuntiva, che ha permesso di ricostruire un occhio vedente da due non vedenti. Si tratta del primo intervento al mondo di questo tipo.

“E’ stato come nascere di nuovo”

 L’anziano aveva perso da 30 anni la vista dall’occhio sinistro per una cecità retinica irreversibile e negli ultimi 10 anni era divenuto cieco dall’occhio destro per una patologia rara. Il prelievo dall’occhio sinistro, irrecuperabile dal punto di vista funzionale, ma con una buona superficie oculare, gli ha consentito di tornare a vedere. “Quando mi sono risvegliato e ho iniziato a vedere i contorni delle mie dita e della mano, è stato come nascere di nuovo”, ha raccontato l’uomo dopo l’intervento. Già a due settimane dall’intervento, durato 4 ore, è in grado di riconoscere con l’occhio destro gli oggetti e i volti, e di muoversi autonomamente. Leggi Anche

Torino, alle Molinette nuova protesi mitralica impiantata a cuore battente

L’equipe medica tutta italiana

 L’operazione “miracolosa” è stata condotta dal professor Michele Reibaldi (direttore della Clinica Oculistica universitaria Molinette) e dal professor Vincenzo Sarnicola, tra i maggiori esperti al mondo di chirurgia corneale. Il trapianto di cornea a tutto spessore è l’intervento chirurgico tramite cui si provvede alla sostituzione della sola cornea che ha perso la sua trasparenza con una cornea sana proveniente da un donatore deceduto.CHIUDI ✕

Il rischio di rigetto

 “Normalmente la cornea presenta un tasso di rigetto molto più basso rispetto ad altri organi vascolarizzati, ma in presenza di un’alterazione diffusa di tutta la superficie oculare, come nel caso del paziente, questo rischio diventa altissimo – sottolinea Sarnicola -. In particolare, un danneggiamento delle cellule staminali del limbus, la zona tra la cornea e la congiuntiva, determina il fallimento irreversibile del trapianto”.

Per la prima volta al mondo

 In questo intervento, per la prima volta al mondo, è stato realizzato un autotrapianto dell’intera superficie oculare, prelevata dall’occhio sinistro, comprendente non solo la cornea, ma anche una parte di sclera e tutta la congiuntiva comprese le cellule staminali del limbus. “In estrema sintesi il paziente per problemi retinici aveva irrimediabilmente perso la funzionalità dell’occhio sinistro, mentre l’occhio destro aveva mantenuto una potenzialità di recupero che però si era rivelata vana con trapianti tradizionali – riferisce Reibaldi -. Abbiamo deciso di coinvolgere il professor Sarnicola perché notissimo nel mondo per aver proposto e realizzato tecniche alternative ai trapianti perforanti tradizionali”.

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Pd senza tregua, martedì i capigruppo ma è tensione

venerdì, Marzo 24th, 2023

Alessandro Di Matteo

ROMA. C’è un clima teso nel Pd, nonostante i sondaggi che danno il partito in ripresa, di nuovo intorno al 20%. La neosegretaria Elly Schlein è riuscita a imprimere una ventata di novità sul piano della comunicazione, ha dato un’impronta molto più “movimentista” e aggressiva al Pd, ma almeno per ora non è riuscita a sedare la tradizionale irrequietezza del partito. Schlein vuole cambiare i capigruppo in Parlamento, lunedì incontrerà i senatori e deputati per fare il punto politico e martedì i due gruppi si riuniranno separatamente per eleggere i nuovi presidenti, che per la segretaria dovranno essere Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga, di area Franceschini, alla Camera. Una scelta che la segretaria difende con determinazione, ma che sta facendo saltare per aria la minoranza e crea qualche perplessità persino tra chi l’ha sostenuta alle primarie.

Parte dei sostenitori di Bonaccini minacciano la conta se non ci sarà «una scelta condivisa», e il presidente Pd ha dovuto convocare per domani una riunione dei parlamentari della sua area, per evitare che partisse addirittura un’iniziativa solitaria dell’ala più battagliera. L’idea che la “gestione unitaria” si esaurisca nella presidenza affidata a Bonaccini e in qualche posto in segreteria non piace a nessuno. E sotto accusa rischia di finire lo stesso governatore dell’Emilia-Romagna. Due parlamentari campani, giovedì scorso, si sfogavano alla buvette: «Lui si è venduto i capigruppo per avere la presidenza», sbottava uno ad un certo punto. Questa, del resto, è anche la versione che raccontano i fedelissimi della Schlein, secondo cui c’era l’accordo. Se lui avesse fatto il vice-segretario – è il loro ragionamento – sarebbe stato un altro discorso, ma avendo scelto di fare il presidente dell’Assemblea, avendo cioè optato per un ruolo di garanzia, si è giocato la possibilità di nominare un capogruppo. Una ricostruzione che però i parlamentari più vicini a Bonaccini smentiscono, convinti che sui capigruppo si sarebbe dovuto ragionare dopo, insieme. Domani, alla riunione dei suoi parlamentari, Bonaccini insisterà nel dire che un capogruppo debba andare alla minoranza, cercando di frenare i più intransigenti che chiedono di andare alla conta: «Noi siamo pronti – dice un parlamentare di “Base riformista”, l’area di Lorenzo Guerini – se non c’è condivisione, chiediamo a Serracchiani di candidarsi alla Camera e a Delrio di fare lo stesso al Senato».

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Quelle paghe da fame e l’assurda ostilità per il salario minimo

venerdì, Marzo 24th, 2023

Marco Revelli

Il caso dei lavoratori e delle lavoratrici delle RSA piemontesi pagati 5 euro lordi all’ora è uno scandalo sociale d’indubbia gravità, per numerose ragioni. Intanto perché umilia le persone che prestano il proprio lavoro “di cura”, e quindi particolarmente impegnativo, carico di responsabilità e di rischi (lo si è visto durante il Covid), misurando la loro fatica sui gradi più bassi del riconoscimento sociale. In secondo luogo perché offende gli stessi assistiti in quelle strutture, come ha scritto giustamente Elsa Fornero su questo giornale: quegli anziani, molti dei quali non autosufficienti, che avrebbero tutti i diritti a essere curati da un personale ben retribuito e, per questo, consapevole del proprio valore e della propria responsabilità, e che invece vengono considerati oggetti di scarto da affidare a manovalanza considerata a sua volta (ingiustamente) di scarto. Infine perché una simile pratica, in genere permessa dall’esistenza di “sindacati pirata” poco rappresentativi ma molto disponibili, introduce una grave distorsione nel mercato del lavoro favorendo quelle imprese che praticano una simile forma di dumping salariale realizzando sproporzionati utili a danno di quelle che operano con correttezza e subiscono per questo una vera e propria concorrenza sleale.

Uno scandalo, si è detto. Ma non un caso-limite, come ha dimostrato il Dossier pubblicato da “La Stampa”. Dire che in Italia 6 milioni di lavoratori dipendenti, il 30% dell’intera forza-lavoro nazionale, non arriva a guadagnare 12.000 euro lordi al mese, poco più di 600 netti, significa affermare che una parte assai grande del “mondo del lavoro” sta, con dolore, a cavallo di quella soglia di povertà assoluta che segna il confine tra l’essere e il non essere: lo si è detto ma è utile ricordarlo che, come certificato dall’Istat, quella soglia è fissata in una forbice tra gli 852 euro per un singolo che viva in un’area metropolitana del nord e 576 dei piccoli comuni del sud. In entrambi i casi ognuno di quei sei milioni di lavoratori avrebbe grande difficoltà a nutrirsi adeguatamente, vestirsi, curarsi, vivere insomma una vita “dignitosa”, a meno che non abbia in famiglia almeno un paio di altri membri in condizione di lavoro; ma se avesse per sciagura un’altra persona a carico, un figlio, un disabile, un coniuge disoccupato, finirebbe in un abisso. Sono i working poor, quelli cioè che pur avendo un posto di lavoro, restano tuttavia in condizione di povertà assoluta. E che in molti casi hanno dovuto ricorrere per sopravvivere a quel Reddito di cittadinanza tanto vituperato da chi questi problemi non li vive, ma che da quando è in vigore ha comunque salvato dalla miseria oltre un milione di persone all’anno, funzionando in molti casi come strumento di supplenza rispetto a una dinamica salariale asfittica in modo anomalo, con una curva trentennale appiattita sul basso o addirittura negativa mentre in tutti gli altri paesi Ocse cresceva.

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Sanità, le Regioni sulle barricate: “Servono più di 5 miliardi oppure tornerà l’austerity”

venerdì, Marzo 24th, 2023

Paolo Russo

«Siamo arrabbiati, perché circa due settimane fa tutte le Regioni hanno consegnato ai ministri Orazio Schillaci e Giancarlo Giorgetti un documento, un grido d’allarme per ottenere un tavolo urgente di discussione, affinché nessuna Regione in Italia possa andare incontro a contrazioni di spesa». Raffaele Donini, da coordinatore degli assessori regionali alla sanità più che da emiliano, esprime tutto il suo malcontento per un tavolo che dovrebbe mettere più di una pezza sui malandatissimi conti regionali ma che il governo non ha ancora apparecchiato. Anche se, sotto traccia, come annuncia il titolare della Salute nell’intervista a La Stampa, si sta lavorando per reperire le risorse necessarie ad aumentare i posti letto negli ospedali, che ci vedono fanalino di coda in Europa rispetto alla popolazione, oltre che ad incentivare i medici in prima linea negli ospedali. Un po’ andando a lavorare nei residui attivi nei bilanci dei vari ministeri, un po’ potendo fare affidamento su una crescita che si prevede superiore alle attese, il ministro dell’Economia Giorgetti si sarebbe infatti convinto che per la sanità si può fare di più.

Ma stando al documento bipartisan votato all’unanimità sia dalle Regioni di centrodestra sia da quelle di centrosinistra di soldi ne servono tanti. Anche perché per alcune, come il Lazio, il rischio di tornare al commissariamento, con tanto di piani di rientro, si sta facendo sempre più concreto. E questo comporterebbe un’ulteriore contrazione dell’offerta dei servizi. Di certo non aiuterebbe a smaltire le liste di attesa che oggi discriminano chi non può permettersi di aggirarle rivolgendosi al privato.

La situazione dei loro conti le Regioni l’hanno messa nero si bianco due settimane fa. All’appello mancherebbero 5,2 miliardi, solo a contare le spese sostenute per il Covid fino al 2021 non coperte dallo Stato, che ammontano a 3,8 miliardi, più il miliardo e 400 milioni di caro energia, sempre per il 2021. Poi c’è da considerare l’inflazione, che per il 2023 è prevista correre al 7% e «i costi sostenuti sempre per il Covid nel 2022 non coperti a livello centrale, che solo qui da noi in Emilia-Romagna ammontano a 400 milioni», mette in chiaro sempre Donini. Infine il cosiddetto pay back. Lo sforamento di spesa per i dispositivi medici, cose che vanno dalle garze alle Tac e alle risonanze, che sarebbe a carico delle imprese, le quali però non vogliono pagare. Sono altri 2,2 miliardi per il periodo 2015-2018, più un altro miliardo e 800 milioni stimati per gli anni successivi. «Su questo abbiamo chiesto a Giorgetti e Schillaci che se, come si percepisce, il governo verrà incontro alle imprese produttrici mitigando l’impatto del pay back sui loro bilanci, questo sconto non finisca però per gravare su quelli regionali», puntualizza sempre il coordinatore degli assessori.

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Vogliono fare crescere questi bambini dentro un carcere

venerdì, Marzo 24th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Guardatela questa bambina, con i capelli neri lunghi e i piedi che non toccano terra. Si chiama Zinetta, quando è entrata in carcere aveva tre anni, adesso ne ha sette e quel cortile e quella panchina sono il suo posto del cuore nel carcere di Lauro, in provincia di Avellino. Guardate le foto di Anna Catalano, a Napoli, ascoltatela mentre racconta dei bambini che le chiedevano: «Portami via», e poi ditemi se questa è giustizia.

Forse il problema è che quei deputati di Fratelli d’Italia, quei sottosegretari, quei leader politici a vederli da vicino – i bambini in carcere – non ci sono mai stati. Non hanno attraversato il portone dalla vernice scrostata della casa circondariale di Rebibbia, a Roma. Consegnato la borsa con il telefonino, percorso i viali spogli, osservato il mare di cemento in mezzo al quale si trova la sezione nido.

Non hanno visto i più piccoli affollarsi intorno alle assistenti per giocare con le chiavi delle porte di ferro che ogni notte li rinchiudono. Non li hanno visti piangere perché vorrebbero andare fuori, e loro fuori non possono andare. Non li hanno sentiti urlare per la paura di un lavoro di ristrutturazione, «umore, umore», gridava un bambino che non aveva due anni e quel suono lì non lo aveva mai sentito. Non faceva parte del repertorio della sua clausura. E non era l’ora di uscire in giardino quindi no, da quel brutto rumore nessuno lo poteva allontanare.

Non hanno parlato con i medici che visitano i bambini in carcere e raccontano del loro rapporto malato con lo spazio, ristretto da quando hanno memoria. Dei loro problemi di vista perché quasi sempre l’unica luce – bassa – è quella dei neon. Perché la luce del giorno la vedono troppo poco e quando la tua percezione del mondo è in costruzione, questo conta, incide, limita, ammala.

Non hanno visto madri disperarsi quando in un Icam un bambino che da scuola deve tornare dentro, e dentro non può invitare nessuno, comincia a detestare la prigionia associandola alle colpe di chi gli ha dato la vita. Molti di questi rapporti – che in carcere sono simbiotici – si spezzano quando il bambino diventa ragazzo e prende coscienza. Tutte le persone che si occupano di carcere, anche chi lavora con l’infanzia nelle prigioni italiane e fa di tutto per rendere la permanenza dei bambini meno terribile, dice chiaramente: «La condizione detentiva non è compatibile con la salute dei minori». E allora cosa si aspetta?

C’è una legge del 2011 che prevede per le detenute madri che hanno con sé bambini fino a tre anni (nelle sezioni nido) o fino a 10 anni (negli Icam, istituti a custodia attenuata, comunque chiusi e spesso inseriti all’interno delle carceri) la pena possa essere scontata in case famiglia protette. Luoghi inseriti in un tessuto cittadino, ma comunque controllate. Dove si possano fare percorsi di rieducazione per le madri, ci sono anche in carcere, ma da dove i bambini possano uscire e entrare con più libertà. Ce ne sono già due, una a Milano e una a Roma, “La casa di Leda”, dal nome di Leda Colombini, partigiana che ai bambini in prigione aveva dedicato la vita. Da lì in venti anni c’è stata una sola evasione.

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Bollette, 5 miliardi per tre mesi di sconti: ora i bonus premiano chi riduce i consumi

venerdì, Marzo 24th, 2023

Luca Monticelli

Tra una settimana scadono le misure per arginare gli aumenti delle bollette che il governo aveva varato con la legge di bilancio impegnando 21 miliardi di euro. Il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti annuncia un decreto per mantenere gli aiuti contro i rincari di luce e gas per le famiglie a basso reddito anche nel secondo trimestre, ma le risorse a disposizione sono meno di un quarto di quelle messe sul piatto a dicembre.

Nel corso del Question time in aula a Montecitorio, Giorgetti anticipa che il «provvedimento urgente» a cui sta lavorando l’esecutivo, atteso martedì in Consiglio dei ministri, «confermerà l’Iva al 5% sul gas e il bonus sociale per le famiglie con un Isee sotto i 15 mila euro». Per le imprese, invece, ci sarà una «rimodulazione» dei crediti di imposta che terrà conto dell’andamento dei prezzi del metano. Si tratta di norme che dureranno da aprile a giugno per un costo complessivo intorno ai 5 miliardi. Nel pacchetto dovrebbe rientrare anche l’azzeramento degli oneri di sistema della bolletta del gas per altri tre mesi, invece lo stop dovrebbe venir meno per le fatture dell’elettricità. Le agevolazioni alle aziende che finora hanno goduto di crediti d’imposta consistenti saranno “mobili”, ovvero legate alle quotazioni dell’energia sui mercati.

La novità, aggiunge Giorgetti, è una «una misura che decorrerà dal primo ottobre con l’inizio dell’anno termico: un contributo a compensazione per le spese di riscaldamento che sarà erogato ai nuclei familiari tramite la bolletta elettrica». In sostanza, il governo ha in mente un indennizzo per gli ultimi tre mesi dell’anno che scatterà quando il prezzo del gas raggiungerà una certa soglia. L’idea su cui i tecnici stanno cercando la quadra è quella di uno sconto per tutte le famiglie, senza i paletti Isee. Nel decreto sono attesi anche dei meccanismi premiali rivolti ai virtuosi che riducono i consumi.

Proprio sulla questione degli oneri di sistema i consumatori lanciano l’allarme: «Sarebbe un bel guaio non confermare l’azzeramento, una pessima notizia considerato che le bollette sono già da infarto», sottolinea l’Unione nazionale consumatori che stima un rialzo delle utenze di oltre il 30%, con aggravi medi annuali di 425 euro per il gas e di 64 euro per la luce.

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Cibi con farine di insetti, stretta del governo: etichette speciali e scaffali riservati

venerdì, Marzo 24th, 2023

Regole rigide per l’etichettatura dei cibi che contengono farine di insetti. Una regolamentazione, quella avviata dal governo, necessaria per garantire massima trasparenza ai consumatori im un ambito delicato come quello dell’alimentazione. “Emaniamo quattro decreti che riguardano i livelli autorizzativi sulle farine derivanti da insetti”, ha detto Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, in conferenza stampa spiegando che “bisogna adottare una etichettatura specifica sui prodotti che hanno una derivazione da questi insetti. Diamo la possibilità ai cittadini di scegliere, la libertà è una scelta ineludibile ma l’informazione altrettanto”.

“Non discuto – ha proseguito Lollobrigida – che ci si possa nutrire con quello che si ritenga più idoneo alla propria alimentazione” e “non considero questi prodotti in concorrenza con quelli della dieta mediterranea, ma non vogliamo che i prodotti derivati dalla nostra attività siano frutto di commistione con questo tipo di farina”. In merito alle scelte alimentari, “riteniamo che tutto quello che dobbiamo rafforzare sia la capacità di discernimento dei consumatori. L’informazione è la base anche per una corretta alimentazione”, ha concluso.

Federico Caner, assessore regionale del Veneto e coordinatore della commissione Agricoltura della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, spiega che, “ferma restando la contrarietà nei confronti della decisione europea di immissione in commercio delle farine di 
insetti, la Conferenza delle Regioni, chiamata ad esprimersi sull’etichettatura di tali prodotti ha lavorato per inserire ulteriori garanzie per la tutela della salute dei consumatori. Serve cautela e tutte le garanzie”.

La regolamentazione riguarderà ad esempio la presenza di insetti anche in quantitativi minimi, e la stessa gestione alla vendita che dovrà avvenire in scomparti ben identificabili, posizionando i prodotti in scaffalature dedicate. “L’utilizzo di farine provenienti da insetti va ben esplicitata, così come i possibili rischi per la salute”, ha detto Caner. 

Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha spiegato che “l’attuale governo vuole tutelare i consumatori, da eventuali commistioni con l’utilizzo di farine da insetti nei nostri prodotti tipici come pasta e pizza. Vigileremo con attenzione anche grazie al rigoroso controllo dei carabinieri dei NAS sia nell’utilizzo di queste farine sia nel rispetto degli obblighi di trasparenza”. 

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Schlein tira dritto sui capigruppo, esplodono i malumori: “Così manco Renzi”

venerdì, Marzo 24th, 2023

Elly Schlein, da Bruxelles, prova a buttare acqua sul fuoco, ma con l’avvicinarsi del momento in cui la nuova dirigenza Pd, dopo giorni di contatti e strategie, traccerà una linea e stabilirà i nuovi assetti interni, il clima all’interno del partito torna subito incandescente. “Ci prendiamo questi giorni per proseguire un confronto assolutamente sereno e faremo assieme le valutazioni”, ribadisce la segretaria a chi le chiede se anche Brando Benifei, che guida la delegazione dem al Parlamento europeo, dovrà passare il testimone. Alla fine, in realtà, il capogruppo in Europa – pur avendo sostenuto Stefano Bonaccini alle primarie – dovrebbe essere l’unico a restare.

Schlein, infatti, è pronta a varare il nuovo corso. Lunedì la segretaria riunirà (“finalmente”, commentano dalla minoranza) deputati e senatori e avrà un primo momento di confronto con i gruppi parlamentari. All’odg della riunione, convocata nella sala Berlinguer del palazzo dei gruppi di Montecitorio, c’è una generica “discussione sulla nuova fase politica”, ma l’incontro servirà alla leader dem per tracciare la rotta: non solo poltrone e organigrammi, è la linea, ma battaglie “chiare” in Parlamento e, soprattutto, nelle piazze.

“Staremo in mezzo alla gente fino alle Europee, sarà una nuova era”, assicura chi è vicino alla segretaria. In ogni caso, il giorno dopo è atteso il momento delle dimissioni formali di Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, che all’indomani dell’elezione di Schlein hanno rimesso idealmente il mandato nelle mani della segretaria e che ora si preparano ai saluti. E’ qui che montano i malumori. L’accordo sul futuro della guida dei gruppi “è decisamente in salita”, assicurano dalle parti di Bonaccini.

La leader dem, infatti, non avrebbe intenzione di fare passi indietro rispetto alla volontà di indicare due persone provenienti dall’area che l’ha sostenuta alle primarie. I nomi sul tavolo restano quelli di Chiara Braga per la Camera e di Francesco Boccia per il Senato e i bonacciniani, fin qui cauti con le critiche, non nascondono perplessità per la gestione della vicenda. “Speravamo di poter fare insieme una valutazione sugli assetti. Che la segretaria abbia una sua linea ci sta, ma così manco Renzi – è il duro atto d’accusa – Letta ha chiesto le dimissioni dei capigruppo ma ha detto ‘sceglieteveli voi, purché siano donne”.

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Perché i margini di trattativa in Europa sono ridotti

venerdì, Marzo 24th, 2023

di Massimo Franco

L’inizio del disgelo tra Macron e Meloni è un buon segno. Ma va inserito in una cornice che limita i comportamenti e i margini di manovra di tutti

È difficile sottrarsi alla sensazione che quanto sta succedendo a Bruxelles sia condizionato dall’invasione russa dell’Ucraina. E questo rende ogni decisione interlocutoria, destinata a successive verifiche e aggiustamenti. L’inizio del disgelo, o forse solo la fine del gelo tra la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente francese, Emmanuel Macron, che ieri si sono incontrati dopo mesi di veleni, è un buon segno. Ma va inserito in una cornice che limita i comportamenti e i margini di manovra di tutti.

L’insistenza con la quale sia Meloni, sia il capo della Lega, Matteo Salvini, negano qualsiasi contrasto sulla politica estera, ne è la conferma. Nessuno può uscire da un recinto prestabilito. E per il resto, si procede quasi a vista. È così sulla politica migratoria, sulla quale il nostro Paese riceve rassicurazioni ma non garanzie che l’atteggiamento delle altre nazioni cambierà. Vale per la transizione ecologica, che vede il tentativo dell’Italia di ritagliarsi spazi di autonomia rispetto alle regole europee, e per il Piano per la ripresa.

Ieri è stato discusso di nuovo dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, col commissario alle questioni economiche di Bruxelles, Paolo Gentiloni. Si indovinano ritardi mentre deve arrivare il terzo finanziamento. E la neosegretaria del Pd, Elly Schlein, presente nella capitale belga per incontrare i vertici socialisti, esprime «preoccupazione». Ma nessuno può tirare la corda più di tanto. La Lega che ha disertato coi suoi ministri il discorso di Meloni in Parlamento sull’Ucraina, ora minimizza.

La stessa premier ridimensiona l’episodio. D’altronde, è oggettivo che la coalizione di destra alla fine abbia votato compatta, a differenza delle opposizioni che si sono divise. Non poteva essere diversamente, perché, distinguo a parte, l’esecutivo è convinto o costretto ad appoggiare le iniziative dell’Ue e della Nato contro l’aggressione militare russa. E per quanto Salvini e Silvio Berlusconi abbiano probabilmente il cuore che batte di solidarietà non solo verso Kiev ma anche verso Mosca, sanno di dover tenere a bada questi impulsi.

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Meloni-Macron, il faccia a faccia disgelo dura oltre un’ora e mezza. La premier: dalla Tunisia rischiamo 900 mila arrivi

venerdì, Marzo 24th, 2023

di Marco Galluzzo

L’incontro ieri sera a Bruxelles. Al termine del Consiglio europeo Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si sono incontrati faccia a faccia per il primo bilaterale “vero” dopo gli incontri informali a Roma

Meloni-Macron, il faccia a faccia disgelo dura oltre un’ora e mezza. La premier: dalla Tunisia rischiamo 900 mila arrivi
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DAL NOSTRO INVIATO
BRUXELLES Entrano in albergo allo stesso orario, poco prima delle 23. Scelgono una sala privata. Al bar dell’hotel Amigò è già seduto il Cancelliere tedesco con il suo staff. Macron e Meloni invece dicono arrivederci ai loro collaboratori e fanno insieme la scalinata che conduce al primo piano. Le porte si chiudono e a vigilare sulla riservatezza dell’incontro restano le scorte. Se in un primo tempo la notizia era il confronto del disgelo, con il passare dei minuti la prospettiva diventa un’altra: la presidente del Consiglio e il presidente della Francia hanno deciso di parlarsi a tu per tu, da soli . E quando il confronto finisce sono passati 100 minuti, oltre un’ora e mezza. Dopo cinque mesi di gelo i due presidenti avevano tante cose da dirsi.

L’incontro l’ha chiesto lui. Dopo un lungo periodo di incomprensioni, accuse reciproche, parole piccate. All’una di notte sono ognuno nella rispettiva camera, non dicono una parola alle proprie delegazioni. Macron si è lasciato alle spalle un Paese spaccato, con centinaia di migliaia di manifestanti in piazza contro la sua riforma delle pensioni. Eppure ha scelto di esserci, sia al vertice europeo che con la presidente del Consiglio. Per Giorgia Meloni invece è un faccia a faccia che diventa immediatamente, dal punto di vista mediatico, il momento simbolo della sua prima giornata a Bruxelles.
Bastano questi pochi dati di cronaca per definire l’evento comunque eccezionale. Nell’unico altro incontro ufficiale lei non aveva ancora ottenuto la fiducia del Parlamento, e furono le sale dell’hotel Melia, a Roma, ad ospitare una conversazione privata. Non andò benissimo, e le scorie di quel primo confronto si videro poche settimane dopo, con uno scontro diplomatico senza precedenti fra i due apparati istituzionali, sulle responsabilità del porto di approdo di una nave delle Ong.
Da allora le due diplomazie hanno lavorato in silenzio cercando un riavvicinamento. Il Quirinale è intervenuto con una telefonata di Sergio Mattarella al capo dell’Eliseo e con un lavoro fuori dai riflettori che non si è mai interrotto. Alla fine i due leader hanno ripreso a messaggiarsi. Un ulteriore picco negativo nelle relazioni si è avuto, nonostante tutto, quando Macron decise di invitare Zelensky a Parigi, insieme al cancelliere Scholz, escludendo l’Italia.

Eppure, subito dopo, complice un incrocio massiccio di interessi fra i due sistemi economici e politici, che si dispiega in obiettivi paralleli su dossier strategici, dalla difesa all’aerospazio, dall’integrazione delle due economie ad interessi geopolitici convergenti, i due leader hanno ripreso a parlarsi.
Sul piatto dell’incontro c’è di sicuro anche una richiesta francese, quella bollinatura delle tecnologie nucleari fra quelle compatibili alla transizione energetica che per Parigi è essenziale. L’Italia può dare una mano. E certamente, in cambio, può dare Parigi una mano a Roma, in primo luogo sull’esplosiva situazione della Tunisia, ma più in generale su tutto il dossier migranti.

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