Archive for Giugno, 2023

Il decennio della fase breve con il ritorno alle origini

mercoledì, Giugno 14th, 2023

di Paolo Mieli

Rifiutando la formula «Ursula», Berlusconi ha offerto una prospettiva alla destra che verrà dopo di lui

Il decennio della fase breve con il ritorno alle origini
Illustrazione di Doriano Solinas

La versione ufficiale degli ultimi trent’anni, già consegnata a provvisori libri di storia, divide l’esperienza politica berlusconiana in due parti. La prima, la «fase lunga», va dal 1993, quando Silvio Berlusconi si pronunciò a favore di Gianfranco Fini sindaco di Roma, al 2011, allorché l’allora presidente del Consiglio fu costretto a cedere a Mario Monti la guida del governo. Nel corso dei diciotto anni Berlusconi è stato più volte a Palazzo Chigi: la «fase lunga» è considerata anche per questo un’epoca eroica, combattiva, vitale, creativa. La «fase breve», durata poco più di dieci anni (2011-2023), è invece tenuta nel conto di un lento, agonizzante declino, assai poco significativo. Credo che, con l’andare del tempo, questo giudizio andrà rivisto e l’esperienza politica di Berlusconi dovrà essere riconsiderata proprio alla luce della stagione più recente. Non foss’altro per il fatto che nel corso della «fase breve» l’uomo ha saputo affrontare la prova più difficile della sua esistenza: la condanna del 2013 e la resurrezione (da tutti ritenuta impensabile) che lo ha riportato, pochi mesi prima di morire, tra i banchi di Palazzo Madama.

Torniamo al 2011. Nel momento in cui consegnò a Monti i propri voti di maggioranza, Berlusconi probabilmente si rese conto che stava abdicando.

Al di là delle apparenze, la scelta del 2011 era assai diversa da quella per altri versi analoga del 1995 (con Lamberto Dini). All’epoca, anche per le intemperanze della Lega di Umberto Bossi, Berlusconi poteva mettere nel conto di essere sconfitto da Romano Prodi, di dover compiere — come disse — una traversata del deserto, per poi, però, ripresentarsi ai nastri di partenza e vincere una seconda volta. Cosa che avvenne nel 2001: centrodestra contro centrosinistra in condizioni simili (più o meno) a quelle del 1994.

Dieci anni dopo, nel 2011, tutto era cambiato. Berlusconi si arrendeva a una pressione europea e si rassegnava ad entrare, intruppato con la sinistra, in una maggioranza di sostegno al governo presieduto da Monti. Stavolta, a differenza del ’95, era chiaro che a Palazzo Chigi non sarebbe tornato mai più. Dopo le elezioni del 2013 — nelle quali si affacciò trionfante il M5S — l’uomo di Arcore, pur rinfrancato da un esito non deludente, si sentì praticamente obbligato a donare i propri voti per la rielezione di Napolitano alla Presidenza della Repubblica, rassegnandosi poi a tornare, da gregario, in una maggioranza a guida Pd. E fu il governo di Enrico Letta. Trascorsero poche settimane e venne la condanna di cui si è detto: uno scatto d’ira lo indusse a uscire da quella maggioranza (ma i «suoi» ministri restarono con Letta). Qualche tempo dopo acconsentì alla trattativa con Matteo Renzi per la riforma delle istituzioni. Andata in frantumi, quella riforma, per l’elezione non concordata al colle di Sergio Mattarella (2015).

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I leader ai funerali di Berlusconi: Conte non ci sarà, Schlein sì. E Bindi contesta il lutto

mercoledì, Giugno 14th, 2023

di Maria Teresa Meli

Oltre a Mattarella, a Milano Meloni, Salvini e Tajani. Poi Bossi, Orbán e gli ex premier Draghi e Monti. L’ex ministra: era divisivo. Renzi: lei parla solo male di altri

I leader ai funerali di Berlusconi:  Conte non ci sarà, Schlein sì. E Bindi contesta il lutto

Giuseppe Conte non andrà ai funerali di Berlusconi. È una decisione di quelle che creano un certo scalpore. Primo, perché a disertare una cerimonia di Stato è un ex premier. Secondo, perché il leader del M5S era in maggioranza con Berlusconi ai tempi del governo Draghi. Governo che i due, insieme a Salvini, fecero poi saltare.

Elly Schlein, invece, non seguirà l’esempio del suo futuribile alleato. Dopo ore di tira e molla al Nazareno, che qualcuno nel Pd ha paragonato al «mi si nota di più se vengo o se non vengo per niente» di Nanni Moretti in Ecce Bombo, alla fine una decisione è stata presa. Schlein oggi andrà ai funerali. Con la segretaria i capigruppo dem Chiara Braga e Francesco Boccia. Prenderà parte alla cerimonia pure il segretario del Pd lombardo Vinicio Peluffo. Anche l’ex leader ds Fassino parteciperà alla cerimonia. E, se riuscirà a spostare un impegno all’estero fissato in precedenza, sarà presente pure Enrico Letta. Non hanno avuto esitazione alcuna a decidere di andare Renzi e Calenda, per una volta concordi.

Gallery: Le foto della vita di Berlusconi: le tv, gli amori, la politica

Dunque, Pd e Terzo polo non portano la battaglia politica contro il centrodestra fino alle estreme conseguenze e di fronte alla morte del leader di Forza Italia si fermano. Non così Conte. E come l’ex premier anche i rosso-verdi Fratoianni e Bonelli. I due hanno annunciato che diserteranno quell’appuntamento. Assente anche Bersani. Le opposizioni, quindi, non sono unite anche in questa occasione. Nel centrosinistra fa discutere la sospensione di una settimana delle votazioni di Camera e Senato, mentre divide e scatena polemiche la decisione di indire il lutto nazionale. Rosy Bindi, protagonista di più di una polemica con Berlusconi è dura: «Il lutto nazionale per una persona divisiva come Berlusconi non è una scelta opportuna. Ha segnato l’Italia in negativo e invece siamo nella fase della santificazione. Questo non va bene». Caustica la replica di Renzi: «Rosy è una donna che ha visibilità quando parla male di qualcun altro. Solitamente di Berlusconi, talvolta di me». Ma sulla stessa linea di Bindi si attestano Riccardo Ricciardi dei 5 stelle e Fratoianni. Accusa il primo: «Fa impressione una caserma della Guardia di Finanza con la bandiera a mezz’asta per uno condannato per frode fiscale». «Scelta eccessiva», la definisce Fratoianni, che chiede: «Quanti giorni di lutto avrebbe dovuto fare il Paese quando uccisero Falcone e Borsellino?». Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, annuncia che nell’ateneo non ci saranno bandiere a mezz’asta.

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Uno, nessuno, centomila B

mercoledì, Giugno 14th, 2023

di Massimo Gramellini

Se fossi chiamato a tenere un discorso ai funerali di Stato, cosa che per fortuna dello Stato non avverrà, e mi venisse chiesto un aneddoto — uno solo — in grado di illustrare l’essenza dell’uomo, credo che ignorerei le tv, la politica, il sesso e gli affari, e mi concentrerei su una monetina. Una monetina da cento lire, come quella che, nella primavera del 1990, dagli spalti dello stadio di Bergamo planò sulla testa del centrocampista Alemao, consentendo al Napoli di vincere la partita a tavolino e di precedere il Milan in classifica.

Berlusconi non se ne fece mai una ragione. Dapprima ordinò una perizia, nientemeno che all’università di Stoccarda, dalla quale risultò che la parabola compiuta dalla monetina per scavalcare la recinzione che separava il campo dalle gradinate ne aveva ridotto sensibilmente la velocità, rendendola più innocua di un petalo di rosa. «Ma essendo come san Tommaso» si infervorava nelle convention, «ho voluto sperimentare anche di persona. Ho mandato mio figlio (in realtà il maggiordomo) al primo piano di Arcore e gli ho ordinato di tirarmi una monetina sulla testa. Poiché non ho sentito nulla, l’ho pregato di salire al secondo e di tirarmela da lì: ho avvertito un dolore risibile. Solo quando sono stato colpito dal terzo piano mi è venuto un bernoccolo guaribile in tre giorni».

Era dunque questo, Berlusconi? Un uomo che per avere ragione adorava presentarsi come vittima, al punto da arrivare ad infliggersi il martirio da solo? Dopo avere letto i giornali di ieri, compresi quelli stranieri che quasi all’unanimità lo dipingono ingiustamente come un fenomeno da baraccone, mi sono accorto che ognuno di noi ha il suo Berlusconi, apparentemente incompatibile con quello degli altri. Come se ci fosse impossibile accettare che nella stessa persona possano coesistere il nostro pregiudizio e il suo contrario.

Marchionne, che era un po’ italiano e un po’ no, non si capacitava che l’uomo capace di accoglierlo a Palazzo Chigi dicendo «sai perché i cannibali piangono mentre gli esploratori bianchi cuociono in pentola? Per intenerirli» riuscisse a conciliare lo spiritaccio da animatore di villaggio-vacanze con il senso del business. Quando Marchionne disse che non aveva tempo da perdere con le storielle, avendo molto da lavorare, l’altro gli rispose che quello per lui era il lavoro: condire gli affari di barzellette e di barzellette gli affari. Berlusconi era davvero tante cose, in contemporanea. Il playboy vanesio del bunga-bunga, ma anche il classico italiano medio che la sera costringeva le sue ospiti di palazzo Grazioli a sedersi davanti a uno schermo per sorbirsi il rito a tutti noi tragicamente noto del Filmino delle Vacanze, che per lui erano i viaggi di Stato all’estero: Silvio con Bush, Silvio con Putin e Silvio con Silvio, il suo preferito.

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L’abbraccio dei 5 figli durante la messa privata nella villa di Arcore: «Dolcissimo papà, grazie per la vita»

mercoledì, Giugno 14th, 2023

di Gianni Santucci

Momenti di commozione profonda tra i cinque eredi. Il ricordo sulle pagine del Corriere:  «Grazie per l’amore. Vivrai sempre dentro di noi»

Berlusconi

Nella cappella di villa San Martino, ad Arcore, la famiglia s’era ritrovata il 5 febbraio del 2008, per la messa funebre di Rosa Bossi Berlusconi, deceduta due giorni prima, a 97 anni. E poi ancora l’anno dopo, nel febbraio 2009, per un altro lutto, il decesso di Maria Antonietta, Etta, la secondogenita di mamma Rosa, morta a 65 anni. Cerimonie funebri in forma privata, non più di venti persone, parenti e pochi amici, molto vicini. Lì, nella stessa cappella della villa di Arcore, si è tenuta una messa anche martedì, a metà del mattino, con un senso di raccoglimento ancor più intenso, col fratello Paolo e i cinque figli intorno al feretro di Silvio Berlusconi. 

Mercoledì in Duomo, con le telecamere e i fotografi, i cittadini e le istituzioni, i ministri, i capi di governo e le scorte, la dimensione pubblica riprenderà tutto il suo spazio. Il giorno prima è stato una sorta di funerale intimo, esclusivamente familiare, con momenti di commozione profonda, e un raccoglimento che ha lasciato trasparire un’impressione di forte vicinanza tra Marina e Pier Silvio, figli della prima moglie di Berlusconi, e i ragazzi più giovani, figli delle seconde nozze, Barbara, Eleonora e Luigi. Come se davanti alla morte del padre abbiano trovato un’unione diversa, capace in qualche modo di colmare una distanza che sempre c’è stata.
Che quel senso d’unità resista anche in futuro non è possibile dirlo, e però i cinque figli di Berlusconi hanno voluto comunicarlo anche all’esterno, con la pagina acquistata sul Corriere della Sera nella quale si rivolgono al «Dolcissimo papà», e gli dicono: «Grazie per la vita. Grazie per l’amore. Vivrai sempre dentro di noi». Firmato semplicemente Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora, Luigi, sopra una foto di Berlusconi di profilo, sorridente.

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Silvio Berlusconi, il presidente di tutti

martedì, Giugno 13th, 2023

Andrea Indini

Silvio Berlusconi, il presidente di tutti

Presidente, sempre. Di Forza Italia prima, del centrodestra unito poi. Il Pdl. Ma soprattutto presidente del Consiglio. Premier, per ben quattro volte. Presidente, anche fuori dai Palazzi della politica. Presidente dai campi da calcio all’editoria. Dal sogno rossonero al Giornale di Indro Montanelli. Il nostro Giornale.

Lui, il Cav. Che più di tutti ha contribuito a rendere grande il nostro Paese, creando posti di lavoro e ricchezza. Cavaliere del lavoro, appunto. Ma anche Cavaliere dei sogni. Perché è sempre riuscito a vedere il futuro laddove ancora non c’era nulla. Case, strade, asili, parchi: intere città, pensate e costruite a misura d’uomo. E tutti questi sogni li ha fatti brillare sin dentro alle case degli italiani. Canale 5, l’ammiraglia. E poi Italia1 e Rete4. Un nuovo modo di fare televisione, libero dal monopolio statalista della Rai. Un nuovo modo di raccontare l’Italia, tutto proiettato nel futuro.

Per tutti era semplicemente Silvio. Perché era così che parlavano di lui. E non certo per mancargli di rispetto. Tutt’altro. In ognuno di noi, in un modo o nell’altro, c’è un pezzo (grande o piccolo) di lui, di Silvio. Nessuno tra i grandi capitani d’industria del passato, tra i giganti dell’imprenditoria di oggi o tra i capi di Stato che hanno segnato la politica della nostra Repubblica, è mai riuscito, infatti, a fare quanto lui. Tutti grandi nel loro settore, Berlusconi grande in tutto.

C’è probabilmente un’immagine che più di tutte racconta al meglio questo attaccamento degli italiani al Cav. È il 9 aprile del 2009. Tre giorni prima, alle 3:32 di notte, un terremoto ha devastato il Centro Italia. L’Aquila e tutt’intorno la provincia sembrano appena state bombardate. È un dramma per i morti (più di 300) e per i feriti (più di 1.600) ma anche per tutte quelle persone che sono rimaste senza una casa dove ripararsi, un letto su cui dormire, una tavola attorno a cui raccogliersi e mangiare. È l’immagine di un’Italia in ginocchio. Berlusconi vola subito sul posto. Il sopralluogo nella zona rossa e lì incontra un’anziana signora. È in lacrime, si trascina verso di lui e chiede il suo conforto. “Non c’è più niente!”, gli dice. E poi, dandogli del tu: “Silvio aiutaci, Silvio! Silvio, aiutaci! Non c’è più niente!”. E lui, lì da presidente del Consiglio, a rappresentare lo Stato, ad affermare col corpo e la presenza che lo Stato c’è, non risponde solo da premier. Risponde, soprattutto, da Silvio. La abbraccia, la consola. “Facciamo tutto, guardi – le promette – vedrà che l’Italia risponde”. “Nemmeno i denti c’ho più! Stanno là dentro!”, fa lei indicando la casa in macerie. “Glieli recuperiamo, signora, le recuperiamo tutto. Stia tranquilla”.

È con la stessa familiarità che gli italiani gli hanno sempre dato del tu almeno una volta nella vita. Perché se nomini Silvio è matematico che parli di Berlusconi. Allo stadio, sicuramente. Da quel febbraio 1986 in poi. L’ingresso colossale in elicottero e poi, a raffica, gli scudetti, le cinque Coppe dei Campioni, il Milan nel cuore. Silvio anche per gli avversari. In campo come in parlmento. Un amore, quello con la politica, che ha avuto inizio nel 1994 con un video che ormai tutti conoscono a memoria: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà”. Forza Italia e il progetto liberale. Un intero popolo che si è riconosciuto in lui, al di là del partito. “Presidente siamo con te – cantavano – meno male che Silvio c’è”. Senza specificare il cognome. Non ce n’è mai stato bisogno. Nemmeno per i nemici più feroci.

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La fine della Seconda Repubblica

martedì, Giugno 13th, 2023

Marcello Sorgi

Con Berlusconi muore la Seconda Repubblica, di cui è stato indiscutibilmente uomo simbolo, come Andreotti lo era stato della Prima. Forse bisognerebbe scrivere «muore definitivamente», perché qualcuno potrebbe obiettare: ma non era già morta e sepolta? Sì e no. Nel senso che, finché c’era ancora Berlusconi, l’idea del maggioritario, dello scontro tra centrodestra e centrosinistra, dell’alternanza tra governi scelti dagli elettori non poteva considerarsi finita del tutto. Prova ne sia che uno degli ultimi avversari di Berlusconi, il più civile, il meno demonizzatore, e insomma Veltroni, che da leader del neonato (oggi assai sofferente) Pd lo sfidò nel 2008, perdendo ma con il risultato storico di sfiorare il 34 per cento, ancora adesso, ogni tanto, prova a riaprire il discorso su quel sistema. In quella sorprendente campagna elettorale, Veltroni lo definiva semplicemente «il leader dello schieramento avversario», ottenendo furbamente che votasse per il Pd una parte dei moderati italiani, un target molto studiato, assimilato ai democristiani di sinistra ma non solo. Gli stessi che poco dopo la sconfitta lo fecero fuori, sostituendolo con il dc di sempre Franceschini, per molti anni in servizio come capo delegazione al governo e ministro della Cultura, e solo da pochi mesi all’opposizione.

Berlusconi nel 2008 vinse, anzi stravinse, e in meno di due anni si mangiò la vittoria in una stupida litigata con Fini, suo alleato storico, che alla fine pagò il conto più salato della lite e uscì dalla politica, dopo una modestissima, per lui – leader della destra-destra e uomo che aveva legittimato i post-fascisti portandoli fuori dalla nostalgia del fascismo -, candidatura al centro con Casini, che non riuscì a farlo rieleggere.

A quel punto, la Seconda Repubblica aveva già compiuto quattordici anni, da quell’incredibile 1994 in cui il Cavaliere era apparso sulla scena con il chiaro obiettivo di liquidare la “partitocrazia” della Prima e c’era riuscito, seppure per pochi mesi la prima volta, grazie al Mattarellum, la legge elettorale concepita da un grande esperto della materia, che allora non poteva immaginare che sarebbe stato il successore di Napolitano. Berlusconi, che secondo il suo amico e sodale da una vita Confalonieri era “un sacramento”, un modo di dire milanese per definire uno fuori dal normale, studiò attentamente quella legge assai complicata e ne ricavò che poteva portare al governo “i comunisti”, che pure avevano cambiato nome. Un epilogo da evitare a qualsiasi costo e l’inizio di una nuova vita, la terza, per il costruttore che aveva edificato “Milano 2” e inventato la tv privata in Italia.

Negli stessi giorni, siamo alla fine del ‘93, un professore di scienze politiche poi diventato ministro, il liberale torinese Giuliano Urbani, ebbe lo stesso timore. Chiese udienza all’avvocato Gianni Agnelli e gli illustrò il piano per impedire la conquista del potere da parte degli eredi del Pci: sfruttando la presenza sul territorio della Fiat e scegliendo accortamente i candidati, si poteva evitare lo sbocco temuto in quel momento da tutti i democratici. Ma Agnelli non aveva alcuna voglia di trasformare le concessionarie della sua casa automobilistica in sedi di partito, né di diventare un leader politico, né di affrontare uno scontro con “i comunisti”, che non amava, ma con i quali faceva i conti da molto tempo nelle fabbriche. Così declinò. Non senza segnalare, però, al prof. Urbani, l’uomo che a suo giudizio aveva le qualità e l’apparato necessario per affrontare la sfida: Berlusconi. Per aiutare Urbani, lo chiamò direttamente al telefono, e lo pregò di ricevere il prof. Forza Italia nacque così, con i dirigenti di Publitalia trasformati in agit-prop, Berlusconi leader della campagna, uomini e donne delle sue tv ventre a terra per farlo vincere, e al comando delle operazioni un gran visir poi finito in galera per rapporti con la mafia: Marcello Dell’Utri.

Questa è storia, ormai, nel bene e nel male. Ma ciò che Berlusconi aveva capito, e rimane un’intuizione ancor oggi, è che accanto a quella dei partiti, del sindacati, del cosiddetto mondo collaterale, che governava la raccolta dei voti, con metodi, va da sé, anche inconfessabili, esisteva un’altra Italia, stufa del vecchio sistema, travolto, non solo dai referendum di Mariotto Segni del ‘91 e ‘93, che avevano introdotto il maggioritario, ma dall’inchiesta di Tangentopoli che aveva messo alla sbarra e fatto condannare, con metodi giustizialisti oggi considerati in gran parte inaccettabili, il gruppo di comando del “Pentapartito” e della Prima Repubblica. Un’Italia che non aveva lo stipendio fisso, eppure campava. Un’Italia che aveva preso a modello le tv di Berlusconi, il suo stile di vita, la sua storia personale di piccolo borghese che grazie al suo intuito e al suo coraggio imprenditoriale costruisce un impero e diventa miliardario. Un’Italia che amava divertirsi e non solo lamentarsi. L’Italia di Milano 2 e Milano 3. L’Italia di “Drive in” e dei primi programmi a colori di Canale 5.

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Il populismo e l’adesione ai valori occidentali

martedì, Giugno 13th, 2023

di Massimo Franco

Il fatto che Silvio Berlusconi abbia plasmato non solo il centrodestra ma, quasi di rimbalzo, la stessa opposizione di sinistra, dilata gli interrogativi sul futuro. Non solo quello di Forza Italia, partito del quale era padrone, non semplice leader. Ma dell’intera maggioranza e, più in generale, del sistema politico. La fretta con la quale i fedelissimi assicurano continuità nel suo nome riflette questa incertezza. E acuisce l’impressione di un elettorato che si sente orfano.

Ma probabilmente sono altrettanto nostalgici molti dei nemici che hanno mostrato rispetto nei suoi confronti soprattutto quando non ne hanno avuto più paura: e cioè dopo almeno due decenni di subalternità culturale, prima ancora che politica; e dopo avere tentato e sperato a lungo di sfruttare i processi nei quali era imputato per metterlo fuori combattimento. La sua dote di federatore della nebulosa anticomunista è stata indubbia. E lo ha reso l’interprete più naturale di un sistema maggioritario fondato sulla personalizzazione del potere e su un’evocazione di «sogni» di cui un’Italia disorientata dalla fine della Guerra fredda si è nutrita golosamente.

Anche per questo Berlusconi è stato additato come una sorta di precursore del populismo: fenomeno che negli anni è stato imitato un po’ da tutti, e non solo in Italia. Eppure, accanto alla retorica antisistema Berlusconi ha tenuto ferma un’adesione ai valori occidentali, entrata in collisione con un’Europa assillata dal debito dei suoi Stati membri. L’allontanamento da Palazzo Chigi, nell’autunno del 2011, non dipese dagli scandali o dai processi ma dal rapporto conflittuale e compromesso con l’Unione europea; e dal rischio di un collasso finanziario dell’Italia per le riforme mancate.

Nella narrazione berlusconiana e in quella dei suoi ammiratori, perfino in Vaticano, ristagna la tesi del complotto ordito dal Quirinale e dai «poteri forti» internazionali. Da allora, il Cavaliere non ha smesso di rivendicare le sue ragioni e alimentare la propria leggenda di vincente. Senza tuttavia riuscire, anche psicologicamente, a preparare una successione: come se la storia di FI dovesse cominciare e finire con lui. Probabilmente era inevitabile. Per questo non sorprende il vuoto che lascia. L’omaggio tributatogli dalla premier Giorgia Meloni e dal capo della Lega, Matteo Salvini, oltre che dovuto a chi li ha portati al governo nell’ormai remoto 1994, è un segnale al suo mondo.

Esiste un bacino di consensi oggi ridotti, come hanno dimostrato le elezioni del 25 settembre del 2022. Eppure tuttora ancorati alla personalità berlusconiana, al suo ruolo nel Partito popolare europeo, e a un moderatismo che Meloni e Salvini non rappresentano né intercettano pienamente. Si tratta dunque di voti «strategici», e da ieri più che mai in libera uscita: anche se difficilmente potranno essere ereditati in automatico dagli alleati; tanto meno dagli avversari storici. Renderanno semmai più acuta l’esigenza di trovare un contenitore in grado non solo di esprimerli ma di aumentarli.

In questi mesi, pur soffrendo per lo spostamento dei rapporti di forza a favore di FdI, e nonostante l’imbarazzo di Palazzo Chigi per la sua amicizia con Vladimir Putin, Berlusconi è rimasto un elemento di stabilità e di garanzia per l’unità di un centrodestra sbilanciato a destra. Adesso, la competizione tra Meloni e Salvini non avrà più la mediazione del leader di Fi, ma solo quella della famiglia e del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Per il resto, la maggioranza si troverà di fronte un partito oggettivamente in bilico. E questo potrebbe rendere urgente una fase nella quale sia Meloni, sia Salvini dovranno ricalibrare la propria identità.

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Berlusconi, l’uomo che voleva piacere a tutti: un Casanova della politica e della tv”

martedì, Giugno 13th, 2023

CONCITA DE GREGORIO

Silvio Berlusconi era un uomo simpaticissimo, infantile e molto generoso. Raccontava barzellette desolanti, sconcertanti, imbarazzanti, ma lo faceva con tanto audace sorgivo entusiasmo che non riuscivi mai a dirgli guarda che non si può, come ti viene in mente. Finivi sempre per sorridere alla sua incomprensibile ingenuità, che poi era soprattutto voglia di piacere al prossimo. Berlusconi voleva piacere a tutti. Se non si capisce questo, se non lo si è visto coi propri occhi una e mille volte non si può poi parlare del lestofante che certamente è anche stato, tecnicamente criminale in quanto condannato per crimini, quei crimini che un popolo intero è continuamente tentato di commettere: non pagare le tasse, frodare il fisco, corrompere e comprare col denaro quel che non si può comprare ma succede, invece, comprare persone soprattutto se hai i soldi per farlo, fare affari con il malaffare se questo è il dazio per procedere nella propria marcia, trattare e non opporsi alle mafie di ogni genere e specie, opporsi è fastidioso a volte come sappiamo mortale, conviene chiedere quant’è, piuttosto: quanto costa. Voleva piacere a tutti, scusate se indugio ma sono convinta sia la chiave, è stato un grande Casanova della politica e della tv, del calcio e degli affari.

Aveva orrore del degrado fisico, pensava che avere i capelli fosse un fatto di “rispetto per il prossimo”, che farsi un lifting fosse una questione di decenza come saper usare le posate a tavola, non emettere flatulenze in pubblico e portare una giacca consona all’occasione: buona educazione. Veniva da una famiglia semplice e non agiata, padre impiegato di banca madre casalinga, il padre con qualche inventiva anche irregolare forse – dicono le cronache – lui certamente assai di più. Era un ragazzino molto intelligente, vendeva i compiti in classe, era intonato, cantava nelle navi da crociera. Aveva numeri, li ha messi a frutto: ha cominciato da un’agenzia pubblicitaria, che la pubblicità è l’anima del commercio, no? Ha fatto di un’agenzia pubblicitaria la leva per il governo del Paese. Ha cambiato il Paese per sempre, da una piccola concessionaria. Con ogni mezzo, certamente. Lecito e illecito ma senza mai restarci sotto: provateci voi. Era generoso, di una generosità cinica ma istintiva, a volte commovente. Sono stata direttrice dell’Unità negli anni del suo strapotere. L’apoteosi e l’inizio del declino, il Bunga Bunga e il resto. Ho pubblicato per prima le foto di Topolanek a villa Certosa, del cantore Apicella sull’aereo di Stato: titolo “È qui la festa?”. Non c’è stato giorno in cui non abbia, non abbiamo dato l’assillo sulle feste eleganti, sulla minore età eventuale delle ospiti, sulle buste alle olgettine e le nipoti di Mubarak. Quando poi anni dopo i nuovi editori del giornale a lui nemico, rottamatori del vecchio Partito Democratico e nuove speranze della sinistra, speranze purtroppo e prevedibilmente disilluse, hanno fatto in modo di lasciare i debiti arcaici e strutturali dell’azienda ai semplici dipendenti dell’epoca lui ha telefonato, un giorno, per dire: sono dei miserabili. Lei è una professionista, ha carattere e talento, non lo merita. Fossi stato io l’editore avrei saldato, posso fare qualcosa? Niente, grazie. Si figuri, non c’è di che. Nessuno fra i suoi consanguinei e i suoi famigliari ha mai avuto quel garbo, quel passo e quel fiuto imprenditoriale e animale, posso garantire. Nessuno di chi gli è stato intorno, fossero familiari o beneficiari/e, ha mai avuto la prodezza di dire a un politico di sinistra in carica, eletto sindaco: lei è molto bravo, ha anche un bell’aspetto, ha il talento di chi vince, vuol mica venire con me? Poi molti gli hanno detto di no, che Berlusconi era il male assoluto, ma tanti gli hanno detto di sì, invece.

Quindi, riassumendo. Ripartiamo da quando Giorgio Gaber diceva: non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me. È stato un tipo umano che riassumeva un popolo e ne era campione. L’arci-italiano. Chiunque avrebbe voluto essere il tizio che partiva dal niente e dominava la scena: chiunque ha pensato se lo fa lui si può fare. Ma no, invece. Perché devi essere Logan Roy, il protagonista di Succession, il Murdoch del tuo tempo e del tuo posto. Devi avere i numeri, il pelo sullo stomaco e la maschera, l’intuito e la sveltezza. Pazienza per quelli attorno a te. Consanguinei e famigliari, vassalli e valvassori. Devi essere l’eroe di una serie tv buona per molte stagioni, e difatti. Negli anni Novanta, ha cominciato. Aveva 58 anni, mica pochi, quando è “sceso in politica”. Perché scendere gli conveniva, certamente. Proteggeva le sue aziende e la sua persona. Ma come andò, ricordiamo. Andò così. Aveva generato un impero anche grazie ai buoni uffici del Partito socialista, di Bettino Craxi. Fu fatta una legge, la legge Mammì, ad aziendam più che ad personam: la prima di una lunga serie. Poté competere con il servizio pubblico, il monopolio. Ebbe le concessioni. Cambiò il costume. L’immaginario. Drive In, le vallette. Le donne nude e la vita a premi, la Rai si adeguò. È stato l’inizio di una stagione nuova, in cui piacere al pubblico dunque esser popolari era sinonimo di successo. Ci si poteva candidare, ad essere pop, e vincere. Si vinse. Si usarono tutti i mezzi. Si fecero affari con chi non si doveva, si fu spregiudicati. Qualcuno fra i pregiudicati si prestò. Non fu abbastanza, l’evidenza dell’illecito. La marcia trionfale proseguì. La sinistra provò ad opporsi. Fu rilevante avere un siffatto avversario, fu per molti profittevole: politici, giornali. Non sufficiente, tuttavia. Qualcuno vinse, talvolta, Prodi per esempio, qualcuno in definitiva perse: nessuno fu in grado di generare un’idea di mondo altrettanto potente. Gli epigoni, alla fine, hanno fatto il loro privato interesse ma non quello di tutti. Renzi, per esempio, che Berlusconi in qualche momento ha rispettato ma infine espulso, come possibile antagonista o erede.

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Ghisleri: “Berlusconi cambiò linguaggio alla politica, più dei processi poté la moglie”

martedì, Giugno 13th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

«Berlusconi aveva il costante bisogno di capire cosa accadesse nel mondo reale», lontano dalla vita ricca e privilegiata che conduceva. «Cercava una connessione e la trovava nei nostri racconti», dice Alessandra Ghisleri, la sondaggista che più ha collaborato con l’ex presidente del Consiglio. Fin dal 1999, quando aveva solo 27 anni.

Berlusconi morto, segui le news in diretta di oggi 13 giugno

Se lo ricorda quel giorno?
«Era un sabato e mi chiesero di andare ad Arcore. Ci arrivai così com’ero vestita. Era il 1999, bisognava preparare le Regionali e le Europee. Il presidente non mi aveva mai vista, mi squadrò, poi mi disse: “Si sieda accanto a me con il computer così seguo lei mentre fate la spiegazione”. Ero una ricercatrice junior, a dir poco intimidita».

Andò bene. E fu così per molto tempo. Cos’è che secondo lei ha determinato un successo durato tanti anni?
«Berlusconi ha dato vita al sogno americano, che è diventato un sogno italiano».

Il self made man?
«Ha messo su aziende, ha dato lavoro, ha vinto tante scommesse importanti. Ha portato un numero uno come Mike Bongiorno all’entertainment, un altro come Enrico Mentana all’informazione. Per tante persone ha rappresentato la possibilità di crederci».

E ha costruito un racconto di sé che va dal pianobar sulle navi da crociera all’impero immobiliare e televisivo.
«Nelle elezioni del 2001, che consacrarono il suo successo politico, mandò nelle case degli italiani un libro con la sua storia. Voleva scegliere come essere raccontato».

La videocassetta mandata ai tg per la discesa in campo è la prima grande opera di disintermediazione in politica.
«Conosceva benissimo i meccanismi della comunicazione ed era anche un attentissimo osservatore. Prima di lui c’era una politica paludata che la gente non capiva più. Lui ha cambiato il gergo, ha fatto una rivoluzione prima di tutto nel linguaggio, poi nel comportamento. I suoi uomini dovevano essere tutti vestiti in un certo modo. La cravatta larga era un timbro».

Studiava i sondaggi personalmente?
«Certo. E mi richiamava se la grafica non era bella, se c’era un carattere che non gli piaceva. Tutti a dimensione 18, per il vezzo di non portare gli occhiali. Un giorno mi rimandò indietro un report con scritto di suo pugno quale sua fotografia dovesse esserci, quando ne testavamo la popolarità».

Vanità?
«No, perfezionismo. In tutto. Anche nella strategia politica. Ogni mossa, dal discorso di Onna al predellino, veniva decisa molto prima e testata prima con alcune persone, poi con altre. Ascoltava tutti e alla fine decideva».

Di lei si è sempre fidato?
«Gli dicevo le cose come stavano. Quando aveva sondaggi belli era così fiero che li portava ai capi di Stato. E poi ha sempre avuto trovate geniali. Ricordo quando nel 2009 mi chiamò: c’era appena stato il terremoto all’Aquila, lui pensò di spostare lì il G8. Gli dissi che poteva essere male interpretato, le persone stavano soffrendo, ma aveva ragione: ha fatto in modo che il mondo vedesse quella sofferenza e ne fosse partecipe».

Era un accentratore che non ha lasciato eredi politici.
«Ci ha provato. Prima il rapporto con Gianfranco Fini, poi con Angelino Alfano».

Il primo lo ha silurato con un gesto, il secondo dicendo che gli mancava il quid.
«Sapeva essere chirurgico. Sono stati rapporti molto complicati. A me ha dato delle chance pazzesche: mi ha portata al tavolo con i consiglieri di Obama, Bush, Blair, Clinton. Voleva sempre studiare tutto. Imparava, assimilava e se la rigiocava. E comunque, avocava a sé onori e oneri. Si è sempre sobbarcato anche le cose più difficili».

Spesso sembrava voler sedurre anche gli avversari.
«Dopo il discorso di Onna, quando mise il fazzoletto dei partigiani, lo chiamai, era in elicottero con Bonaiuti. Gli dissi che aveva il 75 per cento di indice di fiducia. Ci fu un momento di silenzio».

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Massimo Cacciari su Berlusconi: “Re della Tv, statista fallimentare: con Forza Italia ha rivoltato la politica”

martedì, Giugno 13th, 2023

Andrea Malaguti

Massimo Cacciari, giusti i funerali di Stato per Silvio Berlusconi?
«Certo, perché no? È stato quattro volte presidente del Consiglio e da trent’anni è la figura centrale della politica italiana. Mi sembra normale».

Berlusconi morto, segui le news in diretta di oggi 13 giugno

È normale anche il lutto nazionale?
«Non ricordo precedenti per la scomparsa di un presidente del Consiglio, ma mi sembra la minore delle questioni».

I processi, la P2, Mangano stalliere ad Arcore, le leggi ad personam, il web si è scatenato.
«Guardi, io non sono un giudice. Berlusconi è stato assolto nel 99% dei molti processi a cui è stato sottoposto e ho sempre considerato suicida la scelta della sinistra di attaccarlo sul fronte giudiziario anziché su quello politico. Detto questo, se fosse dipeso da me, il lutto nazionale non lo avrei proposto».

Qual è l’eredità politica del Cavaliere?
«Beh, è difficile dirlo. Il personaggio che va giudicato in varie dimensioni».

L’imprenditore lo promuove?
«Sarebbe molto difficile non farlo. Ha inventato la tv privata e ha capito come nessun altro il potenziale della comunicazione. Capacità e senso dell’innovazione sono state quelle di un grande imprenditore».

Il capo politico?
«Il capo politico ha segnato un’epoca. Ognuno può dare il giudizio che crede. Ma Forza Italia ha rivoluzionato il modo di concepire la politica. Un’innovazione che ha finito per diventare egemone».

Non mi è chiaro.
«Lo sbaraccamento della forma tradizionale di partito è cominciata con Forza Italia, che per prima si è presentata come formazione a conduzione carismatica capace di rivolgersi direttamente alla gente. Un’invenzione che ha cambiato le coordinate della politica, fino a condizionare anche le cosiddette sinistre».

Più importante per il consenso il Tg5 o Drive In?
«Mi pare che abbia funzionato la somma delle due cose».

La pagella al Berlusconi statista?
«Un totale fallimento. Ma non ha fallito da solo. Lo ha fatto tutta la sua generazione».

Impietoso.
«Lucido. Dopo trent’anni l’Italia sta molto peggio di prima. Non c’è stata nessuna riforma seria istituzionale, amministrativa o dei servizi fondamentali. E la Costituzione è diecimila volte più inattuata».

Professore, con Berlusconi se ne va anche Forza Italia?
«Non credo. La triplice di governo ha bisogno della componente di forzista in vista delle europee. Il disegno in prospettiva è piuttosto chiaro».

Una maggioranza tra i popolari e la destra?
«Ovvio. E per questo al momento non sono ipotizzabili grandi fughe o strategie di annessione. È vero che Forza Italia è ai minimi storici e che la leadership di Meloni è molto forte, ma è anche vero che dal 1994 la triplice destra-destra, Lega, Forza Italia non si è mai divisa. A differenza di quello che succede a sinistra».

La destra vince anche alle europee?
«Possibile».

È uno scenario che la spaventa?
«In nessun modo. L’Europa attuale è totalmente priva di visione strategica e soprattutto di autonomia in politica estera per cui, chiunque governi, l’egemonia della Nato e degli Stati Uniti continuerà a imporre la propria linea. E per quello che riguarda l’amministrazione interna ci penseranno come sempre le tecno-strutture, che sono del tutto indifferenti al colore di chi vince le elezioni».

Chi è il delfino di Berlusconi?
«Non lo vedo».

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