Archive for Giugno, 2023

Rai, “cade il fortino della sinistra”. Bomba-talk show: il nome a sorpresa

venerdì, Giugno 9th, 2023

Si è tenuta la Commissione di Vigilanza Rai con il nuovo amministratore delegato, Roberto Sergio, e il direttore generale Giampaolo Rossi. Primi passi del servizio pubblico nell’era del governo di centrodestra. Sgonfiate le polemiche sugli addii di Fabio Fazio e Lucia Annunziata, continua il lavoro a viale Mazzini su palinsesti (andranno presentati tra meno di un mese), programmi e conduttori. Grande attenzione per i settori dell’informazione e dell’approfondimento. Le ultime novità indicate dai retroscena riguardano la terza rete, che pare destinata a perdere l’impronta di feudo della sinistra. “Cade pure il fortino Agorà, di Rai3”, scrive il Foglio. Per il quotidiano Monica Giandotti il prossimo anno non ci sarà. Le novità riguardano il borsino dei nuovi possibili conduttori del talk show del mattino. 

Si parte innanzitutto dall’edizione estiva, che dovrebbe essere condotta da Lorenzo Lo Basso. “In inverno, Agorà, verrà invece divisa in due parti. Al posto di Giandotti si fa il nome di Ilaria D’Amico, che ha ancora un anno di esclusiva con la Rai, ma pure quello di Lisa Marzoli”, sono i nomi – il primo piuttosto a sorpresa – indicati insieme a quello di Laura Tecce. Manuela Moreno, del Tg2, dovrebbe invece condurre Filo rosso. 

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Droni sui campi di addestramento: “Spionaggio militare”, allarme in Germania

venerdì, Giugno 9th, 2023

Una serie di voli di droni su siti di addestramento della Bundeswehr stanno alimentando il sospetto di spionaggio militare nei confronti dell’esercito tedesco. Per questo motivo, le autorità di sicurezza stanno indagando su alcuni voli sospetti in Sassonia-Anhalt nell’area di addestramento militare di Altengrabow (Jerichower Land), come riporta la Mitteldeutsche Zeitung (Mz). «Un numero medio di incidenti è stato segnalato ad Altengrabow quest’anno». «Una buona parte degli avvistamenti di droni è avvenuta di notte», ha detto un portavoce del comando territoriale della Bundeswehr. Secondo le informazioni della Mitteldeutsche Zeitung, riporta Ntv, nelle ultime settimane sono stati segnalati oggetti volanti sospetti spesso tra le 22:00 e mezzanotte. Per motivi di sicurezza militare, non è stato possibile divulgare ulteriori dettagli dell’indagine, ha spiegato il comando su richiesta. «La Bundeswehr lavora a stretto contatto con altre autorità di sicurezza come la rispettiva polizia di stato, la polizia federale e l’Ufficio federale della polizia criminale», ha riferito il comando. Dopo le notizie divulgate da Mz, è stato attivato anche il servizio militare di controspionaggio (Mad). Il portavoce della Bundeswehr ha sottolineato che i voli con droni sui siti della Bundeswehr sono generalmente vietati.

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“Inconsistente e senza idee”. Il sondaggio che gela la Schlein

venerdì, Giugno 9th, 2023

Lorenzo Grossi

"Inconsistente e senza idee". Il sondaggio che gela la Schlein

Elly Schlein è sempre più un flop. Reduce da una tornata elettorale amministrativa disastrosa e lacerato da divisioni interne profonde che potrebbero sancire anche una nuova clamorosa scissione, il Partito Democratico sprofonda infatti sempre di più verso il basso. Risultato non solo di recenti sondaggi secondo i quali i dem stanno ritornando precipitosamente sotto il 20% (quota Enrico Letta alle elezioni del 25 settembre), ma anche di una fresca rilevazione statistica che si è focalizzata principalmente proprio sulla gestione del Pd da quando l’ex deputata europea ha vinto le primarie contro Stefano Bonaccini lo scorso febbraio.Il sondaggio che inchioda la sinistra: il centrodestra sale, le opposizioni sprofondano

Termometro Politico ha voluto porre, a tal proposito, ai cittadini italiani due domande: “Come giudica l’esito delle ultime elezioni amministrative?”. Stando alla risposta dei nostri connazionali, l’esito è un vero plebiscito: quasi il 61% (60,9% per la precisione) ritiene che “è stata una dura sconfitta politica per il centrosinistra che è sempre più lontano dal sentire del popolo italiano anche a livello culturale e ideale”. A questo dato si potrebbe aggiungere anche un 12,4% secondo cui si è trattato di un ko “soprattutto a livello amministrativo e locale” perché “il centrosinistra ha perso le città che non è stato in grado di governare“. Soltanto un 14,1% degli intervistati ritiene che – in fin dei conti – è l’esito “di una normale alternanza” e che “alle prossime amministrative probabilmente sarà il centrodestra a perdere in molte località”.

I risultati schiaccianti che condannano la Schlein

Tuttavia, molto più interessante risultano i dati relativi al secondo quesito posto dall’istituto demoscopico, riguardante l’operato della nuova segretaria dem a quasi cento giorni da suo insediamento ufficiale al Nazareno. “Che giudizio dà di Elly Schlein a tre mesi dalla sua elezione a segretaria del Partito Democratico?”. Anche in questo caso, le risposte sono più che eloquenti. Il 66,1% degli italiani che hanno risposto a questo sondaggio è spietato: “Come pensavo già inizialmente, si conferma inconsistente e senza idee forti al di là della patina di nuovo”.

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Aumento di 123 euro in busta paga: ecco a chi spetta l’incremento a giugno

venerdì, Giugno 9th, 2023

Valentina Menassi

Nel mese di giugno la busta paga dei metalmeccanici lieviterà di circa 123 euro. L’aumento previsto per la categoria è stato concordato da Federmeccanica, Assistal e Fim, Fiom e Uilm in seguito all’elevato livello di inflazione nel 2022. La cifra verrà erogata durante il mese corrente a circa 1,5 milioni di metalmeccanici. L’incremento è dovuto alla nota “clausola di salvaguardia” inserita due anni fa all’interno dei Ccnl.

La clausola

La famosa clausola consiste in un effetto immediato sui minimi. Nell’ipotesi in cui il tasso d’inflazione registrato fosse maggiore rispetto a quello definito all’interno del contratto ci sarebbe stato un impatto sui minimi. Questo porterebbe ad aumenti oltre i 27 euro definiti nel momento della stipulazione del contratto. L’incremento, come anticipato, sarà quindi di 123,40 euro medi al mese. Questo significa un aumento di 6,6 punti percentuali ovvero un surplus di 96,4 euro.

La parola ai sindacati

In merito alla questione, Roberto Benaglia, segretario generale Fim-Cisl ha affermato: “Si tratta di una soluzione positiva, unica nel panorama contrattuale del nostro Paese, originale e frutto di un contratto innovativo e maturo. Determinare gli aumenti salariali durante e non solo a fine contratto è una scelta pragmatica e molto utile.” I sindacati sostengono di inserire un sostegno economico importante per i metalmeccanici e di consentirgli così di far fronte alla crescita repentina del tasso di inflazione. “L’idea di fondo è rendere i contratti degli strumenti più flessibili per rispondere alle esigenze dei lavoratori” -afferma Benaglia che prosegue- “Certo questo importante risultato lascia aperta una verifica complessiva sulla difesa dell’intero potere di acquisto delle buste paga, che andrà verificata a fine contratto”.

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A Kiev può bastare un pareggio confuso

venerdì, Giugno 9th, 2023

Lucio Caracciolo

Mario Draghi è stato molto chiaro nel suo discorso a Boston: l’Ucraina deve vincere la guerra contro la Russia. La sua sconfitta o un “pareggio confuso” aprirebbero scenari insopportabili per l’Europa e per il mondo. Il trionfo di Kiev le spalancherebbe le porte dell’Unione europea e le consentirebbe di mettersi “in viaggio” verso la Nato. Infine, segnalerebbe alla Russia e ai suoi sostenitori che la stagione dell’espansione imperiale è chiusa. Per sempre. Su questa base, tocca dunque definire la vittoria. Che cosa può significare questa parola oggi per l’Ucraina? In termini strettamente militari, la resa degli ultimi marinai russi a Sebastopoli dopo avere autoaffondato la flotta. A conclusione della penetrazione ucraina in Crimea e nelle quattro regioni annesse e più o meno occupate da Mosca. Bandiera bianca subito sostituita dal kievano bicolore blu-oro.

Sigillo della riconquista integrale dei territori invasi dalla Russia, come da linea fissata da Zelensky dopo che le trattative per un “pareggio confuso”, avviate dalle parti nel marzo 2022, furono messe nel cassetto da Kiev su pressione inglese e americana – ammesso che i russi fossero davvero disposti a firmare la “pace”.

In vista di questo obiettivo, conviene ricordare che la guerra ha almeno due dimensioni, non necessariamente parallele: sul piano tattico, i combattimenti fra russi e ucraini, con questi ultimi oggi totalmente dipendenti dall’aiuto militare, finanziario e propagandistico americano, molto meno europeo; su quello strategico lo scontro fra America e Russia. La resa di Sebastopoli – senza nemmeno un Tolstoj a raccontarla – significherebbe non solo la vittoria di Kiev su Mosca ma soprattutto il successo dell’America sulla Russia. Con cambio di regime al Cremlino e probabile disintegrazione dello Stato russo. Non c’è dubbio che Kiev voglia le due vittorie. Così come è certo che tutta l’avanguardia antirussa della Nato, centrata sulla Polonia, ne gioirebbe. Il problema è che Washington vuole la prima, mentre non pare affatto convinta dell’utilità della seconda. In ciò seguita in ambito Nato da Francia e Germania per convinzione strategica, dall’Italia e dal Regno Unito perché schierate con gli Usa a prescindere, dalla Turchia quale soggetto imperiale autonomo che contribuisce a tenere in piedi l’antico nemico russo perché subisca il più a lungo possibile i danni della guerra che volle scatenare.

Quanto alla vittoria ucraina sul campo, il Pentagono e la Cia non ci credono, almeno per l’anno in corso. E il prossimo è ipotecato dalla campagna presidenziale: Biden non intende esporsi alle bordate repubblicane contro l’impegno in Ucraina, sempre meno popolare con il passare del tempo. Riguardo alla seconda, gli americani saluterebbero il tracollo del regime, molto meno le sue probabili conseguenze. Perché il surrogato di Putin non sarebbe necessariamente migliore dell’originale. E soprattutto per il rischio molto concreto di disintegrazione dello spazio russo. Con accompagnamento di guerre civili all’ombra di seimila testate atomiche e penetrazione della Cina in Siberia. Nell’establishment americano c’è chi sostiene valga la pena accettare il rischio. Ma la maggioranza resta affezionata alla “dottrina Eisenhower” fissata nel 1953, per cui non c’è nulla di peggio della vittoria totale in una guerra totale contro Mosca. Perché implica lo scontro atomico. E perché il vincitore avrebbe la scelta fra occupare e gestire il vinto – con ciò scadendo a classico impero-caserma, contro la sua natura liberale – o lasciare che se ne occupi, a suo modo, il super-nemico di oggi e di domani: la Cina. La divaricazione strategica fra Kiev e Washington è cartografata nella mappa della Russia spartita che il capo del controspionaggio ucraino, generale Kyrylo Budanov, esibisce alle spalle del suo tavolo di lavoro. Con mezza Siberia assegnata alla Cina, massimo rivale del suo maggiore sponsor.

Alla vigilia dell’invasione Biden aveva fissato il limite del sostegno americano all’Ucraina: «Gli Stati Uniti non vogliono fare la guerra alla Russia». Principio cui non ha abdicato. Con l’aggiunta di un codicillo: se Putin intende fare una “incursione minore”, sopporteremo. Purché si fermi lì. Due affermazioni che oggi si svelano troppo impegnative, se non imprudenti. La seconda, meno rilevante, perché rivelatrice del retropensiero per cui gli ucraini avrebbero dovuto subìre la “incursione minore” (tradotta estensivamente in putinese quale “operazione militare speciale”, ovvero golpe armato a Kiev) per consentire ai grandi un pareggio non troppo confuso. La prima, fondamentale, perché togliere dal tavolo la tua pistola alla vigilia dell’aggressione russa, e confermare in guerra di non volerla usare lasciando che lo facciano gli ucraini finché gli darai le pallottole per caricarla, significa mettere in conto la non-vittoria, se non la sconfitta, di chi combatte anche per te e per i tuoi valori. Sicché oggi, mentre Kiev si sta dissanguando anche per l’America e per l’Occidente, Washington si dissocia dalle incursioni minori in Russia di commandos collegati all’Ucraina e da analoghi atti “terroristici”, compreso il lancio di missili e droni verso il territorio della Federazione Russa.

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Senza le riforme il Pnrr fallisce

venerdì, Giugno 9th, 2023

Massimo Cacciari

Le spesse coltri di fumo su argomenti magari importanti, ma oggi non certo nelle cure del 99% dei nostri concittadini, tipo Gay Pride, vicende Rai, utero in affitto e via dicendo, coprono drammatici problemi che i nostri nocchieri non sembrano in grado di affrontare. Che essi dovessero emergere era inevitabile. Il primo riguarda la “messa a terra” del famoso Pnrr. Già la redazione draghiana avrebbe dovuto sollevare fondate perplessità. In essa debordavano, svolti spesso in una chiave retorico-ideologica, i nobili temi della innovazione, digitalizzazione, green economy. I necessari interventi hard su infrastrutture viarie e ferroviarie, per metter finalmente mano a massicce opere pubbliche per un’efficace difesa del nostro dissestato territorio, quelli per segnare un deciso cambio di rotta in tema di rilancio delle politiche di Welfare, seguivano a rispettosa distanza nella mente dei suoi tecnici redattori.

Con la conseguenza di trovarci oggi di fronte a una scomposta rincorsa da parte di miriadi di enti per miriadi di progetti “innovativi” e a opere pubbliche indispensabili come gli stadi per il calcio, che in tutto il mondo sono affare dei privati.

Ma il nodo che oggi viene al pettine è un altro, anch’esso ben prevedibile. L’attuazione del Pnrr era strettamente collegata a un piano organico di riforme. In questo almeno le Autorità europee erano state chiare. Il Piano poteva e può costituire un effettivo rilancio economico-sociale soltanto se si modificano le strutture amministrative e le procedure con cui svilupparne gli obbiettivi. Si veda il contenzioso sulla Corte dei Conti. La diatriba tra rigore ragionieristico e velleità decisionistiche è destinata a durare in eterno fino a quando non si approntano norme nuove in materia di controlli e appalti e non si dotino gli enti pubblici di strutture tecniche adeguate. Senza semplificazione amministrativa, sburocratizzazione, testi unici, superamento del conflitto di competenza tra amministrazioni pubbliche, continueremo a baloccarci tra vuote ideologie efficientistiche e altrettanto impotenti velleità controllistiche. Ancora più evidente l’esempio della sanità. Potremo anche stanziare miliardi di miliardi senza ottenere alcun effetto fino a quando non si comprende che è sballato l’assetto istituzionale del sistema, in cui ogni Regione è pressoché sovrana, in cui nessuna Autorità di fatto regola e coordina la spesa, in cui il rapporto tra pubblico e privato si squilibra a favore di quest’ultimo ogni giorno di più. E tutto questo rimanda di necessità a una profonda revisione in tema di Autonomie e di riassetto dei poteri tra i diversi soggetti che per la Costituzione compongono il nostro Stato. Diritto fondamentale la possibilità di accedere a cure mediche, altrettanto quello dell’istruzione. Capitoli fondamentali di quello Stato sociale che sta cadendo a pezzi. Come la sanità così la scuola, che ha cessato di funzionare come promozione sociale, opportunità primaria per la crescita culturale ed economica della persona. E saranno investimenti in computer e nuovi apparecchi per didattica on line e via cantando le meravigliose e progressive sorti della Tecnica a migliorare la situazione? O non piuttosto docenti motivati e decentemente pagati? O non piuttosto borse di studio, pre-salari, case per lo studente?

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Usa, Trump incriminato per i documenti riservati di Mar-a-Lago va all’attacco: “Un giorno buio”. Cosa rischia e come cambia la corsa alla Casa Bianca

venerdì, Giugno 9th, 2023

dal nostro corrispondente Alberto Simoni

WASHINGTON. Donald Trump è il primo ex presidente statunitense ad essere incriminato. È stato lo stesso tycoon a rivelare con un post sul suo profilo sul social Truth che ai suoi avvocati è stata comunicata la decisione del procuratore speciale Jack Smith. Trump dovrà presentarsi in tribunale federale a Miami martedì nel pomeriggio. È la seconda incriminazione per l’ex presidente in pochi mesi e fa seguito a quella per il pagamento della pornostar Stormy Daniels. Il Dipartimento di Giustizia e il procuratore speciale non hanno ancora confermato o commentato la notizia che è stata diffusa dallo stesso Trump e poi rilanciata dalla CNN e dagli altri media Usa. E proprio alla CNN è intervenuto uno degli avvocati dell’ex presidente Jim Trusty che intervistato da Kaitlan Collins ha detto di aspettarsi di ricevere entro martedì la notifica ufficiale e ha spiegato che sono sette i capi di imputazione fra cui ostruzionismo alla giustizia, false dichiarazioni, cospirazione e una serie di accuse in base all’Espionage Act. Sono accuse molto gravi che gettano gli Stati Uniti in una situazione senza precedenti dato che, come ha evidenziato il New York Times, che Trump è non solo un ex presidente ma è anche «il candidato in testa nella corsa alla nomination repubblicana e potrebbe nel 2024 sfidare Biden la cui Amministrazione ora già tentando di incriminarlo». Se ritenuto colpevole Trump rischia diversi anni di prigione.

L’aspetto giudiziario troverà maggiori riscontri e chiarezza nelle prossime ore quando l’impianto accusatorio verrà svelato; intanto il fronte politico è già in fibrillazione. Kevin McCarthy, Speaker della Camera, ha detto che «è un giorno nero» per gli Stati Uniti e definito quando accaduto «una grave ingiustizia». Asa Hutchinson, rivale nella corsa alla nomination, ha chiesto al tycoon di ritirarsi dalla corsa, mentre il suo rivale numero uno, Ron DeSantis si è scagliato contro la politicizzazione del Dipartimento di Giustizia. Il tycoon ha comunque confermato i due comizi in programma per sabato.

Trump dopo aver dato «la notizia», ha fatto seguire un video in cui ha detto di essere «una persona innocente» e parlato anch’egli di giorno buio per l’America. Quindi ha denunciato la «corrotta Amministrazione Biden» che usa il potere dello Stato per perseguire un rivale politico.

Usa, Trump incriminato per i documenti riservati di Mar-a-Lago si difende: “Sono innocente”

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Le nostre democrazie sedotte e consumate dai demagoghi che volevamo distruggere

venerdì, Giugno 9th, 2023

Lucia Annunziata

Sedotte e (forse) abbandonate. C’è una fascinosa idea che circola da un po’ di tempo, nel mondo della geopolitica: la chiamano la teoria della seduzione. È quel processo che non avevamo previsto, né visto, arrivare. Mentre provavamo, per quasi tre quarti di secolo dopo il conflitto mondiale, a proporre il nostro modello democratico per sedurre i Paesi sotto il giogo dei dittatori, i dittatori hanno cominciato a sedurre noi. Cronaca sintetica e devastante dei primi anni Venti del secolo Duemila. L’America è un buon luogo da dove iniziare per individuare questa dinamica, ma in Europa l’effetto seduzione è altrettanto palese. Parte delle élite economiche, degli eletti ma anche dei cittadini Occidentali sembra ormai pensare che forse alla fine questa storia dell’uomo solo al comando non è mica tanto male.

In epoca di crisi economica (a partire da quella del 2008), di transizioni epocali (clima e tecnologie), di cigni neri, come pandemie e guerre, il processo decisionale dell’Occidente appare sempre più disfunzionale, le opinioni pubbliche troppo divise, e i patti sociali, che hanno costruito dopo la seconda guerra un benessere senza precedenti, obsoleti. Un governo con un vertice forte, uomo o donna al comando, decide con velocità, può mettere insieme maggioranze per ottenere leggi altrimenti divisive, può sciogliere i “lacci e lacciuoli” del sistema di pesi e contrappesi della democrazia, fra cui le istituzioni di controllo che sono gli organismi che garantiscono i cittadini nello e dallo Stato.

Val la pena, come dicevo, di iniziare dall’America. La più giovane democrazia del mondo (la dichiarazione di Indipendenza è del 1776) è invecchiata. Questa è la storia che nei mesi scorsi ci hanno raccontato i ripetuti capitomboli del Presidente Biden, che a 80 anni ha ancora di fronte a sé come avversario un Trump di 76 anni.

La più giovane, dunque vitale, democrazia, famosa per la sua energia, la sua dinamica classe dirigente, capace di inventare continuamente nuove forme di partecipazione, in grado di dare forma a un potere fatto di eventi, linguaggi, ognuno dei quali ha influenzato questo secolo – il soft power dei successi ingegneristici e di quelli della parola – facendo immaginare di poter guidare il mondo con il minimo di uso di apparati militari, questa nazione si è avvitata sulle proprie divisioni. Al punto che per acrimonia anche se non per sangue si descrive oggi come nel pieno di una guerra civile. I due anziani presidenti degli anni recenti sono diventati coloro ancora in grado di parlare all’intera nazione proprio perché sono quello che una volta era l’America. Ma hanno l’energia e soprattutto la proiezione intellettuale nel futuro per tenere la guida di un Paese così potente?

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Pd, i riformisti ora cercano un garante. Un preavviso per frenare Schlein

venerdì, Giugno 9th, 2023

di Maria Teresa Meli

Orfini dopo la bufera per Ciani: dobbiamo salvare il partito. L’obiettivo: coinvolgere Gentiloni

Pd, i riformisti ora cercano un garante. Un preavviso per frenare Schlein

«Non possiamo fare la guerra a Elly , sennò crolla tutto»: Stefano Bonaccini da giorni va ripetendo ai suoi queste parole. «Io, lo sapete bene, non ero favorevole a entrare in segreteria, ma è chiaro che non si può andare allo scontro», ripete Lorenzo Guerini. «Dobbiamo cercare di salvare questo partito», ribadisce Matteo Orfini.

Ed effettivamente nessuno vuole scagliarsi lancia in resta contro la segretaria. Lunedì, in direzione, parleranno tutti i big del Pd. Ma non sarà un processo alla leader nel vero senso della parola. Piuttosto, un preavviso. Per far capire a Schlein che così non si può andare avanti. Del resto, la pensano non troppo diversamente anche i pezzi da novanta che si son schierati con la segretaria sin dall’inizio. Nicola Zingaretti, per esempio, lamenta il fatto che non ci siano né «una proposta di governo» né «un’agenda del Pd».

E tra i dirigenti dem più autorevoli si fa strada l’ipotesi di portare avanti un piano B per assicurare una rete di protezione al partito e metterlo in sicurezza. L’idea è questa: se Bonaccini si candiderà alle elezioni europee, magari puntando alla guida del gruppo socialista di Strasburgo, bisognerà sostituirlo non solo in Regione ma anche alla presidenza del Pd. Un nome circola tra i dem, sussurrato, perché lui si tiene lontano dalle beghe politiche e non vuole essere tirato in ballo. È quello di Paolo Gentiloni. Secondo questo piano B il commissario europeo è la personalità adatta per «accompagnare» Schlein: riformista a tutto tondo, munito di solida cultura di governo, con molte relazioni internazionali, eviterebbe ulteriori sbandamenti del partito. Sarebbe una sorta di «garante» per tutti. Ma finora su quest’ipotesi viene tenuto il massimo riserbo.

Intanto, però, c’è l’oggi da gestire. Anche chi al congresso si era schierato contro Schlein non vuole infierire sulla leader in difficoltà. «Se fallisce lei, fallisce il Pd, parliamoci chiaro», spiega Alessandro Alfieri a un compagno di partito che vorrebbe una linea più determinata da parte dei riformisti dem. Schlein, che oggi riunisce la segreteria, continua ad assicurare: «Garantirò il massimo del pluralismo». Però, a scanso di equivoci, Bonaccini vorrebbe una polizza che dia alla sua area maggiore salvaguardia: «Se vogliamo provare a influenzare l’agenda del partito e far vivere veramente il pluralismo nel Pd dovremmo pensare a strutturarci come area», ha detto ieri in una riunione della sua mozione.

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Migranti, sì al patto Ue tra le tensioni: le nuove regole

venerdì, Giugno 9th, 2023

di Francesca Basso

Solidarietà obbligatoria e rimpatri nei Paesi «di transito». Polonia e Ungheria votano contro. Piantedosi: «L’Italia ha avuto una posizione di grande responsabilità»

 Migranti, sì al patto Ue tra le tensioni: le nuove regole

Sono passate le sei di sera quando arriva la «minaccia» della ministra per le Migrazioni svedese, Maria Malmer Stenergard: «Sono ancora dell’opinione che siamo molto vicini: ho tutta la notte». Due ore e mezza dopo è arrivata l’intesa con voto a maggioranza qualificata: contrarie Polonia e Ungheria, astenute Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Stoccolma ha la presidenza di turno dell’Ue e dunque era l’arbitro nel negoziato sui due principali regolamenti del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo su cui ieri ha trovato l’accordo il Consiglio Affari interni a Lussemburgo. Una «decisione storica», come l’ha definita la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson. Sia chiaro, si tratta della posizione negoziale del Consiglio che poi dovrà trattare con il Parlamento Ue, ma sono sette anni che gli Stati membri discutono senza trovare un’intesa.

I due regolamenti puntano a rafforzare la responsabilità a carico dei Paesi di primo ingresso (resta in vigore Dublino e la responsabilità dei migranti arrivati è dello Stato di primo arrivo per 24 mesi) ma anche a rendere obbligatoria la solidarietà da parte degli altri Paesi con tanto di numeri stabiliti: i ricollocamenti non saranno obbligatori, è previsto però un contributo finanziario. L’ultimo ostacolo da superare era la divergenza tra Germania e Italia sulla definizione di Paese terzo «sicuro» per i rimpatri dei migranti non ammessi all’asilo e i criteri di «connessione» con quel Paese. Il testo sul Patto per le migrazioni e l’asilo introduce infatti la novità della procedura accelerata alla frontiera per esaminare le domande dei migranti che hanno minori possibilità statistiche di ottenere lo status di rifugiato. La premier Giorgia Meloni ha spiegato che «quando noi non riusciamo a reggere i flussi migratori, in qualche modo il problema diventa di tutti» e si è detta «soddisfatta» della missione di domenica in Tunisia con la presidente della Commissione Ue von der Leyen e con il premier olandese Rutte.

L’Italia chiedeva la possibilità di rimpatriare i migranti la cui richiesta di asilo è stata respinta anche in quei Paesi «sicuri» attraverso i quali sono transitati. La Germania invece rifiutava questa idea. L’Italia si era dunque espressa contro la proposta sul tavolo insieme a Lituania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria, Malta, Austria, Danimarca e Grecia. La via di uscita è stata trovata lasciando agli Stati il margine per la definizione di Paese «sicuro». La commissaria Johansson ha spiegato che per poter rimpatriare un migrante in un Paese di transito o diverso da quello di origine, lo Stato «deve rispondere a tutti i criteri di “Paese terzo sicuro” e ci deve essere una connessione tra la persona e questo Paese». «In alternativa — ha aggiunto — serve il consenso della persona» però «saranno gli Stati membri a stabilire se esiste una connessione».

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