May, la chiarezza che giova all’Unione
Bene, almeno l’incertezza è finita. Alcuni commentatori hanno definito i sei mesi di oscillazioni del governo britannico sul piano per la Brexit «ambiguità costruttiva», una frase usata da Henry Kissinger 40 anni fa. Confusione rende meglio l’idea, ma ora è chiaro: il primo ministro britannico Theresa May ha annunciato che il Regno Unito lascerà il mercato unico europeo e l’unione doganale.
Certo si può discutere se siano queste le priorità, anche sul piano politico, a parte quello economico. La signora May evidentemente pensa che per lei sarebbe politicamente troppo rischioso acconsentire a mantenere la libertà di movimento. Sta dicendo d’altra parte che è pronta a correre il rischio di causare un danno economico alla Gran Bretagna abbandonando il più grande mercato unico del mondo per evitare un rischio politico al partito conservatore a cui appartiene.
Du rante i sei mesi di confusione e ambiguità sui piani britannici per la Brexit, il primo ministro ha lasciato che i suoi ministri e il suo partito si cimentassero in un dibattito pubblico chiedendosi se questa fosse la scelta giusta. La sua posizione sul tema è stata coerente. Ma lasciando aperto il dibattito e aspettando di vedere quale sarebbe stato l’atteggiamento degli altri governi europei ha permesso che prevalesse l’incertezza.
La fine di questo stato di cose è una buona notizia per gli altri 27 membri dell’Unione europea. Non devono più preoccuparsi che la Gran Bretagna cerchi di convincerli ad abbandonare i principi che sono il cuore dell’Unione europea. Non ce l’avrebbe fatta, anche se alcuni politici e intellettuali britannici chiaramente erano convinti che qualche altro Stato fosse pronto a limitare l’immigrazione e che riuscire a tenere nel mercato unico la Gran Bretagna, la quinta economia mondiale, fosse così importante da valer bene qualche concessione.
Si sarebbe risparmiato un sacco di tempo dimostrando che si trattava di un’illusione. Si sarebbe rischiato di creare una spaccatura ancora maggiore tra i Paesi dell’Unione e una relazione ancora più difficile con la Gran Bretagna.
Quindi la chiarezza su questo tema farà bene all’Europa. Le celebrazioni del 60° anniversario del Trattato di Roma, a marzo, non devono essere offuscate da questo problema. L’Unione europea può andare avanti cercando di sviluppare le sue politiche sulle questioni molto più importanti dei rifugiati, dell’economia e delle relazioni con la Russia.
Per la Gran Bretagna tuttavia, anche il discorso del primo ministro May non fa del tutto chiarezza sul futuro del Paese. Il Regno Unito sa che in futuro negozierà un trattato di libero scambio con l’Unione europea, così come cercherà di farlo con gli Stati Uniti e con altri Paesi. Ma ancora non si sa quanto lontano voglia spingersi il governo britannico per adempiere alla vaga promessa del primo ministro May di creare una «Gran Bretagna globale» che sarà il punto di riferimento per la libertà di commercio.
Sappiamo, per certo, che la Gran Bretagna non intende seguire Donald Trump sulla via dell’isolazionismo e del protezionismo. Il voto sulla Brexit è stato più frutto di arroganza nazionalista che di quella sorta di rabbia per la globalizzazione cavalcata da Trump. Ma cosa implichi questo per l’economia britannica ancora non si sa.
La signora May dice che il suo obiettivo è il libero commercio con l’Unione europea. Questo disegno comprende l’agricoltura? Abolirà tutti i sussidi e le altre forme protezionistiche per gli agricoltori britannici uscendo dall’Unione e consentirà l’accesso ai prodotti comunitari senza tasse né quote?
O, per fare un altro esempio, sappiamo che lasciando l’Unione il Regno Unito potrà abbassare le tasse sulle importazioni di auto fino a zero, se vorrà. Il tasso europeo è ora del 10%. Questo intende la signora May quando dice che «liberarsi» dell’Unione europea ci permetterà di diventare i maggiori sostenitori del libero scambio. Ma le aziende automobilistiche giapponesi, indiane e americane che producono nel Regno Unito saranno d’accordo con quest’eccellente idea?
Tutto questo non lo sappiamo. E quindi il risultato vero del discorso chiarificatore del primo ministro britannico è di aver chiarito le idee agli altri 27 membri dell’Ue, ma non molto alla Gran Bretagna stessa.
traduzione di Carla Reschia
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