Grillo chiama furioso: mi hai ingannato. Virginia ormai è sola
di Fabrizio Roncone
ROMA Eccola.
Esame sommario: ha dormito poco. E male. Occhiaie profonde, il fard non copre il pallore. Quelli di RaiNews24, molto tosti. Il microfono piazzato sotto il naso. Lei, con il solito sguardo indecifrabile: «Sono tranquilla. Ho rispettato le procedure. Risponderò a tutte le domande che la Procura mi vorrà fare».
Va via con quel suo passo risoluto, sicuro (che affinò nel corridoio dello studio legale Previti-Sammarco, quando andava a fare le fotocopie, e che ingannò poi Casaleggio padre, quando la scelse come candidata alla poltrona di sindaco).
La strategia di Virginia Raggi, nel primo giorno da indagata per abuso d’ufficio e falso, è: dissimulare. Poi entra nel suo ufficio, posa la borsa sulla scrivania e dentro la borsa inizia a squillare il cellulare.
Sul display: «Grillo». Pensa: okay, va bene, Beppe vorrà fare il punto della situazione. Risponde tranquilla.
Errore.
Il capo è furibondo.
Immaginarsi Grillo furibondo è oggettivamente complicato. Per tutti. Anche per i cronisti. Prima passi una vita a vederlo che fa il comico, con quel suo talento magnifico, maschera che irride, provoca, spiazza; poi te lo ritrovi leader politico che, con la stessa faccia, ti viene incontro dicendoti che sei un giornalaio, un fantasma, un bruco che striscia, un cadavere che cammina, un menzognere, un farabutto che racconta bugie (sulle prime qualcuno di noi provava a rispondergli, poi s’è capito che è tempo sprecato).
Però pochissimi (Luigi Di Maio è uno dei fortunati) sanno come e cosa può urlare Grillo quando è furibondo — persino la voce gli diventa più sottile, tipo lama, e l’inflessione genovese s’accentua.
La Raggi riesce a dire solo: «Ciao…».
Poi attacca lui.
Carico a pallettoni. Stravolto — racconta la fonte — perché del gran pasticcio si è reso bene conto solo dopo aver letto i giornali. Lui e Davide Casaleggio erano infatti preparati a sopportare, e supportare, un solo capo d’accusa per la loro sindaca: l’abuso d’ufficio. E proprio per questo, come si sa, in una burrasca di polemiche avevano modificato il regolamento interno del movimento. Ma qui, adesso, c’è anche l’accusa di falso. Ci sono i WhatsApp in cui, nell’ottobre scorso, il capo del personale in Campidoglio Raffaele Marra (ora in carcere) incita suo fratello Renato, vicecapo della polizia municipale: «Si è liberato il posto di responsabile del Turismo, fai la domanda». C’è, perciò, il fortissimo sospetto che la versione fornita dalla Raggi alla responsabile dell’Anticorruzione capitolina sia una enorme bugia: «Sono stata io a scegliere Renato Marra, ho fatto tutto io».
E non basta. No, che non basta. Grillo teme che da quella bolgia di messaggini ne spunti pure fuori qualcuno che finalmente spieghi meglio cosa tenesse Virginia Raggi e Raffaele Marra prima così uniti — «Se il M5S allontana Raffaele, vado via anche io» — e poi, quando Marra fu arrestato, così distanti: «Raffaele? È solo uno dei 23 mila dipendenti del comune». La telefonata di Grillo si chiude con un urlaccio gotico: «Mi hai ingannatooooo!».
La Raggi resta con il cellulare premuto sull’orecchio, gli occhi lucidi, l’altra mano tra i capelli. A questo punto, entra la segretaria: «Mmmh… Sarebbe arrivato l’ambasciatore d’Irlanda, Bobby McDonagh».
È venuto per proporre l’adesione all’iniziativa del Global Greening, che prevede, in onore della festa di San Patrizio, d’illuminare con il verde i monumenti più belli del mondo. Virginia Raggi annuisce automaticamente: sì, certo, idea grandiosa. Ma dentro di lei la domanda è: San Patrizio, patrono d’Irlanda, si festeggia il 17 marzo… ma io, quel giorno, sarò ancora qui?
Mezz’ora dopo, incontra i consiglieri di maggioranza nella Sala delle Bandiere (un vigile urbano con il senso della notizia: «Ammazza quanto urlano…»). Quando la porta si apre, lei compare sola, solissima. Viene avanti mordendosi le labbra, china sotto il peso di spifferi vari: la sindaca potrebbe essere costretta ad auto-sospendersi; anzi: Grillo potrebbe toglierle il simbolo; no, macché: ora che Grillo — sentenza della Consulta diffusa da pochi minuti — intravede la possibilità di voto nazionale a giugno, al M5S non conviene alzare altra polvere. Tutto possibile: ma se la Procura decide di accelerare andando a processo, allora ogni calcolo politico salta.
Sì, s’è messa male. Frullatore acceso. Sono pure andati a rovistare nella pancia di Twitter. Trovano una chicca. Un vecchio, improvvido cinguettio di Virginia Raggi.
«@Orfini: partiti devono rispettare requisiti: iniziamo a cacciare indagati e condannati? @marcello_devito @danielefrongia @enricostefano. 11.48 – 13 set 15».
Il sindaco dell’epoca, Ignazio Marino, barcollava aggrappato alla poltrona. Alessandro Di Battista era giù in piazza a scandire il coro: «O/ne/stà! O/ne/stà!».
CORRIERE.IT
This entry was posted on giovedì, Gennaio 26th, 2017 at 08:46 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.