L’Europa sta sotto i piedi di Angela Merkel ma nel cuore di Draghi
di EUGENIO SCALFARI
C’È una miriade di fatti che ingombrano gli schermi televisivi, le pagine dei giornali e perfino i siti web. Ne volete un sommario esempio per quanto riguarda l’informazione del nostro Paese? Raggi, sindaca di Roma di marca grillina, i sondaggi sull’andamento delle maggiori forze politiche italiane, l’accordo fra l’Italia e il governo libico di Tripoli sul tema degli immigrati, la probabilità che sia molto diminuita l’ipotesi di elezioni entro giugno e che Renzi abbia in proposito cambiato idea. E poi Trump. Il nuovo presidente degli Stati Uniti è l’uomo-chiave del momento per due ragioni: la prima è che siede sul palco più alto dell’impero più forte del mondo; la seconda è che Trump cambia idea almeno una volta al giorno e a volte ancor più frequentemente: su Putin, sulla Cina, sull’Europa, sulla Corea del Nord (quella che fa esperimenti sulla bomba a idrogeno e dovrebbe essere fermata), su Israele, sull’Australia, sulla Nato e via discorrendo. Se continua così nessuno darà più peso alle sue decisioni e la sola cosa che continuerà a contare saranno le chiusure di Borsa a Wall Street. Del resto anche in Inghilterra, anzi nel Regno Unito che non è mai stato così disunito, quella che conta è la City e, per tutt’altra ragione, la National Gallery. Della Brexit tra poco nessuno parlerà più.
L’elenco, come vedete, è piuttosto lungo e sicuramente incompleto, ma ometto volutamente i fatti veramente importanti che riguardano l’intero mondo occidentale, Italia ovviamente compresa.
Ho scelto i fatti al plurale ma in realtà è un fatto unico, che ha due attori principali e una folla di spettatori coinvolti da quanto vedono recitare sulla scena e che li riguarda direttamente.
Il fatto dominante è quanto è stato annunciato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al vertice che si è concluso venerdì scorso a Malta: alla prossima riunione di vertice europeo che avrà luogo a Roma nelle prossime settimane per celebrare i Trattati che istituirono la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e che successivamente diventò Unione politica ed economica, Merkel proporrà un’Europa a due velocità.
La prima velocità riguarda tutti gli Stati dell’eurozona (diciannove) che sono in grado di marciare verso un’economia dinamica, in costante aumento di produttività, di scambi, di piena occupazione, di propensione verso un potere federale con organi politici appropriati. Il centro di questo sistema ad alta velocità sarà ristretto; di fatto (Merkel non l’ha detto ma è evidente nelle sue parole) avrà il suo perno nella Germania e nei suoi più stretti alleati: l’Olanda, i Paesi del Nord Europa e – per ragioni strettamente politiche – la Francia. Gli altri procederanno come potranno. Se si metteranno al passo potranno sempre entrare nel club dell’alta velocità. Se in teoria al passo giusto ci si metteranno tutti i 19 della moneta unica, sarebbe un club in grado di dar vita agli Stati Uniti d’Europa o a qualcosa di molto simile. Altrimenti sarà un piccolo ma potente cuore e cervello d’Europa che parla e pensa in tedesco, ma niente di più.
Ma c’è un secondo attore in questa che mi viene voglia di definire la commedia degli inganni e si chiama Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea il cui incarico scadrà nel 2019 ed ha dunque tutto il tempo necessario per operare, anche se sta coprendo il dissenso che c’è sempre stato tra lui e il governatore della Bundesbank, che è la Banca centrale tedesca e fa parte ovviamente del Consiglio della Banca centrale europea ma è costantemente all’opposizione. Su che cosa? Sul fatto che Draghi – confortato dall’appoggio del direttorio della Bce e dall’ampia maggioranza delle Banche centrali nazionali che fanno parte del consiglio – dispone d’una salda maggioranza sulla sua politica monetaria ed economica espansiva.
Come si comporterà adesso Draghi di fronte alla proposta di Merkel sulla doppia velocità? Si adeguerà? La contrasterà? Con quale tipo di operazioni?
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Personalmente sono molto amico di Draghi, fin da quando era uno dei prediletti collaboratori del più importante personaggio della politica italiana, dopo tredici anni di governo della Banca d’Italia: Ciampi, dopo aver guidato la nostra Banca centrale in tempi assai calamitosi, fu in qualche modo obbligato a governare il Paese, politicamente ed economicamente, da primo ministro d’un governo provvisorio, poi da ministro del Tesoro del governo Prodi, e infine da presidente della Repubblica. In tutti questi ruoli, ma soprattutto nell’ultimo, dette il meglio di sé e Draghi collaborò strettamente con lui, specie nei contatti preliminari che poi condussero il ministro del Tesoro Ciampi a negoziare l’ingresso dell’Italia nella moneta unica, sulla quale erano già d’accordo la Germania di Khol e la Francia di Mitterrand.
Da quei tempi Draghi ed io siamo buoni amici e parliamo spesso delle sue posizioni in quanto capo della Bce ma soltanto quando lui ne ha parlato pubblicamente. È per dire che non ho mai avuto notizie da parte sua, che sarebbe una scorrettezza in una delle persone più attente a non commetterne mai. Però pubblicamente si espone senza alcun timore. Dispone dello statuto della Bce, redatto da tutti i Paesi dell’eurozona che ne sono azionisti in proporzione alla consistenza delle proprie economie. Quello statuto e la maggioranza del Consiglio sono gli organi che sostengono Draghi e la sua indipendenza. I suoi rapporti con Merkel sono stati sempre buoni, se non addirittura ottimi sebbene in molte occasioni siano stati anche contrastati dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble (un “rigorista” per cultura propria ma anche molto legato ai circoli del capitalismo tedesco) e dalle misure che la Cancelliera dovrebbe prendere convincendo altre Autorità europee a farle proprie.
Merkel, specie in vista delle prossime elezioni, deve usare ancora di più le opinioni di Schäuble e finché si può deve tentare di convincere anche Draghi, ma lui si troverà di fronte a una situazione molto difficile. Sarà un incontro-scontro avvincente ed è già cominciato. Con due pubblici interventi di Draghi: uno rivolto alla politica economica italiana in occasione del premio che gli è stato conferito in una celebrazione del conte Camillo Benso di Cavour, che nel 1861 proclamò lo Stato d’Italia, reso possibile dall’alleanza di Cavour con Napoleone III che sfociò nella guerra d’indipendenza del 1859, vinta dai francesi e dagli italiani e nell’assegnazione della Lombardia e poi del Veneto al regno piemontese.
Dall’altra parte ci fu l’impresa di Garibaldi e dei Mille che conquistarono il Mezzogiorno e la cui iniziativa fu nascostamente appoggiata da Cavour.
Il Regno d’Italia ebbe vita da questi due eventi e il perno che lo rese possibile fu appunto manovrato da Cavour. Per celebrare quegli avvenimenti non ci poteva essere scelta migliore che quella di Draghi il quale, nel corso di quella celebrazione, è stato per la prima volta non solo in veste di capo della Bce. Ha dedicato il suo discorso storicamente a Cavour e subito dopo alla politica economica del nostro Paese. Gli ho già dedicato una parte del mio articolo di domenica scorsa. Draghi ha parlato della produttività come elemento indispensabile dell’imprenditoria italiana, sia pubblica e sia privata, e della lotta contro le diseguaglianze sociali ed economiche che debbono essere fortemente diminuite con una politica fiscale adeguata che comprenda anche la battaglia contro l’evasione fiscale e il lavoro nero su cui contano le lobby clientelari e perfino mafiose.
Pochi giorni dopo – e siamo al presente – Draghi ha dedicato un suo intervento a tutti i Paesi dell’eurozona. Praticamente è stata una risposta preventiva alla politica della doppia velocità che Merkel ha preannunciato a Malta e che avverrà tra poco a Roma.
Che cosa ha detto Draghi? Poche cose, ma fondamentali. Ha detto che la Germania non è lontana dall’aver raggiunto il tasso del 2 per cento d’inflazione che è quello base previsto dallo statuto della Bce. Il raggiungimento di quel tasso è la positiva conseguenza della politica economica del governo tedesco ed anche della politica di “quantitative easing” della Banca centrale, praticata verso tutti i Paesi dell’eurozona, Germania naturalmente compresa.
Nel secondo intervento di pochissimi giorni fa Draghi si è rivolto a tutti i Paesi dell’eurozona. Ha spiegato con piena soddisfazione i risultati raggiunti dalla Germania e invece ancora lontani per gran parte dei Paesi dell’eurozona, soprattutto quelli meridionali come la Grecia, l’Italia, la Spagna, la Francia, il Portogallo. Cioè la costiera mediterranea che, oltretutto, è al centro delle migrazioni sia dai Balcani sia dal Nord Africa.
Ai Paesi dell’eurozona che si trovano davanti al fenomeno delle migrazioni di massa e a devastanti fenomeni naturali (i terremoti in Italia) e sono di fronte a politiche economiche insufficienti, Draghi ha raccomandato di rilanciare quelle politiche ed ha anche assicurato che il “quantitative easing” della Bce continuerà verso ciascuno dei Paesi suddetti in ragione di quanto sta facendo. La politica di Draghi non ha nulla a che fare con quella di Schäuble e di Merkel che si identifica con il suo ministro delle Finanze. Draghi si incontrerà alla fine di febbraio a Berlino con Merkel e lì ci sarà il bilancio. Immagino i fiori e le rose profumate di quell’incontro sotto le quali la gentilezza cederà di fronte alla roccia con la quale Draghi espone le sue idee, i suoi impegni e i suoi doveri.
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Dovrei ora parlare dei risultati statistici rilevati nei giorni scorsi dal nostro Ilvo Diamanti. Ne risulta una notevole confusione in tutti i partiti, a cominciare dai grillini, ma anche nel Pd. Il raffreddamento di Renzi verso le elezioni subito, i buoni risultati del governo Gentiloni. Mi sembrano dati positivi che possono essere ulteriormente accresciuti. Mi auguro tuttavia che Renzi condurrà nel suo partito una riforma efficace, soprattutto nei confronti dell’opposizione interna nella sua parte più saggia che secondo me è quella interpretata da Cuperlo ed anche, in modi diversi, da Bersani.
Renzi però farebbe un errore a concentrare il suo interesse soltanto su una riforma peraltro necessaria dei rapporti interni al suo partito. Questo lavoro deve essere, a mio avviso, la premessa necessaria per presentarsi lui dopo che la legislatura sarà terminata. Renzi ha carisma come pochi altri oggi; quel carisma però necessita della collaborazione più ampia nel partito per poter tornare al governo nel 2018 ed è sufficiente un solo punto di riforma della legge elettorale: affiancare alle eventuali liste uniche anche liste di coalizione. È con questa possibilità che si accoppiano democrazia, rappresentanza parlamentare, governabilità. Intanto formuliamo tutti, a cominciare come spero da Renzi, un ringraziamento al lavoro di Mattarella e di Gentiloni che stanno facendo il possibile per terminare un ciclo nel 2018 e riaprirne un altro ancor più efficace.
REP.IT