Feltri e la Raggi “patata bollente”: l’editoriale che ha fatto infuriare Grillo

Ci risiamo con le patate bollenti. Alcuni anni orsono fu la volta di Ruby Rubacuori, spacciata addirittura per nipote di Mubarak, che sollevò uno scandalo la cui eco ancora non si è spenta, dato che Berlusconi, assolto per averla trombata (scopare non è reato, per fortuna, altrimenti saremmo tutti in galera, tranne me poiché non ricordo come si faccia) è di nuovo sotto processo perché alimenta un certo numero di ragazze eleganti e diffamate dai media in quanto l’avrebbero data via. Adesso, per la legge del trapasso, tocca a Virginia Raggi assumere il ruolo increscioso di tubero incandescente.

Finire sulla brace è un rischio per tutte le belle signore e perfino per quelle che belle non sono. Cosicché è giunto, inatteso, il momento della sindaca di Roma, Virgo potens del Movimento 5 stelle. Il dramma della quale cominciò il giorno in cui la signora fu colta dal fotografo mentre si intratteneva, come la famosa gatta sul tetto che scotta del Campidoglio, con un dipendente comunale. La gente si pose un malizioso quesito: ma che cazzo ci faceva madame e il suo cavalier servente tra le tegole del nobile edificio che si erige sul Mons Capitolinus? I grillini, aggressivi difensori della Raggi almeno quanto le oche di buona memoria, risposero sprezzanti: smettiamola di pensare male. Chiunque, se desidera fare quattro chiacchiere riservate con un amico, si reca all’apice del condominio dove troneggiano i camin che fumano. A me questa cosa qui non risulta. Giuro che non sono mai salito con una fidanzata, seppur precaria, su un tetto per conversare, si fa per dire. Al massimo mi sono sistemato in cantina. Vorrei avere in proposito il parere dei lettori.

Va bene, sorvoliamo sul tetto. E scendiamo terra terra. L’avvenente Minetti per molto meno dovette allontanarsi dal Pirellone, sul tetto del quale sarebbe stato più impegnativo rifugiarsi visto che trovasi oltre il ventesimo piano. Più comodo adagiarsi in un salone di Villa San Martino in quel di Arcore. A parte il luogo, le situazioni non cambiano stando alla testimonianza dell’assessore Berdini, che ha svelato le tendenze ludiche della Virgo potens.

Credo che il ragionamento fili. Intendiamoci, personalmente non condanno i peccati della carne e neppure quelli del pesce. Il moralismo non è il mio forte. Pertanto mi limito a sottolineare che le debolezze accertate del Cavaliere meritano la medesima considerazione di quelle supposte della sindaca. Le valutiamo con lo stesso metro di giudizio: l’erotismo è legittimo ed è materia su cui non vale la pena di indagare. Ciascuno ha il diritto di coricarsi con chi gli garba. Si dà però il caso che Silvio pagava di tasca i propri vizietti, mentre Virginia detta Giulietta ha attinto ai soldi pubblici per triplicare lo stipendio a Romeo. Mi pare una aggravante, ma non calchiamo la mano. Invoco soltanto la par condicio per chiunque sia trascinato dalla passione. Non pretendo molto.

Non ho titolo per chiedere le dimissioni della Raggi, ma i suoi mentori cessino di adorarla come una regina. Ho già scritto di lei che sembra la commessa di un negozio di intimo (non intimissimo) e non insisto. Togliamole la corona reale e che sia finita qui. Poi ella si dedichi agli spassi preferiti senza pretendere di assurgere ad Advocata nostra. Con la presente preghiera mi sarò guadagnato spero l’iscrizione nella lista di proscrizione che Di Maio ha compilato includendovi i giornalisti sgraditi e rei di aver canzonato i santi pentastellati.

Elenco che costui ha consegnato all’ordine nazionale degli scribi affinché il presidente Iacopino provveda a sanzionare i reprobi. Una mossa fascista o stalinista, è lo stesso, che se fosse stata fatta da qualunque altro politico avrebbe mobilitato masse di agguerriti tutori della democrazia costituzionale. I quali invece, coda fra le gambe, sono rimasti inchiodati alla tivù per godersi da scemi quali sono il festival di Sanremo. Avrei voluto parlare con Di Maio per chiedergli conto della sua iniziativa, ma mi hanno riferito che egli è impegnato a tenere una lezione universitaria sull’uso del congiuntivo, e che nei prossimi giorni ne terrà una seconda sul corretto impiego del gerundio. Peccato. Lo avrei volentieri mandato affanculo.

di Vittorio Feltri

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