Il dilemma del volo 93 vale anche per Cinque Stelle

Uno dei paradossi del nostro tempo è il consenso popolare, spesso maggioritario, per personaggi e movimenti politici chiaramente impreparati a governare. Competenza e credibilità, da virtù che erano, oggi fanno perdere le elezioni. Perché accade? Forse la spiegazione più brutalmente convincente l’ha data durante la campagna elettorale americana uno degli intellettuali vicini a Trump, che si firmava con lo pseudonimo di Publius Decius Mus sulla rivista del think tank conservatore del momento, la Clermont Review of Books. Si tratta del “dilemma del volo 93”. Ricordiamo tutti quell’aereo, l’unico tra i quattro sequestrati dai terroristi dell’11 settembre che non raggiunse l’obiettivo prefissato, qualunque esso fosse. Alcuni coraggiosi passeggeri, infatti, avendo appreso dai telefonini ciò che accadeva alle Due Torri di New York, compresero che stavano per avere la stessa sorte, e diedero l’assalto alla cabina di pilotaggio. Non sapevano neanche lontanamente come fare, in caso di successo, a pilotare un aereo e farlo atterrare. E infatti non riuscirono a evitare una tragica fine. Ma sapevano che se non agivano sarebbero morti in ogni caso.

È lo stesso dilemma di fronte al quale si trovano oggi gli elettori, secondo il nostro autore: «Dai l’assalto alla cabina o muori. Puoi morire in ogni caso. Il tuo leader può riuscire a entrare nella cabina di guida e poi non sapere come si guida un aereo. Non ci sono garanzie. Eccetto una: se non ci provi, la morte è sicura. Per usare una metafora: una presidenza di Hillary Clinton sarebbe una roulette russa con una semiautomatica. Con una presidenza Trump puoi almeno far girare il cilindro dei proiettili e tentare la fortuna». A parte un certo gusto per il truce, la metafora funziona alla perfezione. Tanti elettori dei Cinque Stelle, per esempio, sono consapevoli del fatto che i loro beniamini non saprebbero come guidare l’aereo Italia; e anche a Roma molti elettori della Raggi non si facevano prima e tanto meno si fanno oggi soverchie illusioni sulle sue capacità di amministratrice di una delle città più difficili del mondo. Ma hanno votato per i grillini, e secondo i sondaggi in gran parte sarebbero ancora pronti a farlo, per la semplice ragione che vogliono tenere lontani dal potere gli altri. Tutti gli altri. Quelli con i quali, a loro modo di vedere, continuerebbe il disastro in cui avvertono di vivere, e non ci sarebbe nemmeno una chance.

Per provare un tale sentimento da roulette russa bisogna essere disperati, è vero. Ma in vaste sezioni della società occidentale, la crisi, i cambiamenti sociali, la scomparsa del lavoro, hanno prodotto disperazione. Forse si spiega così perché questi movimenti non soffrono oltremodo la pubblicità negativa né le inchieste giudiziarie. In Francia lo scandalo dello stipendio pagato alla moglie ha azzoppato il candidato gollista Fillon, ma lo scandalo dei soldi del Parlamento europeo utilizzati da Marine Le Pen non ha quasi scalfito la popolarità della leader del Front National, che guida i sondaggi in vista delle presidenziali. Potremmo chiamarli partiti-Teflon, come il materiale di cui sono fatte le padelle alle quali lo sporco non si attacca. Se ne dovrebbe dedurre che per togliere voti ai Cinque Stelle non serve a molto parlarne male, metterli in cattiva luce; ma sarebbe più utile presentare un’offerta politica alternativa del tutto nuova e migliore. E invece questo è oggi il problema più serio dei partiti cosiddetti moderati. Quello del centrodestra, è ancora uguale a 25 anni fa, quando nacque. La gran parte dei parlamentari di Forza Italia hanno più di quattro legislature alle spalle, e il leader ha alle spalle una vita. Ma anche il partito del centrosinistra, il Pd, è più o meno sempre lo stesso. Ammesso che sopravviva a una eventuale scissione, ripresenterà il leader che ha già avuto la sua chance di guidare l’aereo? E se sì, lo farà con le stesse idee e nella stessa direzione?

Su tre punti i competitor dei Cinque Stelle devono al più presto elaborare e presentare idee nuove, che al momento non si vedono affatto: sull’accountability del governo della cosa pubblica, per frenare la corruzione; sulla partecipazione democratica dei cittadini, per fermare il disgusto verso il potere; sul finanziamento di politiche attive per aiutare i giovani a trovare un lavoro, per combattere la disperazione. E devono farlo presto. Le strade tentate finora, dalla riforma del Senato alla tattica dei bonus, non sono state ritenute capaci di evitare il disastro in cui tanti italiani sentono di vivere. Per questo continua l’assalto dei cosiddetti «populisti» alla cabina di pilotaggio. «Solo in una Repubblica corrotta, in tempi corrotti, poteva sorgere un Trump», ha scritto Publius Decius Mus. Vale anche per gli aspiranti Trump nostrani.

CORRIERE.IT

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