Stadio, scissione contro la Raggi
Hanno già un nome e una piattaforma: si chiama «Roma partecipata». Sottotitolo: Democrazia diretta, cittadini attivi e tavoli di lavoro. Hanno anche un simbolo, il solito Colosseo e, sotto, cinque piccole stelle a ricordare la propria origine, perché per il resto su sito e social non c’è traccia del logo M5S. «Casaleggio parla di Rousseau e dice che permetterà ai cittadini di entrare nelle istituzioni, qui invece stiamo perdendo il contatto con la gente diventando un partito virtuale».
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A parlare è una sola persona ma lo fa a nome dell’intero comitato promotore, e chiede che vengano citate come dichiarazioni di un collettivo. E allora ecco i nomi: Claudio Lauretti, Ernesto Cimbalo, Gianluca Magalotti, Francesco Sanvitto e Giuseppe Morano.
Sono loro a coordinare i tavoli di lavoro del M5S che si ritroveranno in assemblea il 4 marzo all’Hotel Cicerone: «Sin dal nome, Roma partecipata, evoca uno dei principi fondamentali del M5S, la partecipazione dei cittadini all’amministrazione della città, quello che ci avevano promesso e che non si sta realizzando». Dai tavoli di Urbanistica, Bilancio, Scuola e altri è nato il «90%» del programma di Virginia Raggi, ma «la sindaca non lo sta rispettando». I tavoli sono organi che pulsano nelle viscere del M5S, sono lo strumento della militanza più attiva e adesso si sentono abbandonati dai loro portavoce.
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Nei termini in voga in questi giorni si potrebbe anche chiamare scissione. Se non lo è nella forma lo è certamente nel metodo e nello spirito. E si ripropone uguale ad altre. Con un’unica differenza: qui siamo a Roma, nell’epicentro del M5S, nel luogo in cui tutto sta accadendo, dove le luci dei riflettori bruciano per intensità e la rabbia della base echeggia nel megafono nazionale. Sono voci che non vogliono tacere e che ora apprendono con amarezza che Beppe Grillo ha sancito «la fine dei meet-up» e «dell’uno vale uno» come ha detto a consiglieri comunali e presidenti di municipio sbigottiti: «Vuol dire che è finito il M5S per come lo conoscevamo». In altri tempi queste eresie sarebbero costate espulsioni di massa. Ma ora il Movimento, che di ricorsi per le epurazioni ne ha già abbastanza, veleggia verso logiche governative. Sullo sfondo della rivolta romana c’è il caso stadio, una miccia che rischia di divampare in incendio. Sanvitto, uno dei coordinatori dei tavoli, ha già guidato una truppa di ribelli a manifestare sotto il Comune, snobbato da Raggi ma non da altri consiglieri comunali.
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Il M5S è spaccato in due. I favorevoli sono sempre meno. Beppe Grillo è rimasto a Roma più del solito e ieri ha lasciato la sua stanza all’hotel Forum solo dopo aver ricevuto ragguagli da Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, i due deputati inviati come commissari in Campidoglio. Grillo se n’è andato alla vigilia dell’incontro cruciale di oggi tra giunta, As Roma e i costruttori Parnasi. Il leader ha cercato di mediare, convinto però da periti consultati personalmente che la zona a Tor Di Valle sarebbe ad alto rischio idrogeologico, un pericolo che secondo i proponenti sarebbe già scongiurato dalle soluzioni proposte nel piano. E allora si continua a trattare, soprattutto sulle cubature, con le diplomazie all’opera per tutto il giorno, in attesa del parere dell’Avvocatura comunale. Nella serata di ieri circolavano voci di una anticipazione informale secondo la quale il Comune sarebbe tutelato dalle penali milionarie. Un esito che darebbe più forza alle ragioni dei 5 Stelle, meno alla Roma. I tifosi giallorossi ieri all’Olimpico hanno fischiato la sindaca e Grillo, mentre l’allenatore Luciano Spalletti è tornato all’attacco: «Mi chiedo chi ha interesse che lo stadio non si faccia. Come si fa a non trovare un accordo che porta lavoro e sviluppo? Il nostro presidente James Pallotta è americano, è venuto qui a fare investimenti. Se andrà via, ci renderemo conto di cosa abbiamo perso».
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