Voci di manette per papà Renzi. Congresso Pd a rischio rinvio
Mentre a Roma non si parla che del caso Consip e del giacimento di pizzini scoperto in discarica dagli indefessi pm, Matteo Renzi gira il Sud, occupandosi della sua corsa alle prossime primarie, e dopo aver ribadito la «fiducia nella magistratura» – non apre comprensibilmente bocca sulla vicenda che coinvolge il padre e in serata si limita a far rimbalzare su Twitter le parole del ministro Luca Lotti («Ora basta»).
A parlare è proprio Tiziano Renzi, che in una nota dice: «Non vedo l’ora che venga fuori la verità: voglio essere interrogato, voglio che verifichino tutto di me, non ho nulla da nascondere». L’interrogatorio è fissato per oggi.
Ieri Renzi è stato prima in Puglia, a Taranto, ad incontrare i sindacalisti dell’Ilva con il viceministro Teresa Bellanova: «Non abbandoniamo i lavoratori di questa realtà così importante», spiega via social. Ma neppure lì gli vengono risparmiate le polemiche interne: i dirigenti del Pd locale, saliti sul carro di Michele Emiliano, lo accusano di non averli avvertiti della visita. È un Pd dilaniato e scosso, quello che si ritrova – tra scissioni, inchieste e polemiche sul tesseramento alla vigilia del proprio congresso e delle primarie. E il clima da assalto giudiziario non preoccupa solo i renziani di stretta osservanza. C’è allarme a Palazzo Chigi, dove si teme la crescente fibrillazione politica, con il governo messo nel mirino dai Cinque Stelle che sguazzano giulivi nel torbido del caso Consip e presentano mozioni di sfiducia contro il ministro Luca Lotti, lambito dall’inchiesta. Non che la mozione di sfiducia costituisca un rischio di per sé, ma servirà ad alimentare la giostra mediatico-giudiziaria. Lotti nel post su Facebook rilanciato da Renzi si difende: «Totalmente estraneo a tangenti e appalti, campagna vergognosa». Ed è preoccupato anche il principale sfidante di Matteo Renzi al congresso, Andrea Orlando: il polverone scandalistico, spiegano i suoi, «alimenta il populismo più becero e la propaganda giustizialista, e fa solo il gioco di personaggi come Emiliano». Mentre crea difficoltà a chi, come Orlando, vorrebbe «un confronto interno sulla politica, sulle proposte, sulle diverse idee di partito». Tanto più che, trovandosi nel ruolo delicato di ministro della Giustizia, Orlando si trova in difficoltà ad intervenire in qualsiasi modo sulla bufera che si è scatenata attorno all’ex premier.
Ma è tra i renziani che si respira l’aria più pesante, e una sensazione crescente di accerchiamento mentre si rincorrono le voci più incontrollate e c’è persino chi paventa il mandato d’arresto per Tiziano Renzi. Voci che spaventano anche big del Pd schierati con Renzi, come Fassino, Franceschini e Martina, che meditano di spingere il leader uscente a spostare il congresso più avanti, sottraendo la conta interna alla tempesta giudiziaria. Nessuno lo direbbe apertamente, ma la sensazione che non sia casuale l’arrivo di una bufera giudiziaria su Renzi proprio mentre si apre la corsa verso le primarie è diffusa. Si leggono i giornali, si guardano le tv e la sensazione che ci sia una corsa ad azzoppare il leader Pd cresce. E la situazione nel partito preoccupa altrettanto i renziani. Si registrano spostamenti di truppe e discese dal carro renziano che non promettono nulla di buono per le primarie. A stupire non è tanto il salto della quaglia di personaggi come il «fioroniano» Grassi e il siciliano Lumia, che si sono buttati su Emiliano ben sapendo di non poter contare sulla ennesima ricandidatura da parte di Renzi, quanto lo scouting che stanno facendo gli uomini di Orlando nelle file renziane. «Abbiamo raccolto le firme a sostegno della sua candidatura da parte di oltre cento parlamentari, tra cui diversi renziani», annunciano. I renziani replicano comunicando di avere un numero di adesioni tra i parlamentari «superiore» alla volta precedente, ma cresce la sensazione che quella che sembrava una passeggiata verso la riconferma si stia trasformando in un percorso ad ostacoli.
IL GIORNALE