Perché non ci uniamo al volo degli avvoltoi
Dicevano i vecchi saggi che se miri a una preda la devi uccidere, perché lasciarla vagare ferita nella foresta la rende per il cacciatore un nemico molto più ostile e pericoloso di quanto non fosse in forze. L’immagine si addice a Matteo Renzi, braccato dai suoi nemici interni ed esterni al partito dopo la ferita subita con la sconfitta al referendum. Lo stanno circondando, politicamente e sul piano personale, in attesa di sferrare il colpo del ko. Fanno paura, i cacciatori, tanto che alcuni fedelissimi dell’ex premier si stanno guardando in giro per cercare un nuovo padrone finché sono in tempo.
È la dura legge della giungla politica, che piaccia o no. Ma anche in questo il caso Renzi non insegna nulla di nuovo. È una dinamica che purtroppo abbiamo già visto nel centrodestra quando un Berlusconi ferito da giochi di palazzo e dalla magistratura venne abbandonato da più di un beneficiato.
Oggi Berlusconi è in sella più che mai e a quei signori il destino, per la verità, non ha riservato grandi fortune politiche e personali. Basti pensare ad Alfano, ridotto alla marginalità, e a Verdini, ieri condannato a nove anni per bancarotta (cosa di cui, sul piano personale, sono sinceramente spiaciuto perché non rinnego di esserne stato amico sincero e disinteressato).
Dico questo perché non sono convinto che Renzi sia finito, comunque vada a finire la vicenda giudiziaria del padre e del ministro Lotti, braccio destro di una vita, coinvolto nella stessa inchiesta. Non vorrei essere nei panni dell’ex premier: per un uomo la sola ipotesi di dover scegliere tra mollare al loro destino il padre e l’amico per provare a salvarsi e mollare il potere è già in sé una condanna terribile. Per questo non mi unisco al volo degli avvoltoi sui Renzi (e su Verdini), ai quali noi non abbiamo risparmiato critiche anche dure, ma quando erano nel pieno del loro potere e apparivano come i padroni indiscussi del Paese.
Adesso è facile fare i fenomeni. Semmai questa vicenda dimostra, ancora una volta, l’inconsistenza del progetto politico della sinistra, andata a sbattere sul muro dell’ipocrisia e di una superiorità etica e morale che in realtà non esiste. E non certo da oggi, come questo Giornale sostiene in solitudine da oltre quarant’anni.
IL GIORNALE