Per l’Europa la prova del coraggio

giorgio napolitano

Le voci che si sono levate dai maggiori leader europei negli incontri di Malta e ancor più di Versailles, dovrebbero farci ritenere che all’interno dell’Unione europea si stia in qualche modo arrivando al dunque.

 Ma quando Capi di Stato e di governo come la Cancelliera tedesca e il Presidente francese gettano l’allarme per i rischi estremi che corre la costruzione europea, l’Unione, se continua a restar ferma, non si può poi sottoscrivere una solenne Dichiarazione comune di tono idilliaco.

E’ un fatto anche comprensibile che alla scelta di rottura prevalsa in Inghilterra si sia voluto opporre un’immagine di unità di tutti gli altri Stati membri dell’Unione. Ma è egualmente un fatto che si sia accettato di non prendere decisioni urgenti e mature su temi essenziali per l’Europa, come quello delle migrazioni, o di vederle ignorate, violate, contraddette radicalmente da una parte dei governi dell’Unione. E’ proprio ciò quel che è accaduto, anche in termini di sfida e di negazione brutale di valori costitutivi del progetto europeo come la solidarietà.

 

Ma è giunto il momento che quanti ne sentano l’imperiosa necessità, dichiarino con coraggio la volontà di procedere ai necessari sviluppi del processo di integrazione, anche in assenza di un consenso unanime. Ciò significa seguire il metodo di una differenziazione che è stato già largamente operante nella storia della costruzione europea. Si può, anzi si deve discutere con grande ponderazione quali problemi susciti la formula di un’Europa a più velocità o a due velocità. Ma la sostanza è che non si può subire il condizionamento paralizzante di membri, per lo più di recente data, dell’Unione europea che probabilmente non hanno incorporato nella loro visione l’idea stessa di una sovranità europea condivisa il cui esercizio è affidato alle istituzioni dell’Unione.

 

Stupisce che ci siano reazioni anche pesanti al proposito espresso in queste settimane da Paesi fondatori dell’Europa unita di realizzare impegni già elaborati in termini di obiettivi e tabella di marcia da parte dei Presidenti delle cinque istituzioni europee. Non si vuole discriminare o escludere nessuno, ma solo prendere atto delle indisponibilità di governi soprattutto dell’Europa centrale e orientale a condividere l’attuazione di quegli impegni. Governi o Paesi che hanno goduto dei benefici dell’ingresso nell’Unione europea e adesso resistono al chiarimento che noi ci auguriamo avvenga a Roma per il 60° anniversario dei Trattati in queste sofferte settimane di marzo.

 

Ora il Primo ministro polacco, a nome di un gruppo V4 che a quanto pare si esprime separatamente, pone condizioni e annuncia divisioni e ritorsioni in nome di quell’unità di facciata tra i 27 di cui si fa paladina e che ha tenuto bloccata per lunghi mesi l’Unione.

 

La Comunità europea non si lasciò intimidire dalla politica della «sedia vuota» del Generale De Gaulle, né dalle pretese della Signora Thatcher, proseguì tra alti e bassi nel cammino dell’integrazione fino a giungere all’adozione della moneta unica. All’Unione non resta che rinnovare quegli esempi di coerenza e di fermezza.

Intanto, dal Consiglio europeo di giovedì giungono le parole del paragrafo dedicato, nelle conclusioni, al tema «migrazione»: «Per quanto riguarda la dimensione interna, l’effettiva applicazione dei principi di responsabilità e di solidarietà resta un obiettivo condiviso». Si insiste dunque nella tendenza a dare una rappresentazione a dir poco ipocrita della cruda realtà che l’Unione sta vivendo a questo proposito. Sembra che nessuno abbia sentito e visto qualche giorno fa un nuovo discorso di ossessione xenofoba del Primo ministro ungherese e le immagini di una rassegna del corpo speciale di guardie in uniforme che è stato istituito in quel Paese, già solcato da barriere e da filo spinato, per dare la caccia agli immigrati. La verità è che, di fronte a un’ondata tumultuosa e massiccia di richiedenti asilo e di migranti economici, si sono manifestate tra i 27 le contrapposizioni più gravi. Anziché tendere responsabilmente a una sintesi unitaria per quanto difficile, tra esigenze e concezioni della sicurezza, valori europei, diritti universali, imperio della legge e sensibilità umana e morale verso i tanti (anche tanti bambini) trattati barbaramente e in troppi casi portati alla morte da trafficanti criminali, non pochi governi hanno rifiutato ogni corresponsabilità e hanno obbedito a impulsi e calcoli nazionalistici senza sbocco.

 

Conforta certo che proprio per iniziativa e con l’apporto dell’Italia l’Europa faccia passi avanti per quel che riguarda la «dimensione esterna» del fenomeno migrazione come fenomeno di lungo periodo e ci si muova per affrontarlo in una prospettiva di cooperazione euro-mediterranea, come la Germania ci propone di fare stabilendo un gruppo di contatto tra Europa ed Africa settentrionale. Ma alla questione nel suo insieme si potranno dare le giuste risposte solo se i più consapevoli membri dell’Unione rifiuteranno le finzioni e si risolveranno ad andare avanti comunque su questo come su tutti gli altri temi essenziali.

LA STAMPA

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