Lei 96, lui 60. Una strana storia di amore normale
Marta Ghezzi
Un reading di poesia, lei è stata l’ultima a recitare. Una lirica surreale, versi sciolti sulla lavatrice, l’oblò, i lampi di colore dei tessuti, la centrifuga, mescolati a ricordi d’infanzia, di panni lavati nel mastello. Ha letto con voce chiara, quasi impostata, nessun tentennamento. Sta uscendo, un uomo si alza. «Signora, signora, lo sa che la sua poesia…. è bellissima». Sorriso, lei ha fretta, scappa. Così il primo incontro. Che lei liquida dicendo: «Saremo stati a tre, quattro metri di distanza, non ho visto neanche bene il suo viso». Forse non è proprio vero. Perché al secondo incontro, casuale, poche settimane dopo, lei lo riconosce subito. Questa volta è lui il protagonista. Presenta un suo libro di racconti. Lui è attore, recita mentre parla, anche se le parole non fluiscono sempre chiaramente. L’inizio è un gran classico, lui le chiede il numero di telefono, la chiama con insistenza, la sorprende andandola a trovare a casa. «Le donne non mi vogliono», le confessa. Lei pensa, «è proprio un bel tipo, chissà perché lo abbraccerei subito». Chissà perché.
Vanna lo spiega con semplicità, «avevo capito che c’era qualcosa di straordinario fra di noi, ma non volevo crederci. L’amore alla mia età, dopo decenni e decenni e decenni di solitudine, di vuoto. Guardavo il suo collo e sentivo fortissimo l’impulso di mordicchiarlo. E allora mi dicevo: stai ammattendo, è la senilità. Lui così più giovane, belloccio. Ma perché rinunciare?». Danilo parla di attrazione a prima vista. «Non è giovinetta, ho visto bene che è anziana, non è neppure quella donna che ti fa girare per strada, con cui vorresti subito fare l’amore, ma c’è…diciamo che è quella cosa lì, chimica».
Le ha fatto una dichiarazione fulminante. Lei non si è tirata indietro. «Se si vuole rovinare, peggio per lui». Era il 2008. Vanna Botta, pittrice, figlia dello scultore bresciano Claudio Botta (un bronzo nel Duomo di Brescia, città che gli ha intestato una via, marmi al Monumentale di Milano), aveva 87 anni. Danilo Reschigna, attore, drammaturgo, scrittore, affetto da tetraparesi spastica, 51. Lei vedova, un figlio adulto in Spagna. Lui era in casa dei genitori. Sono ancora insieme.
L’inizio
«Questo amore ha la potenza di una bomba atomica», ha subito pensato Vanna. Racconta che allora, avvicinandosi ai novanta, le sembrava che la morte le scodinzolasse intorno. «Vedevo poco, non dipingevo quasi più. Danilo mi ha restituito il gusto della vita, mi ha ridato vigore, coraggio». Girano mano nella mano nel quartiere popolare alle spalle dello stadio di San Siro, a Milano, dove lei abita. Ogni tanto un bacio. Sulla bocca. Lei intona un pezzo della Bohème, accenna un passo di danza, ruota il bastone come Charlot. Ancora un bacio. La gente si gira a guardarvi? «Ma no, secondo me ci hanno sempre scambiato per madre e figlio», è la risposta veloce di Danilo. Che poi scherzando butta lì, «ti ho rovinato la reputazione». Lei è pronta a cogliere l’allusione, «eccome, quanti pettegolezzi, “la pittrice si è portata in casa un ragazzetto”, del resto mi avevano sempre vista sola, dopo la morte di mio marito, nel 1970, ho sbarrato la porta di casa agli uomini, per quaranta anni mai una passione, un desiderio, un cedimento». I soldi. Il solito cliché, lui povero, lei ricca, magari qualcuno lo ha pensato… Grassa risata di Danilo. «Impossibile, il ricco sono io, lei è poveretta. Abbiamo entrambi una pensione, lei la reversibile, io di invalidità, ma io ho ereditato una bella casa, grande, mentre lei ha questo piccolo appartamento, cucinino, bagno, camera da letto e salottino».
La convivenza non è immediata. Finché i genitori di Danilo sono in vita, lui continua a stare con loro. «A mia madre non l’avevo detto, a mio padre invece si, era tranquillo». Pausa. «Gente semplice, papà faceva i restauri, lucidava il legno, mamma confezionava pantaloni. Sono morti a poca distanza uno dall’altro quando stavo da due anni con Vanna». «Allora finalmente me lo sono preso in casa», aggiunge lei.
In coppia
A volte è amore, a volte mutuo soccorso. Lei cucina, «il ragù alla bolognese è la mia specialità, sempre io ai fornelli, come farebbe lui, poverello, con quella mano offesa?», lava e stende il bucato. Lui apparecchia, l’accompagna a fare la spesa, dal medico, a rifare la carta d’identità. Lei scrive poesie e dipinge, «amo il colore, come Gauguin», due anni fa ha tenuto una mostra antologica al centro culturale Velasquez («ho esposto 70 opere», sottolinea). Lui scrive testi teatrali e libri (l’ultimo, «non mi ricordo il titolo», è una raccolta di racconti, pubblicato in proprio, per pubblicizzarlo lo scorso inverno ha intrapreso un giro di presentazioni in biblioteche e centri sociali di Milano e provincia), ha sempre un copione in mano, ha frequentato la scuola teatrale di Quelli di Grock, calcato le scene, non si arrende, prova, va male, ritenta, riprova, in una corsa continua verso il palcoscenico. «Senti, trovi le cose che scrivo interessanti? — le chiede a bruciapelo — dimmi la verità». Lei gli appoggia la mano sulla spalla, «lo sai, te lo dico sempre, capisco il loro valore letterario».
A letto, al mattino, Danilo le racconta spesso i sogni, le chiede di interpretarli. «Una volta mi ha detto: ho sognato il mio funerale — ricorda Vanna —. Ma dai e io c’ero?, gli ho chiesto, volevo sapere, e invece lui insisteva sul significato, allora ho chiuso, ti sei allungato la vita, almeno così dicono». Lui, però, non ha mollato. «Vanna, tu ci pensi alla morte?». «Lo sai, mi è antipatica, e più mi avvicino all’ora fatale, più mi diventa odiosa. Allora reagisco, l’allontano facendo finta di essere giovane, lo sai che dentro io mi sento così…». Sei mesi a casa di lei, sei da lui. «Perché lei è freddolosa, la mia casa è davvero grande e non si riscalda facilmente, lei patisce, smette di dipingere, e allora passiamo l’inverno nella sua tana, casa popolare, termosifoni tenuti al massimo, da soffocare, ma appena arriva il sole ci spostiamo». Pausa. Ancora Danilo, che commenta: «Così non ci si annoia, la vita diventa interessante». Vanna: «La vita non è interessante, è meravigliosa, sorprendente, ma questa è la solita vecchia storia, io sono ottimista, tu no».
Gelosia
È Vanna a parlare per prima. «Solo quando lui si mette davanti al computer, un mondo per me ignoto, in cui mi rifiuto di entrare. Allora mi prende questa cosa, è come se sentissi di perderlo e soffro», ammette. «Non sono possessiva, se lui trovasse una donna più giovane, come sarebbe giusto, lo lascerei andare. Sarei infelice, certo, ma contenta per lui». Danilo abbassa lo sguardo. C’è qualcosa nell’aria. Piano piano esce una storia. Un’amica di vecchia data, di passaggio da Milano. Eccolo, il cliché. Una cena, l’hotel. «Un uomo ha le sue esigenze», si difende Danilo. Per qualche giorno lui è come sparito, lei non ha saputo più niente. Nessuna telefonata, nessun messaggio. Poi di nuovo quel driiiin imperioso alla porta, come la prima volta. «Chi è?». «Sono io». «Chi è questo io?». «Danilo». «Entra e chiudi». Lui con un mazzo di calle bianche in mano. «Che fiori tristi, aspetto delle scuse…».
La guarda, «come sei bella, bellissima». Graffiata di lei, mentre ride,«ah già, non hai gli occhiali, mettili». La mano di Vanna leggera sulla testa di Danilo, carezze lente. Coppia. Nonostante tutto. La differenza di età. La disabilità di lui. I primi nove anni sono stati leggeri, oggi l’amore è messo più a dura prova. È più difficile tenere in ordine la casa. È più difficile avere cura del proprio aspetto. Danilo, occhi, udito, braccio, sostegno per Vanna, sta invecchiando. Lei ha da qualche settimana una leggera bronchite, lui una tosse che non riesce a interpretare. Ricevono in una casa, lui in tuta, lei in vestaglia. Entrambi lucidi, sempre teneri uno verso l’altra. Artisti che si rubano le battute, che si meravigliano dell’interesse suscitato dalla loro storia, così fuori dal normale e al tempo stesso così ordinaria.
(La storia di Vanna Botta e Danilo Reschigna arriva al cinema. Il regista Fabio Martina ha girato il docufilm «Che cos’è l’amore», che racconta il loro rapporto. La cinepresa entra nella vita della coppia e la segue per diversi giorni. C’è il racconto della passeggiata nel parco e al Cimitero Monumentale, dove sono custodite opere scultoree del padre di Vanna; ci sono le prove teatrali di Danilo, le coccole prima di addormentarsi. «È la storia d’amore e mutuo soccorso di due persone sole a Milano. Fare questo documentario è stato un atto d’affetto, nei confronti dei due personaggi, della loro storia, e di tutte le piccole e straordinarie storie quotidiane che meriterebbero di essere raccontate», dice il regista. Il film è stato proiettato lo scorso autunno in anteprima a Milano e viene ora distribuito in tutta Italia da Circonvalla Film con Movieday. La pellicola ha ricevuto il premio della giuria al Noida International Film Festival di Bombay, India, e sta per essere proiettato in Cina).
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