Spendiamo 3 miliardi per farmaci salvavita che la mutua non passa

giacomo galeazzi
ROMA

Possono evitare il trapianto di rene o salvare dal sovradosaggio di terapia del dolore, eppure non vengono rimborsati come il Tolvaptan o scarseggiano in farmacia come il Naloxone. Sono i farmaci di fascia C con ricetta (antinfiammatori, antidolorifici, ansiolitici) per i quali gli italiani spendono 3 miliardi all’anno, in media 180 euro a famiglia, il 36% della spesa farmaceutica privata.

 

 

 Ma pagare di tasca propria a volte è insostenibile, come sperimentano i pazienti affetti dal rene policistico, una delle patologie genetiche più comuni e principale causa genetica di insufficienza renale. La terapia c’è solo per chi può permettersela. Venticinquemila italiani soffrono di questa grave malattia per la quale in Giappone è stata trovata una cura, ma in Italia il farmaco è in fascia C e per acquistarlo bisogna sborsare in media 20mila euro all’anno.

 

«Il 10% delle persone in dialisi ne è affetto dalla malattia – spiega Luisa Sternfeld, presidente dell’Airp, la onlus che assiste le persone colpite da questa patologia -. Non sono bastati due anni di battaglie: il Tolvaptan, il farmaco giapponese, resta nell’elenco dei medicinali non rimborsabili. La molecola è stata approvata dall’autorità europea (Ema) a maggio 2015, ma un anno fa l’Agenzia italiana del farmaco l’ha inserita in classe C, rendendola accessibile solo ai pazienti che possono permettersi di coprirne autonomamente il costo. Non ci fermiamo e abbiamo consegnato una petizione alle massime cariche dello Stato».

 

 

Al Tribunale del malato

Da un comune della provincia di Torino arriva alla Stampa la lettera di Sabrina Cavallo. Dopo aver perso Giorgia, 5 anni, nel 2000, per una malattia metabolica ereditaria, decide di non rischiare di mettere al mondo un altro figlio malato e a 11 mesi prende in adozione Simone, oggi studente 16enne al terzo anno dell’istituto tecnico agrario. Due anni fa il ragazzo subisce un atto di bullismo e per un pugno nello stomaco gli viene fatta un’ecografia da cui si scopre che ha il rene policistico. In pratica il formarsi di cisti provoca nel tempo la perdita totale di funzionalità renale. «È una sindrome che provoca forti dolori e rende necessari dialisi e trapianti in età precoce – racconta Sabrina -. Dopo anni di studi, ricercatori giapponesi hanno trovato questo farmaco in grado di rallentare la crescita delle cisti. In Europa quasi ovunque i malati sono curati con il Tolvaptan, mentre da un anno in Italia è in vendita completamente a carico del paziente».

 

I costi, denuncia la mamma torinese, sono insostenibili. «Dover sborsare migliaia di euro ogni mese per curarsi è un’ingiustizia verso chi chiede solo una vita dignitosa». Sabrina, come le altre 25mila famiglie che affrontano la malattia, chiedono di «avere gli stessi diritti di cura degli altri pazienti europei». In Germania, Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Inghilterra, Scozia, Svizzera e – dal 1° marzo – anche in Spagna i malati di rene policistico possono accedere al Tolvaptan come terapia rimborsata dal sistema sanitario nazionale.

 

La molecola si è dimostrata in grado di ridurre ogni anno del 30% il declino della funzionalità renale e di far diminuire del 49% l’aumento del volume renale nell’arco di tre anni. In Italia la terapia è in fase di rinegoziazione dopo che a dicembre il Tar del Lazio ha accolto il ricorso dell’azienda produttrice contro l’inserimento in classe C del Tolvaptan, l’unico farmaco che riduce la proliferazione cellulare delle cisti e la secrezione del liquido riducendo la progressione della malattia. Una situazione limite che ha richiamato l’attenzione del Tribunale per i diritti del malato e delle associazioni di tutela dei consumatori.

 

 

In corsia a spese proprie

«I medicinali utili per il trattamento di patologie o sintomi rilevanti dovrebbero essere sempre rimborsati dal Servizio sanitario nazionale e invece accade, per esempio in Puglia, che quando la Asl è sprovvista del farmaco il paziente, pur ricoverato, è costretto a pagarselo di tasca propria», documenta l’avvocato Antonio Tanza, vicepresidente dell’Adusbef e componente dell’Osservatorio forense sulla giurisdizione.

 

Pesanti i risvolti etici. «La Costituzione riconosce la salute come diritto fondamentale – evidenzia il gesuita Francesco Occhetta, teologo morale della Civiltà Cattolica-. Impossibile giustificare la non somministrazione gratuita del Tolvaptan, farmaco approvato dall’Agenzia europea e che ha le caratteristiche per essere inserito tra i farmaci rimborsabili». Tanto più che «a livello morale», prosegue padre Occhetta, la sanità non può essere gestita come un’azienda del mercato in cui tutto risponde alla domanda «quanto costa?». Il problema è «il rapporto tra tecnica, politica del farmaco e cura umana», quindi «la mamma di Simone dovrebbe chiedere all’Aifa un provvedimento straordinario in quanto è un diritto morale per l’intera società salvare la dignità del ragazzo ammalato».

 

Il no dell’Aifa

Abbiamo sottoposto il caso di Simone ai tecnici dell’Aifa che, sentito il parere di nefrologi e internisti, motivano l’inserimento in fascia C del farmaco con «la difficoltà a identificare un beneficio clinico rilevante» e con «un margine di incertezza sui suoi effetti a lungo termine e il rischio di tossicità epatica». Come possibile spiegazione, l’associazione Altroconsumo chiama in causa «la politica di contrattazione di prezzo e rimborso del farmaco tra Aifa e l’azienda farmaceutica» e l’ipotesi di «un rapporto tra costo ed efficacia sfavorevole al rimborso». Ma per capire se i problemi con la fascia C, (quella dei farmaci non rimborsabili) siano o meno limitati al rene policistico, occorre allargare lo sguardo ad altri ambiti sanitari. Al dipartimento Dipendenze patologiche dell’Asl di Milano, per esempio, arrivano continue segnalazioni: nelle farmacie è irreperibile un altro medicinale di fascia C, il Naloxone.

 

In una grande piazza come Milano i grossisti hanno difficoltà a fornire una sostanza per l’overdose da oppiacei e da terapia del dolore. Medicine a carico del paziente o hanno costi proibitivi (Tolvaptan) o sono difficili da trovare in farmacia (Naloxone.)

 

Scaffali vuoti in farmacia

L’ Italia ha 18.200 farmacie con 70mila addetti. «I farmaci di fascia C, sia quelli con obbligo di ricetta sia quelli senza, sono interamente pagati dai cittadini- sottolinea Annarosa Racca, presidente di Federfarma, la federazione dei titolari di farmacia -. Ma i medicinali sono tutti necessari se utili a una terapia». Un farmaco è di fascia C per diverse ragioni. Una è il mancato accordo tra produttore e l’Aifa sul prezzo da dare al medicinale per ammetterlo alla rimborsabilità da parte del Ssn e quindi inserirlo nel prontuario in fascia A (cioè totalmente gratuito o con ticket). Altra possibilità è che l’Aifa giudichi negativo il rapporto tra prezzo e beneficio e quindi escluda il farmaco dalla rimborsabilità, cancellandolo dal prontuario e ritenendo di fatto che la terapia possa essere effettuata in altro modo. E ci sono medicinali introvabili nelle farmacie nonostante i malati li paghino di tasca propria.

 

«I farmaci possono momentaneamente mancare o per problemi aziendali o per carenza di materie prime – ammette Racca -. Talvolta dipende dalle “esportazioni parallele”, cioè dalla vendita in altri Paesi europei di farmaci che in Italia costano meno».

 

Molti medicinali, pur prodotti per il mercato italiano, prendono la strada di Germania e Gran Bretagna o altri Paesi europei dove costano di più e ciò crea scarsità che danneggiano i pazienti. «Il parallel trade è legale, ma è eticamente ingiusto che un malato non trovi un farmaco perché conviene di più venderlo in un altro Paese – riconosce Racca -. La situazione dei farmaci mancanti va monitorata lungo la filiera».

 

Il mistero delle classi

A 11 anni dalla liberalizzazione del mercato farmaceutico, la storia di Simone dimostra quanto le norme non riescano a catalogare la realtà. Secondo la legge, i medicinali classificati in fascia C sono quelli non essenziali («salvavita») o utilizzati per patologie di lieve entità, mentre i medicinali rimborsati dal Ssn sono destinati alla cura di malattie croniche.

 

Al Tribunale del malato non si danno per vinti, a partire proprio dal fatto che il Tar del Lazio tre mesi fa ha accolto il ricorso contro l’inserimento in classe C del Tolvaptan, «l’unica terapia in grado di rallentare la crescita delle cisti renali e quindi la progressione della patologia». Ma da allora per i pazienti nulla è cambiato.

 

Abbiamo incontrato anche gli industriali farmaceutici. «Tutti i medicinali, per essere immessi in commercio, devono avere un prezzo e una classe di rimborsabilità – puntualizza Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria -. La fascia C è una classificazione assegnata a livello nazionale dall’Aifa. Le Regioni in equilibrio di bilancio (non quindi quelle sottoposte a piano di rientro per i disavanzi sanitari) possono decidere di rimborsare alcuni farmaci di fascia C con fondi propri». E «l’Aifa applica rigorosi criteri di classificazione per cui i farmaci disponibili nelle farmacie e negli ospedali e considerati essenziali sono in fascia A e H».

 

Alla filiale italiana dell’azienda giapponese produttrice del Tolvaptan, il direttore Diederik Huisman chiede all’Aifa di riconsiderare l’inserimento del farmaco tra quelli a carico del cittadino. «Lavoriamo con le istituzioni per la rimborsabilità della terapia in grado di rallentare la progressione del rene policistico», dice. La mamma di Simone non si arrende. I malati creano gruppi sui social network. Si scambiano impressioni e tra loro cresce il sospetto di interessi delle aziende farmaceutiche nel favorire le remunerative dialisi a scapito della cura farmacologica sperimentale. «Il costo del kit per ciascun dializzato è di 400 euro, una fonte continua di guadagno per le case produttrici», rimbalza tra i pazienti. Per lo Stato il costo medio per un malato di rene policistico in dialisi è di 32mila euro all’anno.

 

«Il punto più delicato è quello politico – osserva Occhetta -. Le case farmaceutiche finanziano la ricerca, impongono i brevetti, stabiliscono i prezzi. Il convenzionamento dei farmaci genera corruzione. Ci sono medicinali come quelli per l’epatite C che da noi hanno costi proibitivi mentre altrove si comprano con poco. I pazienti di malattie rare aumentano e i costi per lo Stato sono altissimi: per la sostenibilità serve un piano industriale sanitario basato su principi di qualità, sicurezza ed efficacia». Oggi manca.

LA STAMPA

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