Leaderismo al capolinea: Renzi lascia la scena alla Generazione Lingotto
Le ripetute standing ovation dei duemila stivati nella platea del Lingotto per Maurizio Martina sono spiazzanti e fragorose, come quelle per Matteo Renzi il giorno prima. Una sorpresa. In jeans e senza cravatta, il ministro bergamasco delle Politiche agricole, nuovo numero due della squadra renziana, è felice e si guarda attorno, ma il numero uno non c’è. Matteo Renzi è dietro le quinte, preferisce congratularsi col suo “vice” nel retropalco e lo stesso trattamento riserverà a tutti i protagonisti della seconda giornata del Lingotto. Un’intima difficoltà a condividere in pubblico il successo personale degli altri? O un escamotage per lasciare il campo ad altri protagonisti?
Una cosa è certa. Il leader del Pd ha pensato il Lingotto con un’idea fissa: cancellare dalla testa degli italiani l’immagine di Renzi l’accentratore, il prepotente, l’ uomo solo al comando. Gli altri messaggi contenuti nel suo discorso di apertura – a cominciare dall’immagine del Pd come partito di sinistra – per Renzi sono importanti, ma non quanto quello della correzione della propria immagine personale.
Ecco perché, nel retropalco il leader del Pd confida di essere compiaciuto per come è andata la seconda giornata della kermesse: «Io ci sono, ma soprattutto “noi ci siamo”. E la ripartenza può cominciare da una nuova classe dirigente: la generazione Lingotto». Una sintesi che allude ai tanti dirigenti locali di partito – soprattutto di origine Ds – che alle fine si sono schierati con lui, in particolare alcuni dei principali esponenti del “partito emiliano”, a cominciare dal presidente della Regione Stefano Bonaccini, ma anche ai tanti sindaci delle regioni “rosse”, come quello di Pesaro Matteo Ricci.
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Ma anche ai ministri, che Renzi aveva pesantemente e ininterrottamente oscurato quando era presidente del Consiglio, che avevano faticato a parlare in alcune edizioni della Leopolda e che invece ieri sono potuti intervenire. Come Pier Carlo Padoan, che – in linea con lo spirito della manifestazione – ha evitato qualsiasi riferimento concreto a manovre vicine e lontane. Oggi sarà al Lingotto anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che però non interverrà, si limiterà ad ascoltare la replica finale del segretario a mezzogiorno.
Rispetto all’urgenza di creare una squadra più larga, il cambio di atteggiamento, se i fatti seguiranno alle parole e non si rivelerà soltanto un escamotage, accrediterebbe una novità significativa nella storia del “renzismo”, una corrente politica nata e cresciuta attorno ad un leader accentratore e ad un gruppo ristrettissimo, poi ribattezzato “Giglio magico”. La seconda giornata, secondo la regia voluta da Renzi, è diventata una sfilata di notabili, con l’aggiunta di alcuni intellettuali, se non “organici”, sicuramente molto simpatizzanti con il leader. e infatti gli interventi di Biagio De Giovanni, dello storico “togliattiano” Beppe Vacca e dello psicoanalista Massimo Recalcati, sono stati apprezzati da Renzi, che ha voluto che il Lingotto si caratterizzasse con «molta cultura».
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E la seconda giornata ha confermato un dato evidente sin dall’esordio: se Renzi e il renzismo faticano a ritrovare la carica di novità e la “scossa tellurica” delle origini, il popolo che sta con lui è ancora animato da un pathos e da un entusiasmo che si sprigionavano puntualmente in occasione degli interventi più caldi. In platea i posti a sedere non sono più di settecento, ma complessivamente sono circolate circa duemila persone, in prevalenza piemontesi e “over 50”.
E anche nella seconda giornata si è confermato il mezzo miracolo della prima: la vicenda Consip, dopo aver campeggiato per giorni sui giornali, è rimasta fuori dal Lingotto. In questo c’è stata un’abilità personale di Matteo Renzi nel contrattaccare in tv, ma è come se sulla vicenda fosse calata una sorta di tregua, certo non “istituzionale”, ma trasversale, che comprende gli sfidanti di Renzi alla guida del Pd. E che va incontro ad una generica istanza alla «pace» istituzionale lanciata nei giorni scorsi dal Capo dello Stato. Una tregua destinata a durare, oppure, come sussurra una “gola profonda” collegata agli ambienti giudiziari, «dal 2 maggio potrebbe tornare a grandinare».
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