Guerriglia contro Salvini. Lui: “Denuncio De Magistris”

ilario lombardo
inviato a napoli

Il vocione dell’ologramma tv di Matteo Salvini che fa da sottofondo al brusio della sala in attesa viene interrotto da un boato. È la prima bomba carta. Siamo a qualche centinaia di metri dal cuore della manifestazione, ma l’allegria nel bunker, dove si infilano pullman da ogni regione del Sud e dove si entra solo a inviti, non viene scalfita dal rumore della protesta. Le strade attorno al Palacongressi dell’area fieristica della Mostra d’Oltremare sono blindate da camionette e agenti antisommossa. La cintura di sicurezza garantita dal Viminale al leader della Lega funziona.

 Dentro, è una normale celebrazione del leader che scende dal Nord a risciacquare i suoi peccati contro i «terroni» nel mare di Napoli. Fuori, brucia il carattere lavico dei napoletani e va in scena l’epilogo atteso e sempre uguale a se stesso di un gruppo di violenti nerovestiti, che commissaria un corteo e lo trascina oltre il confine del lecito, nell’abisso della ripetitività.

 

Non parlano, non vogliono essere fotografati o intervistati, lanciano pietre, molotov, usano bastoni, rivoltano cassonetti, spaccano macchine e vetrine. Alle 17, in piazza Tecchia, nel punto più vicino alla sala dove Salvini parlerà, salgono dalla coda del corteo alla sua testa, dove fino a quel momento ragazze con la maschera di pulcinella cantavano e urlavano slogan di orgoglioso cosmopolitismo mediterraneo. Due ore prima, a piazza Sannazzaro, luogo del raduno, tutto è pace e bene, un frullato di colori e musica, che racconta il paradosso di una città fiera della sua accoglienza, ma che considera sgradito un leader politico. Una città guidata da un sindaco, Luigi De Magistris, che manda al corteo sua moglie, assessori e consiglieri. De Magistris corteggia le fiamme, si scaglia contro il ministero dell’Interno, che ha imposto la concessione della Mostra d’Oltremare a Salvini, nonostante i vertici dell’ente avessero rescisso all’improvviso il contratto: «Respingiamo dal punto di vista politico e istituzionale il provvedimento del governo e simbolicamente consegniamo le chiavi della Mostra, perché né il Comune né i gestori ne dispongono più».

 

Napoli è anche il genio dello sfottò, è la ruspa salviniana che trasporta un foglio di via per l’ «invasore» leghista. Ma questo è prima che la solita danza macabra dei violenti cominci. Dicono che sono di diversi collettivi, antagonisti dei centri sociali come Insurgencia, e qualche ultras. La nebbia dei lacrimogeni avvolgerà tutto in pochi minuti. La giornata finirà con 6 fermati e 30 feriti, di cui 26 forze dell’ordine. Il corteo, fatto di studenti, sindacalisti Cobas, sigle politiche di sinistra, si spezza e si disperde nella paura e nella rassegnazione. A Salvini non perdonano i cori razzisti anti-napoletani, le lave vesuviane evocate dai cori da stadio, trasformati in messaggi politici. Le scuse non bastano. Quando gliene chiedono ancora dice: «Mi sono scusato 18 volte». Piuttosto, annuncia che porterà in tribunale De Magistris, che lo aveva definito «nazifascista», e risponde con rudezza provocatoria ai centri sociali: «Quando andremo al governo, li chiuderemo come i campi Rom».

 

Salvini parla a ragazzi calabresi, lucani, sardi, siciliani che vogliono lavoro, autonomia e chiedono di mandare via i migranti. De Magistris a una città che non accetta che il leghista sfondi il muro della Padania verso Sud. Ci sono tanti tipi di confini. E storie di appartenenza. La stessa bandiera può sventolare di qua o di là. Come il vessillo del regno delle due Sicilie. Spunta dentro il Palacongressi, accanto a quella della Trinacria (Sicilia) e a quella dei confederati, suprematisti e neonazisti Usa. Ma spunta anche dal corteo, in mano ad Alberto Petillo che ricorda come Napoli non abbia mai avuto un ghetto ebraico o l’inquisizione spagnola e dice: «Io non mi sento italiano, sono napoletano, voglio la mia autonomia». Ma non era Salvini vecchia maniera a dire cose del genere? E allora capisci che anche le diversità che qui si oppongono possono assomigliarsi.

LA STAMPA

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