Non possiamo perdere l’Olanda
Cosa succede se l’Europa perde l’Olanda? La patria di Erasmo e di Spinoza, la terra della tolleranza e della libertà? Nel Rinascimento e nell’età barocca, gli ebrei e i perseguitati trovavano nelle Province unite, nella borghesia mercantile e nella casa degli Oranje un porto sicuro. Chi non poteva stampare i suoi libri o manifestare le sue idee in casa, metteva vela verso Rotterdam o partiva per Amsterdam. Ancora oggi il Giorno del Re, che da quando è salito al trono Guglielmo cade il 27 aprile, è una straordinaria prova d’integrazione: vecchi e nuovi immigrati, indonesiani e comunitari, i discendenti dell’antico impero coloniale e gli espulsi dalla crisi del Sud Europa si mescolano uniformati dalla maglietta arancione (quest’anno si annuncia una festa speciale: il sovrano compie cinquant’anni). Amsterdam, del resto, è con Londra la metropoli più internazionale d’Europa (Parigi è una città francese e maghrebina con forti comunità da altre parti del mondo più o meno integrate, Madrid è soprattutto una capitale spagnola e latinoamericana).
Eppure l’Olanda è stata anche il primo Paese europeo a conoscere l’intolleranza della modernità. A vivere le tragedie e i pericoli che il mondo globale porta con sé, insieme con le occasioni. Il 2 novembre 2004, alle 8 del mattino, Theo van Gogh — nome caro a chiunque ami le arti e la libertà: discendente del fratello del pittore e di un altro Theo van Gogh caduto nella Resistenza al nazismo —, il regista di Sottomissione, un film critico verso l’Islam, veniva assassinato con otto colpi di pistola da un integralista dalla doppia cittadinanza, marocchina e olandese, che gli ha poi tagliato la gola.
Le sue ultime parole furono: «Ma non ne possiamo parlare?». Theo van Gogh era stato amico di Pim Fortuyn, il fondatore dell’estrema destra olandese, come i media la definiscono per comodità. Ma Fortuyn non era un parruccone reazionario. Era un gay orgoglioso sino all’esibizione, oltre che un dandy celebre per la sua eccentricità. Insegnava Sociologia all’università di Groeningen. Era molto duro verso l’immigrazione islamica perché, diceva, «in quanto omosessuale non sopporto essere considerato un cane rognoso». Il 6 maggio 2002, nove giorni prima delle elezioni, venne assassinato da un estremista, non islamico ma «verde» (Fortuyn adorava le pellicce e aveva promesso di abolire la legge che vieta di allevare ermellini e visoni). Il suo corpo fu esposto in frac e papillon nella cattedrale cattolica di una Rotterdam annichilita dallo sgomento. «Verbijstering» titolarono i giornali: stupore. Il Feyenoord vinse la Coppa Uefa e la dedicò alla sua memoria, il suo partito prese un milione e 600 mila voti e 26 deputati (su 150). Pim Fortuyn è sepolto in un Paese che amava: l’Italia, a Provesano, in Friuli, dove aveva casa. Sulla sua tomba è scritto: «Loquendi libertatem custodiamus», difendiamo la libertà di parola.
Questo forse aiuta a capire perché nei sondaggi il partito antisistema di Geert Wilders — che non è Fortuyn — è in testa o tallona i liberali del premier Mark Rutte (si vota mercoledì). Le sue idee sono discutibili. I suoi tweet spesso odiosi. La sua proposta di mettere al bando il Corano e chiudere le moschee contraddice l’essenza dell’anima olandese. Gli altri partiti sono divisi su tutto, tranne che su un punto: mai un’alleanza con lui. Eppure non va sottovalutata l’ascesa della destra antieuropea e antislamica appunto nel Paese più tollerante d’Europa. Non lo si capirebbe se non si considerasse che nel suo successo, accanto alla componente xenofoba, c’è anche un aspetto identitario che, essendo in Olanda, assume pure un carattere libertario, sia pure espresso con parole distorte: il diritto degli omosessuali di vivere la loro vita alla luce del sole; il diritto delle donne di uscire con chi vogliono e vestite come vogliono. Il fatto stesso che Wilders preferisca i social ai comizi, anche per salvaguardare la propria sicurezza, indica che c’è un problema reale; e ovviamente lui è pronto a sfruttarlo. Non era stato detto che ci si deve battere per consentire agli avversari di esprimere le proprie idee in pubblico, a maggior ragione se non le si condivide?
Wilders è isolato e non riuscirà a fare un governo. Questa è una buona notizia. Il 2017 che si annunciava come l’anno dei populismi, dopo le grandi vittorie di Brexit e di Trump, potrebbe rivelarsi l’anno della loro sconfitta, dall’Olanda alla Francia dove Macron si rafforza ogni giorno. E se dovessero essere confermati i sondaggi che danno in crescita i socialdemocratici di Schulz — ma è un esito tutto da dimostrare —, potrebbe uscire ridimensionata anche l’austerity della Merkel, che ha avuto nel governo dell’Aia l’alleato più intransigente. Eppure sarebbe sbagliato negare la rilevanza di un Gert Wilders. Se persino gli olandesi perdono lo spirito d’apertura e di convivenza, il resto d’Europa deve tenere gli occhi vigili e la mente sgombra dai pregiudizi ideologici, aperta alla libera discussione delle idee; anche a quelle che non ci piacciono.
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