La legittima difesa è un valore: un’altra faccia del diritto alla vita
Non c’è groviglio etico più inestricabile di uno Stato che decide di non decidere. La cronaca di queste settimane ha risvegliato l’Italia dal torpore su due questioni chiave.
Le storie così distanti di Fabiano Antoniani e di Mario Cattaneo hanno in realtà un destino comune. Perché dj Fabo, che ha scelto il suicidio assistito in Svizzera dopo che un incidente lo aveva reso cieco e tetraplegico, e il ristoratore di Casaletto Lodigiano dal cui fucile è partito il colpo che ha ucciso uno dei malviventi all’assalto del suo locale, hanno messo il Paese di fronte allo specchio. Hanno toccato fili delicati. Il fine vita e la lotta per la vita. Il diritto all’autodeterminazione della propria esistenza e quello alla protezione della stessa meritano entrambi di essere tutelati. Qualcuno potrebbe azzardare che sono due forme diverse di «legittima difesa», l’una dalla malattia incurabile che toglie la dignità di persona, e l’altra dalla violenza criminale che cancella la proprietà privata, minaccia gli affetti e ciò che si è costruito in una vita, appunto, di lavoro.
È la società a scrivere l’agenda dei legislatori. Così è sbarcata ieri alla Camera, dopo un percorso tormentato e a otto anni di distanza dal caso simbolo di Eluana Englaro, la proposta di legge sul testamento biologico che intende stabilire regole chiare sulla sottile frontiera tra la vita e la morte, tra il dolore e la malattia senza alcuna speranza di guarigione. Il provvedimento non avrebbe influito sulla vicenda di Dj Fabo, però le nuove «norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (Dat)» cercano di dire in burocratese ciò che gli italiani vogliono capire da tempo. E cioè se e come, quando in grado di intendere e di volere, potranno esprimere il consenso o diniego alle terapie. Impossibile rimandare ancora: occorre fare chiarezza. Ma se oltre il 60% degli italiani dichiara che userebbe le armi per difendersi in caso di pericolo per sé o per la propria famiglia (sondaggio Eurispes), allora non si capisce perché non sia arrivato il momento di dedicarsi anche a un’altra riforma fondamentale. Il dibattito sull’articolo 52 del Codice penale, che delinea i contorni che separano la «legittima» difesa dall’«eccesso» di difesa, occupa ciclicamente le pagine dei giornali e fa schizzare lo share dei talk show. Tanto clamore e poi riflettori spenti. Intanto qualsiasi tentativo di modificare la legge, per un motivo o per un altro, finisce in fondo alla palude del Parlamento. Resta la ferita, anzi il livido, ben visibile sulle braccia di cittadini che scoprono un mondo alla rovescia. Quello in cui si può essere accusati di omicidio volontario per aver cercato di preservare la propria attività o la propria casa. Insomma, il proprio diritto di vivere.
IL GIORNALE