Privatizzazioni e manovra, il Pd processa Padoan
Per capire quanto sarà complicato per il governo Gentiloni arrivare al 2018, basterebbe avere a disposizione lo streaming della riunione di ieri di Pier Carlo Padoan con i parlamentari Pd. In un clima vagamente surreale, fra battute e un fair play di facciata, è andato in scena un processo alle intenzioni. Più che su quel che andrà fatto, la discussione si è concentrata su quel che non si può fare: no all’aumento dell’Iva, nessun ritocco alle accise sulla benzina, altolà alla riforma del Catasto, dubbi sulle privatizzazioni. «Il sentiero stretto» di cui parla spesso il ministro del Tesoro ormai è un pertugio. Da un lato ci sono gli impegni con l’Europa e l’inizio della fine del piano Draghi, dall’altra una maggioranza parlamentare con la testa alle amministrative di giugno e alle successive elezioni politiche. A complicare la vita del governo non sono solo le richieste degli scissionisti o di Alfano. Il malumore è sempre più forte anche nel partitone, e attraversa senza distinzioni renziani e orlandiani. Il tam tam di una presunta corsa al voto anticipato a settembre innescata dal successo congressuale di Renzi rimbalza di nuovo da un palazzo all’altro della politica.
Ma il nodo resta un altro: quale sia la legge di Bilancio possibile senza condannare il Pd alla sconfitta elettorale. I toni di Renzi in televisione sono da campagna elettorale: «Bisogna continuare senza polemica sull’abbattimento delle tasse: se vanno giù l’economia cresce. Noi le risorse le abbiamo trovate con la flessibilità. Penso si possa continuare e Padoan è d’accordo».
Il problema è che le tesi di Padoan non coincidono con quelle della sua maggioranza. Il fiorentino Edoardo Fanucci – un renziano della prima ora – dice no alla revisione delle regole sul catasto perché «bisogna fare attenzione a fare cose giuste nel momento sbagliato». Francesco Boccia (area Emiliano) ha una preoccupazione di segno opposto: come aumentare le tasse ai giganti del web. Perfino l’economista Giampaolo Galli, finora un lealista del governo, è dubbioso sulla strategia prudente con l’Europa: «Gli obiettivi di deficit per il 2018 non sono credibili, e sarebbe credibile dire sin d’ora che non potremo rispettarli».
Padoan talvolta tiene il punto con toni caustici, talvolta si censura, in altri casi si trincera dietro a battute sagaci. Non parla mai esplicitamente di tagli alle tasse, salvo sottolineare che il poco spazio a disposizione «dovrà essere concentrato». Si dice favorevole ad un aumento degli investimenti, ma a precisa domanda non anticipa quale sarà l’obiettivo di deficit per il 2018 nel Documento di economia e finanza. Accenna ad una trattativa in due tempi per ottenere più flessibilità, spiega che gran parte delle entrate della manovrina verranno da un aumento della lotta all’evasione, fra cui la rottamazione delle cartelle esattoriali e da tagli alla spesa. Sottolinea che non si va in ginocchio a Bruxelles, ma che «c’è modo e modo» di procedere. Spiega che Def e manovrina di correzione sono una cosa sola, e quest’ultima sarà approvata subito dopo il Def, il 10 aprile. Se Fanucci lo invita «a confrontarsi con la politica» prima di approvare il Documento, Padoan risponde chiedendo di «spiegargli la differenza» tra ministro tecnico e politico: «I conti vanno tenuti in ordine e scusate se dico queste banalità». Dice che «la riforma del catasto si può fare a saldo zero», ma non spiega come. Su un punto Padoan è fermo: no a marce indietro sulle privatizzazioni, perché «i mercati ci giudicano. E poi – se posso esprimere un parere personale – non servono solo a fare cassa ma a rendere il sistema più efficiente». Brusii in sala.
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