Da Harvard a Trump: Di Maio riparte dagli Usa
Quando pensano di essere a un passo dal governo i leader cercano subito di accreditarsi e di farsi conoscere da chi hanno bisogno di farsi conoscere. E si comincia sempre da due potenze mondiali: quella politico-economica, gli Stati Uniti, quella spirituale, il Vaticano.
Questa volta si farà. E se tutto si incastrerà alla perfezione dovrebbe essere già a maggio, al massimo a settembre, se ci saranno imprevisti. Il sogno sarebbe di farlo prima del G7 che riunirà i leader mondiali a Taormina il 26 e 27 maggio.
Di Maio atterrerà a New York e si muoverà tra la Grande Mela, Boston, dove sarà ospite dell’università di Harvard, e Washington dove l’obiettivo grosso del M5S è incontrare Donald Trump in persona. Già una volta Di Maio era stato costretto ad annullare la trasvolata negli States. La prima, a ottobre, nel pieno della crisi di Roma, quando venne travolto dalle faide del M5S. La sua leadership fu messa in discussione dai movimentisti guidati da Roberto Fico, lui scelse il basso profilo e cancellò il viaggio, che, dopo la tappa di Israele, lo avrebbe accreditato, forse definitivamente, come prossimo candidato premier. Da allora si può dire che il mondo è cambiato: negli Usa ci sono state le elezioni e a sorpresa ha vinto Trump, portatore di quel postmodernismo populista che ha raccolto l’entusiasmo di Grillo e delle destre sovraniste d’Europa. Nel frattempo, in Italia, per restare alle beghe più domestiche del M5S, Di Maio non deve più subire la finzione della democrazia orizzontale, leaderless, e, piegati i suoi avversari interni, ormai si muove da candidato premier. Il viaggio negli Usa a pochi mesi dal voto serve a rinforzare questa immagine e a farlo conoscere dall’Amministrazione Usa.
Le diplomazie sono all’opera, i primi contatti con gli ambienti governativi e l’entourage di Trump sono in corso. Di Maio dovrebbe incontrare qualcuno della squadra, ma punta a stringere la mano a The Donald in persona. Molti dettagli sono ancora da definire e ci stanno lavorando sia uomini della Casaleggio sia i collaboratori dell’ufficio di Di Maio, a partire dal fidato consulente politico, Vincenzo Spadafora, già responsabile dello sdoganamento del deputato tra i lobbisti italiani. A giorni invece è attesa la bozza del programma di interventi ad Harvard, la prestigiosa università dove Di Maio parlerà di democrazia diretta e della piattaforma Rousseau affidata a un imprenditore privato, Davide Casaleggio, per definire il piano di governo partecipato dagli attivisti. Di Maio ovviamente non potrà sfuggire agli interrogativi internazionali che gli verranno posti, soprattutto dopo il voto in Francia. Negli Stati Uniti gli chiederanno della Nato, che il M5S vuole ridimensionare, e dei rapporti con la Russia, a cui i grillini vogliono togliere le sanzioni decise dall’Ue d’accordo con Washington quando alla Casa Bianca sedeva Barack Obama. Sono due punti del programma di Esteri che in questi giorni si vota sul blog. Le convergenze con la dottrina Trump non sono poche e i 5 Stelle non hanno mai nascosto una certa simpatia per il presidente Usa. Al netto dell’imbarazzo per la sua conversione al carbone, mentre Grillo vuole chiudere con i fossili, anche alla presentazione del programma energetico del M5S alla Camera, i 5 Stelle hanno usato vari distinguo per evitare di attaccare Trump e di causare incidenti diplomatici che possano compromettere i piani di Di Maio.
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