Matteo preavvisa Gentiloni. E (per ora) seppellisce l’ascia
Parola d’ordine: bagnare le polveri. Certo, il «caso Torrisi» «avrà delle conseguenze», ma non sul governo: «Non vogliamo neanche sentir pronunciare la formula crisi di governo.
È un linguaggio da Prima Repubblica, come sono giochini da Prima Repubblica quelli fatti al Senato». Ma ciò detto, Matteo Renzi sta con Gentiloni: «Il lavoro del governo va difeso e incoraggiato». Il governo Gentiloni, tiene a sottolineare, sta proseguendo sulla strada delle riforme renziane, e «anche i dati Istat su consumi e occupazione cominciano a darci ragione».
Dopo la giornata ad alta tensione di mercoledì, con il Pd sul piede di guerra che chiedeva vendetta per la bocciatura del suo candidato alla presidenza della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, il leader del Pd ha riunito al Nazareno i parlamentari che lo sostengono in vista delle primarie e ha sepolto l’ascia di guerra dichiarando chiuso l’incidente: «Dell’elezione di un presidente di commissione agli italiani non interessa nulla». Anche se l’incidente parlamentare, che ha saldato un’anomala maggioranza «proporzionalista» composta dalle opposizioni più centristi e Mdp, gli offre il destro per «ributtare la palla» della legge elettorale nel loro campo: «Il fronte che ha votato Torrisi è lo stesso del No al referendum, al Mattarellum, all’Italicum.
Ora sono in maggioranza nella commissione che deve occuparsi di legge elettorale: tocca a loro fare una proposta: vediamo che sono capaci di fare, ora che non possono più usarci come alibi». E un renziano di rango rincara: «La Prima Repubblica si sta mobilitando per impantanarci. Ma anche noi sappiamo giocare: potremmo anche fare sponda con i grillini per togliere i capolista bloccati e mettere le preferenze. Poi voglio vedere Fi e Mdp come piangono».
Crisi rientrata, insomma. O meglio mai nata, spiegano in molti. Perché quando lo stato maggiore renziano ha cominciato a drammatizzare il pasticciaccio del Senato, si è silenziosamente messo in moto un ampio «fronte della stabilità», con il suo vertice al Quirinale e il suo braccio in diversi ministri del Partito democratico, da Dario Franceschini a Andrea Orlando, nonché un esecutore entusiasta a Palazzo Madama nella persona del Presidente Grasso, che ha subito plaudito alla «democratica elezione» di Torrisi. Per non parlare di Angelino Alfano che, sentendosi le spalle coperte dall’alto, ieri si è esibito in un’intemerata contro il Pd. Il fronte anti-crisi si è premurato di recapitare ai renziani il seguente messaggio: calma e gesso, fermiamo subito le fibrillazioni inutili. Perché un’eventuale crisi potrebbe portare al massimo alle dimissioni dell’attuale premier renziano, lealmente disposto a farsi da parte: giammai ad elezioni ravvicinate, magari dopo trionfali primarie Pd. Nessuno le vuole – men che meno il Colle, che non a caso ha negato al Pd l’incontro richiesto – e il rischio di ritrovarsi con un bel governino tecnico è dietro l’angolo. Un messaggio subliminale lo ha mandato ieri mattina lo stesso Gentiloni, ricordando che «in un momento così delicato per il Paese e per il mondo, la prima richiesta che arriva alle istituzioni è di essere rassicuranti».
E ieri Renzi ha scelto anche lui di essere rassicurante: «La vicenda è chiusa, occupiamoci di cose serie». Una delle quali è vincere le elezioni, perché «se non vinciamo noi è un casino», con l’Italia in mano agli sprovveduti grillini. Non a caso l’ex premier con i suoi parlamentari calca la mano sugli ultimi sondaggi, che vedono un contro-sorpasso del Pd, in crescita, sul M5s in calo. E se «la finestra del voto a giugno è stata chiusa da Mattarella», dicono i suoi, quella di ottobre viene considerata ancora aperta.
IL GIORNALE