Università, ecco dove conviene studiare: Milano regina di stipendi
di RAFFAELE RICCIARDI
Tre atenei milanesi si confermano in cima alla classifica dei poli degli studi che offrono i migliori stipendi, una volta che si è conquistata la laurea. Ci sono pochi movimenti ai piani alti della graduatoria dell’University report, aggiornato al 2017 dall’Osservatorio JobPricing insieme a Spring Professional, società di consulenza del gruppo Adecco. Secondo i risultati offerti da oltre 50mila rilevazioni, la retribuzione annua lorda di un giovane tra 25 e 34 anni che ha nel curriculum un titolo alla Bocconi di Milano è poco sopra 35mila euro, il 16,5% più della media nazionale fissata a 30.116 euro. Alle sue spalle si posiziona il Politecnico di Milano (circa 33mila euro), poi l’Università Cattolica del Sacro Cuore (circa 32.500 euro).
I dati vanno letti in un contesto lavorativo ancora difficile per chi ha conseguito la laurea: secondo Eurostat, risulta occupato entro tre anni dal titolo il 57,7% degli under 35 che avevano terminato l’educazione terziaria, a fronte dell’80,7% nell’Ue a 28. Un dato, relativo al 2016, in netto miglioramento rispetto al 53,5% del 2015 e il 49,6% del 2014, ma che resta da bassifondi della graduatoria: è il penultimo del Vecchio continente, migliore solo di quello greco. In Germania, per intendersi, entro tre anni dalla laurea lavora il 92,6% delle persone. Per chi riesce a vincere la sfida di entrare nel mondo del lavoro, emerge che – dietro il podio degli stipendi a tinte lombarde – si trova la Luiss Guido Carli di Roma, che vanta un altro primato. I suoi laureati riescono infatti a spuntare un raddoppio della busta paga, con il prosieguo della carriera: se all’inizio guadagnano meno di 32mila euro, nella fascia d’età tra 45 e 54 anni arrivano a confessare stipendi da quasi 63mila euro. Gli altri istituti al top della classifica delle retribuzioni iniziali mantengono comunque progressioni di carriera di tutto rispetto, con miglioramenti degli assegni annui intorno al 90%.
Ecco perché dal report emerge una sorta di mappa delle Università, in base al reddito che offrono. Ci sono quelle, come appunto Bocconi o Luiss, “che coniugano un’alta percentuale di incremento ad un elevato livello retributivo già nella prima fase della carriera”, dicono gli esperti. Atenei “i cui laureati partono da un livello retributivo basso, per poi cresce in maniera significativa nelle fasi di carriera successive (come le Università degli Studi di Siena, Milano, Bologna e la Cà Foscari di Venezia)”; ancora, atenei il cui percorso di carriera prevede un inizio forte dal punto di vista retributivo, ma con una crescita successiva contenuta, tra cui le due università pubbliche romane Tor Vergata e Roma Tre, le Università degli Studi di Genova, Milano Bicocca, Napoli Federico II, Catania e l’Università Politecnica delle Marche; e infine atenei in cui è bassa sia la retribuzione iniziale, sia l’incremento retributivo nelle fasi successive (ad esempio l’Università di Napoli Parthenope, Calabria, Cagliari e Bari).
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Detto delle Università che offrono i ritorni economici migliori, il report parte da un assunto di base: la differenza tra salari di laureati e non c’è, ed è importante. Studiare, in sostanza, paga. Se si parla di retribuzione globale annua (quindi fisso + variabile) è quantificata in 13.400 euro, con un balzo da 29 a oltre 42mila euro per chi ha terminato gli studi. L’anno scorso, la forbice era leggermente più elevata: 13.600 euro. Si tratta di una media, perché il distacco cresce con la prospettiva di carriera: se tra 15 e 24 anni un laureato guadagna il 10% in più di chi non ha il diploma, nella fase finale della carriera si arriva al 70% in più.
Se è vero che lo stipendio di un laureato pesa di più, per una completa valutazione della convenienza (squisitamente economica) dell’investimento in un percorso di studi bisogna anche considerare gli anni di mancati guadagni (perché impegnati sui banchi) e i costi relativi a quel periodo (che molte volte gravano sulle famiglie). Il report offre una risposta a questa domanda, con l’University Payback Index che esprime il numero di anni necessari per ripagare gli investimenti sostenuti, considerando i costi universitari (tasse, materiale didattico) e il mancato introito. Ne viene una classifica che dice che ci vogliono tra 12 e 20 anni per ripagarsi gli studi, aumentati di uno o due anni nel caso di un percorso fuori sede.
Dall’ingresso negli “anta” in avanti, in media, si può dire che la fatica comincia a dare a pieno i suoi frutti. Ma a volte può sembrare un’impresa inutile, quella della laurea: “Un arco temporale di 10 o anche 20 anni per ammortizzare gli investimenti economici sostenuti per conseguire un titolo universitario spinge a chiedersi quale siano i vantaggi, al di là di un attestato appeso alla parete”, commenta Alessandro Fiorelli, amministratore delegato di JobPricing. “Quando si confrontano, a livello macro, le retribuzioni medie per ogni inquadramento contrattuale fra laureati e no, e si nota il risicato divario, la perplessità potrebbe aumentare. Tuttavia, continuare a studiare dopo il diploma, significa accedere con maggiore ricorrenza a migliori opportunità professionali e ruoli apicali: almeno il 25% dei laureati diventa quadro o dirigente, mentre i diplomati accedono a queste posizioni solo in percentuale inferiore al 5%. Maggiore la qualifica, maggiori le chance, dunque, tanto che quasi 1 lavoratore su 2 in possesso di un dottorato di ricerca riveste un ruolo manageriale. Alla fine dell’anno, significa guadagnare in media 23mila euro (se quadro) o 73mila euro in più (se dirigente), rispetto ai 30.626 euro di un impiegato non laureato”.
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