Francia, Macron presidente: l’ottimismo oltre i muri

di MARIO CALABRESI

La vittoria di Emmanuel Macron contiene una lezione fondamentale: si può fare un discorso diverso e vincere. Diverso dalla rabbia, dalle paure e dalla promessa di rovesciare il tavolo. Macron ci indica che non si deve guardare alla società immaginandola monolitica, coltivando la suggestione che vada tutta nella stessa direzione, quella di chi urla di più. Le maggioranze non si possono misurare attraverso il numero dei decibel prodotti dai candidati e dalle campagne mediatiche. Bisogna avere la capacità di osservare e di ragionare senza farsi travolgere dalle grida.

Se entrassimo in uno stadio bendati penseremmo che tutti i tifosi sono ultrà, ma se apriamo gli occhi ci accorgiamo che chi grida a squarciagola occupa le curve e non rappresenta la maggioranza degli spettatori. Fare politica ad occhi chiusi significa pensare che gli europei e gli italiani siano tutti contro l’Europa, siano tutti terrorizzati dai migranti, siano tutti per politiche “legge e ordine” e vogliano il porto d’armi per sparare liberamente la notte.

L’elezione di Macron ci mostra invece che bisogna avere il coraggio di proporre con convinzione una visione diversa, che è inutile per la sinistra italiana rincorrere i populisti (togliere la bandiera europea per metterne sei italiane), perché quella parte del campo è già sufficientemente affollata e soprattutto perché i cittadini diffidano delle imitazioni. Meglio essere se stessi. Macron, salito alla ribalta in un tempo brevissimo e senza un partito alle spalle, per certi versi rappresenta un’incognita ma ha avuto il coraggio di posizioni nette e chiare e non si è fatto dettare l’agenda dal Front National.

La frase che mi è rimasta più impressa quando lo abbiamo intervistato nel suo quartier generale alla fine di marzo può essere considerata il suo manifesto: “Se siamo solo un po’ europei, se lo diciamo timidamente, allora abbiamo già perso”. Poi aveva ricordato le parole del vecchio presidente François Mitterrand, “il nazionalismo è la guerra”, e aveva aggiunto: “Se davanti agli estremismi il partito della ragione si arrende e cede alla tirannia dell’impazienza, allora saremo tutti morti”. Ora però deve fare i conti con la realtà, perché la Francia non è diventata tutta progressista e illuminista in una sera perché Macron ha vinto, così come non sarebbe stata fascista se avesse vinto Marine Le Pen, ma certamente i destini e la Storia sarebbero cambiati, così come sta succedendo in Gran Bretagna dove un due per cento di elettori ha messo in moto un terremoto con conseguenze che ancora non riusciamo a mettere a fuoco.

Sappiamo però che la Francia è impaurita: avevano paura della globalizzazione, degli immigrati, del terrorismo islamico e della fine del lavoro gli elettori del Front National, così come avevano paura di molte delle stesse cose ma anche di Marine Le Pen e della fine dell’Europa tutti gli altri. Così abbiamo una certezza: paure e problemi non si archiviano con il risultato delle urne ma la sfida comincia adesso è sarà difficilissimo asciugare il malessere e portare l’Europa fuori dalla palude.

Ma ha vinto chi promette di farlo senza usare l’accetta, senza alzare muri e senza fare a pezzi quello che è stato faticosamente costruito. Ha promesso nel suo primo discorso di proteggere i fragili, di calmare le paure e di rimettere al centro un concetto che è terribilmente fuori moda e quasi pericoloso da pronunciare: l’ottimismo. Si è caricato una enorme responsabilità ma altre strade e scorciatoie non esistono.

Elezioni Francia, il primo discorso di Macron presidente: “Difenderò la Francia e l’Europa”

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