Il Pd si spacca sui voucher Adesso il governo traballa

alessandro di matteo
ROMA

Sembrano le prove generali della crisi di governo, il voto sui voucher in commissione alla Camera mette agli atti lo sfaldamento della maggioranza che sostiene Paolo Gentiloni, e se qualcuno non si fermerà all’ultimo momento il rischio che la situazione precipiti a questo punto è concreto. Il provvedimento, sul quale martedì verrà probabilmente posta la fiducia, è passato in commissione con il no di Mdp (gli ex Pd ed ex Sel che in teoria sostengono il governo), e il sì di opposizioni come Fi e Lega, che si sono sommati ai voti di Ap, dei verdiniani di Ala e di Scelta civica, oltre a quelli del Pd. Non tutto il Pd, però, perché il partito si è spaccato, l’area di Andrea Orlando non ha partecipato al voto. Le nuove norme sui voucher valgono per le famiglie e per le imprese con meno di 5 dipendenti, contengono limiti che non c’erano nella normativa abrogata a marzo per evitare il referendum che era stato promosso dalla Cgil. Per il Pd e il governo sono una cosa completamente nuova, «non è vero che tornano i voucher», dice la ministra Anna Finocchiaro, è una risposta alle imprese che non sanno come gestire il lavoro occasionale. Per la Cgil invece è «un fatto grave, uno sfregio a milioni di lavoratori che hanno firmato il referendum», un modo, come dice Francesco Laforgia di Mdp, di far «rientrare dalla finestra» i voucher aboliti solo due mesi fa. Susanna Camusso annuncia già un ricorso alla Corte Costituzionale e una manifestazione il prossimo 17 giugno a Roma.

 

Di fatto, è ormai soprattutto una questione politica che rischia di portare alla crisi. Alla Camera i numeri della maggioranza sono comunque ampi, anche senza Mdp. Ma le cose sono diverse al Senato, dove il provvedimento arriverà per metà giugno. Lì, senza Mdp, i numeri non ci sono e l’aiuto delle opposizioni diventerebbe decisivo. Sarebbe, appunto, la certificazione che la maggioranza non c’è più.

 

Laforgia, capogruppo di Mdp, ha parlato in queste ore con Gentiloni, ma ha ricevuto solo vaghe rassicurazioni sulla volontà del governo di cercare una sintesi. «Se faranno questo passo – avverte – ci riterremo totalmente con le mani libere e ci metteremo nella condizione di non votare la fiducia». Non si è ancora deciso se alla fiducia si dirà no o se ci si limiterà a non votarla. Ma il punto politico, per Mdp è chiaro, come dice Arturo Scotto: «Quello sui Voucher non è l’ultimo voto della legislatura. Ma il primo della prossima. Renzi, Berlusconi, Salvini insieme».

 

Replica Ettore Rosato, capogruppo Pd alla Camera: «Ognuno si assumerà le sue responsabilità, c’è la Costituzione che prevede cosa succede nel caso non ci siano i numeri». Tradotto, se la maggioranza non c’è più cade il governo. L’area di Orlando critica Renzi per non aver coinvolto i sindacati, Gianni Cuperlo avverte: «Così ci facciamo del male». Il voto di fiducia però non è in discussione, come spiega Cesare Damiano: «Ai voucher direi no, ma il provvedimento contiene tante altre cose: i soldi per Alitalia, per il terremoto…».

 

Lo scambio di accuse è reciproco e si intreccia con la trattativa sulla legge elettorale. Per il renziano Andrea Marcucci quelli di Mdp vogliono far cadere il governo perché pensano che sia meglio votare con la legge attuale che ha uno sbarramento del 3% alla Camera, anziché con il tedesco che avrebbe il 5%, «a loro interessa solo la difesa di qualche scranno». Per Mdp, invece, è Renzi che cerca il pretesto per far cadere il governo e andare al voto. E comunque, dice uno dei bersaniani, «ci chiamiamo Articolo 1, sul lavoro non possiamo mollare. Anche perché ormai è chiaro che si andrà a votare presto. E Renzi perderà molti voti, facendo l’accordo con Berlusconi e reintroducendo i voucher». La campagna elettorale sembra già iniziata.

LA STAMPA

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