La doppia mossa di Grillo per spiazzare Berlusconi
Altro che «Renzusconi», altro che trattative sottobanco tra Forza Italia e Pd: la grande accelerazione di queste ore la imprime proprio chi veniva considerato un alieno, estraneo a tutti i giochi, cioè Beppe Grillo. Il suo via libera al modello elettorale tedesco ottiene il plebiscito degli iscritti che nella consultazione online si sono detti a favore in 27.473 (soltanto 1532 i contrari). M5S non si schioderà da quella posizione. Adesso basta pochissimo per dichiarare «game over»: è sufficiente che domani sera, nella direzione del suo partito, Renzi scelga pure lui il «tedesco». La maggioranza per un sistema di voto proporzionale, con sbarramento al 5 per cento, sarebbe a quel punto vastissima, nel Parlamento e nel Paese, tale da rimpicciolire l’apporto di Berlusconi. Sotto tale aspetto, l’iniziativa grillina ridimensiona non poco il Cav, che già si godeva il centro della scena, e lo ferisce nell’autostima.
L’assist a Renzi
Il protagonismo a Cinquestelle non si spegne qui. Grillo preme sul pedale del gas pure per quanto riguarda la data delle urne. Indica il 10 settembre come ideale «election day» in quanto, argomenta sul suo blog, sarebbe «un atto di delicatezza istituzionale»: i nostri «onorevoli» non farebbero più in tempo a maturare «la vergogna del vitalizio» che scatta dal 15 settembre in poi. L’affermazione fa rizzare i capelli in testa a chiunque capisca di diritto parlamentare, perché notoriamente la legislatura non termina il giorno delle elezioni (come crede il blog), ma quando si riuniscono per la prima volta le nuove Camere. Dunque votare il 10 settembre non basterebbe comunque, bisognerebbe anticipare addirittura a Ferragosto. Però la sostanza è che, pure qui, Grillo lancia un assist a Renzi. Il quale pare abbia già segnato una data sul calendario: il 24 settembre, quando pure i tedeschi andranno alle urne.
I rischi del voto subito
La convergenza sembra pressoché totale. Conferma Brunetta, per conto di Forza Italia, che «un vantaggio di votare in autunno sarebbe proprio quello di sincronizzarsi con il ciclo elettorale degli altri Paesi europei». Salvini e Meloni, almeno nei proclami, non vedono l’ora di menar le mani. Del Pd e dei Cinquestelle si è detto. A remare contro le urne rimane soltanto Alfano, cui Renzi ha inflitto l’ennesimo sgarbo: avevano concordato di vedersi stamane per parlarne con calma, però Matteo ha disdetto l’appuntamento senza un apparente perché. È la prova di quanto sia duro il braccio di ferro con i centristi. Unico incontro della giornata si annuncia tra il capogruppo Pd alla Camera, Rosato, e la delegazione Cinquestelle per bruciare le tappe sulla legge elettorale, senza la quale il Presidente non scioglierebbe le Camere. In realtà Mattarella pone (fin qui senza alzare pubblicamente la voce) un’ulteriore condizione: che votando prima della naturale scadenza non ci facciamo troppo male. L’Europa e i mercati si aspettano dall’Italia una manovra seria per il 2018, che andrà presentata entro il 15 ottobre per non incorrere nelle ire di Bruxelles e, soprattutto, per non trovarci in balia della speculazione. Votando a fine settembre o, peggio ancora, un paio di settimane dopo come suggerisce Franceschini, la scadenza di metà ottobre non sarebbe onorata. A presentare la legge finanziaria provvederebbe il governo dimissionario, in carica solo per gli affari correnti, dunque un atto di puro «pro forma». Dopodiché toccherebbe al successivo governo rimetterci le mani e far votare dal nuovo Parlamento la manovra. Sempre che venga fuori una maggioranza e l’Italia non si avviti nel gorgo dell’ingovernabilità. Ma ai nostri eroi, questi sembrano dettagli: al massimo poi si vedrà.
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