Dietro la “balena blu” si apre l’inferno
Nato in Russia come un gioco, o forse era un’operazione furbetta di automarketing, o addirittura pubblicità occulta di una casa di lingerie, poco importa. A questo punto, dopo che il fenomeno è esploso anche in Italia, il «Blu Whale», la Balenottera Blu, si è trasformato in un pericolo. In certi casi è diventata addirittura una psicosi di genitori e insegnanti. Ma la polizia postale avverte: «Non è più uno scherzo, perché questa brutta specie di gioco sta incrociando le fragilità di tanti, troppi teenager».
Prima avvertenza, di app come «Blue Whale» ce ne sono più di una. Hanno in comune un percorso di follia, di prove estreme, e di ricerca di protagonismo , che attira soprattutto i giovanissimi, nativi digitali. Sta diventando, insomma, una stupida moda.
Seconda avvertenza, il gioco crea dei ruoli interscambiabili tra i «tutor» e i «giocatori». Come in tutti i giochi di ruolo, però, c’è chi si appassiona oltremodo, scambiando la realtà con il virtuale, e alla fine non importa più perchè ci si comporta in un dato modo: il grave è che i comportamenti sono terribilmente concreti. «A fare impressione – dice a sua volta Geo Ceccaroli, Direttore del compartimento Polizia Postale dell’Emilia Romagna- sono quelli che sul web incitano i ragazzi a procedere nelle prove e li invitano a mettere in atto atti di autolesionismo».
Anche in Piemonte si indaga. Paola Capozzi è la dirigente regionale della polizia postale ed è alle prese con diversi casi delicatissimi. «Alle famiglie – spiega – diciamo di stare vicini ai propri ragazzi. Non devono sottovalutare i segnali di allarme, come l’improvviso rinchiudersi nello smartphone o nel pc, ma anche i piccoli episodi di autolesionismo. Sta a loro, prima di tutti, di far capire che il disagio non si risolve nella Rete».
LA STAMPA
Da quando s’è preso a parlare di «Blue Whale», però, la polizia postale si trova a dover fronteggiare un esercito di investigatori fai-da-te, di pseudogiornalisti, di genitori angosciati che creano più confusione che altro. E dato che il lavoro degli investigatori è di scandagliare i siti sospetti per capire le dinamiche in atto, è evidente che tutta questa folla di falsi bersagli non fa altro che far disperdere le energie. Per non parlare della miriade di segnalazioni che poi si rivelano sbagliate.
Ormai però il fenomeno esiste, la psicosi anche, e pure – «ed è la cosa più grave, mi creda», dice Paola Capozzi – il suo mito noir. Proprio questo mito sta prendendo piede tra i giovanissimi. Il gioco, infatti, intercetta un disagio adolescenziale diffuso. E qui, tra emulazione e senso della sfida, a metà strada tra la voglia di farsi notare e la necessità di trovare un ascolto purchessia, si moltiplicano i casi di giovanissimi che cercano loro, senza nemmeno qualcuno che li inciti, di partecipare al gioco.
Entrare nella app è facilissimo. «Un meccanismo perverso», lo spiega la polizia postale, che sembra fatto apposta per attirare personalità fragili.
Problema nel problema, questo tipo di applicazioni attirano non solo le potenziali vittime, ma anche i potenziali carnefici. «Dietro le vesti di tutor può esserci qualsiasi malintenzionato, di cui la Rete è piena».
Ecco dunque perché tanto allarme. La frittata ormai è fatta. Il mito è stato creato. La polizia postale ha perfino deciso di non usare più l’espressione «Blue Whale», perché ritenuta troppo gentile e tentatore. Nelle indagini e nelle comunicazioni chiameranno il fenomeno con la sigla F57, «la lettera e il numero che si chiede di incidere sul dorso della mano come prima prova nel percorso verso questo girone infernale».