«Trump valuta di licenziare Mueller», il procuratore del Russiagate

Nel giorno dell’ audizione sul Russiagate del ministro della Giustizia Jeff Sessions, atteso oggi davanti alla Commissione intelligence del Senato, acque agitate all’interno del partito repubblicano. Secondo quanto rivelato da un amico del presidente alla tv Pbs, Donald Trump starebbe considerando il licenziamento di Robert Mueller, l’ex capo dell’Fbi appena nominato procuratore speciale per il Russiagate dopo il licenziamento di Comey. Lo ha lasciato intendere un amico del presidente Usa, il direttore esecutivo di Newsmax Media, Christopher Ruddy. Di fronte alle voci, i repubblicani hanno cominciato a fare muro. «Non c’è ragione di farlo, sarebbe un disastro» ha avvertito il senatore Lindsey Graham. La Casa Bianca però smentisce: il portavoce Sean Spicer ha dichiarato che «Ruddy non ha mai parlato con il presidente in merito a questa questione. A questo proposito, solo il presidente o i suoi avvocati sono autorizzati a commentare».

Nuove sanzioni contro Mosca

La Casa Bianca si ritrova in una posizione scomoda anche per l’accordo bipartisan raggiunto in Senato nella notte su un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca per le sue interferenze nelle ultime elezioni presidenziali Usa e per il comportamento adottato in Ucraina e in Siria. La misura — decisa insieme da Repubblicani e Democratici — arriva nel vivo delle indagini sui legami tra stretti collaboratori del presidente Trump e la Russia. L’amministrazione Usa nei mesi scorsi aveva fatto trapelare in più occasioni l’intenzione di rimuovere l’edificio delle sanzioni decise dagli americani (in accordo con gli alleati europei) dopo l’annessione della Crimea.
Il piano deciso ieri in tarda serata chiede invece il rafforzamento delle sanzioni attuali e ne impone di nuove sui soggetti coinvolti in abusi nel campo dei diritti umani e su quelli che stanno fornendo armi al governo del presidente siriano Assad. Le sanzioni dovrebbero inoltre colpire i responsabili di cyber crimini per conto del governo di Mosca.

CORRIERE.IT

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