La linea del Pd: disinnescare le mozioni per evitare nuovi imbarazzi su Lotti
Con un’abile operazione a tenaglia il Pd è riuscito per qualche ora a spegnere i riflettori che stavano per riaccendersi sul filone «Consip-fuga di notizie» che chiama in causa l’entourage di Matteo Renzi, ma nei prossimi giorni il leader democratico sarà egualmente chiamato a gestire una vicenda che rischia di creargli nuovi grattacapi in termini di immagine. Per tre motivi. Il primo: una volta decaduti i vertici della Consip, teoricamente dovrebbe cadere qualsiasi ulteriore discussione parlamentare su tutta la vicenda, ma le opposizioni non sono di questo avviso e domani al Senato ci sarà bagarre sul caso.
Secondo: l’oscurissima vicenda della quasi certa falsificazione di prove a carico del padre di Matteo Renzi sembrava avesse distolto centralità a un altro filone dell’inchiesta Consip, quella sulla fuga di notizie sull’indagine a suo tempo avviata da parte della magistratura. Un’attenzione che invece si è ora riaccesa, in particolare attorno all’enigma più insidioso: qualcuno dentro il governo sapeva dell’indagine sulla Consip e come ha fatto a saperlo? Oppure si è inventato tutto l’ad di Consip Luigi Marroni, che lo ha rivelato?
E il terzo grattacapo che incombe sul Pd riguarda proprio Marroni, super-manager un tempo vicino a Renzi e ora costretto a dimettersi dall’azione concentrica del Pd e del ministero dell’Economia: prima o poi potrebbe rendere pubblico, almeno in parte, ciò che ha detto in un interrogatorio ai magistrati – di Napoli e di Roma – come persona informata dei fatti?
A riaccendere i riflettori sulla vicenda Consip-fuga di notizie è stato un ordine del giorno presentato al Senato su iniziativa di Gaetano Quagliariello, il «dottor Sottile» del centrodestra, col quale si chiedeva il rinnovo dei vertici della centrale degli acquisti della Pa. Con una domanda di fondo: il governo crede all’ad Consip Marroni, che ha raccontato di essere stato informato dell’indagine tra gli altri dal sottosegretario Luca Lotti, braccio destro di Renzi? Oppure crede a Lotti, che nega? Un’ambivalenza sulla quale il governo è riuscito a galleggiare per mesi: da una parte il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che ha rinnovato due volte la fiducia a Marroni e dall’altro Luca Lotti, che ha fornito ai magistrati un versione opposta a quella dell’ad di Consip. Davanti all’iniziativa di Quagliariello, il gruppo Pd del Senato ha subito presentato una mozione dal contenuto simile. Come ha spiegato il senatore del Pd, il renziano Andrea Marcucci, «Consip ha bisogno di una governance rinnovata, autorevole».
Ma sotto la guida di Marroni, Consip ha risparmiato in un anno la cifra ragguardevole di 3 miliardi e mezzo (l’entità dell’ultima manovrina) e dunque la mozione Pd equivaleva ad un messaggio: caro Marroni, non hai più la nostra fiducia, dimettiti prima di martedì, quando si discutono le mozioni parlamentari. Poiché Marroni non si dimetteva, le contestuali dimissioni del presidente Ferrara e della funzionaria del Tesoro hanno di fatto sciolto il Cda, costringendo Marroni a lasciare prima del fatidico martedì. Dice Gaetano Quagliariello: «Noi chiederemo che la questione sia discussa egualmente dall’aula del Senato».
Il presidente dell’assemblea, Pietro Grasso, interpellato, ha risposto: «Ne discuteremo martedì alle 11…». Dal Pd trapela l’orientamento: le mozioni, una volta decaduti i vertici di Consip, non potranno essere votate. È questo il vero obiettivo del Pd, evitare qualsiasi votazione che chiami in causa indirettamente Matteo Renzi. Per i suoi avversari la battaglia regolamentare si concentrerà su questo punto: votare qualsiasi cosa pur di mettere in difficoltà l’ex premier. Ma Renzi lo sa e proverà a disinnescare la mina.
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