Di Maio, il prescelto da Grillo che piace a moderati e imprenditori
E pensare che esattamente dieci anni fa, ai tempi del primo «Vaffa day», il ventenne Luigi Di Maio non era affatto entusiasta del turpiloquio di quel comico che da piccolo aveva intravisto in tv: «I miei lo guardavano, parlava della Sip…».
Non ha un passato da arruffapopolo, anzi già da rappresentante d’istituto al liceo Imbriani di Pomigliano d’Arco (dove ha vissuto fin dalla nascita, nel luglio 1986) strinse un patto con gli insegnanti: niente più scioperi e assenze di massa ma voi venite a manifestare con noi per la costruzione di una nuova sede della scuola.
Quattro anni fa fu scelto dai compagni di partito come vicepresidente della Camera in quota al primo partito di opposizione. La leggenda racconta che Luigi non volesse candidarsi, e che fu la sua amica deputata Vega Colonnese che lo spronò: «Ogni volta che uno buono non si fa avanti, c’è uno meno buono che gli fa il posto». Lui alla fine accettò e conquistò i grilini – che erano in conclave da giorni per mettere alla “graticola” i papabili – con la frase «Non chiamerò mai più i deputati “onorevoli”».
In realtà, in quei giorni concitati, il giovanissimo Di Maio già si era fatto notare, in quell’immenso melting pot della truppa grillina. Elegante nel vestire, cravatte al posto delle t-shirt, dei sandali, delle spille, e di altri gadget che i ragazzi del Movimento sfoggiavano a Montecitorio. Particolari che non sfuggirono ai due fondatori. Da allora la sua è stata una cavalcata continua fino all’incoronazione, un tirocinio corroborato dalla buona prova data alla guida dell’Aula della Camera, ma anche da un lunghissimo lavorio sull’immagine. Non a caso la sua fidanzata, Silvia Virgulti, 10 anni più di lui (di qui le numerose battute sul Macron italiano) di mestiere fa la tv coach dei grillini. E Luigi di tempo ne ha passato tantissimo a preparare le sempre più numerose presenze tv, anche ai tempi in cui Grillo malediceva chi cedeva al fascino del talk show.
Per lui, e per Di Battista, furono fatte molte eccezioni. E fu rapidamente archiviata la regola dell’«uno vale uno». Per Luigino, il predestinato, sono state ritagliate regole su misura, come l’ultima, che consente anche agli indagati di correre come candidato premier (è indagato a Genova per diffamazione su denuncia della ex candidata Cassimatis). A lui sono stati perdonati incidenti e gaffe che ad altri sarebbero costati la testa: la foto con un boss in campagna elettorale, e soprattutto la famosa mail di un anno fa -spedita dalla senatrice Paola Taverna – che lo informava dell’indagine a carico dell’allora assessora all’Ambiente di Roma Paola Muraro. «Non avevo capito bene la mail», la sua imbarazzata reazione. La sua candidatura vacillò, ma a Genova e Milano decisero di salvarlo. «Scusate, ho sbagliato», disse sulla piazza di Nettuno, pallido in volto, mentre la folla grillina impazziva per Di Battista.
La resurrezione politica di Luigino passa anche dall’asse con il suo gemello diverso: tanto l’uno fa l’arbitro dallo scranno più alto della Camera, tanto Dibba si vanta di essere «il deputato più espulso della storia».
La coppia funziona, come ha dimostrato il tour agostano in Sicilia. I due giocano agli amici, i selfie da turisti in gita impazzano sui social. Uno arringa la folla, l’altro parla con gli imprenditori e si costruisce l’immagine da leader in una fine estate che lo ha visto prima sulla copertina di Oggi con la fidanzata («Prima votiamo e poi ci sposiamo»), poi ospite del gotha economico di Cernobbio (prima di lui solo Casaleggio), alla Mostra del cinema di Venezia e al Gp di Monza. Dopo il contestato sgombero di immigrati (con gli idranti) a fine agosto a Roma, si è schierato con la polizia senza esitazioni, dando al M5S una connotazione sempre più di legge e ordine (scatenando la protesta del rivale «di sinistra» Roberto Fico). Nel suo pantheon ha messo la Balena Bianca, ma anche Pertini, Berlinguer e Almirante. Un menù per tutti i palati.
Non fuma, non balla, non gioca a calcio. Ascolta Ennio Morricone e si è invaghito delle musiche di Armando Trovajoli. A giugno alla Camera ha organizzato una serata dedicata all’autore di «Roma nun fa la stupida stasera», con Montesano e Pippo Baudo. «Luigi è il più democristiano dei grillini», lo benedì Baudo, già scopritore di Grillo. La differenza coi vecchi Dc sono i voti: quando si candidò alle comunali a Pomigliano ne prese 59. Nel 2013 per la Camera 189.
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